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A occhi chiusi
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E-book144 pagine2 ore

A occhi chiusi

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Info su questo ebook

Sono autentiche storie di donne di questo e del secolo scorso, sofferenti a causa di uomini forti della loro debolezza. Sono storie di uomini vittime di donne che abusano di un potere geneticamente acquisito o casualmente concesso. Nessuno di questi personaggi sarà un capitolo della narrativa italiana ma ogni lettore ci ritroverà una pagina di vissuto.
LinguaItaliano
Data di uscita1 dic 2017
ISBN9788892694552
A occhi chiusi

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    Anteprima del libro

    A occhi chiusi - Gaetana Luchetti

    donna

    ELENA

    Simbologia sfumata di calcinacci e polvere sospesa come se gli aliti mobili e mollicci avessero impregnato le molecole volanti.

    Quella sera Elena era tornata dal lavoro e aveva chiuso il portone con il tacco della scarpa destra. Due buste maxi le strappavano l'avambraccio sinistro, l'ombrello gocciolava al polso opposto e in una mano il mazzo delle chiavi; buttate sulla seggiola, scivolarono e rotolarono sul pavimento d'ingresso.

    - Fanculo! Anche voi. Tardi, è tardi, le sette e mezza! Ci mancava la pioggia, porco cane!

    Elena ora faceva la stiratrice a tre isolati dalla sua casa, in via della Viola. Tre isolati in una grande città può essere mezz'ora di viuzze e di traverse, di sottopassi e di gradinate fatte di corsa. Elena non aveva l'automobile, anzi ne avevano una ma la usava Gigi che lavorava in una officina meccanica in periferia.

    Gigi era stanco, era sempre stanco da quando, a quindici anni, suo padre lo aveva mandato a imparare il mestiere da Beppe Trosi, il meccanico del paese. Gigi era grasso e non ne era contento:

    - Sono un maiale, sono da schifo. Per forza, con i tuoi piatti pronti, con quelle cene fatte senza voglia e senza gusto! Elena era miope, molto miope. Le sue lenti costavano un botto, quattrocento/cinquecento euro ogni diciotto mesi ormai da vari anni. Questo da quando aveva avuto una brutta depressione durata troppo a lungo e che le era costata il licenziamento. Quel periodo aveva segnato la vita di Elena in maniera irreversibile, aveva reso evidenti gli attriti profondi e i vizi di forma che c'erano tra lei e Gigi ormai da diversi anni. Eppure si erano sposati in chiesa con l'abito di seta e una rosa all'occhiello, di maggio quando si dice che anche le serpi si accoppiano e fanno figli.

    Elena e Gigi. Lei ragioniera, figlia di operai soddisfatti. Lui figlio di Sandro, camionista scontento e arrogante. Parve a tutti una gran fortuna il posto in ufficio in una piccola azienda di spedizioni, un contratto a lungo termine e un prozìo come caporeparto. Non poteva durare quella transumanza quotidiana, ottanta chilometri al giorno per una giovane donna appena sposata. Il marito al paese e la moglie nella grande città.

    - Non esiste - disse Sandro a Gigi - una donna da sola in quell'ambiente, delinquenti, droga, cercarogne… E poi, una donna! Da cosa nasce cosa… Trasferitevi. Si trova un appartamentino…

    Gigi si fece convincere dal padre senza difficoltà; lasciò stare, come aveva fatto mille altre volte. Suo padre, in fondo, aveva girato il mondo e conosceva tanta gente e questo per lui era garanzia di credibilità.

    - Che ne so io che ho sempre e solo smontato e rimontato motorini nella bottega di Beppe? Per andare a Roma devo guardare la cartina! Mio padre sì che è un grande!

    Quella sera Elena era particolarmente stanca ed era tardi, molto tardi. Gigi sarebbe rientrato di lì a poco e di certo avrebbe gradito un bel piatto di pasta visto che il pranzo era per ambedue un pasto frugale, fuori casa e fuori da ogni grazia di Dio.

    - Ma se arriva e trova che l'acqua deve ancora bollire! Meglio le uova, un po' di salame e una bella insalata. Sì un'insalata, sarà contento di fare un po' di dieta!

    Tra un pensiero e l'altro per la cena si aprivano degli interstizi nella memoria di Elena, come se fosse un susseguirsi di linee spezzate; ad ogni angolo un'immagine, fotogrammi scorrevano tra il vetro di un bicchiere e quello delle lenti, rimbalzavano sulle pareti stinte del soggiorno e ritrovavano magicamente i loro perimetri.

    Una sera Gigi era rientrato in anticipo, Elena non era ancora tornata. Gigi accese la tivù e si dispose a sedere in posizione del tutto occasionale come se da un attimo all'altro si fosse dovuto alzare. Passò forse una mezz'ora ma il tempo delle attese e dei ritardi si dilaziona a dismisura sia per chi si affretta sia per chi aspetta. Forse mezz'ora non di più. Quando Gigi sentì girare la chiave nella toppa balzò in piedi. La sua capigliatura crespa e abbondante si scosse come se uno spiffero violento l'avesse investita, la faccia tonda era lucida, la pelle tirata e gli occhi socchiusi costretti dalla fronte corrugata. Simulò un gesto d'indifferenza quando Elena trafelata appoggiò la borsa sulla sedia dell'ingresso.

    - Sei già tornato? Stai male?

    - Ti piacerebbe, invece sto bene. Ti ho rovinato i programmi, signora?

    - No, anzi, sono contenta…

    - Quindi tu torneresti tutte le sere a quest'ora?

    - Più o meno. Dipende se devo fare la spesa, perché?

    - La spesa… la spesa! La fai in pausa pranzo invece di fare salotto con quelle quattro puttane delle tue colleghe, capito?

    - Non sono puttane le mie colleghe, non le conosci neppure! Non le hai mai volute conoscere!

    - Conoscere chi? Quelle stupidelle con la puzza sotto il naso! Ma fammi il piacere! Piuttosto sbrigati a fare la cena!

    - Che vuoi mangiare, padrone?

    Elena si diresse verso il frigorifero. La sua voce raschiava la gola e gonfiava gli occhi ma non fece in tempo a piangere perché un artiglio afferrò il suo braccio sinistro, un altro le afferrò la nuca e sulle sue gambe si scatenò un inferno di calci violenti.

    - Padrone? Padrone? Una volta o l'altra ti ammazzo se non rispondi come si deve, brutta stronza!

    Elena non urlò, non disse una parola, riuscì a sottrarsi a quella furia con un colpo di gomito nello stomaco di Gigi che, con gli occhi rossi di rabbia, emise un fiotto di dolore e indietreggiò. Elena si chiuse in bagno e lì pianse, pianse in silenzio poggiata alla parete tra una spugna e l'altra sulle gambe tumefatte. Gigi uscì di casa e tornò la sera del giorno dopo.

    Quando Elena e Gigi si erano trasferiti in città Gigi aveva dovuto lasciare la bottega di Beppe Trosi. Trovò facilmente un lavoro da meccanico, lui era bravo ed era capace di ricostruire un motore di sana pianta. Aveva lasciato la bottega di Beppe ma aveva anche lasciato ventotto anni della sua vita: il bar di Tonino, il circolo club del Milan e quello della Ferrari, gli amici di sempre, soprattutto Amedeo e Gianni, compagni di mille avventure e di altrettante ore di noia. Aveva lasciato quel padre sua forza e suo modello; sua madre, docile creatura che, dopo la materialità del parto, non ebbe mai più contatti di rilievo con il figlio e con il marito. Gigi aveva lasciato tutto al paese e, inconsapevolmente, aveva lasciato il meglio di se stesso.

    Mentre Elena piangeva in bagno squillò a lungo il telefono.

    Era sua madre che, come ogni sera, voleva fare due chiacchiere e accertarsi prima del sonno che tutto fosse a posto. Quella sera Elena non rispose. Chiamò a casa il giorno dopo rassicurando con abilità la madre; disse di essere andata al cinema con Gigi.

    Non una volta Elena raccontò della sua vita a genitori, ad amici o a parenti. Era fondamentale per lei mantenere integra l'idea che tutto funzionasse bene per la tranquillità generale e soprattutto per i sensi di colpa involontari che abitavano dentro il suo stomaco. Elena aveva il rimorso di aver tolto a Gigi il piacere della consuetudine paesana, sentiva la colpa della sua fragilità emotiva, causa della sua trascorsa depressione. Inoltre e soprattutto avvertiva come peccato l'essere una probabile femmina sterile. Le era stato diagnosticato dopo un precoce aborto spontaneo avvenuto nel secondo dicembre dal matrimonio: lo ricordava bene, era la vigilia di Natale.

    Elena conteneva a stento il volume di tanta angoscia ma sentiva come un dovere la sopportazione visto che tutti i disagi avevano un origine comune, lei.

    L'insalata era pronta. Il canarino si lamentava nervosamente nella piccola gabbia sopra l'armadio. Elena infilò una foglia di lattuga ingiallita tra le asticciole di ferro e il piccolo si calmò. Salame e mortadella facevano girotondo sul piatto di vetro e due rose di pane stavano lì, in silenzio. Pimpa, la cagnetta del piano di sotto, cominciò d'un tratto ad abbaiare. Era il suo modo di comunicare il transito di qualcuno sulle scale pur essendo dietro il portone dell'appartamento. Elena, nella tranquillità di chi ha assolto ai propri doveri, si era decisa a stendere il bucato, la mattina avrebbe avuto meno tempo. Il terrazzino della cucina era l'unico in quella casa di tre stanze al quarto di sette piani, un misero balcone senza fiori e senza sole. In compenso su quei due metri quadrati c'era un bell'impianto di fili e di tiranti per appendere, stendere, appuntare.

    Pimpa aveva smesso di abbaiare da un po' quando il portone si chiuse con l'usuale tonfo sordo. Il mazzo delle chiavi urtò come sempre contro il coccio dei fiori secchi e sulla parete dello specchio rimbalzò una sporca bestemmia.

    - Gigi, sei tu? Nessuna risposta. Un'altra bestemmia rotolò sulla tovaglia immobile.

    - Ancora affettato e insalata, ancora! Ho tamponato uno stronzo che ha inchiodato al semaforo. Che cazzo c'è a cena d'altro?

    Elena si era bloccata sulla porta finestra aperta; aperta aveva la bocca, spalancati gli occhi. Non osò aggiungere nulla: qualsiasi cosa avesse fatto o detto in quel momento sarebbe stato guerra.

    - Non dici niente tu? Oltre che cieca sei diventata anche sorda? Beata te! Tu con quattro foglie d'insalata e quattro fette di mortadella passi la paura! Un po' di pasta no, vero?

    - E il danno, il danno è tanto alla macchina? Tu stai bene vedo, per fortuna…

    - È tanto, soprattutto alla nostra, capirai quella carcassa!

    E poi che ti frega? Che ci capisci tu?

    - Già, io che capisco? Niente. Almeno raccontami! Chi era l'altro? Vi siete messi d'accordo? Oppure hai litigato come fai spesso e volentieri?

    - Ma che chiacchieri tu, che parli, scema?! Ho fatto quel che dovevo fare e come cazzo mi pare. Adesso basta. Basta, hai capito? Ho la testa che mi scoppia e tu… a rompere le palle!

    - Ma che ho detto di strano?

    - Tu rompi le palle, sempre. E il peggio è che neanche ti accorgi!

    Elena era avvezza a Gigi, alle sue tempeste umorali, ai suoi toni metallici, quasi avesse assimilato

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