Non aprite quel libro!: Un saggio sull'horror e sul perché ci piace provare paura
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Così fa anche con le nostre paure, giocando con le più universali come quella del buio e arrivando a trasfigurare spettri e orrori epocali o generazionali.
Quando siamo piccoli ci piace avere paura e da adulti l’horror può farci tornare bambini: è un genere eversivo, assumerne dosi regolari è liberatorio.
L’horror è ambivalente e complesso: c’è molto di più di ciò che appare. Ne abbiamo bisogno perché, andando oltre il realismo, parla di noi e ci dona lenti nuove per vedere e comprendere il nostro mondo, facendoci sentire meno soli.
In questo saggio scopriremo perché evocare la paura può aiutarci a esorcizzarla. Tra libri, film e serie tv andremo a caccia di contraddizioni ed equilibri, di sottogeneri e stereotipi, di cliché e tabù per ribaltarli. Lo faremo divertendoci, perché ciò che accomuna molti appassionati di horror è parlare di grandi temi prendendosi poco sul serio.
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Anteprima del libro
Non aprite quel libro! - Chiara Sinchetto
Capitolo 1
Horror e infanzia: la scoperta della paura
Spaventarsi può essere divertente, fascinazione versus trauma: perché ci piace spaventarci con la finzione?
Me la ricordo la sensazione che provavo quando, nella casa in cui sono cresciuta, prendevo uno dei miei Piccoli brividi e sprofondavo nella poltrona e nella storia. A quel tempo la paura che veniva da un romanzo era una questione molto fisica. Gelo e formicolio sulla pelle, vuoto nella pancia, impressione di non potersi muovere. I miei genitori mi dicevano: «Ma non potresti leggere qualcosa di più tranquillo, così non hai gli incubi di notte?» Io non avrei saputo spiegarlo, ma sentivo che lì dentro c’era qualcosa di cui non potevo già più fare a meno.
Tutto si annida nell’infanzia, anche le paure che ci rincorreranno sempre.
A quell’età siamo anche esposti a cose che fanno presa sulla nostra fantasia di bambini ma che non definiremmo horror
. Già, perché se sto guardando lo zuccheroso e colorato Nel fantastico mondo di Oz e compaiono gli spaventosi Ruotanti, uomini deformi con dischi al posto di mani e piedi, come faccio ad essere pronta a qualcosa che ghermirà per la prima volta la mia immaginazione, terrorizzandomi?
Poi, ciascuno di noi ha i propri traumi, veri momenti in cui ci siamo sentiti traditi: raccontarceli potrebbe essere molto consolatorio. Persino il re dell’horror italiano Dario Argento racconta in Paura di quando è stato portato via a quattro anni da teatro durante l’Amleto, che lo spaventò – e al tempo stesso gettò un seme di fascinazione che sarebbe germogliato molti anni dopo.
Da piccoli iniziamo anche ad associare una certa vergogna alla paura. Chi mai avrebbe ammesso di controllare ogni sera che sotto il letto non si nascondesse un mostro? Meglio non farlo sapere, chissà come mi prenderebbero in giro! O forse ha a che fare con il sentore di qualcosa di indicibile. E poi c’è Sarah che nel film Labyrinth deve correre per riportare il fratellino Toby a casa, strappandolo al re dei Goblin. Sarà che è impersonato da David Bowie, ma ammetto di essermi presa una cotta per lui da bambina. Guai a raccontarlo a qualcuno: non è un essere umano come gli altri, non è un po’ il cattivo della storia? Eppure, che fascino.
Il buio può essere ammaliante. C’è qualcosa che ha a che fare con le ombre, con mutazioni e segreti, che forse è meglio tenere per noi. E così si rafforza la paura, che viene sempre da un rimosso, da un film o un libro che fa risuonare in noi qualcosa di cui non eravamo consapevoli; del mondo, ma anche di noi. È una parte oscura, quindi forse è giusto tenerla nascosta agli altri, anche ai genitori. Continuiamo a pensarci perché in quello che deve restare segreto e che è buio c’è qualcosa che ci affascina terribilmente. Ma non lo ammetteremmo a nessuno, tanto meno a noi stessi.
Non ci sono però solo segreti e paure: da piccoli abbiamo conosciuto anche personaggi un po’ speciali e divertenti, come i componenti della famiglia Addams, che ci hanno iniziato al fascino del macabro e delle risate crudeli. Queste storie ci mettono dalla parte di Mercoledì, la figlia strana, sempre vestita di nero e ci allontanano dagli altri bambini biondi e belli, ma così noiosi. Conosciamo fantasmi da acchiappare con i ricercatori squattrinati, pasticcioni e che si improvvisano in Ghostbusters; e con Casper, fantasmino dal cuore tenero, si rafforza l’idea che anche gli spettri possano dividersi in buoni e cattivi, proprio come nel mondo dei vivi. Iniziamo a stare dalla parte degli outsider e si fa strada in noi l’idea che chi sta alla luce, chi è considerato sano o normale, chi ha il potere non sempre è nel giusto. Impariamo che gli stessi fantasmi possono spingersi fino ad essere impegnati in ricorrenze che non assoceremmo mai all’orrore, come in Canto di Natale di Charles Dickens: fascinazione e paura, divertimento e brividi si avvicinano.
Manieri con presenze, antiche case infestate: ci sono cose che si nascondono nel buio, ma oggi, spaventati da cose più adulte, le ricordiamo con affetto. Gli aspetti sono due: da un lato, entrare in contatto già da bambini con l’horror ci regala gli occhiali dell’immaginazione con cui vedere il mondo che potremo portarci dietro anche da grandi. È lo sguardo che ci consente di andare oltre l’apparenza delle cose e ci fa tornare all’infanzia, quando tutto era possibile.
Dall’altro lato, però, è un genere che potrebbe farci crescere in modo precoce, soprattutto in quanto a consapevolezze. Nel saggio Bianco, Bret Easton Ellis racconta che già da piccolo gli restava poca fiducia nella bontà degli uomini: l’horror gli aveva mostrato che non sempre chi è adulto può aiutarti e che sentirsi al sicuro è un’illusione. In questo non c’è contraddizione: impariamo che l’horror può farci divertire superando i confini di ciò che vediamo. Come in Coraline di Neil Gaiman, possiamo immaginare un’Altra Madre che ci permetterà di fare tutto quello che la nostra ci nega; con alcune conseguenze non proprio positive, certo. Impariamo anche, però, che la morte non risparmia nemmeno i bambini, che a volte devono imparare a cavarsela da soli: perché gli adulti hanno perso anche la capacità di vedere il pericolo, insieme all’innocenza. Così, spesso troviamo proprio dei bambini al centro di horror destinati a lettori o spettatori adulti. Ci sono scrittori che ci riportano a quell’età della vita per spaventarci di più: quella in cui eravamo inermi e ci sentivamo invincibili e in cui nascono le prime paure. Sarà perché tutti vorremmo tornare all’infanzia e al tempo stesso sappiamo che nulla di ciò che abbiamo provato tornerà – e da una parte meno male, perché di certo non ricordiamo davvero com’era essere così spaventati. I bambini di It di Stephen King sono gli unici a credere nel male perché ancora capaci di amore e amicizia, mentre gli adulti si mostrano indifferenti. Ma non sempre l’infanzia al centro di prodotti di paura è così innocente. Anche se non andrebbe nello scaffale degli horror, penso a Il Signore delle Mosche di William Golding che ci mostra la lotta spietata per la conquista del potere su un’isola in cui sono naufragati un gruppo di ragazzi. Ci metteranno poco, istinti di sopravvivenza e prevaricazione, a prevalere. È anche il caso di un film perfido come The lodge, in cui due bambini torturano psicologicamente la matrigna: provocare chi ha un passato traumatico potrebbe essere pericoloso. E che dire del racconto che è diventato un franchise cinematografico da capogiro, I figli del grano di Stephen King? Lo trovate nella raccolta A volte ritornano: una coppia fa la conoscenza di un gruppo di ragazzi che venera il culto sanguinario di Colui Che Cammina Dietro I Filari e che ha ucciso tutti gli