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Poesia, scienza e dissidenza: Interviste (2015-2020) con una premessa di Franco Cardini
Poesia, scienza e dissidenza: Interviste (2015-2020) con una premessa di Franco Cardini
Poesia, scienza e dissidenza: Interviste (2015-2020) con una premessa di Franco Cardini
E-book131 pagine1 ora

Poesia, scienza e dissidenza: Interviste (2015-2020) con una premessa di Franco Cardini

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Info su questo ebook

La filologia come pratica del dubbio, nell’epoca in cui siamo chiamati ad affidarci senza riserve alla scienza.
LinguaItaliano
EditoreCLUEB
Data di uscita28 set 2020
ISBN9788831365260
Poesia, scienza e dissidenza: Interviste (2015-2020) con una premessa di Franco Cardini

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    Anteprima del libro

    Poesia, scienza e dissidenza - Francesco Benozzo

    Nota ai testi

    Questo libro raccoglie dodici tra le tante interviste rilasciate da Francesco Benozzo negli ultimi cinque anni. Si sono selezionate quelle che maggiormente mettono in luce la natura antidogmatica di questo studioso-poeta-musicista, per il quale la scienza e l’arte non possono che essere atti di consapevole ribellione, pratiche libertarie e antiautoritarie, concrete forme e azioni di dissidenza.

    Si sono mantenuti i testi originali, aggiungendo solo alcune note quando sono sembrate utili a illuminare il contesto dell’intervista, oppure per fornire i riferimenti bibliografici di studi, testi o interventi di Benozzo cui a volte si allude senza citarli.

    Si ringraziano i responsabili delle sedi originarie di pubblicazione per avere acconsentito alla riedizione di questi scritti.

    Il filologo ribelle

    Questo libro esce non casualmente proprio in questi mesi, poiché contiene, tra le altre, due coraggiose interviste che Francesco Benozzo ha rilasciato in pieno lockdown per l’emergenza sanitaria: due interviste dai toni forti, polemici e a tratti incendiari (in cui parla di «strage di stato», di «finta pandemia», di «lobotomizzazione degli individui», di «prove tecniche di soggiogamento delle popolazioni»), che hanno conosciuto una larga diffusione internazionale, con oltre due milioni di visualizzazioni, essendone apparse, su alcuni quotidiani e su centinaia di siti, delle versioni in lingua inglese, spagnola, tedesca, portoghese, serba, curda, ed essendo state riprese, oltretutto, da agenzie di stampa straniere, tra le quali la nota agenzia di stampa mediorientale «ANF News».

    In queste interviste, e in questo libro che le accoglie insieme ad altre rilasciate negli ultimi cinque anni, Benozzo parla come filologo e come poeta, da una prospettiva in cui la filologia e la poesia – la «diligenza» e la «voluttà», come avrebbe detto Gianfranco Contini – coincidono. Benozzo insegna infatti Filologia romanza all’Università di Bologna, ha all’attivo oltre settecento pubblicazioni scientifiche, alcune delle quali francamente rivoluzionarie, ha partecipato – spesso in qualità di keynote speaker – a più di duecento convegni universitari, dirige tre importanti riviste internazionali di filologia, è il responsabile di prestigiosi centri di ricerca e workgroups internazionali ed è il coordinatore del Dottorato di Studi letterari e culturali dell’Università di Bologna. Ma è al tempo stesso un poeta, autore soprattutto di lunghi poemi epici, tradotti in diverse lingue (e di recente, non per un caso come vedremo subito, in svedese): l’ultimo poema, uscito nel maggio 2020 per le edizioni Kolibris di Ferrara, dal titolo Máelvarstal, racconta la nascita dell’universo quattordici miliardi di anni fa, senza occuparsi delle tristi vicende del pianeta terra e men che meno di quelle degli umani che lo abitano, e si ispira, oltre che ai trattati di astrofisica sul Big Bang e sul post-Big Bang, ai poemi orali di varie aree (dai cantori serbi ai narratori groenlandesi e australiani), ai testi mitologici antichi come il poema accadico En ū ma Eliš del XII secolo a.C. e l’epopea caucasica dei Narti, ai bardi gallesi del VI secolo, all’epica medievale romanza e germanica, ma anche ad autori e poeti della modernità (da Melville a Whitman, da Derek Walcott a Czesław Miłosz).

    Per la sua attività di poeta epico e performativo (suona l’arpa celtica e canta, essendo anche un noto musicista e avendo inciso una dozzina di album tra Italia, Gran Bretagna e Danimarca), è stabilmente candidato dal 2015 al Premio Nobel per la Letteratura, come confermato di recente dalla rivista «Författaren», l’organo ufficiale dell’Unione degli scrittori svedesi (la Sveriges Författarförbund), assai vicino all’Accademia di Svezia, e dalla prestigiosa rivista – sempre svedese – «Populär Poesi»; sul sito ufficiale del Premio Nobel, per giunta, il nome di Francesco Benozzo campeggia a centro pagina come quello più votato da una giuria di lettori internazionali come meritevole del premio. Chissà che non sia di buon auspicio il fatto che il primo filologo romanzo dell’Università di Bologna (quando ancora la Filologia romanza si chiamava Storia comparata delle letterature neolatine) fu proprio un poeta e vinse appunto – primo tra gli italiani – il Premio Nobel per la Letteratura: quel Giosue Carducci che Benozzo d’altronde conosce bene, avendo scritto su di lui una fortunata monografia per la Salerno editrice di Roma, poi diffusa anche come allegato del «Corriere della Sera».

    La filologia, come recita il sottotitolo di un noto libro di Luciano Canfora, è «la più eversiva delle discipline», dal momento che si è presa la responsabilità, in nome della libertà di pensiero e di critica, di studiare e analizzare i testi sacri come dei semplici testi, combattendo e sconfiggendo l’oscurantismo del potere religioso che li custodiva. E Benozzo, che nella prima intervista del libro accusa la filologia di essersi a sua volta sostituita, trasformandosi in custode oscurantista, al nemico che aveva fronteggiato, sta certamente tentando da alcuni anni una rifondazione della disciplina, centrandola di nuovo sulla sua vocazione onnivora e irriverente, attraverso quella che egli definisce l’Etnofilologia: una prospettiva che – per usare un eufemismo – non è sempre vista di buon occhio dal mainstream dei filologi italiani e che gli è, per conseguenza, costata non poco in termini di carriera universitaria.

    Sta di fatto che attraverso queste interviste è proprio lo sguardo libero e irriverente del filologo che emerge, in nome di una «scienza» che non può appunto diventare a sua volta una religione. In un periodo come quello attuale, in cui ci rendiamo conto delle conseguenze concrete e spesso invasive che il pensiero scientifico può avere sulle nostre vite, diventa secondo Benozzo necessario rivendicare con forza i principi su cui proprio la scienza moderna, da Galileo in poi, è fondata: la confutabilità, il dialogo, l’arte del dubbio su ogni verità.

    Non è allora un caso che egli si richiami a Richard Feynman, il fisico americano Premio Nobel nel 1965, del quale è nota la frase secondo cui «la vera ricerca scientifica si basa sull’irriverenza», o al grande linguista Mario Alinei, con il quale ha scritto diverse pubblicazioni, che usava ripetere (e ha scritto in un paio di occasioni) che «non esiste ricerca senza ribellione». Si tratta per Benozzo di scegliere se essere un «agente dell’Impero» o un «difensore del dissenso», perché, come afferma nel libro rispondendo a una domanda sull’argomento, «Quando gli esponenti del pensiero scientifico accettano di considerare imprescindibili alcune acquisizioni e alcune procedure, quando cioè si riconoscono l’un l’altro, rispetto a ciò che hanno elevato a dogma, proprio in quanto credenti e praticanti, e in più in quanto credenti e praticanti con in mano gli strumenti (editoriali, concorsuali, mediatici) per decidere ciò che è giusto e ciò che non è giusto fare se si vuole essere degli scienziati, si ha a mio avviso, tecnicamente, la creazione di un Impero. Dalla retorica della verità si passa cioè, senza mezzi termini, a dei regimi di verità (è un po’ quello che intende Foucault quando afferma che le scienze umane, attraverso la loro pretesa di conoscenza, hanno trasformato quelle che erano relazioni instabili in «sistemi generali di dominazione»). Rispetto a questo, la scelta che si impone a ogni scienziato è la stessa di fronte alla quale è posto un individuo quando deve scegliere se sentirsi suddito di un’ideologia autoritaria dominante o se farsi portavoce di un consapevole dissenso».

    In queste «chiacchierate» affiorano i diversi interessi dell’intensa, imprendibile, imprevedibile ma rigorosa attività di Benozzo, che è contemporaneamente l’autore di dizionari etimologici o di trattati di linguistica indeuropea e il protagonista di un tour internazionale in cui ha portato per il mondo i suoi arrangiamenti all’arpa delle musiche di David Bowie, lo studioso di letterature medievali o del linguaggio dell’Australopiteco e il poeta a cui è stata concessa una «Honorary Fellowship» dalla Poetry Foundation di Chicago, il vincitore per due volte del Premio Nazionale Giovanna Daffini per la musica tradizionale e il traduttore dei bardi gallesi del VI secolo.

    In un’epoca in cui sono in tanti a lamentare la ristrettezza di vedute e il «fiato corto» dei nostri studiosi, intellettuali, poeti, dobbiamo salutare con gioia l’energia e la temerarietà di chi ha ritrovato finalmente il coraggio di parlare di quelle cose delle quali, per definizione, sembra impossibile o inutile (e soprattutto maleducato) parlare. Si può davvero dire che la scienza, la poesia e la musica si intrecciano dentro questo poeta-filologo-musicista in una articolata e mai scontata visione delle cose, e che questo libro sia una specie di manifesto antidogmatico che non sarebbe forse dispiaciuto a Paul Karl Feyerabend e alla sua epistemologia anarchica.

    Franco Cardini

    Poesia, scienza e dissidenza

    Per una filologia terracquea e libertaria

    [Intervista rilasciata a Robert A. Buttinger per «Cultural Kabouters» (2015)]

    Partiamo dalla tua professione, che è quella del filologo. Nei tuoi lavori più recenti hai parlato della necessità di concepire la filologia come un’ «indisciplina» 1 . Forse è questo un buon punto di partenza per cercare di capire quale risonanza hai in mente quando tendi ad accostare il metodo filologico e il pensiero libertario?

    La filologia non può che essere un’indisciplina. Un lettore che disciplina se stesso è come un turista che sa già

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