Segni dei Tempi - J. Krishnamurti e l'opera sua
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Anteprima del libro
Segni dei Tempi - J. Krishnamurti e l'opera sua - Pietro Savini
Angelis
PARTE PRIMA - L'OPERA DI J. KRISHNAMURTI A LA LUCE DELLA DOTTRINA CRISTIANA
Se alcuno vi dice: Il Cristo eccolo qui, eccolo là
, non lo credete; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno gran segni e prodigi, da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti. Ecco, ve l'hò predetto. Se, dunque, vi dicono: Eccolo, è nel deserto
, non vi andate; eccolo, è nelle stanze interne
, non lo credete, perché, come il lampo esce da levante, e si vede fino a ponente, cosi sarà la venuta del Figliuol dell'uomo. Dovunque sarà il carname, quivi si raduneranno le aquile.
(Dal Vangelo secondo Matteo, XXIV, 23 • 28).
Fratelli e sorelle in Cristo!
Come ci attestano i fatti singoli che sono segnati nella società umana — fatti che sono sempre la ripercussione di avvenimenti spirituali —, ogni qual volta l'umanità terrestre deve fare un gran passo in avanti nel cammino della civiltà — e quando si dice civiltà
, si deve intendere, necessariamente, elevazione a i più alti ideali della vita
, e non già quelle aberrazioni che segnano un regresso spirituale —, la Provvidenza suscita un'anima elettissima, a mostrare, nella luce del Vero, la via che il gregge errante deve seguire.
Questa divina Economia si rivelò, luminosamente, non solo nelle epoche passate, da i tempi di Adamo, a quelli di Francesco di Assisi, ma, come ci fa fede l' Apocalisse di Giovanni, essa, di certo, continuerà a rivelarsi anche nelle età future, quando .- a la pienezza dei tempi — i limiti di depressione
verranno a rivelare le fasi di apparizione dei suoi segni
più manifesti. I luminari saliranno, allora, dal fondo, e più splenderanno dove i tempi e i luoghi saranno più oscuri: ma si presenteranno in su l'alba, e non mai a i tramonti.
Ma ecco che, nell'ora presente, mentre l'Europa oscilla tra tendenze diverse, in cui agonizzano le vecchie ideologie, e una nuova realtà sta per infrangere la caligine del passato, un'altra voce dell'odierna "generazione
« dell'inquietudine" ci viene. E' una voce, però, questa, che non ci giunge da l'Italia, ma da l'India : da la terra, cioè, ove l'umanità ha avuto la sua culla. E' la voce di J. Krishnamurti. Il suo, è un messaggio di umanità, che cerca gli elementi di questa inquietudine, di questo male del secolo — che caratterizza l'umanità della fine del secondo millennio, di questo vertiginoso momento di grandi maturazioni —, non per semplice diletto psicologico o sociologico, ma per rinvenire una via d'uscita, una via per spegnete quei tizzi ardenti che covano nella foresta del mondo.
Non è, il suo, un linguaggio affatto simile a quello dei pedanti megalomani, o a quello degli avventurieri delle imprese assurde, che rasentano il -vaniloquio, ma esso è alto e sereno, almeno in apparenza. Egli non parla in nome di un umanesimo astratto, ma di quel senso reale che rifiuta le utopie, dandosi perciò cura di scandagliare la torbida anima che si torce sotto le manifestazioni complesse della crisi
, con la trepida passione e la luminosa speranza d'uno che vuol essere di aiuto a i fratelli nell'ora di smarrimento collettivo; e si fa strada, fra i problemi più intricati, con il lume d'un insegnamento che egli riceve, per lo più, da le forze che lo guidano, di maniera che il suo messaggio di umanità — e ciò potrebbe sembrare un paradosso, mentre, in realtà, non lo è affatto —, non volendo egli esplicitamente recare una precisa dottrina, non viene perciò a rispecchiare nè un determinato sistema filosofico, nè, tanto meno, un preciso principio di causalità, quale che esso si sia. Non per questo, però, dovrà ascriversi al messaggio krishnamurtiano, necessariamente, un carattere di originalità assoluta : esso presenta, viceversa, non pochi punti di contatto con una dottrina, cioè, con una sola dottrina : e questa, senza dubbio, è la dottrina cristiana.
L' umanità attuale, che, presa nella sua stragrande maggioranza, deforma tutti i sentimenti, manca dello Spirito per poter intendere l'intimo significato di quella voce. Se in quest'ora torbida imperversano le direttive politiche egoistiche, e le manovre indecifrabili
o oscure, bisogna guardare oltre questo diaframma opaco: guardare i silenziosi, quelle categorie di popolo — di tutti i popoli — che soffrono e tacciono nella comunione invisibile del dolore. Di questa comunione invisibile, di questo fermento di sentimenti e di idee, di queste speranze silenziose — poi che da gran tempo si è lasciato che si accumulassero le ingiustizie —, l'interprete si ricongiunge, sia pure alternativamente, e perciò non sempre in modo perfetto, e anche senza rendersene conto, a la luce di Roma: ma non già a la Roma della Lupa, nè, tanto meno, a la Roma dell'Aquila, ma a quella Roma di cui Dante ebbe a dire che, per essa, lo stesso Cristo è romano: a la Roma, cioè, della Croce.
Quella luce dissolve le ombre, e rompe i reticolati delle menzogne convenzionali, da qualunque parte vengano ad essere diffuse. I problemi mondiali non possono essere visti frammentariamente: essi si consertano. Nel mondo si sente che il sistema delle declamazioni e di certi atteggiamenti mistici — o per tali, almeno, fatti credere — non illude più nessuno. Sono dieci e più anni che la ridicola commedia si ripete, tra banchetti e luminarie, ingoiando centinaia di milioni, che potrebbero essere destinati a opere serie, utili, produttive, nell'interesse delle falangi sterminate di uomini che, sotto tutte le guardature di cielo, soffrono e aspettano.
Mentre tutta l'Europa è addormentata da le stupefacenti utopie demagogiche, singoli esseri, che ripudiano