Democratizzazione Mediale
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Anteprima del libro
Democratizzazione Mediale - Marino D’Amore
D’Amore.
Cap 1 – Scenari comunicativi
1.1 La Comunicazione e l’uomo
La comunicazione nasce con l’uomo, più precisamente nel momento in cui quest’ultimo diventa un animale sociale e spende la sua esistenza all’interno di una comunità, inquadrato in una gerarchia sociale strutturata, con un ruolo ben preciso che si esplica in un’articolata rete di relazioni. Nel momento in cui l’essere umano si aggrega in gruppo con altri suoi simili diventa perciò un animale comunicativo, un homo communicans parafrasando Breton¹. Se riflettiamo un momento appare chiaro che in età preistorica dalle tattiche per catturare le prede sino alla diffusione dell’utilizzo di invenzioni come il fuoco o la ruota tutto è avvenuto attraverso la comunicazione, una rudimentale, molto gestuale, forma di comunicazione face to face oppure attraverso le pitture rupestri, sfruttando quindi la dimensione meramente icastica². Possiamo affermare che la comunicazione tout court diventa uno strumento fondamentale ma anche un’esigenza imprescindibile per l’uomo nel momento stesso in cui egli vede apparire davanti ai suoi occhi un proprio simile e instaura con lui un legame, un rapporto fondato su dinamiche dialogiche che immergono entrambi in un contesto relazionale, per quanto connotato gerarchicamente, necessariamente biunivoco e mai unilaterale. Storicamente la comunicazione ha sempre rappresentato una risorsa indispensabile nelle mani del potere, soprattutto quella ufficiale. Per secoli la Chiesa, i principi, i monarchi, si pensi ai pulpiti religiosi tonanti di prediche, alle encicliche e alle bolle papali, agli editti, hanno imposto la loro volontà, realizzato i loro intendimenti, soggiogato intere popolazioni grazie allo strumento comunicativo, grazie ad un messaggio, unico, incontestabile che proveniva dall’alto e che per questo motivo doveva essere necessariamente vero. Attraverso di esso le classi dirigenti che si sono succedute hanno potuto creare e ampliare consenso popolare e soprattutto far credere ciò che reputavano utile a tale finalità, secondo logiche di opportunità politica, traendo beneficio dall’analfabetismo che accomunava gran parte delle popolazioni mondiali fino a pochi decenni fa, lucrando sulla buona fede di queste ultime e sfruttandone la scarsa alfabetizzazione alle tecniche retorico-comunicative che gonfiavano i petti e animavano le gestualità degli oratori politici: figure a metà strada tra i leader e teatranti consumati. Scenario, questo, che ha rappresentato un terreno fertile per il sorgere dei totalitarismi, ossia sistemi politici strutturati su un unico condottiero illuminato, sul quale accentrare ogni forma di potere secondo dinamiche centripete. Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone, fino ai più recenti Mussolini e Hiltler, Saddam Hussein e Bin Laden, capi di stato, leader religiosi, dittatori che aldilà di ogni valutazione storico-etica hanno saputo trascinare masse e creare forme di consenso, a volte al limite del fanatismo più cieco e acritico, unendo sinergicamente alle vittorie militari un uso sapiente delle tecniche di comunicazione³ con cui ostentare le prime. Un’arma in più che attraverso i suoi sottotesti, gli aspetti connotativi e denotativi, i significati e i significanti, il timbro e il ritmo del linguaggio, i toni retorici ha saputo costituire masse osannanti e trasformare intere generazioni in carne da spada e, più tardi, da cannone. Insomma la comunicazione, insieme al denaro e alla forza militare, ha da sempre rappresentato uno strumento di potere, prerogativa di poche élite o di singoli uomini che se sono serviti per persuadere, fidelizzare, sottomettere masse particolarmente influenzabili in questo senso, a volte con risultati migliori e sicuramente meno sanguinosi di quelli ottenuti con l’imposizione della violenza.
1.2 La Globalizzazione
L’insopprimibile esigenza comunicativa dell'umanità, nonché necessità del potere costituito, divenne ancora più impellente a causa della nascita e della non poco faticosa diffusione dei più importanti media, rivelatisi poi veri e propri apripista di quell'impetuosa e inarrestabile evoluzione tecnologica che pervade e connota fortemente l'esistenza dell' homo communicans: il cinema, la radio e più tardi la televisione. Infatti il loro avvento ha ampliato esponenzialmente lo scenario comunicativo, il suo pubblico potenziale e soprattutto le modalità di veicolare il messaggio sotteso a dinamiche di codifica e decodifica, come detto, a cui è legato a doppio filo. Tale ampliamento è figlio di un macrofenomeno che funge da sfondo alla sua evoluzione e che lo accompagnerà fino ad ai giorni nostri, in un progresso inarrestabile e parallelo che sembra non avere conclusione: la globalizzazione. Con questo termine si indica una crescita progressiva delle relazioni e degli scambi in diversi ambiti, il cui effetto principale è una decisa e vigorosa convergenza economica e culturale tra i Paesi del mondo. Un concetto ampiamente analizzato ma non ancora esplicato nella sua totalità, con notevoli implicazioni sociologiche proprio perché funge da contesto pangeatico, da atmosfera esistenziale per la società postmoderna. Una società, questa, in costante mutamento che subisce l’influenza globalizzante mentre è attrice sociale e comunicativa, ma soprattutto realtà proteiforme e, per questo, difficilmente inquadrabile in un fotogramma descrittivo puntualmente esaustivo. Ma torniamo alla globalizzazione come entità che si declina in tanti rivoli come quello economico, sociale, culturale e appunto comunicativo. Sebbene molti preferiscano considerare semplicisticamente l’evidenza di questo fenomeno solo a partire dalla fine del XX secolo, osservatori attenti alla storia parlano di globalizzazione anche nei secoli passati, momenti storici in cui si identificava essenzialmente nell'internazionalizzazione delle attività produttive e degli scambi commerciali. Con globalizzazione, ci si riferisce oltre che allo sviluppo di mercati globali, anche alla diffusione dell'informazione e dei mezzi di comunicazione come Internet, che, grazie ad essa, oltrepassano le vecchie frontiere nazionali.
Il termine globalizzazione è utilizzato anche in ambito culturale ed indica come il rapporto reciproco tra diverse culture appunto sia un elemento caratterizzante della contemporaneità, sia a livello individuale (migrazioni stabili), sia a livello nazionale (relazioni politiche e commerciali tra gli stati). Spesso ci si riferisce anche all'elevata e crescente mobilità delle persone (turisti, uomini di affari) che si esplica in una permanenza tempisticamente limitata in un determinato luogo.
La globalizzazione favorisce lo sviluppo economico di alcuni stati, grazie al decentramento. Esso consiste nello spostare le industrie in paesi sottosviluppati, dove la manodopera ha un costo inferiore. In questo modo si offre lavoro nei paesi più poveri ma, di fatto, si impedisce loro di imboccare una via di sviluppo autonoma.
Inoltre la globalizzazione permette la diffusione su scala mondiale di elementi fortemente identitari appartenenti ad una determinata cultura. Ad esempio Halloween è una festa di origine celtica prerogativa dei popoli anglosassoni che da qualche anno coinvolge tutti paesi occidentali. Tale dinamica si riscontra anche per quanto riguarda il