Fusbook - emozioni quotidiane
Di AA. VV.
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Facciunsalto.it
Introduzione
Tu chiamale se vuoi … emozioni …
(Lucio Battisti, Emozioni, 1970)
Nella scia dello spirito più autentico della nostra creatura Facciunsalto.it, nasce l’idea di riunire alcuni, per ora soltanto alcuni, dei pezzi che speriamo vi abbiano emozionato così come hanno rappresentato una vera spinta emozionale per le nostre penne. Metterli insieme e donarveli. Semplicemente un salto qui e uno lì, in un racconto di un viaggio, in una giornata a teatro, in una trasferta per studio, in un incontro inatteso, in un bar stranamente frequentato, o in una casa fra amici e con una signora a spasso. Senza pretese particolari vogliamo tenervi compagnia ancora per un po’, strapparvi un sorriso, darvi uno spunto di dialogo, invitarvi a un momento di relax e di lettura con i piedi allungati sul tavolino avanti al divano. E se non dovesse esserci un divano a casa vostra, non disperate. Le nostre piccole storie possono essere lette anche stando stesi per terra. Non siamo professionisti, non puntiamo in alto, a noi basta un salto per sentirci già in alto, abbastanza in alto da poter ammirare il panorama della vita, abbastanza su da annusare ogni odore che sale. Ci piace assaporare e sgranocchiare il cibo dell’esistenza perché ogni boccone possa durare di più, chiudere un occhio mentre osserviamo il mondo perché non amiamo la puntuale precisione ma la sbadata fantasia di uno sguardo infilato nel tubo di un caleidoscopio, e se ci sentite cantare ad alta voce per la strada, niente paura, non siamo diventati tutti matti: abbiamo sempre un motivetto nella testa a far da sottofondo ai rumori della vita quotidiana. E se dal virtuale vi dovesse venire la curiosità di vedere le nostre facce, prendete un biglietto che vi garantisca un bel giro largo, siamo in ogni dove dal sud Italia al nord, dalla Spagna all’Australia. Comunque saremo più che felici di venirvi a stringere la mano.
Al di là di ogni ragionevole dubbio da parte di chi vorrà leggerci o conoscerci, ci troverete tutti insieme, riparati dalle intemperie della vita, sotto la nostra coperta di Linus, quella delle emozioni.
Francesca G. Marone
Il salto
di Martina Panzolato
Il salto è una metafora abusata. A buon diritto, ma passata, condita in tutte le salse e rimacinata, troppo spesso. Il salto è un movimento verso l'alto, la spinta che ti fa raggiungere una mèta che il tuo corpo aveva soltanto in potenza, non concessa dallo stato tranquillo della quotidianità.
Uno salta perché vuole sbloccarsi, sgranchirsi le gambe e mettersi alla prova.
Si salta per caricarsi e si salta per scaldarsi.
Si salta per il brivido della mancanza di terreno sotto i piedi, si salta anche perché i propri piedi battano più forte sul pavimento, scendendo.
In quel rapido momento veloce ti cambia la prospettiva, si modifica la percezione del tuo corpo, le misure e le grandezze si distorcono, il tuo peso trasla e poi si ricompone, fermo.
Facci un salto
racchiude questo.
L’imperativo ad aiutare l’altro a fare questo passaggio, questo movimento. Ma anche l’invito a un incontro e il richiamo a qualcosa di nuovo, a entrare in scarpe straniere, a mischiare le esperienze; tentare, senza impegno, senza obbligo, soltanto concedendo l’azzardo dello scambio. La prova.
Forse è necessario essere in ricerca, o lasciarsi rispondere istintivamente a quell’opportunità, a quel brillio di rischio e di ignoto. Uno può voler leggerci una semplice formula slang, qualcun altro poteva non aspettare che quella chance per darsi l'input a cambiare. Concederselo.
Ti scopri pronto per quel balzo, volenteroso, elastico, forte.
Io quel salto l’ho fatto. Ho voluto provare l’ebbrezza di cambiare lo stato delle cose che mi riguardano, di chiedere un parere, di mettermi sotto gli occhi di sconosciuti e provare a fare canestro nelle loro corde emozionali. Il salto che qui viene richiesto, è il boicottaggio delle banalità e della lettura delle righe soltanto per quello che sta scritto, si domanda di andare oltre a un susseguirsi di lettere, di lasciarsi andare alla corsa dei pensieri, di immagini mentali, di palpitazioni, di sorrisi a mezza via.
Non è detto che, saltando, non si vada a sbattere la testa al soffitto di cui non ci eravamo preoccupati in precedenza, non si sa a che limite si può essere spinti da un’energia imprevista, da un incontro inaspettato. Ma l’aria, quando è in movimento, è di sicuro nuova, di certo più fresca, senza dubbio più leggera. E anche solo questo può bastare a meritare di caricare le gambe, far salire l’adrenalina lungo i nervi, passare dalle cosce ai polpacci, sentire i muscoli connettersi, piantare i piedi, alzarsi sulla punta delle dita e partire in slancio.
Bombillas de luz:
Kaleidoscopio
di Chiara Coppola
El kaleidoscopio. Ho comprato un caleidoscopio, e mi piace da impazzire. Ne avevo uno da bambina, andato perso come succede ai giocattoli d’infanzia, fra spostamenti, largo nastro adesivo e pacchi marroni. L’ho scovato in un negozio stranamente silenzioso in una calle affollata, era posto al fianco di un’accattivante fiaschetta metallica. L’indecisione ─ lo ammetto, c’è stata ─ è durata giusto tre secondi: ho scelto il caleidoscopio.
E dopo averlo rigirato un po’ fra le mani, ho pensato che ognuno dovrebbe averne uno, come gli spazzolini. Minimo sforzo, massima fantasia. Decisamente un oggetto prezioso, rivalutiamolo.
È così inaspettatamente bello perdersi nei triangoli che si sdoppiano, si sciolgono, cambiano colore, si dilatano, il tutto con un’armonia commovente. Nessuna trasformazione sembra drastica o stridente. I fiori si schiudono senza remore, i rombi allungano le estremità delle punte e si tramutano in corone; e poi in diamanti, foglie, hula hoop.
Puoi vederci quel che vuoi. Tre tonnellate di colori fantastici in un leggero tubo di cartone.
Una genialata.
E così, curiosa e affascinata allo stesso tempo, ho iniziato a giocherellare col mio caleidoscopio: occhio nel tubo, mano sinistra all’estremità, lentamente rotante, come un curioso Cristoforo Colombo del 2013. Il tintinnio dei pezzetti di vetro che si scontrano fra di loro è la ciliegina sulla torta.
Ho sperimentato un’insospettata novità: nella dimensione parallela del tubo, la messa a fuoco delle forme che ballavano davanti agli occhi mi faceva percepire una sensibilità non usuale della coscienza. È come mettere a fuoco un punto indefinito e perfetto della lente che continua a miscelare i suoi disegni pseudo floreali.
L’irripetibilità certa di ogni combinazione.
Come se si cambiasse punto di vista in ogni istante.
Quello che un minuto prima percepisci come un timoroso ragno multicolore dalle mille zampe che ti avvolgono la retina, un attimo dopo diviene una stella luminosa, che poi scoppia in tanti aquiloni rosso rubino.
Un tubo fra le mani, e la mente viaggia lontana. Già, viaggia.
E qual è la parte migliore dei viaggi, se non sentire cose mai viste, scoprire colori nuovi, riconsiderare le proprie convinzioni e idee?
Davvero, tutti noi, protagonisti indiscussi dell’era delle telecomunicazioni, possiamo reperire con tre click pressappoco tutto il sapere virtualmente disponibile al mondo, e digitare per due minuti sulle nostre tastiere iniziando una conversazione con chiunque. Eppure questi strumenti non ci garantiscono necessariamente una buona qualità di viaggio mentale (inteso in senso caleidoscopicamente lato).
Possiamo con buone probabilità continuare a essere anacronisticamente ancorati alle nostre Convenzionali Convinzioni Congenite ─ che amore le allitterazioni ─ con l’unica aggiunta di una notizia esotica ogni tanto. Perché dopotutto si tratta pur sempre di strumenti, e quelli bisogna saperli usare.
Poi penso invece all’inenarrabile miscela del cielo rosa in un tardo pomeriggio d’ottobre, con l’aria morbida, voci amiche e la folgorante sensazione della vita pulsante dai piedi ai capelli. Penso alla lavagna che si riempie di pezzi di vita tascabili, il biglietto della serata jazz, la cartina colorata che ti avvisa di andare al tabacchino, la foto tagliata dal giornale. Penso agli angoli polverosi delle scatole piene di portachiavi di metallo che si aggomitolano fra di loro, su una bancarella, a ridosso di un muro, in una strada minuscola, in un improvvisato mercatino, nel cuore della Ciutat vella; penso agli occhi che ti raccontano senza parole, ai graffiti sui muri e ai tipi in divisa che al mattino li ricoprono con pesanti pennellate di grigio apatia; penso al profumo delle panetterie riboccanti di friabilità, a chi in preda all’amore ha decorato l’aria con un grande cuore luminoso in bilico fra un balcone e un altro; e penso che tutto ciò non può scorrerti addosso indisturbato, è inevitabile inzupparsene.
E punto il mio tubo colorato verso la finestra, continuando a ruotarlo, la luce del sole trafigge i colori brillanti e mi inonda gli occhi, mi amplia i sensi, mi fa sorridere; mi arriva al cuore.
Bombilla de luz in spagnolo significa lampadina
. Me l’ha detto una cassiera simpatica al supermercato per mettere fine al mio mimare i raggi di luce con le dita. Bombillas de luz