Dalla censura e dal samizdat alla libertà di stampa. URSS 1917-1990
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Dalla censura e dal samizdat alla libertà di stampa. URSS 1917-1990 - a cura di Sergio Rapetti
Collana di Memorial n. 1
Memorial International
Biblioteca Statale di Storia della Federazione Russa
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Presentazione
Gli autori
La mostra
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Grazie per aver acquistato l’ebook a cura di Sergio Rapetti
Dalla censura e dal samizdat alla libertà di stampa. URSS 1917-1990.
Catalogo della mostra a cura di Boris Belenkin ed Elena Strukova con altri saggi
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Gli autori
Introduzione. Dissenso e samizdat in URSS: una rivoluzione morale che ha segnato la storia del XX secolo di Sergio Rapetti
Alcune note sulla mostra di Boris Belenkin
Che cos’è il samizdat? di Elena Strukova
Dalla censura e dal samizdat alla libertà di stampa - La mostra
Nota al lettore
La società di fronte al suo passato di Maria Ferretti
Un nuovo spazio della lettura di Valentina Parisi
Il caso dell’almanacco letterario Metropol’ di Maria Zalambani
Volti
Pagine e parole
Il testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo.
Prima edizione digitale: goWare 2016
ISBN: 978-88-6797-664-5
Sviluppo ePub: Elisa Baglioni
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Presentazione
Dall’impegno congiunto degli studiosi russi di Memorial Internazionale e della Biblioteca Statale di Storia della Federazione Russa è nata la Mostra Dalla censura e dal samizdat alla libertà di stampa. URSS 1917-1990. Inaugurata a Mosca e poi presentata alla Bibliothèque de Documentation Contemporaine di Nanterre e alla Biblioteca della Sorbona, l’esposizione, itinerante, è giunta ora nel nostro paese, a cura di Memorial-Italia.
Memorial ne propone il catalogo in versione digitale, integrandolo con alcuni contributi di studiosi russi e italiani del settore.
La qualità e ricchezza dei pannelli della mostra danno adeguato risalto ai protagonisti, alle loro ragioni e azioni e documenti. È la narrazione in presa diretta del risveglio morale e sociale di un grande paese imbavagliato, che ritrovò allora coscienza e voce; la perestrojka, e poi la svolta del 1989-1991 devono molto agli eroi di questa fervida stagione.
Gli autori
Sergio Rapetti, traduttore, studioso della letteratura e cultura russe, ha promosso e tradotto in Italia decine di opere di autori di quell’area linguistica, in epoca sovietica e postsovietica e fino ad oggi.
Boris Belenkin, laureato in Lettere e in Cinematografia. Durante gli studi si è occupato di ricerca storica. Dal 1990 direttore della Biblioteca di Memorial e dal 1998 membro del Direttivo di Memorial Internazionale. Curatore di varie mostre sul dissenso. Autore di monografie su attivisti politici della Rivoluzione e della Guerra Civile e di numerosi articoli scientifici sulla destalinizzazione e sulla storia dell’opposizione.
Elena Strukova, laureata in biblioteconomia e archivistica. Dal 1984 lavora alla Biblioteca Statale di Storia della Federazione Russa e dal 2014 è direttrice del Centro di Storia socio-politica (ex Biblioteca dell’Istituto del marxismo-leninismo). Molti dei suoi studi sono dedicati alla stampa periodica e ai gruppi informali nell’epoca della perestrojka, al samizdat e al dissenso in URSS.
Maria Ferretti, professore di storia contemporanea all’università della Tuscia, è specialista di storia russa del XX secolo. Ha insegnato all’Università statale russa di scienze umane (RGGU, Mosca), è membro del Centre russe dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (EHESS, Paris). La sua attività di studio e ricerca si concentra sulla memoria storica della Russia sovietica e post-communista e sulla storia sociale della Russia post-rivoluzionaria. Fra le sue pubblicazioni si ricordano, oltre a numerosi saggi, La memoria mutilata. La Russia ricorda (1993) e La battaglia di Stalingrado (2001). Attualmente sta preparando un libro sulla storia del Gulag (per il Mulino) e una monografia in cui si affronta, con un approccio di microstoria, il tema della resistenza operaia e la genesi dello stalinismo.
Valentina Parisi, dottore di ricerca in letterature slave, ha usufruito di una borsa biennale di post-dottorato dell’Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM) dal 2009 al 2011. In seguito è stata borsista EURIAS presso l’Institute for Advanced Studies, Central European University, Budapest. Traduttrice dal russo, dal polacco e dal tedesco, collabora con le pagine culturali de Il Manifesto
e Alias
.
Maria Zalambani è professore associato di lingua e letteratura russa presso l’Università degli studi di Bologna (sede di Forlì). Si è prevalentemente occupata di storia delle idee, di letteratura e di critica letteraria in epoca sovietica. Fra le sue opere: Censura, istituzioni e politica letteraria in URSS (1964-1985), Firenze University Press, Firenze 2009. Ha appena pubblicato una monografia sull’istituzione del matrimonio nell’opera di Tolstoj (L’istituzione del matrimonio in Tolstoj (Felicità familiare, Anna Karenina, La sonata a Kreutzer), Firenze 2015.
Introduzione
Dissenso e samizdat in URSS: una rivoluzione morale che ha segnato la storia del XX secolo
— di Sergio Rapetti —
Il presente scritto vuole essere una introduzione, con esempi, a un evento, il dissenso, di grande importanza nella storia dell’URSS della seconda metà del XX secolo. Nelle sue ragioni e battaglie si è concretizzata un’opposizione sui generis che, disarmata nel suo rigoroso rifiuto di ogni atto di violenza e in generale meno interessata a «programmi» e «piattaforme» di tipo politico-alternativo, ha però fatto dell’azione sociale in difesa della libertà d’espressione e dei diritti civili la propria missione. Il samizdat è lo strumento quotidiano del quale essa è riuscita a dotarsi fondandolo sull’impegno personale e l’abnegazione dei suoi adepti. Uno strumento e, direi, un presidio che si è rivelato assai efficace: tant’è che ha saputo scardinare quel monopolio assoluto del potere sulla verità che ha asservito per decenni le coscienze dei cittadini e l’intera società sovietica.
Sull’argomento non sono mancati anche in Italia validi studi divulgativi e specialistici nonché significative testimonianze. Qui mi riprometto, anche se in poche pagine, di aggiungervi qualcosa che renda, di quella stagione durata quasi un trentennio, l’ampia portata e, se si vuole, il «respiro» delle vicende, di testi, protagonisti, uomini e donne spesso eccezionali, che l’hanno caratterizzata.
Ho avuto la ventura, e fortuna, di conoscere di persona molti dissidenti, famosi e meno noti, in URSS e nell’emigrazione; ad alcuni sono poi rimasto legato tutta la vita; nel corso di un ventennio ho cercato di seguire, per quanto mi è stato possibile, le vicende di altre centinaia di loro, partecipando con i russi, nell’ambito di organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani, ad alcune azioni e campagne di mobilitazione e sensibilizzazione al problema.
Dissenso in russo è dissidentstvo, ma c’è un’altra parola di radice slava con la quale i dissidenty designavano il proprio movimento: inakomyslie («diverso pensiero», «eterodossia»). Ha finito per prevalere il primo termine, ma i protagonisti stessi (dissidenty o inakomysljaščie), nel valutare le ragioni personali e gli iniziali esiti sociali della propria attività, hanno cercato per essa altre caratterizzazioni: soprotivlenie («resistenza») e protivostojanie, inteso più spesso come «far fronte» che come «contrapporsi». Comunque sia, l’incipiente movimento (dviženie) ebbe certo il carattere di un’«opposizione» ma un’«opposizione morale» all’oppressivo regime vigente e ai suoi usi e costumi. Di questa natura del dissenso, come la recepirono nella loro maggioranza i protagonisti, si vedrà poi qualche esempio.
Particolare rilievo ha, nel panorama del dissenso, con scelte a livello personale di sempre più numerosi attivisti, il «movimento per la difesa dei diritti dell’uomo» (pravozaščitnoe dviženie). Erano volontari che agivano quasi sempre apertamente contro l’arbitrio invocando i propri diritti di cittadini garantiti dalla stessa Costituzione sovietica, in forme di protesta e resistenza civile non violente. I pravozaščitniki agirono sotto varie sigle e con vari programmi d’azione nei diversi settori d’interesse, nelle varie repubbliche dell’URSS multinazionale con culture e religioni diverse, esprimendosi nelle varie lingue. Il personaggio che emblematicamente li ha tutti rappresentati dalla fine degli anni Sessanta alla morte (1979) è Andrej Sacharov, lo scienziato nucleare premiato nel 1975 con il Nobel per la pace proprio per il suo ruolo nella difesa dei diritti dell’uomo in URSS.
L’altra parola-chiave, samizdat, ha il suo calco italiano in «autoeditoria». Ma la grande rilevanza assunta in Unione Sovietica da questa geniale «invenzione» dei «diversamente pensanti» ha consacrato all’uso universale, nelle varie lingue e culture del mondo, la parola russa (magari con l’iniziale maiuscola: Samizdat). Certo, la lettera manoscritta di denuncia di un abuso o di protesta per un arresto illegale, il ponderoso romanzo ricopiato «a mano» (penna, ma anche macchina da scrivere, fotocopiatrice, ciclostile, microfilm), il fascicolo di saggi e documenti su un fatto storico falsificato o rimosso, se tutto ciò è un’«invenzione», lo è nel senso del «ritrovamento», della «scoperta». Ma il lettore che vorrà scorrere le dettagliate Tavole della Mostra di «Memorial» che qui si presenta non potrà non convincersi dell’eccezionale novità, per estensione, durata e importanza, del ruolo svolto dal samizdat in qualità di strumento di comunicazione, di collegamento, di condivisione di notizie e dibattito di opinioni. La pluridecennale, oscura èra «pregutenberghiana» nella quale il regime ideologico totalitario dell’URSS aveva sprofondato la gran parte della sua popolazione pensante e creativa, era stata all’improvviso squarciata da lampi di luce. I testi proibiti o volontariamente sottratti alla censura, perché impubblicabili in URSS, erompevano spontaneamente qua e là in forma leggibile e poi sempre più spesso infittendo, in una trama alimentata dalla convinta opera di diffusione da parte di lettori-editori, e via via da parte di gruppi forzatamente informali impegnati nella «pubblicazione», che diventava periodica, di bollettini di «controinformazione» e «riviste» di varia indole e ispirazione.
Era nata un’«editoria alternativa» con vette di assoluto valore nel campo letterario: si pensi solo al Maestro e Margherita, Dottor Živago, Arcipelago Gulag, Vita e destino, alle raccolte di versi di una pleiade di grandi poeti, da Achmatova e Mandel’štam a Brodskij e tanti altri. Ma anche articolati appelli e proclami rivolti ai propri governanti e alle organizzazioni internazionali, nonché ampi saggi di taglio sociopolitico variamente orientati. Si era rapidamente accumulata una «massa critica» di materiali eterogenei spesso di grande interesse e valore letterario, storico, documentario, ecc., in grado di competere con l’editoria «ufficiale», cioè autorizzata, di colmare le ormai intollerabili lacune determinate dai filtri censori della cultura e dell’estetica imposte dal pensiero unico e di mettere in discussione dettami e schemi di un’ideologia fossilizzata, obbligatoria e quindi mai rinnovata, e comunque ridotta, con l’incontrovertibile evidenza dei fatti, a mero strumento del potere: quello basato sulla menzogna, la censura e l’oppressione.
L’ormai imponente produzione del samizdat aveva trovato la via dell’Occidente e in particolare delle numerose case editrici di lingua russa dell’emigrazione che provvedevano, oltre a promuovere le traduzioni all’estero, a dare veste tipografica ai testi originali e a rispedirli clandestinamente in URSS: era il tamizdat («pubblicato là») che veicolò sempre più massicciamente anche i grandi libri di pensatori, teologi, narratori e critici russi della prima emigrazione (dopo il 1917) e della seconda (quella del secondo conflitto mondiale).
Di come funzionasse «sul campo» il samizdat e che cosa significasse per i suoi adepti, e «addetti», abbiamo un racconto di Natal’ja Gorbanevskaja:
Un giorno del 1962 in visita da Anna Achmatova [...] ebbi il permesso di trascrivere il suo Requiem [...] Per molti anni lo si era potuto ascoltare solo in una scelta cerchia di amici dell’autrice, che per la maggior parte lo imparavano a memoria. Né la stessa Achmatova, né il suo numeroso pubblico affidò mai il Requiem alla carta. Ma dopo che, nel 1962, «Novyj Mir» ebbe pubblicato Una giornata di Ivan Denisovič, Achmatova pensò che forse era giunto il momento anche per Requiem [...] [Decise] che l’opera uscisse nel samizdat [...] oltre che da me e Solženicyn a casa dell’Achmatova [...] Requiem era stato ricopiato da decine di persone. E naturalmente tutti o quasi, ritornati a casa, si erano messi alla macchina per scrivere [...] In questo modo, solo dalle mie mani uscirono e si diffusero centinaia di Requiem, ma la sua tiratura complessiva nel samizdat raggiunse almeno qualche migliaio di copie.
Gorbanevskaja, poetessa anche lei e prima redattrice di quella «Cronaca degli avvenimenti correnti» (Chronika tekuščich sobytij) per la cui realizzazione e diffusione si prodigheranno tanti dissidenti, noti e meno noti, avrebbe reso questa testimonianza a un Convegno tenutosi a Milano nel dicembre 2003. Nella stessa occasione Arina Ginzburg, moglie di Aleksandr, dopo aver raccontato l’epica battaglia costituita dalla redazione del Libro bianco sul caso Sinjavskij-Daniel’ (un affaire giudiziario e un libro che si portarono dietro ulteriori processi e campagne di sostegno ai perseguitati cui aderirono centinaia di firmatari del mondo scientifico e letterario sia sovietico sia internazionale) avrebbe così concluso:
Aleksandr Ginzburg e tutti coloro dei quali parliamo oggi sono persone che hanno compiuto Azioni che sono poi entrate nella storia e che, forse, hanno influenzato il corso degli eventi nel nostro paese, ma lo hanno fatto non per particolare eroismo, per desiderio di gloria e tanto meno per interesse. Per loro tutto ciò