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La voce nera
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E-book149 pagine2 ore

La voce nera

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Fantasy - romanzo (115 pagine) - Proveniente da un’epoca di faide selvagge e arcani senza nome, una minaccia prende forma nella vita del giovane e inquieto Edgar Allan Poe. Ignaro del destino che lo attende, come risponderà al tremendo richiamo della “Voce Nera”?


Edgar Allan Poe, lo scrittore, il mito. Ma ci fu un tempo, in cui ancora la fama non aveva bussato alla sua porta… un tempo oscuro, dominato da un oscuro richiamo. Attraverso le nebbie di un remoto passato, poteri antichi e minacciosi sortilegi raggiungono Edgar, per intrappolarlo in una ragnatela di morte. In una lunga scia di sangue, sarà la vendetta a segnare il fato del futuro maestro del brivido, cambiando la sua esistenza per sempre.


Gianmaria Ghetta è nato a Trento il 10 aprile 1977. Vive a Rimini dal 2003 dove si occupa di marketing per un’azienda informatica. Ha conseguito la Laurea in Storia Contemporanea presso l’Università di Bologna nel 2002.

Cresciuto in Val di Fassa, tra i maestosi scenari alpini delle Dolomiti, è sempre stato affascinato dalla natura selvaggia e dalla letteratura avventurosa. I classici di Salgari, Verne, Stevenson, Cooper, London, Dumas… lo hanno aiutato a scoprire anche la letteratura fantastica, facendolo innamorare di autori come Tolkien, Howard, Burroughs, Lovecraft, Eddings, Leiber, Gemmell, Moorcock. Sposato e padre di due figli, tra gli altri interessi, oltre alla lettura e scrittura, annovera l’escursionismo alpino, i boardgame/wargame, il cinema (soprattutto western) e la storia militare, di cui è appassionato cultore.

Per la collana Heroic Fantasy Italia di Delos Digital ha pubblicato il romanzo breve L’eredità (2020) e per l’editore Letterelettriche il racconto L’aquila e la pietra, inserito nell’antologia Sword & Sorcery Sui mari d’acciaio (2020).

LinguaItaliano
Data di uscita16 giu 2020
ISBN9788825412550
La voce nera

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    Anteprima del libro

    La voce nera - Gianmaria Ghetta

    9788825411126

    A Brunella, faro e porto sicuro in tutte le mie avventure, siano esse ambientate nella concreta realtà di ogni giorno o scaturite dall’etereo reame della mia fantasia.

    Prefazione dell’autore – La Voce Nera

    Edgar Allan Poe è un personaggio che ha bisogno di poche presentazioni, essendo ben noto ai lettori di tutto il mondo grazie a una fama che lo ha reso icona letteraria e poetica. Dal momento della sua prematura morte, avvenuta a Baltimora nell’ottobre del 1849, le sue opere hanno conosciuto una crescente diffusione, contribuendo a diffondere il mito di questo scrittore maledetto. Il XX secolo non ha posto freni a questa celebrità, perpetuando anzi il mito dell’autore bostoniano, grazie al fiume di cortometraggi, film e sceneggiati televisivi che hanno trasposto su schermo le sue opere più o meno note. Dalla penna di Poe sono scaturite storie di ogni genere, dall’orrore al poliziesco, dal giallo all’avventura, dalla fantascienza alla satira, senza tralasciare scritti umoristici, saggi e componimenti poetici. Le opere che però hanno reso Poe un gigante della letteratura sono quelle attinenti alla sfera del macabro, della paura, del mistero; ecco perché, quando Alessandro Iascy, curatore della collana Heroic Fantasy Italia di Delos Digital, mi ha proposto di scrivere un romanzo breve incentrato su Edgar Allan Poe in un'inedita veste medievale, non ho avuto alcuna remora ad accettare. La semplice idea di prendere il maestro del brivido e catapultarlo nelle tenebre di un Medioevo selvaggio si è rivelata irresistibile fin dal primo istante. Eppure, motivato da una decisa antipatia verso quella tendenza tipicamente post-illuminista volta a dipingere l’età medievale con le tinte della negatività a tutti i costi, ho sentito il bisogno di collocare l’avventura di Poe in un contesto realmente caratterizzato da una vita dura e selvaggia. Volevo che il mio personaggio si muovesse non in un Medioevo reso ad arte violento e crudele, bensì in un mondo davvero contraddistinto da lotte cruente e senza tregua, governato dalla legge del taglione. Da qui, la scelta dell’Irlanda del XIII secolo, una terra segnata dal sangue di interminabili faide spietate, contesa in lotte feroci dalla costellazione di clan perennemente in lotta tra loro, da tempo convertiti alle leggi del cristianesimo ma ancora impregnati dello spirito furioso dei propri antenati gaelici. In questo mondo di guerrieri cupi, forgiati nel fuoco di mille guerre fratricide, ho deciso di precipitare il povero Edgar, dimostrandogli forse ancor meno pietà di quella esibita dai personaggi che popolano questa storia di violenza… e stregoneria. Stregoneria, perché, mi piace pensare, lo stesso Poe non mi avrebbe perdonato se lo avessi reso protagonista di una storia priva di quegli elementi orrifici e soprannaturali che lui tanto amava inserire nelle sue splendide narrazioni. Chi avrà la pazienza e la curiosità per avventurarsi nelle pagine che seguono, troverà così acciaio affilato e combattimenti all’arma bianca, ma anche quella robusta dose di arcani e mostruosità che da sempre caratterizzano le avventure dell’heroic fantasy. Quanto alle circostanze capaci di portare il nostro improbabile eroe alle prese con simili pericoli, nulla intendo svelare qui, non per dispetto, ma solo per amore verso il lettore, che mi auguro troverà maggiore soddisfazione nello scoprire l’intreccio senza inutili anticipazioni. In conclusione, non mi vergogno di dire che far rivivere in queste pagine la grande figura di Edgar Allan Poe è stata fonte per il sottoscritto di grandissimo divertimento, oltre che di una robusta dose di sana emozione. Credo che poche cose, per uno scrittore, possano essere soddisfacenti come stringere tra le dita la figura di chi, da lettori, ha saputo regalarci momenti di pura gioia, autentica emozione, vero timore. Il mio ringraziamento va quindi non solo ad Alessandro Iascy e all'editore Delos, che mi hanno consegnato con fiducia le chiavi di questa avventura, ma soprattutto a chi ha saputo ispirarmi, attraverso le nebbie del tempo, per renderla viva e fremente sulla carta. Grazie Edgar! A voi tutti, amici lettori, buon viaggio con La Voce Nera.

    Gianmaria Ghetta

    Prologo

    – Mostrati, demone! Fatti vedere, o hai paura di affrontarmi a viso aperto?

    Nessun suono giunse in risposta, o almeno l’uomo non fu in grado di udirlo. Il violento crepitare delle fiamme sovrastava ogni cosa, intervallato dai sinistri scricchiolii delle travi di legno che lentamente cedevano, consumate dalle lingue di fuoco rossastro. Si guardò intorno, cercando di non cedere alla disperazione che gli cresceva nell’animo, ma neppure la vista poté giungergli in aiuto: la furia dell’incendio aveva avvolto la grande sala con una densa cappa di fumo nero, oscurando ogni cosa e minacciando da un momento all’altro di soffocarlo nella caligine. Tossendo, si stropicciò gli occhi arrossati e lacrimanti, sforzandosi di scorgere alcunché oltre il muro grigio che lo circondava. Riuscì soltanto a intravedere confusamente le sagome scure che giacevano rattrappite e scomposte sull’assito di abete del pavimento; dei valorosi guerrieri che avevano composto la sua scorta ora non rimanevano che poveri resti insanguinati, ridotti a orrende parodie dei possenti uomini che erano stati.

    Barcollò, indebolito dalle numerose ferite. Il sangue fluiva lentamente, inzuppandogli la tunica, squarciata in più punti, e dalla tempia lacerata gocciolava pigramente sulla barba. Se solo avesse indossato l’elmo e la cotta… ma del resto quello avrebbe dovuto essere un giorno di pace…

    – Mostro! – urlò con rabbia, agitando di fronte a sé la lunga spada. – Vieni fuori e combatti, se hai coraggio! Vieni ad assaggiare il morso della mia lama! – Vibrò un poderoso fendente, senza esito. Il metallo affilato non tagliò altro che fuliggine.

    Poi, un’ombra nera si mosse fulminea alla sua sinistra.

    Eccolo!

    La claidheamh saettò, disegnando nell’aria un lampo d’acciaio. La macchia oscura si mosse di nuovo, questa volta alla sua destra.

    Ora!

    La punta dell’arma scattò velenosa come una serpe nascosta nell’erica, ma ancora una volta incontrò il vuoto. Ritrasse di scatto il braccio, con rabbia, mentre una silenziosa bestemmia prendeva forma tra i denti, frenata solo dal suo innato timor di Dio. Di fronte a lui un sibilo emerse dalle fiamme, facendolo rabbrividire nonostante il calore sprigionato dal colossale rogo. Il suono assomigliava vagamente a quello di una vipera gigantesca, ma di certo nessun rettile capace di emettere un verso simile aveva mai trascinato il suo ventre squamoso sulla terra. No, la creatura che si annidava in quell’inferno non era stata generata dalla mano creatrice dell’Onnipotente, bensì partorita dalla malvagità delle tenebre più oscure, dove legioni abiette di esseri abominevoli proliferavano nel buio, nutrendosi per l’eternità di un odio mortale per l’uomo e per ogni cosa buona e sacra. Quel pensiero scatenò in lui un’ondata irrefrenabile di collera e un senso di ribellione al fato crudele che pareva essere stato approntato per lui dai nemici.

    Non morirò qui! No, non così e non oggi!

    Quasi fosse stata in grado di leggergli nella mente, la cosa si scagliò su di lui, sbucando da una direzione imprevista. Un braccio dinoccolato e ricoperto di scaglie cornee giallastre si avventò, e artigli affilati come pugnali mancarono di una spanna la gola esposta. L’uomo lanciò un grido feroce e si tuffò di lato, spingendo la claidheamh con tutta la forza della spalla. Come sempre, il metallo fendette l’aria ma poi si arrestò improvvisamente contro qualcosa di solido, mentre un forte contraccolpo percorreva la lama, fino ad attraversargli dolorosamente i muscoli contratti per la tensione e la fatica.

    – Questa volta sei mio! – urlò con un ruggito di selvaggio trionfo. Il sibilo si alzò verso il soffitto che avvampava, risuonando questa volta di una nota di sofferenza inumana. Il guerriero strinse spasmodicamente l’elsa della spada e la tirò verso di sé, trascinando l’essere misterioso al di qua della cortina di fumo, in piena vista. L’aberrante corpo, metà umano e metà rettile, si rivelò allo sguardo orripilato dell’uomo in tutta la sua empietà. Massa contorta di squame e artigli, occhi alieni pregni di una malvagità ancestrale, zanne stillanti bava venefica; tutto, in quella creatura che si contorceva dolorosamente intorno alla lama infissa nelle sue viscere, testimoniava lo sfrenato odio che i nemici covavano per lui. La portata di quella constatazione lo stordì per un istante: quale folle brama di astio e vendetta poteva aver spinto degli uomini a evocare in questo mondo una simile mostruosità? L’essere si divincolò improvvisamente, approfittando di quella fugace esitazione. Con uno scarto laterale strappò via la spada ma quell’estremo tentativo segnò la sua fine. Nel brusco movimento la lama si aprì infatti un varco attraverso il fianco, provocando uno squarcio orrendo, dal quale si riversarono in una massa putrida il sangue fetido e gli organi interni. Il guerriero arretrò, inorridito, fissando con occhi sbarrati il mostro che si dibatteva ai suoi piedi in preda agli spasmi. Scosse il braccio, liberando la lama dal liquido scuro e maleodorante.

    – Muori ora, demonio – esclamò sprezzante, sputando sul corpo ormai senza vita – e quando sarai tornato nell’abisso da cui provieni, dì pure che è stato Magrath, figlio di Tighearnán, a rispedirti laggiù!

    Una delle travi portanti si staccò dal tetto in quel momento, precipitando a terra con un boato fragoroso che sollevò una nuvola di scintille. L’intero edificio poteva crollare a ogni istante. Era tempo di andare. Tergendosi la fronte dal sudore che gli ruscellava sul viso e sulla barba, rinfoderò la spada con un gesto misurato.

    Ma cosa…

    Sussultò, e un dolore lancinante gli attraversò il cervello. Tentò inutilmente di respirare, mentre un velo opaco calava rapido a oscurare i suoi occhi. Prima che la vista lo abbandonasse, riuscì ad abbassare il capo, guardando stupito l’acuminata punta d’acciaio che gli spuntava di un piede dal petto. Con i sensi già ottenebrati, udì una voce odiosa sussurrargli all’orecchio.

    – Sei stato bravo, Magrath, devo ammetterlo. Ma la tua strada finisce qui.

    – Dom… Dom…nall… – balbettò stupito il guerriero morente, le parole già impastate dal sangue e dalla tragica consapevolezza della fine imminente.

    – Credevi che me ne fossi andato, lasciando il mostro a finire il lavoro da beccaio? No, amico mio. Le creature del vecchio Rúadhán eseguono sempre il loro incarico, ma in certi casi è meglio verificarne gli esiti di persona.

    Con un gesto brusco ritrasse la spada, lasciando crollare il corpo esanime. Arretrò di un passo, schermandosi il viso con la mano per proteggerlo dal calore ormai insopportabile.

    – Addio, Magrath. Brucia ora, sapendo che con la tua

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