Le Trachinie
Di Sofocle
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Sofocle, figlio di Sofilo, del demo di Colono (in greco antico: Σοφοκλῆς, Sophoklês; 496 a.C. – Atene, 406 a.C.) è stato un drammaturgo greco antico.
Traduzione a cura di Ettore Romagnoli.
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Le Trachinie - Sofocle
Personaggi
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PERSONAGGI:
DEIANIRA
ANCELLA
ILLO
Un VECCHIO POPOLANO
LICA
NUTRICE
VECCHIO
ERCOLE
CORO di fanciulle trachinie
La scena si svolge a Trachíne, in Tessaglia, dinanzi al palazzo di Ceice,
dove abita Ercole.
DEIANIRA:
V'è fra gli uomini un detto antico molto,
che di nessuno tu potrai la vita
conoscer mai, se fu felice o trista,
prima che muoia. La mia vita, invece,
pria di scendere all'Ade, io so quant'è
misera e trista. Quando ancor vivevo
presso mio padre in Plëuróne, acerba
per me l'attesa delle nozze fu
piú che per ogni Etola donna: un fiume
mi voleva sua sposa, l'Achelòo,
che tre forme assumea, quando a mio padre
mi richiedeva: ora di tauro schietto,
ora di drago flèssile guizzante,
ora bove nel viso, uomo nel corpo,
e dalla barba sua folta, ruscelli
d'acqua sorgiva scaturiano: questo
era lo sposo che attendevo, misera;
e ognor la morte m'auguravo, prima
d'accostarmi al suo letto. E giunse poi,
e ben lieta ne fui, d'Alcmena e Giove
il figliuolo famoso, e a lotta venne
con quello, e me libera fece. E come
la lotta andasse, io dir non vi potrei,
ché non lo so; ma chi senza terrore
assistere poté, vedere, quegli
dir lo potrebbe. Io me ne stavo invece
percossa dal terror che la bellezza
mia, qualche cruccio infliggermi potesse.
Giove custode degli agoni, a quello
concesse fausto fin: se pure fausto:
ché, poi che ascesi d'Ercole nel talamo
invidïato, nel mio cuore nutro
terrori, un dopo l'altro, e per lui trepido
sempre; e una notte accoglie ed una scaccia,
con alterna vicenda, il mio travaglio.
E figli n'ebbi; ma li vide ei poco,
quasi bifolco che un remoto campo
abbia comprato, e solo quando semina
lo vede e quando miete, e non mai piú.
Ciò voleva il Destino: appena in casa,
via fuor di casa m'adducea lo sposo,
a servigio d'altrui. Da queste imprese
uscito è adesso; ed è piú grande adesso
il mio terrore. Che, da quando uccise
Ifito forte, noi viviamo qui
in Trachíne, fuggiaschi, ospiti in casa
d'un amico; e nessuno ov'egli sia
può dire. Io questo so, che amari crucci
per la sua sorte in cuore mi gittò,
e se n'andò. Ma quasi certa io sono
che qualche male còlto l'ha: ché il tempo
breve non è, ma dieci mesi e cinque
da che messaggi non mandò: lo colse
certo qualche malanno orrido: tale
lo scritto fu che m'inviò lasciandomi.
Deh, ricevuto per la mia sciagura
non l'abbia! Ai Numi ognor prece ne volgo.
(Dalla casa esce un'ancella)
ANCELLA:
Deianira, signora, io ben sovente
pianger ti vidi tutte le tue lagrime,
gemer, crucciarti, per l'assenza d'Ercole.
Or, se concesso è d'ammonire i liberi
coi consigli dei savî, io debbo dirti
quello ch'io penso. Come? Hai tanti figli,
e nessuno ne mandi alla ricerca
del tuo consorte? Illo non mandi, a cui
piú che ad