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La Scoperta Delle Donne
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E-book342 pagine7 ore

La Scoperta Delle Donne

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Info su questo ebook

Laurence J Benbo è un trentasettenne grafico di Dublino, scapolo, impacciato con le donne e solo, dopo aver rotto con la fidanzata Deborah. Incontra Jadwiga, una ballerina di lap dance, e dopo aver vinto alla lotteria, la riempie di regali. Ma il suo ambizioso fratello Maoilíosa, insieme all’intrigante moglie Ena, resisi conto della vincita, provano a ricattare l’innocente Laurence, e per farsi consegnare i soldi insinuano che abbia molestato la propria figlia Lydia.

Laurence va a cercare Jadwiga nel locale di lapdance dove lavora, per avvisarla di quanto succede. Con suo grande sgomento la vede appartarsi in una stanza con Maoilíosa. Passa la notte sveglio ascoltando la pioggia che batte alla sua finestra, pensando a Deborah e immaginando la piccola Lydia venire a cercare lo zietto Lar per farsi finire la storia che aveva iniziato a raccontarle. Così come la pioggia si fa sempre più battente capisce che si sta per scatenare una tempesta.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita29 gen 2015
ISBN9781633391482
La Scoperta Delle Donne

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    Anteprima del libro

    La Scoperta Delle Donne - James Lawless

    Altre opera di James Lawless

    Romanzi

    Sbucciando arance

    (tr Martina Divisoli)

    Per Amore di Anna

    (tr Claudia Miruzzo)

    Il Viale

    (tr Luisa Agnese dalla Fontana)

    Alla ricerca di Penelope

    (tr. Nadine Dresing)

    Poesia

    Rus in Urbe

    (tr Licia Braga)

    Giovanile

    The Adventures of Jo Jo

    Critica

    Il sentiero nel bosco intricato:

    La poesia, un modo per guardare il mundo

    (tr Cristina Cinquini)

    La Scoperta delle Donne

    La Scoperta delle Donne

    Autore James Lawless

    Copyright © 2015 James Lawless

    Tutti i diritti riservati

    Distribuito da Babelcube, Inc.

    www.babelcube.com

    Traduzione di Gian Marco Rossetti

    Progetto di copertina © 2015 Vikncharlie at Fiverr.com

    Babelcube Books e Babelcube sono marchi registrati Babelcube Inc.

    ... Perchè la verità è che gli esseri umani non hanno nè il garbo, nè la fede, nè l’amore più di quello che serve ad accrescere il piacere dell’istante. Cacciano in branco. I loro branchi scorrazzano per il deserto e si dileguano urlando nelle lande selvagge. Abbandonano i caduti. Si stordiscono con il bere, e rimangono inebetiti nelle loro smorfie.’

    da Mrs Dalloway di Virginia Woolf.

    ‘E accade perchè sei inerme e incapace di ottenere alcunchè, di avere giustizia o compenso, e perciò è in te stesso che ti affatichi, che ti armi e combatti, paghi i debiti, ricordi gli insulti, combatti, replichi, neghi, accusi, denunci, trionfi, superi in astuzia, vinci, vendichi, piangi, insisti, assolvi, muori e torni a nascere. Tutto da solo! Dove sono tutti? Nel tuo seno e nella tua pelle, l’intero cast.’

    da The Adventures of Augie March di Saul. Bellow.

    ‘Scrivere è giocare con il corpo della madre.’

    Roland Barthes.

    A Declan Kiberd

    Prefazione dell’Autore

    Recentemente, sul web, sono stato citato nel blog di un mio amico, in una discussione denominata The Next Big Thing, una serie di interrogativi circa i progetti futuri degli scrittori. L’intento era di attirare attenzione su scrittori e i loro blog (a me sembra che al momento gli amici siano più inclini a visitare la mia pagina Facebook piuttosto che il blog). E’ stato allora che ha preso il sopravvento un romanzo che mi ronzava in testa, ma che avevo al momento lasciato nel cassetto. Il titolo del romanzo è La Scoperta delle Donne, inteso volutamente in due modi: come conoscere le donne e chi, cosa le donne stanno scoprendo.

    Da dove ti è venuta l’idea del libro? 

    Avevo appena riletto e mi aveva piuttosto commosso The Lonely Passion of Judith Hearne di Brian Moore, incentrato sulla difficile situazione di una donna nubile di mezz’età, che si rifugia nell’alcool e nella religione per evitare di cadere nella stretta morsa della vita. Sentivo una grande simpatia per quel personaggio, la sua solitudine, quel carattere ordinario, la sua vulnerabilità, che mi ricordavano una mia vecchia zia zitella; il mondo reale che Judith deve sopportare, l’altra faccia della cultura della celebrità (su sei un nessuno allora sei realmente qualcuno nel mio libro); dunque ho cominciato a immaginare di poter scrivere qualcosa di simile ma più aderente al momento attuale (in un’Irlanda postcattolica e multietnica), e così è venuto alla luce il personaggio Laurence J Benbo: uno scapolo, non più nello splendore della gioventù, con il punto debole del sesso piuttosto che dell’alcool. Può essere che assomigli più a un Herzog che a una Judith, data la sua natura solipsistica ed esistenzialista espressa in modo così eloquente, tuttavia in comune con la creatura di Moore presenta una certa vulnerabilità, nella solitudine della sua persona inviolata.

    Come sta una persona così in un mondo fondato sulla vita di coppia? Come viene percepito dallo status quo? Quali sono le sue necessità, sessuali e spirituali (leggere poesia lo aiuta a soddisfare queste ultime)? E’ un prodotto della nostra società. Quindi abbiamo responsabilità nei suoi confronti. Quali sono i pericoli per lui là fuori? Più ci pensavo meno il soggetto mi appariva lontano, e potevo vedere Benbo in carne e ossa camminare per il Giardino Botanico o attraverso le strade di Dublino con il suo ombrello dall’impugnatura in teak (strumento simbolico? Lo protegge da altro oltre che dalle intemperie?). Potevo vederlo dirigersi al lavoro in PRINT 21 o verso il suo appartamento in North Circular Road, nelle sue deferenti visite alla madre alla casa di riposo, o la domenica quando si recava a Malahide a trovare la famiglia del fratello; e di notte, con la solitudine che incombe, cosa arriva a fare? Spetta a noi giudicarlo? In fin dei conti i lettori sono la sua giuria; è tanto vero quanto reali sono le lettere di sollecito che giacciono sopra la sua scrivania in attesa di essere aperte. Non tocca a noi occuparcene. Dopo tutto non è né un assassino né un pedofilo (si affretta a sottolineare); non ha intenzione di far male a nessuno. Quindi, piuttosto che ergerci a censori, accompagniamolo durante le sue passeggiate per le vie di Dublino, e vediamo dove ci porta, mentre, come sua abitudine, ci lascia il tempo di meditare lungo il cammino.

    A quale genere letterario appartiene il tuo libro?

    Narrativa accessibile a tutti.

    Se potessi scegliere gli attori per interpretare i tuoi personaggi in un film quali sceglieresti?

    Potrei vedere Bob Hoskins, magari ringiovanito, in età lavorativa, nella parte di Benbo che cammina solitario portando il suo ombrello, a disagio tra le donne, con la sua vulnerabilità e le sue stranezze.

    Per Jadwiga, l’immigrante clandestina bielorussa che lavora come ballerina di lapdance, vedrei bene Scarlett Johansson. Ha quel tipo di fascino che può far girare la testa a uno come Benbo e allo stesso tempo la freddezza per tradirlo facilmente.

    Come si potrebbe descrivere in una sola frase il tuo libro?

    Uno scapolo vulnerabile viene corrotto sessualmente.

    Quanto tempo hai impiegato per la stesura della prima bozza del tuo manoscritto?

    Poco più di un anno per la prima stesura e un altro anno e mezzo per la riscrittura, che mi ha portato a delineare i personaggi in tutta la loro vanagloria.

    Quali altri libri accosteresti a questa storia, rispetto al genere?

    Come affermato in precedenza, The Lonely Passion of Judith Hearne di Brian Moore, ma anche Herzog di Saul Bellow per il suo viaggio esistenziale.

    Chi o cosa ti ha ispirato nello scrivere questo libro?

    Nel periodo in cui in Irlanda assistevamo al bombardamento quotidiano di scandali di natura sessuale, e di recente alla caccia alle streghe sessuali, ho cominciato a indagare sulla natura della sessualità, su cosa fa il sesso alla gente, come viene sfruttato, venduto e barattato, sulle naturali inclinazioni umane, su come il sesso viene manipolato e distorto dalla società, usato per mascherare le nostre inadeguatezze, su come siamo bravi a classificare e incasellare il minimo peccatuccio in un nuovo sistema di valori puritano, giustificato a dire il vero dal continuo ripetersi di casi di pedofilia. E ho pensato: stiamo tralasciando qualcosa lungo il percorso? Questa forse è la domanda fondamentale che il romanzo pone. Stiamo gettando il bambino innocente insieme all’acqua sporca? Penso all’incremento dei suicidi maschili: ha a che fare qualcosa con l’atteggiamento generalizzato della società a proposito del ruolo dei sessi? I maschi non si azzardano più ad abbracciarsi o a toccarsi l’un l’altro per timore di essere bollati come gay – la minima cosa indecente provoca disagio; quando va bene si ottiene scherno e discredito (buffo che si trovi la parola indecente in un sacco di racconti); diventa un marchio, una volta che la voce si sparge la persona diventa un infetto (innocente o colpevole, condannato comunque, come l’avvocato spiega a Benbo). Le conseguenze di un simile comportamento inibiscono gli scambi emozionali tra le persone, isolano i sessi l’uno dall’altro (come Miss Ú Ryan e la sua cricca spiegano a Benbo), e tutto questo porta a una società a rischio, a gente che avanza senza speranza nel tunnel della solitudine individuale. L’unico modo sicuro è vivere come una pietra; siamo vittime della nostra natura moralista; terrorizzati dalle nostre debolezze. Ecco quello che volevo ottenere con Benbo, mostrare la sua vulnerabilità. Quanto sia facile corrompere qualcuno. Qual è il ruolo dell’uomo di oggi? Bisogna andare indietro, non necessariamente alla  apertura esagerata dello stile elisabettiano, ma almeno a uno stadio in cui possiamo liberarci dai ceppi delle pseudo convenzioni, in sui sappiamo abbracciarci e toccarci l’un l’altro senza per forza essere marchiati o additati, che è davvero solo una forma di sfogare le proprie personali paure, sentenziando a vanvera sulla base di pregiudizi superficiali. A lungo andare siamo tutti perdenti, maschi e femmine. Stiamo negando la nostra psiche, la nostra sessualità, la nostra vera natura. Abbiamo paura di essere vulnerabili, di essere aperti alle possibilità. Noi per lo più viviamo in un villaggio di sofisticate falsità, in una tribale arretratezza, timorosi di mostrare l’individuo che c’è in noi; timorosi di accettare l’unicità di ogni persona; ci sentiamo minacciati dalle differenze. Non solo in Irlanda. Succede in ogni contesto; nel posto di lavoro (che Benbo soffre), in Irlanda del Nord, musulmani, cristiani, tutti siamo tribali, cerchiamo sicurezze nei numeri. Ci manca il coraggio di rimanere soli, quindi quando vediamo un solitario lo invidiamo nel profondo, lo condanniamo alla lapidazione sociale; ci siamo convinti che è lui il nemico del popoli (concordo con Brecht quando afferma ‘l’uomo più forte del mondo è uno che sa stare solo’). Dimentichiamo forse quanto suggeriva Beckett, la vita non è altro che un breve spiraglio tra nascita e morte, in cui stiamo a cavallo della tomba? Quindi sicuramente la cosa da fare, noi così come Benbo, è rivolgersi onestamente alla natura di questo posto chiamato mondo con una posizione di domanda, per il tempo in cui si rimane, e poi alimentarla prima di lasciarlo; è il massimo, almeno secondo Benbo, che ci possiamo aspettare. Senza una ricerca, condotta anche correndo il rischio che comporta una domanda aperta a qualsiasi possibilità, possiamo solo provare a infastidire i corvi che gracchiando accompagnano il nostro cammino verso l’oblio. Abbiamo a disposizione molti canali multimediali, possiamo comunicare come mai nel passato ci si poteva aspettare, eppure quanto raramente ci si serve di quello più decisivo, da persona a persona, da anima a anima, da sesso a sesso? (Pensiamo ai ‘reality’ che spuntano in ogni angolo della TV, di cosa trattano, quali bisogni soddisfano, quando la verità vera è che questi show screditano e ridicolizzano i veri rapporti tra le persone). Quindi, ironia, anche nel mondo della comunicazione globale non siamo mai stati più isolati l’uno dall’altro.

    Che cos’altro del libro potrebbe sollecitare l’interesse del lettore?

    Se Knowing Women è ambientato a Dublino, la solitudine del personaggio, credo, va oltre la geografia. Mi immagino Benbo per le strade di New York o Londra, per le strette vie dei quartieri centrali di Barcellona e Parigi, in cittadine del New Jersey, dove c’è completa solitudine, la solitudine del mondo.

    Dunque il romanzo, se si vuole, è un racconto con una morale, ma senza le limitazioni imposte dalla moralità convenzionale (o un avvertimento alla società, a seconda delle interpretazioni scelte). E’ quella descritta prima la direzione che stiamo prendendo, il modo in cui generalmente viene trattata la gente come Benbo, una persona, non un santo (lungi dall’esserlo), ma un paradigma per ognuno, uomo o donna (l’idea di genere viene esaminata in piscina, o con sua madre – gli elementi femminili nell’uomo, quelli maschili nella donna, il ridimensionamento dell’uomo macho, o piuttosto della donna macho, visto che si interroga sull’androginia che tutti presentiamo)? Quello che manca a Benbo (il suo tallone d’Achille in società forse è simboleggiato dai pantaloni, troppo corti nel retro) è una certa astuzia, un’incapacità a celare la propria onestà; è pronto per essere sfruttato, un personaggio che la società può facilmente mettere in croce. Probabilmente è questo il punto a cui il romanzo mira arrivare a mostrare: che la complessità e sofisticazione della società attuale altro non è che una patina che cela la sua profonda natura selvaggia, predatoria. Nel progredire stiamo forse creando più problemi di quanti ne risolviamo? La storia degli innumerevoli fattori che costituiscono il sentimento umano deve ancora essere scritta, questi ricchi e distinti mondi interiori della gente (Virginia Woolf fu per questo criticata, in verità), l’animo sensibile i cui pensieri così spesso sono in contrasto con le fredde strutture superficiali della società. Quello che si può dire e quello che non si può dire. Le regole, la falsa grammatica imposta, come siamo analizzati. Il mondo reale fatto di persone che si reggono a malapena, eccentrici, idiosincratici, qualsiasi cosa, è appiattito, sterilizzato da dettami esterni. Allora Benbo decide per sé – non che avrebbe voluto altrimenti – ma il suo problema è che non riesce a trovare una nicchia, un posto dove, senza conseguenze avverse, possa esprimere realmente il suo essere individuale – la nuda creatura nascosta, che sta cercando di tenere in vita in una giungla di falsità umane. Quello che uno stanco Benbo impara alla fine non è solo che lui non conosce nessuno, ma che nessuno potrà mai essere veramente conosciuto. Tutti noi trasciniamo troppi fardelli; siamo pieni di trucchi e di scuse, simulazioni e montature, sempre a giustificare noi stessi, e quello che non si può evitare, la vita proprio come è, la impariamo solo alla fine. E ancora nonostante tutto un filo c’è: l’innocenza della fanciullezza può essere salvata; una rana può essere trasformata in un principe.

    J.L.

    Febbraio 2013

    ––––––––

    Splende un caldo sole di settembre quando Laurence J Benbo, ricambiando il sorriso di cortesia al simpatico custode seduto dentro la guardiola, varca il cancello del Giardino Botanico di Dublino. Elegante, in giacca militare in lana e cravatta, appoggiandosi al suo ombrello, percorre il sentiero tortuoso per la sua passeggiata giornaliera dell’ora di pranzo.  Visto da dietro, uno si può accorgere che i pantaloni grigi in lana pettinata gli salgono sulle corte gambe, lasciando così intravedere le sottili calze di cotone nero. Cammina di buon passo – per tenersi in esercizio, ma anche cosciente del tempo limitato di cui dispone – lungo il viale di pioppi, e si lascia dietro l’ampia volta della quercia da sughero sotto la quale spesso trova riparo dalla pioggia.

    Mentre cammina si toglie il soprabito, lo appoggia con cura sul braccio sinistro, sopra la giacca in tweed, si allenta la cravatta e apre il primo bottone della camicia – il bottone è troppo stretto; la prossima volta che mi compro una camicia, si ripropone, proverò una taglia sedici e mezzo. Tira fuori dalla tasca destra dei pantaloni un fazzoletto bianco profumato e si asciuga dal sopracciglio una goccia di sudore appena formatasi; l’attaccatura dei capelli si sta facendo spazio, e lui sembra più vecchio dei suoi trentasette anni.

    E’ tentato di sedersi, per il gran caldo, su una delle panchine più vicine, ma decide di proseguire la passeggiata, come suo solito, attraverso la Sequoia Gigante. PRINT 21, dove lavora come designer grafico, non è lontana dai Giardini (sette minuti e mezzo a passo-Benbo, per la precisione, dal cancello anteriore alla poltrona girevole). Un giorno – era l’anno scorso o l’anno prima? – un giorno non diverso da questo, ricorda, il sole splendeva caldo sulla faccia, come a fargli un’affettuosa compagnia, così piacevole che era rimasto seduto sulla panchina con la testa dondolante e poi era piombato nel sonno; al risveglio era in completo panico e dovette ritornare di corsa tutto sudato in ufficio, per poi trascorrere nel massimo disagio tutto il tempo che rimaneva del pomeriggio. Non avrebbe permesso che succedesse ancora; niente di buono; niente di valido: Fuori Commercio. Le giovani donne che trovano una comoda scusa per evitarlo. Molto consapevole di ciò, molto consapevole della propria igiene; quando uno vive da solo, da scapolo, è facile che si trascuri; è facile essere etichettati, facile che ti aspettino al varco. Quindi deve avere in tali faccende il massimo scrupolo: non fornire spunti per pettegolezzi; niente materiale perché ti possano fare una risata stupida alle spalle. Si ferma sotto al tasso, sul quale hanno applicato una piccola placca: legno adoperato per costruire archi. Benbo, l’arciere, l’origine del suo nome; la W si è persa chissà quando nel tempo (bow, cioè arco in inglese, ndt). Pensa al padre scomparso, del quale comunque sa poco; era più inglese, a detta di tutti, di tutti gli irlandesi. Quindi perché dopo la guerra non era tornato in Inghilterra se c’era comunque qualcosa che lo interessava? Mamma, in apparenza, non ne voleva sentir parlare. Non aveva forse un buon lavoro come tipografo con  quello che allora era il gruppo Smurfit?

    Si siederà sotto il grande tronco della Sequoia Gigante per dieci minuti, no – consulta l’orologio: un fiero esagono al quarzo a numeri romani, con il cinturino in pelle rossa comprato da poco – nove minuti, e poi tornerà in fretta in ufficio. Passerà dallo stagno dei gigli, poi dal fiume e passato il piccolo ponte renderà omaggio alla statua di Socrate, 469-399 a.c. Ci passa sempre, ormai sa a memoria le date. Buffo, il tempo che va all’indietro. Andava tutto all’indietro prima della venuta di Cristo – un sorrisetto (Laurence J Benbo non è del tutto infelice; sa ancora cogliere il lato curioso nelle cose). Passa attraverso le aiuole, su quel terreno acido di erica e rododendro, percorrendo il sentiero acciottolato, al lato del quale alcuni pilastri riportano incisi versi dell’epoca vittoriana: A friendly word, a kindly smile... e, reso celebre, nella sua veste dorata, da Gairdíní na Lus, verso il cancello verde dell’uscita e l’insegna in vetro che riporta gli orari autunnali di apertura e chiusura. Secondo i suoi calcoli, sarà in ufficio entro cinque minuti, giusto il tempo per farsi una tazza di tè prima di riprendere a lavorare.

    Come si avvicina alla Sequoia Gigante sente una brezza che scompiglia, meglio, scuote gli aghi come un balsamo gentile, come, gli viene in mente, nell’antichità facevano gli schiavi con le foglie ondulate di palma. Guarda verso l’alto, ammira la maestosità dell’albero: sembra talmente alto da poter grattare la cupola blu del cielo (unica interruzione nell’azzurro continuo, la lunga striscia bianca del fumo di un jet). Il posto sarebbe ottimo, lontano dal percorso dei passanti (inclini come lui a concentrarsi su sé stessi quando si siede in luoghi pubblici), però come si avvicina si rende conto con disappunto che la panchina è occupata. Mai prima l’ha vista occupata; non questa panchina; non la sua panchina.  In fondo a un lato di quella, seduta a leggere, una ragazza dai capelli biondi raccolti, forse quasi sulla trentina. Da una gonnella in denim blu spuntano gambe lunghe e sinuose. La sua giacca, pure in denim, ripiegata accanto a lei, appoggiata sopra a quella, una borsetta in eco pelle.

    Lui prima non ha mai condiviso una panchina; è una regola non scritta: se una è occupata devi cercare nei dintorni finchè non ne trovi un’altra libera. Ma perché, si stupisce Benbo (attratto dalle gambe di lei), solo per questa volta, non dovrebbe sedersi all’altra estremità della panchina; in fin dei conti la legge non scritta se l’è inventata lui, forse un segno della sua nevrosi?  E’ stanco e un po’ sudato: ha deciso fermamente che il resto può attendere, e di concedersi un premio da nove minuti. Perché mai il suo progetto per il pomeriggio dovrebbe andare all’aria per l’apparizione fortuita di un altro essere?

    Laurence J Benbo non è avvezzo alla compagnia femminile (escludendo, certo, al lavoro), o meglio è stato costretto a crescere senza averne l’abitudine per diversi anni a causa del suo fidanzamento con Deborah Mulvany (meglio, per come la vedeva lei erano fidanzati; per quanto non ci fosse stato lo scambio di anelli, bastavano le garbate parole preliminari a farglielo intendere come assodato).

    A lui era dispiaciuto che fosse finita come era finita, ma lei era troppo possessiva, in modo sanguinario possessiva, che la metà bastava; e la madre di lei, donna ossuta e cenciosa, minacciava di trascinarlo in tribunale per aver rotto la promessa. ‘Quale promessa? Fammi vedere la promessa,’ continuava a dire. Che cos’è che rende certa gente tanto possessiva? Lepre e segugio. Non è quello che lui voleva. Lo avevano spaventato a morte. Alla fine, concluse, tutta una faccenda per cui non ne vale la pena. A doversi cercare una storia adesso, sarebbe stato da considerare un’eccezione da far entrare nel suo stile di vita solitario, oltre alla difficoltà, per bene che fosse andata, di rompere con le proprie abitudini, ma in special modo ora che gli anni strisciavano via: dove trovare compagnia? A chi serve compagnia? Non ora, con Internet che fa svagare la gente; non aveva realmente bisogno di andare da nessuna parte.

    La ragazza si muove. Si bagna un dito e gira una pagina. Adesso é abbastanza vicino per leggere il titolo del libro, un’edizione tascabile di Anna Karenina. Aveva visto il film anni prima con Deborah al vecchio Corinthian (Deborah andava in estasi per i film strappalacrime, lui ci era andato solo per farle piacere). E’ già arrivata alla scena in cui l’eroina si getta sotto al treno? Ridicolo; quella c’è alla fine; la ragazza è solo all’inizio. Si ricorda delle battute iniziali. Come erano? ‘Le famiglie felici si assomigliano tutte, ma ciascuna famiglia infelice è infelice alla sua maniera.’ (Abbastanza vero, si suppone, solo se uno si volesse soffermare su tali argomenti). Lei legge lentamente; sillaba le parole come se... quanto ci metterà, così lenta, ad arrivare alla fine di un libro così voluminoso? Violenta, come storia; curioso che sia diventata così popolare tra le signore. La ragazza accavalla le gambe, offrendo a Benbo una sbirciata mozzafiato delle mutandine nere. Lui si immagina queste gambe, pelle splendida senza lentiggini, dentro un bikini, uno di quei fili interdentali che ha visto su Internet.

    Si siede all’estremità lontana della panchina, al limite estremo, una natica sospesa nel vuoto. Lei con il suo libro appare statuaria, sorride (un sorriso dolce) dai suoi occhi verdi come un lucentissimo chicco d’uva, il sole che splende fa risaltare i suoi denti bianchi, poi riprende a leggere. Sembra perplessa; aggrotta le ciglia: è alle prese con una parola. Spunta una penna, tocca le sue labbra; un appunto preso sopra un taccuino giallo a spirale.

    Lui vorrebbe avere un libro, qualcosa per tenere impegnate le mani (altro che tenerle lì impacciate una sopra l’altra a reggere l’ombrello), girare una pagina, o qualsiasi altra cosa su cui concentrarsi. Quando uno si siede in luogo pubblico diventa un elemento del panorama, un punto di fuga, l’aspetto fisico di un’idea e niente altro, una curiosità da sottolineare, un esemplare tipo un’erba o il muschio che cresce ai piedi dell’albero. Guarda quello che è spuntato fuori dall’ultima volta che siamo passati qua. A quale specie appartiene? C’è nel libro? Nella classificazione di Linneo: Homo ludens.

    Lei si sposta leggermente, aggiusta la posizione. Se si alza, la panchina vibrerà? Manderà un sussulto lungo le venature del legno? Concentrati, Benbo, si rimprovera, sugli affari tuoi. Cosa cucinarsi per cena stasera? O uscire fuori a mangiare? Sicuramente no, si è già premiato il giorno prima con il pranzo al nuovo ristorante Botanic. Uscire a mangiare due volte in una stessa settimana, che esagerazione. Non perchè Laurence J Benbo sia frugale, di fatto è indifferente al denaro (eccezion fatta, certo, per quella piccola scappatella settimanale – non per i soldi, per il piacere dell’azzardo –  il brivido di una vincita alla lotteria. Una probabilità su quanti milioni?). La sua natura, modesta per quanto riguarda certi appetiti (mangiare e bere) – in riferimento ad altri è più marcata, per esempio (gli piace pensare) la libido, che ha spiccato il volo e si libra come un’anima perduta per tutto l’universo (da Deborah in poi), spazia su livelli a volte alti a volte più bassi, e mai si connette con il cervello – fatto dovuto, gli pare, almeno in parte a un’educazione odiosamente rigorosa impartitagli da una madre rimasta vedova troppo presto.

    Ha ancora nel freezer i bastoncini di pesce (altra risatina di Benbo: immaginati un pesce con le dita [in inglese fish fingers sono i bastoncini di pesce, ndt]), potrebbe lessare qualche patata e ha una scatola di fagioli. Un pasto salutare, facile da mettere su. Forse prendersi un DVD. Niente tra i film europei che ci sono in giro adesso; di quelli sembra che non ce ne siano più in Extra Vision (extra vision starà per visione ridotta?). Ora c’è tutta roba insipida e violenta, con annessi, de rigueur, scontri di auto. A lui piacciono i film che trattano più di relazioni, di intimità; senza restrizioni; vedere cosa fanno, una coppia fare cose che solo la sua immaginazione si può figurare. L’ultimo film che ha visto era abbastanza stranamente chiamato

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