Ospite d'un giorno solo
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Anteprima del libro
Ospite d'un giorno solo - Roberto Tanghetti
@micheleponte
Roberto Tanghetti
OSPITE
D’UN GIORNO
SOLO
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.
Dedicato a tutti quelli che
sono passati, passano e
passeranno in questa parte
di infinito e che ho avuto
modo di conoscere,
conosco o spero avrò
abbastanza tempo per
poter conoscere.
A mia madre Maria, che ha
perso il suo grande amore
per colpa di una sorte nemica
nel bello dei suoi anni.
A mia figlia Alessandra, che ha
davanti a sé tutto il tempo per
trovare il suo grande amore.
A mia moglie Loredana, che spero lo
abbia trovato incontrando me.
E poi al mio amico Fausto, che lo sta ancora
cercando disperatamente.
A tutti loro, a voi e anche a me, meravigliosa
ricerca e… buon viaggio.
Prefazione
«... La speranza dell’empio è come pula portata dal vento,
come schiuma leggera sospinta dalla tempesta,
come fumo dal vento è dispersa,
si dilegua come ricordo dell’ospite di un sol giorno... »¹
Il principio del mentalismo dice letteralmente: Il TUTTO è mente; l’UNIVERSO è mentale.
Per analizzare questo principio dobbiamo partire dalla base che, nell’Universo dove viviamo, esiste un solo Dio. A prescindere dalle grandi differenze culturali e religiose che esistono nel mondo, Dio è Uno solo e lo stesso per tutti.
La parola TUTTO sintetizza l’idea di un’Unica Presenza, ovvero che nell’universo ci sia una sola Mente e assolutamente tutto quello che esiste è compreso dentro di essa.
Ognuno di noi è una particella o pensiero immerso in questo grande corpo mentale e in questo modo si spiegano le trasmissioni di pensieri o le premonizioni del futuro.
In sintesi: Tutti siamo connessi attraverso una sola Mente.
Questa connessione si manifesta attraverso principi di polarità, causa-effetto, vibrazioni e coincidenze.
Se accettassimo l’idea che Dio fosse Infinito, Onnipresente ed Eterno, alcune delle domande che sorgerebbero spontanee sarebbero: Come creò Dio l’Universo?
, Da dove estrasse il materiale necessario per fare tutto quello che fece?
e ancora Se Dio estrasse materiale da qualche luogo, allora non sarebbe né Infinito né Onnipresente.
La riposta corretta a tutti questi interrogativi credo sia una sola: Tutto quello che creò, lo creò nella sua propria mente.
Ciò significa che tutto quello che esistette, esiste ed esisterà è racchiuso in una grande Mente Universale.
Arrivata a questo punto mi viene da pensare che se l’Uomo è creato a immagine e somiglianza a Dio, anche l’Uomo può creare utilizzando materiale concreto appartenente al Mondo, ma, qualunque cosa sia il risultato della sua creazione, sempre sarà iniziata nella sua propria Mente.
L’Universo è mentale e questo significa che ogni cosa che viviamo dipende solo dal nostro pensiero. Per alcuni la vita è una grande opportunità per crescere e conoscere; per altri la vita è solo un gran sacrificio e una battaglia continua. La differenza che nasce tra questi due gruppi umani risiede nella sua propria mente e nel modo di percepire il mondo. Il nostro Universo Personale dipende dal nostro pensiero.
In sintesi, tutto quello che uno arriva a creare di se stesso è quello che vedrà riflesso negli altri.
Quindi, se l’Universo è mentale potrebbe rispondere a quello che scegliamo di pensare in ogni momento.
Credo non esista niente nella vita che possa essere in balia della sorte, tutto quello che succede riflette sempre qualche modello di pensiero depositato dentro di noi.
Se l’Universo è mentale e tutto dipende dal nostro pensiero, allora il tuo primo compito sarà quello di imparare a controllare il tuo pensiero per far sì che per gli Altri non sia L’ospite di un giorno solo
.
dott.ssa Alessandra Tanghetti
Ospite d’un giorno solo
Capitolo I
La prima volta che vidi avevo all’incirca diciannove anni.
Stavo percorrendo una strada statale, una di quelle vie di comunicazione che collegano la città ai paesi del circondario.
Disperdevo il mio sguardo mitigando l’ansia del vivere, tra olivi scoloriti dalla corteccia rugosa scavata dal tempo, foglie sbiadite dal vento del deserto e palme sferzate dal sole negli opprimenti tramonti delle sere d’estate.
Paesaggio modificato in straziante continuazione dal soffio preciso e prepotente dell’aria, che arriva dall’altra parte della dolorosa striscia.
Il mio nome è Noah, sono nato in una terra strana, prepotentemente bella, ineluttabilmente coinvolgente.
Unico posto al mondo di suolo promesso al suo popolo da colui che tutto può.
Qui ogni cosa sembra mescoli il suo sapore agli odori che provengono dal deserto, in un incessante turbine di emozioni, contrasti, atti di limitatezza umana, tedio e affannosa corsa per sfuggire all’incertezza che ogni nuovo giorno propone a chi vive sotto il cielo, in questo sito sferzato dal torrido sole, delle lunghe e interminabili giornate, dove tutto e tutti sembrano diradarsi come un miraggio, nascondendo il proprio principio immateriale all’incontro di altre essenze.
Sudore e rabbia, malinconia e noia, paura e velocità di movimento quando ci si muove per le strade, lungo i vicoli della città, mi hanno reso più attento.
Con il tempo, sono diventato concentrato a tutte le cose, a ogni movenza che scorre veloce attorno a me, gesti sfuggenti come l’affusolata sabbia del deserto, quando cerchi inutilmente, serrando le dita, di stringerla con impeto per renderla prigioniera nel palmo di una mano.
Ho camminato spesso per le strade della mia città.
Gerusalemme è un posto bellissimo.
La descrizione di chi la conosce nella sua naturale voluttà, lascerebbe a bocca aperta gli amanti di letture dei più appassionanti libri di viaggi.
Questa città non è solo bellezza, è armonia dinamica; ciò fa sì che, seppure attenti a tutto quello che succede attorno, qui si riesce a essere sereni e a provare quella atipica felicità, assaporata con pienezza solo dalle persone abituate a un ritmo incalzante.
Quella volta, ero stato a passeggiare su e giù per i viottoli della città vecchia, resi un mercato a cielo aperto da venditori di ogni tipo di mescolanze di inutili e pleonastiche cianfrusaglie.
Avevo camminato quasi tutta la sera, poi avevo preso l’automobile parcheggiata vicino alla spianata delle moschee e mi ero messo sulla via di casa.
Avevo percorso più volte quel tratto di strada, in entrambi i sensi di marcia.
Spesso con la mente occupata da pensieri di natura quotidiana, a volte con l’attenzione di un abile guidatore, ma quella volta no!
Le voci degli amici mi rimbombavano ancora nella mente.
Di tanto in tanto, per poter concedere un po’ di tregua al mio costante e inarrestabile ascolto ai loro assordanti e continui richiami di attenzione, mi fingevo così intento nell’osservare le numerose botteghe che coronavano le disagevoli viuzze del centro.
Guardavo con caldo interesse ora questo, ora quell’oggetto, le cose esposte in bella mostra per attirare l’attenzione dei passanti.
Come il petalo dallo stame profumato attira l’insetto per l’assiduo rinnovo della danza della prolificità, nel rincorrersi furtivo della morte e della vita, così io ero irresistibilmente attratto dai colori, dai suoni e dai profumi che uscivano dai negozi.
Mi ricordo che, quella volta, era come se aspettassi qualcosa: un incontro, un cambio improvviso di rotta nel consueto vivere.
Quel giorno, i miei sensi profondi ebbero la possibilità di imbattersi in qualche cosa che sta al di fuori della nostra comune conoscenza.
Tutto avvenne però, con succedersi di eventi preordinati, con innaturale dolcezza, in un quadro incorniciato da assidua armonia.
C’era una ragazza all’interno di quegli ingannevoli pistilli, appoggiata a una parete con la spalla destra, lo sguardo malizioso rivolto verso i passanti, che scorrevano come le creste del fiume Giordano in piena davanti alla vetrina di divani d’epoca, in evidente bella mostra.
Molta gente passava di lì, buttava lo sguardo a volte attento, spesso annoiato, il più delle volte stanco o solamente per inevitabile pura consuetudine, cercando di appagare l’umana innata curiosità.
Persone alte, basse, appesantite, slanciate, scorrevano in un alternarsi di rivoli, colori e suoni, davanti a quella vetrina.
Lei, con uno sguardo predestinato da preda attonita, attendeva con incontenibile pazienza qualcuno che la mettesse in gioco.
Penetrai subito il suo intento, la sua passione, la sua morbosità, la sua voglia di creare un interesse che andava ben oltre quegli sbiaditi divani, quelle improponibili poltrone dall’aria affaticata, senza attrattiva.
Di colpo decisi di tirare il mio dado, il numero che uscì stava lì, davanti a me: diciassette, diciassette anni.
Questa fu la sua risposta alla prima domanda che le rivolsi, una volta entrato con malizioso garbo nel suo angusto, ma impreziosito spazio di vita quotidiana.
Normalmente, il cliente chiede il prezzo prima dell’acquisto, poi se è molto oculato comincia a osservare attentamente i dettagli della merce esposta per la vendita.
Io quella sera mi sentivo molto preso dal beffardo gioco che si andava delineando, e cominciai a scrutare l’articolo d’acquisto molto da vicino.
Prima sul davanti e poi sul dorso, avevo già ben visto il suo viso quando avevo varcato la soglia d’ingresso del negozio: decisamente piacevole.
Occhi grandi e sognanti dal taglio quasi orientale, scuri e profondi come la luce dell’acuta intelligenza, le ciglia tenebrose e lunghe, come quelle delle vecchie dive di sciupati film in bianco e nero.
Dettagli visti e memorizzati in un attimo, mentre compivo il tragitto che separava l’entrata dal paese dei balocchi; carrozza dell’intrinseco piacere, che già il mio animo cominciava a pregustare.
Quanto?
chiesi Molto
rispose.
Il vecchio sofà mi guardava con un’aria intristita, tutto avrebbe pensato di sé, qualsiasi cosa avessero potuto proferire riguardo esso non lo avrebbe raggiunto minimamente, ma che il suo prezzo fosse quanto
e la risposta fosse molto
, con quel tono di vivace, maliziosa e intensa sensualità, lo aveva scosso nel profondo.
Molto era infatti la risposta perfetta.
Molto ha un grande merito: è meno di tanto, più semplice e più bonario di parecchio, ma più simpatico di assai.
Molto è alla portata di chiunque sa intendere e decifrare il giusto messaggio, apprezzandone il discreto, ingannevole e sottile valore.
Le gambe affusolate, ben in evidenza grazie a una microscopica sottana, che oltre a esaltarne le forme la rendeva così a portata di mano, così poco rispettabile, così vulnerabile al tatto impaziente.
I passanti curiosi, con la scusa di guardare poltrone, ammirare comò antichi fragranti di vernice fresca di restauro, osservavano invece quella misteriosa figura.
Lei si muoveva così nuova, libera tra cose così vecchie e schiave del tempo, prigioniere di chi le aveva possedute e anche di se stesse.
Accarezzavo quella parte di corpo guardando il divano esposto dal colore smunto e dalla pelle raggrinzita che, per definizione, per poter essere commercializzato e venduto ad acquirenti sciocchi, bramosi di spendere il proprio denaro per cose senza pregio, assume il termine ordinario di pelle invecchiata.
Chiesi, continuando ininterrottamente a sfiorarle il corpo mentre fissavo i suoi occhi: È in vendita?
Acquistabile
rispose, con un sorriso gentile che tendeva a confondersi con il colore ocra sbiadito di quel divano consumato dal tempo, dall’aria affranta come quando sul campetto Hebron Elias subiva un gol, cancellando in un attimo la sua fama di portiere imbattibile.
I ricordi riaffiorano alla mente come la sabbia emerge dai flutti del mare in tempesta.
Fu così