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Poveri a chi?: Napoli (Italia)
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E-book130 pagine1 ora

Poveri a chi?: Napoli (Italia)

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Info su questo ebook

Stiamo diventando un Paese di poveri. La povertà assoluta tocca ormai 5 milioni di persone e quella relativa (corrispondente a una disponibilità economica inferiore a 506 euro mensili) oltre 9 milioni e mezzo di donne e uomini. E la situazione è in costante peggioramento, con un vero e proprio crollo del potere di acquisto delle famiglie. Ancora un anno fa c’era chi dispensava rassicurazioni e considerava l’estendersi della povertà una situazione destinata a rientrare. Oggi non lo sostiene più nessuno. E le persone in carne e ossa si confrontano con il lavoro che da un giorno all’altro non c’è più, con il salario che non arriva o non basta, con le imprese che chiudono, con i molti negozi sbarrati o vuoti e le mense della Caritas sempre più affollate. I nuovi poveri si affiancano ai marginali di sempre; l’insicurezza sul futuro si tocca con mano. Ovunque. E l’Italia si scopre unita: Ivrea o Lecco si ritrovano, all’improvviso, simili a Caserta o a Catanzaro. I più non si capacitano. Molti si arrangiano. Alcuni soccombono. E Napoli è un illuminante campione di questa Italia.
LinguaItaliano
Data di uscita17 lug 2017
ISBN9788865791769
Poveri a chi?: Napoli (Italia)

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    Anteprima del libro

    Poveri a chi? - Enrica Morlicchio

    Moenia

    Il libro

    Stiamo diventando un Paese di poveri. La povertà assoluta tocca ormai 5 milioni di persone e quella relativa (corrispondente a una disponibilità economica inferiore a 506 euro mensili) oltre 9 milioni e mezzo di donne e uomini. E la situazione è in costante peggioramento, con un vero e proprio crollo del potere di acquisto delle famiglie. Ancora un anno fa c’era chi dispensava rassicurazioni e considerava l’estendersi della povertà una situazione destinata a rientrare. Oggi non lo sostiene più nessuno. E le persone in carne e ossa si confrontano con il lavoro che da un giorno all’altro non c’è più, con il salario che non arriva o non basta, con le imprese che chiudono, con i molti negozi sbarrati o vuoti e le mense della Caritas sempre più affollate. I nuovi poveri si affiancano ai marginali di sempre; l’insicurezza sul futuro si tocca con mano. Ovunque. E l’Italia si scopre unita: Ivrea o Lecco si ritrovano, all’improvviso, simili a Caserta o a Catanzaro. I più non si capacitano. Molti si arrangiano. Alcuni soccombono. E Napoli è un illuminante campione di questa Italia.

    L’autrice/L’autore

    Enrica Morlicchio è professore di Sociologia dello sviluppo presso l’Università Federico II di Napoli. Studiosa della povertà e delle politiche sociali ha collaborato con la Commissione di indagine sull’esclusione sociale contribuendo alla redazione del Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale (luglio 2010). Ha scritto da ultimo Sociologia della povertà (il Mulino, Bologna, 2012).

    Andrea Morniroli, da circa trent’anni impegnato nelle politiche di welfare a livello locale, è socio della cooperativa Dedalus presso cui si occupa principalmente di migranti e di contrasto alla povertà. È stato assessore alle politiche sociali del Comune di Giugliano in Campania, consulente in materia di politiche sociali del Ministero del welfare ed è attualmente consulente dell’assessore all’istruzione del Comune di Napoli.

    A mio padre: un gran rompiscatole

    che già mi manca terribilmente

    Andrea

    A Massimo, partito in bicicletta per chissà dove

    Enrica

    Indice

    Introduzione. Carmela e l’immaginazione del cuore

    1. Realtà e rappresentazioni

    2. Il modello napoletano di sopravvivenza

    3. I «grandi numeri» della povertà

    4. Assad «gratta e vinci»

    5. Il collasso delle reti di sostegno

    6. Migranti

    7. Madri sole

    8. Povertà e cattiveria

    9. Anziani

    10. La cittadinanza debole

    11. Il cerchio si chiude

    Bibliografia

    Ariane diceva «poveracci» con il tono compassionevole

    dei grandi indifferenti per i quali la miseria è un fatto

    e non un problema

    Fred Vargas, Nei boschi eterni

    Noi non ci occupiamo dei poverissimi. Sono inimmaginabili e li possono avvicinare soltanto gli statistici o i poeti

    Edward M. Forster, Casa Howard

    Un ringraziamento per la preziosa collaborazione a Raffaele Cantone, Raffaella Palladino, Ciro Nesci e la sua équipe, Pasquale Calemme, Luca Oliviero, Elena de Filippo, Enrico Pugliese, Attilio Wanderlingh.

    Introduzione. Carmela e l’immaginazione del cuore

    Carmela è una donna forte, mediterranea, che dimostra meno anni di quelli che ha. Quando la incontro per la prima volta (nel mio ruolo di assessore tecnico alle politiche sociali al Comune di Giugliano in Campania) mi parla e mi guarda con atteggiamento diffidente, più spesso aggressivo, abituata com’è ad avere a che fare con amministratori poco disponibili all’ascolto, in molti casi impreparati, di frequente attenti a giocare sulla confusione tra diritti e favori per indurre dipendenza, scambio, consenso.

    Mi racconta il suo problema. Dopo due anni ha perso all’improvviso il contributo economico mensile (circa 350 euro) che le era garantito da una normativa sociale in ragione del suo stato di madre vedova, con quattro figli, in condizione di povertà. Il marito è morto all’improvviso cinque anni prima e l’ha lasciata senza reddito.

    Carmela non ha più diritto a quella modesta somma perché la programmazione del Comune, collegata alla normativa quadro che ha riorganizzato le leggi in materia sociale e sociosanitaria, non ha tenuto conto della sua situazione. Non ne ha tenuto conto per disattenzione e incapacità degli uffici, non per scelta politica. Anche per questo Carmela, nonostante sia abituata alle mancanze istituzionali, è particolarmente arrabbiata.

    Parliamo a lungo. Pian piano dalla rabbia passiamo a un racconto più completo e razionale. Cerco di capire. Soprattutto come Carmela sia riuscita a vivere con un contributo di 350 euro. Apprendo così che ai 350 euro mensili si sommavano 200 euro guadagnati dalla figlia più grande facendo la commessa in un negozio di abbigliamento (sì la cifra è questa: 200 euro al mese, chiaramente in nero!). Inoltre, Carmela un lavoro se lo è creato: accompagna a pagamento otto bambini a scuola al mattino e li riporta a casa al termine delle lezioni (in diversi comuni della provincia di Napoli, ma anche nel capoluogo, sono molti i servizi privati che suppliscono alla carenza di trasporto pubblico). Ma la sorpresa più grande arriva quando mi racconta che il mezzo di trasporto è una Fiat Panda. Poi, in un eccesso di confidenza, forse dovuto alla sorpresa di sentirsi così a lungo ascoltata – e dunque rispettata – da un assessore, mi confida: «Sa assessò, quest’anno il tagliando dell’assicurazione lo ha disegnato mio figlio. Lo so che non va bene, ma non avevo proprio i soldi per pagare».

    Dopo quasi due ore, ci salutiamo e le assicuro che la richiamerò dopo aver esplorato la possibilità di interventi alternativi al contributo che le era stato tolto. Attraverso i servizi sociali del Comune mi informo sulla storia di Carmela e sulla sua situazione attuale. Tutto viene sostanzialmente confermato con una preoccupazione aggiuntiva: i due figli più piccoli (che frequentano rispettivamente la prima e la terza media) da qualche tempo sono sempre assenti, partecipano poco e con pessimi risultati alle lezioni: insomma sono a fortissimo rischio di dispersione.

    Con i servizi definiamo un programma di sostegno familiare da proporre a Carmela. Se la donna si impegna a seguire il percorso scolastico dei due figli e a regolarizzare la sua attività di trasporto, il Comune verserà l’anticipo necessario all’acquisto di un pulmino da dieci posti e provvederà a pagare l’assicurazione utilizzando in un’unica tranche un contributo di contrasto alla povertà estrema, generalmente corrisposto a rate mensili, per un massimo di diciotto mesi. Inoltre il Comune garantirà l’inserimento dei figli iscritti alla scuola media in attività pomeridiane di sostegno scolastico e a carattere socioricreativo, realizzate in integrazione con il privato sociale.

    Carmela accetta. Prepariamo il programma specificando tempi, attività previste, reciproci impegni e investimenti necessari. Alla fine entrambe le parti lo sottoscrivono come una sorta di contratto sociale. I servizi, infine, individuano una tutor che seguirà e sosterrà Carmela nei diversi passaggi.

    Oggi Carmela ha un’attività in regola che le permette di vivere. Averla regolarizzata le consente di svolgere altri trasporti oltre a quello scolastico, venendo incontro a una domanda non soddisfatta dal servizio pubblico di mobilità. Rimane il problema della disoccupazione del figlio più grande e del lavoro in nero della figlia (che nel frattempo si è sposata). I due più piccoli, invece, studiano alle superiori.

    Abbiamo voluto iniziare con la storia di Carmela non solo perché porta con sé un intreccio di aspetti che spesso caratterizzano le vite di povertà a Napoli e provincia (la multidimensionalità della povertà, l’inadeguatezza delle istituzioni e del sistema di welfare, il continuo intreccio tra le aree della legalità, del sommerso e dell’illegalità), ma anche perché è urgente nelle analisi di settore, come nel dibattito pubblico, rimettere al centro le persone e non i problemi che esse si trovano ad affrontare.

    Infatti, in questi ultimi anni l’Italia ha vissuto un pesante arretramento culturale sul terreno dei diritti che tra i primi effetti ha determinato anche un vero e proprio ribaltamento di paradigma: per la politica e per i decisori pubblici il problema principale non è stato più quello della riduzione della povertà, ma quello di «come trattare» i poveri. Un processo che ha via via colpevolizzato le persone povere quasi fossero esse stesse le principali responsabili della loro situazione. «Mentre, sotto la spinta di una crisi economica strutturale, l’emarginazione cresce, la guerra alla povertà – che ha caratterizzato lo Stato sociale – lascia il posto alla guerra ai poveri, colpevoli di voler sopravvivere, di cercare un euro a un incrocio, di dormire sotto i ponti, di turbare il decoro urbano, di vivere in baracche e, per questo, destinati a essere spinti altrove, non importa dove ma in un lontano invisibile. Così nella storia sono nati, tra l’altro, il carcere e il manicomio»¹. Un meccanismo, cinico e astioso, alimentato da una sorta di negazione delle persone che sono state ridotte in una sorta di subcategorie e così private anche della loro stessa umanità. In altre parole, i responsabili politici, incapaci o troppo pavidi per farsi carico della scomodità e multiproblematicità dei fenomeni sociali complessi, hanno preferito proporre approcci semplicistici, basati su ottiche di contenimento o securitarie. In questo sostenuti da una narrazione dominante – nei media come nel dibattito pubblico – che spesso privilegia estremizzare fatti e comportamenti devianti piuttosto che raccontare le persone nella loro complessità.

    «C’è, nelle società contemporanee, una costante. Il rifiuto degli ultimi: i lavavetri, i matti, i tossici, i migranti (quelli poveri, naturalmente), i mendicanti, i posteggiatori abusivi, le guide improvvisate, gli ambulanti senza licenza, gli inventori di mestieri, i benzinai improvvisati della domenica, i (pochi) residui lustrascarpe, i venditori di fiori o di fazzoletti, gli ombrellai dei giorni di pioggia, gli zingari, i barboni, i giocolieri, i questuanti, gli oziosi, i vagabondi, i punkabbestia coi loro cani, i vecchi che frugano nelle pattumiere vicino ai supermercati e via elencando potenzialmente all’infinito. A infastidire la società sana

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