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Oreste
Oreste
Oreste
E-book92 pagine50 minuti

Oreste

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La vicenda narrata da Euripide è una delle più note della mitologia greca: Oreste, per vendicare la morte del padre Agamennone, uccide la madre Clitemnestra e il suo amante Egisto. Dopo il terrribile delitto Oreste è perseguitato dalle Erinni, che lo portano alla pazzia: la follia deriva dal pensiero ossessivo del crimine ma anche dalla paura della pena che gli sarà comminata: la condanna a morte.
Traduzione di Ettore Romagnoli.

​​​​​​​Edizione integrale dotata di indice navigabile.
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2018
ISBN9788829545377
Oreste

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    Oreste - Euripide

    ORESTE

    Euripide

    Traduzione dal Greco di Ettore Romagnoli

    Prima edizione 2018

    © Sinapsi Editore

    PERSONAGGI:

    Oreste

    Elèttra

    Elena

    Menelào

    Tíndaro

    Pílade

    Ermióne

    Apollo

    Araldo

    Schiavo frigio

    Coro di donne argive

    L'azione si svolge dinanzi alla reggia d'Argo.

    Elèttra:

      Niuna parola v'è tanto terribile,

      nessuna traversía, nessuna doglia

      suscitata dai Numi, onde non debba

      reggere il peso la natura umana.

      Tantalo infatti, il fortunato - oltraggio

      non faccio al suo tristo destino - il figlio,

      come dicon, di Giove, in aria sta

      sempre sospeso, e temer deve il sasso

      che gli pende sul capo, e questa pena

      sconta, dicon, perché della celeste

      mensa, ei mortale, ebbe l'onore, e freno

      alla lingua non pose: vizio turpe

      quanto altro mai. Costui generò Pèlope,

      e da Pèlope Atreo nacque, per cui

      la Parca, quando gli tessea lo stame,

      la discordia filò, ché con Tieste

      venisse a lotta, col fratello suo.

      Ma che vo' questi orrori enumerando?

      Gli uccise i figli, e a banchettare Atrèo

      l'invitò. Poi d'Atrèo - quanto seguí

      non dico - nacque il celebre Agamènnone,

      se celebre esso è pur, Menelào nacque:

    èrope la cretese a lor fu madre.

      E Menelào sposò la donna, invisa

      ai Numi, Elena; e il principe Agamènnone,

      di Clitemnèstra il talamo, famoso

      fra gli Ellèni, salí: qui tre fanciulle,

    Ifigenía, Crisòtemi, ed Elèttra,

      che sono io stessa, ed un fanciullo, Oreste,

      nacquero a lui da quella sposa empissima,

      che nei lacci di rete inestricabile

      poi lo cinse e l'uccise; e per qual causa,

      dire a fanciulla non conviene: oscuro

      lascio tal punto, ad altri che l'indaghino.

      Or, d'ingiustizia incriminare Febo

      lecito è forse? A uccidere la madre

      onde pur nacque, Oreste egli convinse:

    opra a cui tutti dar lode non possono.

      Pure al Nume ubbidí, morte le inflisse.

      Ed io partecipai, quanto una donna

    potea, la strage; e Pílade con noi

      compié lo scempio. Ma dal morbo oppresso

      Oreste ora è, consunto; e sopra il letto

      piombato, giace: e della madre il sangue

      col delirio lo incalza: il nome esprimere

      delle Dive benigne onde atterrato

      fu nella lotta, non ardisco. Il sesto

      giorno questo è, da che la madre spenta

      purificata fu sul fuoco; e cibo

      non passò per le sue fauci, lavacro

      il corpo suo piú non toccò. Ravvolto

      nel suo mantello, allor che tregua ha il male,

      in senno torna, e piange, e dalle coltri

      talor s'avventa, in furïosi giri,

      come puledro libero dal giogo.

      Ed Argo, dove siamo, ha decretato

      che niuno in casa sua, che niuno all'are

      noi matricidi accolga, o ci favelli.

      E il giorno è questo designato, in cui

      Argo dovrà deliberar se spenti

      cader dovremo sotto i sassi, o infiggerci

      di nostra mano l'affilata spada

      dentro la gola. Un'unica speranza

      di non morir ci resta: è giunto in questa

      terra, da Troia, Menelào: nel porto

      di Nauplia venne la sua flotta, approdo

      fece a quei lidi, dopo un lungo errare

      per i flutti del mare. E mandò Elena

      calamitosa, in casa nostra, l'ore

      della notte cogliendo, affinché i figli

      di quei che cadder sotto Ilio, vedendola

      per via di giorno, non la lapidassero.

      Ed in casa ora ella è, che la sorella

      e la sciagura della stirpe lagrima.

      Eppur, qualche sollievo ha dei suoi mali,

      ché la fanciulla che lasciò, quand'ella

      a Troia s'involò, che Menelào

      da Sparta ad Argo addusse, e l'affidò,

      per educarla, alla mia madre, Ermíone,

      l'ha qui trovata, e se ne allegra, e i mali

      pone in oblio. Verso ogni strada or guardo,

      cerco se giunge Menelào: ché deboli

      le nostre forze son troppo, qualora

      ei non ci salvi. Manca ad una casa

      colpita da sciagura, ogni sostegno.

    (Dalla reggia esce Elena)

    ELENA:

      Figlia di Clitemnèstra e d'Agamènnone,

      tu che da tanto sei fanciulla, Elèttra,

      come, o infelice, matricida Oreste

      sciagurato con te divenne? Macchia

      se teco io parlo, non mi tocca, quando

      spetta la colpa a Febo. E intanto, piango

      di Clitemnestra, della suora mia

      la trista sorte: ch'io, dal dí che a Troia

      navigai, come navigai, sospinta

      da celeste follía, piú non la vidi,

      e, privata di lei, piango il suo fato.

    Elèttra:

      Elena, a che dovrei pur dirti quello

      che da te vedi, in che sciagure sono

      d'Agamènnone i figli? Io seggo qui,

      custode insonne a questo morto misero:

      ché morto e già, tanto n'è lieve l'alito:

      non

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