Civilizzare il Capitalismo: Globalizzazione politica religione
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Anteprima del libro
Civilizzare il Capitalismo - Francesco Fiumara
FRANCESCO FIUMARA
Civilizzare il capitalismo
Globalizzazione, politica, religione
Proprietà letteraria riservata
© by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy
Edizione eBook 2016
Isbn: 978-88-6822-485-1
Via Camposano, 41 (ex via De Rada) - 87100 Cosenza
Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672
Sito internet:www.pellegrinieditore.com - www.pellegrinilibri.it
E-mail: info@pellegrinieditore.it
I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
A Beatrice,
la mia splendida nipotina
PREFAZIONE
Questo libro di Francesco Fiumara, incentrato sulla necessità quasi epocale di un rilancio della politica nel tempo della globalizzazione tecno-informatica e del governo mondiale dell’economia mercatista, discute in modo intelligente e stimolante una serie di problemi cruciali che attengono alla vita, individuale e collettiva, dell’uomo contemporaneo. In particolare, il libro esamina gli effetti, per molti versi devastanti, che la rapida diffusione su scala planetaria dell’economia neoliberista, ha prodotto sul piano geopolitico europeo e mondiale.
La scrittura è rapida, decisa, ricca di riferimenti storico-teorici, chiara nelle valutazioni critiche e nelle convinzioni politiche di fondo che ne animano le argomentazioni. Da questo punto di vista, si può dire che lo sfondo etico-politico del libro rappresenti il retroterra sulla cui base l’autore esprime, con molta franchezza e senza mezzi termini, i suoi giudizi e le sue proposte.
La tesi fondamentale del libro è così riassumibile. A partire dai primi anni ’70 del secolo scorso, si registra, in maniera più intensa nel mondo industriale, ma, in misura diversa, in ogni angolo del pianeta, un imponente processo di trasformazione tecnologica senza precedenti che investe immediatamente il mondo della produzione e quello della circolazione dei beni. La produzione, da materiale diventa a prevalenza immateriale (più che merci, si cominciano a produrre, in misura straripante, conoscenze, informazioni, software, raffinati sistemi d’intelligenza artificiale). Contemporaneamente, la circolazione di tali beni immateriali reclamò ben presto (e ottenne rapidamente) l’abolizione di vincoli, barriere, regole, nella riorganizzazione dei processi produttivi e nelle transazioni commerciali internazionali. In tale quadro, radicalmente innovativo, la crescente delega del momento produttivo industriale ai potenti apparati tecno-informatici ebbe come effetto la drastica riduzione dell’occupazione; mentre la parola d’ordine del libero commercio produsse l’unificazione mondiale dei mercati. È in questa nuova arena immersa nel web e nel digitale-informatico che fa il suo ingresso trionfale sulla scena mondiale l’economia neoliberista, la quale, ridotta al lumicino la presenza della classe operaia all’interno del ciclo produttivo, ed avendo monopolizzato i mercati (il tutto, si capisce, all’insegna del motto: faremo arricchire anche i poveri!), decide di impiegare le enormi masse di capitale nel frattempo accumulato spostando drasticamente il proprio baricentro dall’economia reale a quella virtuale-finanziaria. Così, alla ‘produzione di merci a mezzo di merci’, per riprendere il titolo di un libro del grande economista Piero Sraffa, amico di Gramsci, si è passati, allegramente (per alcuni) e drammaticamente (per molti altri), alla ‘produzione di denaro a mezzo di denaro’. È il miracolo del «denaro che figlia se stesso», come aveva scritto, con grande anticipo sui tempi, il vecchio Karl Marx nel Capitale.
Nasce così l’Europa (e l’America) delle banche, in cui la vita (e spesso anche la morte) delle persone è regolata dal tasso dei cambi monetari e dall’andamento delle borse di Londra o di Parigi, di New York o di Milano, di Shangai o di Pechino. Il vecchio Welfare generato dall’economia keynesiana, e tutto il corredo tecnico-statale ad esso collegato, fu letteralmente scardinato. Il bello (o il brutto) di tutta la faccenda fu che a ‘saltare’, assieme alla struttura statuale tradizionale, furono anche le forme dentro cui erano state pensate e governate le relazioni sociali economiche e politiche di buona parte della contemporaneità (fino all’avvento della globalizzazione, appunto). I partiti politici e le formazioni sindacali conoscono, infatti, in questi anni, una crisi non congiunturale. Una crisi che in alcuni casi li consuma dall’interno. E se non bastano i germi interni, ci penseranno quelli ‘esterni’ a dare loro il colpo di grazia (corruzione, clientelismo, finanza allegra, ecc.). La disfatta del vecchio mondo e del vecchio modo di pensare i vincoli comunitari ed i progetti politico-sociali è pressoché totale. L’avanzata neoliberista sembra inarrestabile. A un’unificazione planetaria dei mercati e dell’economia (che assorbe senza residui la sfera della politica), corrisponde, paradossalmente, l’esaltazione di un individualismo senza freni. Come dirà Margareth Thatcher, non esistono le società, esistono solo gli individui.
La linea su cui si attestarono i partiti storici delle democrazie europee, ed in particolare i partiti della sinistra europea, di fronte ad un attacco così massiccio fu, necessariamente, difensiva. In quella congiuntura storica, infatti, la Socialdemocrazia europea, dice Fiumara, espresse un’adesione convinta al nuovo verbo liberal-liberista, convinta di stare al passo con i tempi, così come, del resto, le suggeriva la sua costitutiva natura progressista, dinamica, aperta alle novità ed ai cambiamenti. L’eccesso di ottimismo non fu però compensato da un adeguato esame dei rischi che si profilavano all’orizzonte. In tal modo la sinistra immolò, sull’altare dell’innovazione tecno-produttiva e dell’economia global-finanziaria, la sua tradizionale funzione di guida etico-politica e la sua capacità di governo dei problemi concreti, storico-sociali, esistenziali, oltre che ‘economici’, delle persone. Si è assistito, parimenti, al declino dei vecchi valori del socialismo riformista solidarista e democratico e all’emergere impetuoso dei nuovi valori individualistici e tendenzialmente autoritari del neoliberismo. Se la diagnosi (impietosa) stilata da Fiumara è questa, quale la prognosi? A parere dell’autore, alla base dalla crisi che attanaglia l’uomo contemporaneo c’è un’incalcolabile ed abissale povertà politica. Conseguentemente, da essa si può uscire solo attraverso un rilancio in grande stile della politica nel senso nobile del termine. Senso che è da cercare, per l’autore, in un ritorno alla tradizione del socialismo democratico; ma non per andare indietro, come il gambero, bensì per andare avanti, utilizzando, di quella tradizione, il lascito teorico-politico come alternativa storica alla dottrina (e alla pratica) neoliberista. Solo una prassi concretamente riformatrice ed interclassista, rispettosa dei diritti di ciascuno e di tutti, che si prenda cura di chi è avvantaggiato ma anche di chi è svantaggiato, può dar vita ad un nuovo umanesimo che restituisca all’uomo la sua dignità individuale e collettiva salvaguardandone e potenziandone esigenze e valori. La prospettiva che delinea Fiumara in chiusura del libro è, in sostanza, quella di un serio riformismo universalistico che tenga insieme globalismo (a cui sarebbe ingenuo ed inutile opporsi ‘a mani nude’), diritti della persona e solidarismo. E qui l’autore vede nell’ecumenismo e nell’aspirazione evangelizzatrice universale della Chiesa cattolica un formidabile alleato di un riformismo politico e sociale che riprenda e rilanci i valori della tradizione socialista.
Questa, nelle sue linee di fondo, l’intelaiatura concettuale-politica del libro. E su questa il mio accordo è totale. D’accordo sulle tendenze disumanizzanti dell’impianto neocapitalistico (che si proponeva di rendere ricchi molti poveri ed ha invece impoverito molti ricchi); d’accordo sull’abdicazione, da parte di molti, alla politica come professione (nel senso weberiano del termine) che ha visto i tradizionali luoghi politico-istituzionali pullulare di pressappochisti, faccendieri senza scrupoli, imprenditori ispirati dal Signore ed azzeccagarbugli di ogni risma, che hanno considerato i luoghi delle decisioni collettive come un campo di calcio in cui scendere e tifare
contro gli avversari (e di discese in campo
è fortemente segnato il panorama politico italiano degli ultimi venti anni). D’accordo infine sulla necessità di un rilancio della politica in senso nobile e di una ripresa dei valori positivi della sinistra storica. Di tutta la sinistra. Nella quale si ritrovano sia i valori riformisti, laico-umanitari, libertari (ma non liberisti!) propri della tradizione socialista, sia quelli democratico-egualitari, centrati sul superamento delle diseguaglianze e delle sofferenze sociali, su cui ha maggiormente insistito la tradizione comunista. Una politica, in sostanza, che sappia dare regole certe al mercato ed alla produzione capitalistica, impedendo loro le scorribande anarcoidi e selvagge che tanti morti e feriti, anche in senso non metaforico, hanno lasciato sul campo negli ultimi anni. La convergenza sullo scheletro logico-politico del libro non potrebbe, dunque, essere più ampia.
A questo punto, potrei chiudere qui queste note introduttive e dare la parola direttamente all’autore, come si dice nei dibattiti pubblici. Ma a me preme invece riprendere il tema del globalismo e riproporne la discussione su un terreno più generale, dove forse si possono vedere con maggiore chiarezza alcune delle ragioni che hanno portato alla situazione di crisi denunciata da Fiumara. Il globalismo economico neoliberista di cui si parla nel libro, infatti, è una delle versioni (certo, fra le più importanti) in cui si manifesta il processo, ben più imponente e pervasivo, delle grandi trasformazioni tecnologico-informatiche che, specie nel corso degli ultimi due decenni, e con una rapidità davvero sorprendente, sta letteralmente fasciando il pianeta con una Grande Rete Globale, di cui il World Wide Web (il www. dell’accesso al mondo di internet) è il fenomeno più universalmente diffuso (ed unificante).
Ora, gli effetti della rivoluzione digitale-informatica non sono, di per sé, positivi o negativi. Dipende. Questa rivoluzione contiene, infatti, opportunità emancipativi ma anche pericoli regressivi. Il problema, come al solito, sta nella capacità di governo e di dominio critico-conoscitivo della Grande Macchina, evitando di essere governati e dominati da essa. Purtroppo, i fenomeni cui stiamo assistendo non sono certo incoraggianti. E sono all’origine, per esempio, anche della quasi scomparsa della politica denunciata da Fiumara. È sopra tutto presso le nuove generazioni che la diffusione dei nuovi strumenti di comunicazione e di interazione sociale (anche economico-finanziaria) sta avendo come effetto macroscopico un considerevole appiattimento ed una massiccia canalizzazione della sensibilità delle persone, ossia della loro capacità di intercettare criticamente la molteplicità, la variabilità, la contingenza del mondo che ci circonda; in una parola: l’attitudine a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda delle cose che accadono nella loro imprevedibilità e, conseguentemente, di elaborare, di volta in volta, risposte adeguate a quella imprevedibilità. Sono le capacità critiche delle persone ad essere, in un certo senso, anestetizzate dalla grande massa di immagini, messaggi, dispositivi, spettacoli che provengono dalla Rete. Come notava alcuni anni fa il filosofo Pietro Montani, oggi un qualunque bambino di un qualunque paese industrializzato è più ‘sensibile’ all’ambiente simulato, virtuale di un videogame che non ad un paesaggio naturale, ossia ad un’esperienza reale, in carne ed ossa, nella sua novità ed imprevedibilità. Questo significa che in quel ragazzo si attenuano sempre più le capacità percettive di distinguere fra un oggetto reale ed un oggetto finto, fra un avvenimento effettivo ed uno simulato; e tenderà a scambiare il mondo virtuale con il mondo reale, come succede nei reality show.
Questo significa, ancora, che i gli aspetti del mondo sensibile si livellano e si confondono proprio mentre si specializzano quelli dell’universo digitale. E da adulto, quello stesso bambino garantirà prestazioni eccellenti nell’ambiente simulato dell’azienda in cui troverà lavoro. La quale azienda gli presenterà come importanti e pertinenti solo quegli aspetti dell’universo materiale ritenuti utili all’ottimizzazione produttiva, mentre gli farà ritenere meno importanti quelli relativi alla sfera dei valori (etici, politici, estetici, religiosi, ecc.). Certo, le nuove tecnologie contengono anche formidabili potenzialità emancipative, come si diceva prima. Una di queste è data dalla capacità di entrare, per così dire, nei meccanismi interni dell’universo tecno-globale per neutralizzare e disattivare gli effetti anestetici di cui si parlava prima e favorire una ‘presa di coscienza critica’ di quegli aspetti che potrebbero utilmente incidere sui nostri processi di percezione e di più adeguata conoscenza critica della realtà in cui viviamo, da quella fisico-materiale a quella socio-economica, a quella etico-politica, ecc. La riappropriazione ed il rilancio della politica di cui parla in questo libro Fiumara va esattamente in questa direzione: quella di un risveglio critico delle coscienze, sopra tutto di quelle più giovani, verso forme di vita responsabili del proprio destino e di quello dei propri simili, più consapevoli e più autentiche, meno indifferenziate e meno omologate, come già aveva avvertito con grande lungimiranza, quasi mezzo secolo fa, Pier Paolo Pasolini.
Il succo di questo discorso, necessariamente sintetico, è che il padre di tutti i globalismi, anche di quello economico, vale a dire la radice di tutti gli effetti distorsivi sulle pratiche, i comportamenti, i modi di pensare che si stanno diffondendo nell’universo postmoderno, sono da individuare negli effetti desensibilizzanti ed anestetici che rischiano di trasformare ciascuno di noi in uno dei tanti terminali anonimi della Grande Rete Digitale. Se le cose stanno così, ecco che allora riappropriarsi della ‘bellezza’ del ‘fare politica’, riassaporare il ‘gusto’ della sana polemica su ciò che è ‘giusto’ o su ciò che è ‘bene’ per la comunità politica di cui si è membri, diventa, se non l’unica, una delle più efficaci ricette che Francesco Fiumara ci suggerisce di consegnare alla farmacia della nostra anima, individuale e collettiva se quell’anima vogliamo davvero salvarla.
Un’ultima considerazione prima di chiudere.