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La corona
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E-book184 pagine2 ore

La corona

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Info su questo ebook

Tutto nella vita di Altair, il potente stregone della corte dell’antico regno di Siviglia, si trova sotto il suo controllo. Senza dubbio, un’antica legenda, narrata dalla labbra della nuova schiava del re Al Mutamid lo obbliga ad imbarcarsi nella ricerca di una demoniaca corona di pietra nera.

LinguaItaliano
Data di uscita13 giu 2017
ISBN9781547504404
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    Anteprima del libro

    La corona - Miguel León

    La Corona

    ––––––––

    MIGUEL LEÓN

    Copyright © 2016 Miguel León Pérez

    Tutti i diritti riservati.

    All rights reserved.

    ISBN-13:978-1539748137

    Alla mia famiglia, che è sempre lì.

    PRELUDIO.

    ––––––––

    Il perfetto occhio azzurro di quello che un tempo era stato il favorito di Dio rifletteva come uno specchio un cielo di fuoco e un mare di sangue.

    Sulla scogliera che il vento frustava furiosamente, la figura pallida e snella dell’angelo caduto guardava lo sbattere del mare rosso con assoluta serenità. Solo i lunghi capelli neri e le piume nere sulle sue ali aperte sembravano un po' scossi nella tempesta, ballando una danza calma. Dietro di lui, una torre di basalto nero, la cui cima si perdeva nel fuoco che copriva il cielo, sopportava la pioggia incessante di sangue e cenere portate dalla tempesta, una tempesta che non osava nemmeno toccare il signore e padrone di quel regno maledetto.

    Stanco di contemplare la tempesta, con Lucifero andò tranquillamente verso la porta della torre. Quanto più si avvicinava all’immensa lastra di metallo, tanto più il rumore assordante della tempesta, tra le grida di dolore dei dannati che compivano la loro pena eterna, si sbiadiva. Con un solo colpo d'occhio, l'angelo caduto ordinò alle porte di aprirsi, ordine al quale le porte obbedirono immediatamente più per paura di essere distrutte che perché capivano le strane ragioni del loro creatore per farlo.

    Allertati dall’apertura delle porte, due enormi frammenti di basalto si staccarono dalle pareti della torre e sembrarono mettersi rumorosamente in piedi. Con una agilità in disaccordo con la loro essenza di amorfe montagne di pietra nera, entrambe le guardie si avvicinarono minacciosamente al padrone di tutto l'inferno, avventandosi su di lui, minacciando di schiacciare la piccola figura dell’angelo caduto tra i loro giganteschi artigli di roccia.

    L'angelo si limitò ad alzare una mano ed avvicinarla a una delle creature deformi che interruppero il tentativo di schiacciare il loro padrone e attesero che Lucifero, con una morbidezza e un amore infiniti, accarezzasse le sue creazioni. Mentre la bella mano dell'angelo le percorreva, le masse scure di roccia provarono qualcosa di simile all' inginocchiarsi davanti al loro padrone, ma quello che ottennero fu ricollocare alcuni dei pezzi di pietra che componevano i loro corpi. Una volta in ginocchio, due gole profonde produssero all'unisono una breve frase:

    —Benvenuto, mio signore...

    Lucifero ritirò la mano dalle sue creazioni e guardò con aria assente all’interno della torre, da cui arrivavano le grida disperate di centinaia di migliaia di detenuti che subivano torture al suo interno. Tutti, senza eccezione, soffrivano per l'eternità i terribili supplizi che Lucifero aveva messo a punto per ciascuno di essi, ma molti di loro non erano pienamente consapevoli di essere torturati. Tuttavia, migliaia di bocche contorte piangevano, gridavano e imploravano misericordia, e il fatto non essere consapevoli della terribile realtà che erano nell'inferno, non alleviava minimamente le loro sofferenze.

    Lucifero, con un suo gesto inespressivo, diresse lo sguardo verso il guardiano più vicino e, con voce dolce, gli ordinò:

    —È arrivata l’ora. Portatemela, deve fare un lavoro per me.

    1.

    Da quando mi sono allontanato da te,

    Non ho conosciuto il piacere del sogno.

    IBN ZAIDÚN (1003-1070)

    Il piccolo stagno di pietra era coperto da un sottile strato di vapore che eseguiva una pigra danza sulla superficie delle acque calme. Una bolla solitaria emersa nello stagno ruppe la calma assoluta dello specchio scuro che formava il liquido calmo. A questa ne seguì un’altra, e dietro una scia di bolle mosse la superficie facendo saltare a ciuffi il fragile strato di vapore che lo copriva.

    Per primo emerse dalle acque una folta chioma di capelli scuri, a cui seguì il volto affilato di un uomo maturo con la pelle scura, con occhi neri intensi e grandi come la notte e una barba ordinata, che circondava una bocca con labbra sottili e rosa. Dopo il volto, emerse dall'acqua un dorso muscoloso, abbronzato dal sole, pieno di tatuaggi che rappresentavano simboli arcani sul collo, il torace, la schiena, sulle mani, sulla pancia...

    Altair Ben Taula aprì gli occhi e si guardò intorno. Lo stagno era al centro del cortile interno delle sue camere in un edificio adiacente ai giardini del palazzo. Una galleria di colonne di marmo circondava tre lati del cortile. D'altro lato, dove si trovava la stanza delle magie, la galleria era murata con una vasta parete di fango[1] e mattoni rossi, rotta solo da una grande doppia porta e delle strette finestrelle, che permettevano l'ingresso di una scarsa luce nella stanza e lasciavano vedere ai visitatori che si trattava di un recinto fortemente difeso. Due giovani aranci, un mandorlo e diverse siepi in cui cominciavano a vedersi i primi fiori dell'anno occupavano il resto dello spazio del patio lasciato libero dallo stagno dove il proprietario faceva il bagno.

    Sorrise alle due sue schiave che aspettavano vicino al bordo dell'acqua, vestite di corte tuniche di lana, che il loro padrone uscisse dall'acqua. Una di loro aveva la pelle scura e le caratteristiche tipiche dei Berberi. Le sue lunghe gambe, il busto esile, lo sguardo altezzoso dei suoi occhi neri e uno strano tatuaggio a forma di vite su uno dei polpacci, gliela fecero comprare da un mercante di schiavi durante un viaggio ad est un po’ più di un anno prima. La morbidezza della sua pelle, il calore dei suoi baci e la dolcezza del suo profumo mentre riscaldava il letto di Altair nelle sere d'inverno, non gli fecero mai rimpiangere l'alto prezzo pagato per lei.

    Al contrario, la nuova schiava spagnola era quasi una bambina, molto magra, con i capelli biondi e gli occhi grigi ed era ancora nel periodo dell’apprendistato. Altair non aveva una grande considerazione di lei da quando l'aveva al suo servizio. Non era molto intelligente ed era solita essere persa nei suoi singhiozzi e lamenti, non aveva le competenze per essere una buona servitrice, non era abbastanza bella perché qualche potente si incapricciasse di lei e poi i suoi lineamenti troppo settentrionali non la rendevano valida per l’allevamento di schiavi. Sicuramente, se il mago l’avesse venduta, sarebbe finita in un campo di lavoro in cui la sua aspettativa di vita sarebbe stata piuttosto bassa, e questo, insieme al suo aspetto da bambina indifesa, impediva che lo stregone si liberasse di lei.

    Il rumore di passi lungo la galleria che circondava il cortile delizioso ruppe la serenità di quel momento. Un giovane schiavo si avvicinò al laghetto e si inginocchiò sul bordo, fissando il pavimento di pietra, non osando neppure sbattere le palpebre. Uno dei passatempi preferiti di molti cortigiani era diffondere voci su Altair, sul suo terribile carattere e l'estrema crudeltà delle sue punizioni, fatto che allo stregone non solo non interessava, ma che gli risultava particolarmente divertente. Tutti coloro che lo conoscevano sapevano troppo bene che quelle voci non erano del tutto veritiere, ma a volte appariva un nuovo schiavo tremante di paura davanti a lui. Quella mattina, tuttavia, non era in vena di intimidire lo schiavo fino a che non si urinasse nelle calze, provocando le risate delle sue serve; quella mattina era molto fastidiosa anche solo la sua presenza, una presenza che a un'ora così antelucana poteva significare solo una cosa: che il re Almutamid[2] voleva vederlo nel suo palazzo sulla riva del fiume.

    Nel suo stato d'animo, non si degnò nemmeno di dirigere la parola al messaggero, immerso nella strana sensazione che lo invadeva da mesi. Per volontà imperscrutabile di Allah aveva finito per essere il mago della corte del re poeta, il re filosofo, l'amato, il buono, il possessore della più bella delle intelligenze, un grande mecenate, e anche un grande amico, ma anche un inutile, non era in grado di difendere il suo regno dai cristiani nel nord, che ha trasformato la sua corte di Siviglia in un nido di poeti, musicisti e filosofi sodomiti e imbecilli, incapaci di capire l'ambizione del loro potente vicino castigliano, e che un giorno sarebbero finiti per essere i guardiani delle scuderie o dei porcili di un signore di basso rango di Castiglia.

    Altair, il predestinato a suo tempo ad essere sacrificato agli avvoltoi in un taula[3] di pietra dalla stupidità dei contadini, salvato e istruito nelle arti della magia da un grande stregone, del quale si diceva fosse tra gli uomini più potenti di al-Andalus, l'ultima linea di difesa tra i bellicosi re del nord e la corte di poeti, sentiva che ormai serviva da buffone e scimmia ammaestrata nelle feste della corte del suo re e dubitava che fosse la sua amicizia con il monarca, o forse il conformismo vile che gli offriva una vita piena di lussi e piaceri che lo costringeva a sentirsi grato per questo.

    Nel profondo del suo essere temeva che fosse la sua stessa impotenza e la paura di ciò che gli riservava il futuro che lo mantenevano in questa vita comoda e piacevole, in questo sonno conformista e monotono in cui gli rimaneva solamente sperare che il re di Castiglia si decidesse a conquistare il regno. Il non combattere, rimanendo seduti a guardare l'inevitabile, lo irritava a tal punto che sentiva come l'acqua si riscaldava per la sua rabbia. Si mise in piedi nello stagno e salì i quattro passi che lo separavano dal pavimento in mattoni del patio, la sua figura avvolta da una foschia crescente come crescevano la sua frustrazione e la sua rabbia.

    Cercò di eliminare quella sensazione pensando alle sue giovani schiave, questo lo faceva sempre sentire bene. Le schiave si avvicinarono sottomesse e asciugarono la sua pelle coriacea accarezzandolo con un morbido panno di lana. Poi una volta asciugato e nudo, quattro piccole mani delicate avrebbero spalmato ogni angolo del suo corpo con oli ed essenze, gli avrebbero accuratamente lisciato i capelli e tagliato la barba curata con studiata delicatezza.

    Una volta terminato il processo, Altair, pulito e oliato, fece un cenno allo schiavo, che ancora era in attesa di un ordine per esporre il suo messaggio. Lo schiavo parlò con un accento del nord:

    —Il re desidera vedervi nel suo palazzo, mio signore. Deve chiedervi un’importante consultazione.

    Dopo aver dato il suo messaggio, lo schiavo abbassò lo sguardo a terra e rimase immobile, in un gesto di sottomissione così esagerata che mostrava chiaramente il panico che gli aveva procurato dare un messaggio al potente mago di corte.

    Altair meditò qualche istante prima di rispondere:

    —Dì al re che andrò ad attendere alla sua richiesta quando terminerò di rivedere i miei incantesimi.

    ―Mio signore...

    ―Vattene.

    Lo schiavo si alzò in piedi, facendo attenzione a non incrociare lo sguardo del mago e uscì sollevato dal patio con un passo così rapido che provocò un suono sgradevole camminando con i sandali sul pavimento di pietra della galleria.

    Altair, nudo e scalzo, si avvicinò lentamente al suo alloggio, seguito da vicino dalle due schiave, che portavano in mano una leggera tunica di lino e una larga cintura di cuoio rosso, dei sandali dalla suola spessa e una cappa di lana grossa, tinta in un colore indaco intenso e appariscente. Ancora non voleva che lo vestissero, così decise di camminare verso i suoi alloggi nudo, lasciando che l'olio spalmato venisse assorbito dalla pelle.

    Aprì la pesante porta di legno di due ante spingendo in avanti con forza, fino a che un soffio d'aria all'interno delle sue stanze gli rimandò il calore di un fuoco di grandi dimensioni, il suono di acqua corrente, un forte odore di legna da ardere e uno strano sapore metallico nell'aria che sembrava attrarre tutti coloro che avvicinavano a quella porta verso la camera degli incantesimi.

    L'interno della camera era costituito da due gallerie di archi di mattoni rossi e soffitti in legno dipinti di bianco, illuminata dalla luce fioca proveniente dalle piccole feritoie nella parte superiore di una delle pareti laterali. Lì si trovavano i suoi beni più preziosi e Altair, seguito da vicino dalle sue due schiave, controllò personalmente che tutto fosse a posto.

    In una delle sale interne, il grande fuoco di legna e carbone, che collegava il suo calore e il suo fuoco ai simboli arcani dei palmi delle sue mani, bruciava con rabbia sulla base di pietra annerita, alimentato in modo permanente da due servi fuligginosi e sudati, vestiti solo di perizoma. Nell’altra, lo stregone controllò che continuasse a girare con regolarità il grande mulino ad acqua che trasmetteva la sua immensa forza ai simboli arcani dei suoi polsi. La campana di bronzo che alimentava con la sua durezza i simboli del suo petto e della sua schiena era intatta nella sua piccola teca, senza crepe o difetti. Nell'ultima camera, la schiava legata alla ruota era ancora giovane e in buona salute, pur avendo perso tutti i peli sul suo corpo durante il processo in cui Altair legò alla salute della giovane schiava il simbolo scritto sulla pancia dello stregone. Il collegamento era stato fatto con qualche arcano tatuaggio sulla guancia rosa della giovane, che trasmetteva la vita e la giovinezza della ragazza al potente mago di corte.

    Altair guardò accuratamente la sua giovane fornitrice di salute. Aveva gli occhi sporgenti, inespressivi e marroni, e un gesto strano sulle labbra, che insieme con la sua magrezza e alla mancanza di capelli, la sfigurava fino ad essere sgradevole. Dovrebbe avere quindici o sedici anni, e il recente tatuaggio sulla guancia, che aveva causato il rigonfiamento della metà del suo volto, non aiutavano a migliorare la sua bellezza. Fortunatamente, Altair l’aveva comprata a un prezzo ridicolo, dal momento che il vuoto dei suoi occhi non era altro che il risultato di una cecità incipiente.

    I quattro giorni che sarebbe durato il processo di vincolazione, sarebbe rimasta nuda, con le gambe e le braccia aperte e legata alla ruota. Dopo averla esaminata, concluse che era troppo magra. Doveva mangiare di più e essere più sana, era essenziale per i suoi scopi che la schiava fosse fresca e ben nutrita, perché, un giorno, lo stregone avrebbe guarito le ferite del suo corpo rubando la salute e la vita di quella schiava. L'incantesimo che la vincolava alla sua salute era molto complesso e costoso, e sarebbe stato un peccato che non avesse avuto gli effetti desiderati.

    Afferrò il mento della giovane e girò il suo viso per controllare il tatuaggio. Era molto ben fatto, con i bordi perfettamente delineati e un colore uniforme, il

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