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E mio padre mi disse che non ero normale
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E mio padre mi disse che non ero normale
E-book74 pagine44 minuti

E mio padre mi disse che non ero normale

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Info su questo ebook

Piccola cronaca di un pensiero artistico indipendente. Improvvisazione radicale, gestione del silenzio, concerto in solo come dialogo costante. In questo libro Marco Colonna si mette a nudo, mette da parte ogni tipo di pudore artistico o esistenziale, e racconta tutto di sé, un sé che incorpora buona parte del jazz di ricerca italiano degli ultimi 20 anni.
LinguaItaliano
EditoreBlonk
Data di uscita21 feb 2020
ISBN9788835371007
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    Anteprima del libro

    E mio padre mi disse che non ero normale - Marco Colonna

    NORMALE

    Piccola cronaca di un pensiero artistico indipendente

    Ai miei figli

    Dario e Neda

    Prologo

    Fu sicuramente un’ intuizione quella di mio padre, il giorno che con assoluta calma e con evidente, disperata accettazione mi disse la frase che in qualche modo segnò il passaggio dalla mia infanzia alla mia età adulta : ... ma per te è diverso, te non sei normale.....

    Poi, non perdendo l’occasione di essere inclusivo nella sua analisi: ma si, sei come tua sorella, voi non siete persone normali... e diventando lapidario : si, voi artisti non siete persone normali, non reagite come gli altri e non pensate come gli altri, non c’è speranza....

    Sono passati più di venti anni da quel momento.

    E credo di dover dare ragione a mio padre: non sono normale e sono indiscutibilmente, drammaticamente e totalmente senza speranza.

    Roma

    Non è facile spiegare cosa significhi appartenere ad una città come quella in cui vivo, dove ho vissuto e lavorato ed in cui sono nato.

    Ho sempre risieduto ai margini dell’Urbe, passando la mia infanzia ai Castelli Romani, sorta di provinciale estensione della metropoli, per poi stabilirmi in età adulta subito fuori da quel mefitico basilisco che circonda la città: il Grande Raccordo Anulare.

    Roma custodisce racconti, epoche, architetture, umanità diverse ed in perenne contraddizione.

    Ed è proprio l’educazione alla contraddizione ad essere la lezione più grande che si può imparare, sempre che lo si voglia fare, sulle sue strade, all’ombra dei suoi cornicioni, a frequentare i suoi quartieri ed il suo spirito popolare.

    Spesso ho l’impressione di non rendermi conto quanto la mia città, con tutte le sue caratteristiche, sia radicata e responsabile della mia percezione del tempo.

    Il tempo: componente sintattica e definizione musicale di un andamento.

    Esistono due modi per sopravvivere al mostro: aggredire il tempo, ovvero cercare di vincere ai dadi con il diavolo o fare il proprio tempo: decidere di non avere pretese di controllo e prendersi lo spazio necessario per percorrere le distanze necessarie agli spostamenti, distanze che subiscono trasformazioni indipendenti da ogni previsione basata sul buon senso. A Roma il paradosso di Zenone viene proposto e verificato empiricamente ogni giorno.

    Spesso mi è capitato di confrontarmi con culture lontane dalla mia e la grande differenza che ho sempre percepito si trova nella percezione di questo elemento: mentre il carattere modale e pentatonico unisce le popolazioni musicale del pianeta, la funzione del tempo ne definisce i confini e ne stabilisce gli orizzonti.

    La pratica e lo studio di approcci differenti mi ha aiutato in molte questioni musicali,ma soprattutto mi ha garantito, almeno fino ad oggi,la sopravvivenza agli orari di punta del traffico nella mia città.

    Il pirolo

    Alle prese con questa chiave di interpretazione della realtà (il tempo), ci si apre ad esperienze che aiutano a padroneggiare alcuni elementi basilari di questa componente musicale e si scopre quanto non esista elemento musicale che non possa e non deva essere rapportato alla vita quotidiana.

    La mia adolescenza risultò essere ben più complicata della solita prassi medio borghese di stravizi, tempeste ormonali e grandi proclami.

    Il nodo centrale dei miei sedici anni fu rappresentato da una Fiat Regata 70 grigio scuro che azzardando una manovra illecita finì, in quello che percepii come un frammento di eternità, dritta sulla mia gamba destra che, insieme al resto del corpo, guidava un roboante scooter per le vie di Frascati. L’impietoso risultato fu una frattura poliframmentaria dell’emipiatto tibiale destro con lesione dello sciatico popliteo esterno, in una parola: zoppo. Alle prese con fisioterapia quotidiana, dolore, tempeste ormonali e stravizi decisi di ricominciare a suonare. Avevo imbracciato il clarinetto intorno ai sette anni di età, ma la breve frequentazione del conservatorio mi aveva fatto desistere da quella che sarebbe diventata ben più che una passione.

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