Bruce Springsteen Welcome to Asbury Park: Vedere, vivere e viaggiare nei luoghi di Bruce Springsteen
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Info su questo ebook
Quest’opera ripropone la prima edizione del 2010 ma con l’aggiunta di fotografie a colori. La polvere dei mattoni, il legno del Boardwalk, il cuore della gente di Asbury Park, New Jersey. È questo lo scenario in cui Bruce Springsteen ha mosso i primi passi nel mondo della musica. Grazie a un profondo interesse per le origini del cantante e alla fortuna di poterlo incontrare e seguire nei backstage dei concerti, Stefano Pecoraio ha tracciato la geografia di quei luoghi leggendari, raccontati in una chiave originale, con rispetto e serietà tali da fargli guadagnare la benedizione del Boss in persona. "Welcome to Asbury Park" è un diario di viaggio sulle orme della rockstar, con un reportage inedito dal mitico locale dove tutto ha avuto inizio, l'Upstage, riaperto all'autore in esclusiva dopo trentotto anni.
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Anteprima del libro
Bruce Springsteen Welcome to Asbury Park - Stefano Pecoraio
Bruce springsteen
Welcome to Asbury Park
Vedere, vivere e viaggiare nei luoghi di Bruce Springsteen
Con la partecipazione di:
Vini Lopez
Lisa Lowell
Bob Benjamin
Antonio Rigo
Righetti
Andrea Griminelli
Lee Mrowicki
Lance Larson
Bob Crane
Carrie Potter
Helen Pike
Billy Smith
Willie Nile
Carl Tinker
West
Joe Petillo
Albee Tellone
Graziano Uliani
Antonio e Tita Zirilli
Lorenzo Semprini
© 2016 Shore Media Publishing
Tutti i diritti riservati
Sede Legale:
Via Modenese, 472 51100 Pistoia (PT)
ISBN-13: 9788894179101
Per tutte le immagini contenute nel libro, eccetto ove indicato: © Stefano Pecoraio - Shore Media Publishing, riproduzione vietata.
Immagine di copertina: © Stefano Pecoraio - Shore Media Publishing
Per info:
info@shoremedia.it
Prefazione di Antonio Rigo
Righetti
Scrivere qualcosa su Bruce.. compito ingrato, soprattutto quando ti trovi di fronte ad una delle maggiori influenze della tua vita vera e musicale if you know what i mean...
Forse, pensi, ti può soccorrere Gautier (lo scrittore Teophile, non Jean Paul lo stilista) e il suo Capitan Fracassa, ove lo scrittore analizza il rapporto tra la vita di tutti i giorni e l’arte (in questo caso teatro); per Gautier l’avvicinamento all’oggetto della nostra passione, sia essa musicale, cinematografica, nel suo caso teatrale, nuoce all’idealismo, al concetto che ci siamo fatti, come dire che è meglio non avvicinarsi troppo a ciò che ci piace per non vedere svanire i sogni e avanzare la spesso triste realtà.
Io ho sognato molto con la musica di Bruce come colonna sonora: ho sognato di avere a fianco la mia innamorata e fuggire dal mondo crudele; ho sognato di dover affrontare il mondo del lavoro e uscirne a testa alta; ho sognato (forse centinaia di volte) di condividere lo stesso palco, di suonare come bassista per lui. Poi, proprio in uno dei luoghi per elezione springsteeniano mi sono trovato a stringere la mano allo stesso Bruce (dopo un benefit allo Stone Pony nel 2000), e ho trovato la smentita alla teoria di Gautier: Bruce è un musicista prima che una rockstar, una definizione semplice ma che gli appartiene.
Ora andate a riguardare i titoli di coda di un qualsiasi suo dvd live: il suo nome appare tra quello dei musicisti della E Street Band, non sopra, non prima, ma in mezzo a quello degli altri componenti del gruppo, forse, proprio come vorrebbe la sua timidezza. Sì, perché quello che si percepisce è la riservatezza del nostro, quella sua origine proletaria e sfigata del New Jersey che lo rende, a noi emiliani di provincia, ancora più vicino. Credo si sia sempre sentito attratto dalla Big Apple ma non ci si sia mai sentito a casa.. Quel New Jersey così simile alla nostra provincia, senza davvero nulla da ricordare se non la definizione di Garden State
, quelle lunghe autostrade che portano verso il wasteland americano, fuori da quella New York che è la meno americana delle città, dentro a un paese che ha trovato la sua identità nei marchi della Coca Cola e di McDonald piuttosto che attraverso la sua costituzione. Quell’essere americano per sottrazione piuttosto che per addizione, quel vendersi al mondo come paladino di libertà, un sogno fragile di un gigante dai piedi d’argilla che però si è fatto grande attraverso la sua controcultura. Quell’amore per la propria patria che ovunque suona come retorico ti viene fatto digerire perché filtrato attraverso una Telecaster e un afflato di comprensione e tolleranza.
Non ho visitato molti posti storici
per il popolo springsteeniano ma ho sentito a sufficienza la musica e mi sono interrogato a lungo su quei misteriosi riferimenti ai luoghi del New Jersey (quanto veri? Quanto immaginari? Quanti sono solo degli sfondi davanti ai quali gli antieroi di Bruce passano sapendo che stanno recitando una parte?). Bruce con una manciata di parole e qualche accordo è diventato il cantore dell’America senza la K
, quella che è riuscita a far sognare il mondo anche nell’anno dell’elezione di Obama, quella che sembra sempre capace di risollevarsi, quella che paga il giusto tributo ai grandi che l’hanno caratterizzata. Bruce che è sempre stato capace di omaggiare i suoi miti, da Elvis Presley a Woody Guthrie, fino a Pete Seeger e Hank Williams. Bruce, che è stato capace di passare un ideale testimone alle giovani generazioni, spiegando loro che la speranza di farcela con le proprie forze è ancora viva, che ognuno deve essere il proprio eroe, che i sogni vanno inseguiti proprio come in Follow That Dream.
Il primo concerto (di una lunga serie) che ho visto di Bruce (come lo chiamano i suoi conterranei del New Jersey) è stato a Zurigo, all’Hallenstadion, nell’aprile del 1981. In Svizzera, uno dei luoghi meno springsteeniani che esistano sulla terra. Amo ricordare (ma molto di quello che segue è romanzato N.d.A.) che sono entrato che avevo 16 anni e sono uscito armato di basette e stivali punta quadra, pronto a diffondere ai quattro venti il verbo del R’n’R più puro. Un concerto che ricordo in bianco e nero, con la E Street Band ancora al gran completo, Little Steven conosciuto come Miami Steve, magro e segaligno, e Big Man come una statua del Rhythm’n’Blues. La partenza affidata a Factory e il finale a John Fogerty con Rocking all Over the World.. E i sogni che diventano realtà. Da allora, tanti New Jersey Turnpike all’italiana, tanti tour e tante date dopo, il mio sogno è intatto. Bruce è ancora un esempio vivente, una living proof, come direbbe lui, del fatto che si può fare questo mestiere rimanendo fedeli ai propri ideali e ai propri idoli. Su questo potreste anche scommetterci: trovate qualcuno che non ha mai visto Bruce dal vivo, magari anche un poco prevenuto e convincetelo a seguirvi in una data live di Bruce, promettendogli di restituirgli i soldi del concerto se non dovesse piacergli. Nella quasi totalità dei casi verreste giudicati come attendibili intenditori.
A posteriori devo riconoscere che gli anni della mia cosiddetta formazione sono stati particolarmente intensi e fortunati dal punto di vista dell’etica e dell’estetica, al momento rivitalizzate dall’esplosione del punk. Circa un anno prima del live di Zurigo, nel giugno del 1980, grazie a mio fratello, ero in Piazza Maggiore a Bologna ad assistere al concerto dei Clash, il London Calling Tour, che quell’anno venne omaggiato dalla presenza di Bruce sul palco. Un cerchio che si chiude e due album doppi leggendari: Bruce infatti pubblica The River, mettendo ordine nella sua personale collezione di dischi e influenze, da Elvis - una scelta poco cool essendo il Re morto da pochi anni - a Hank Williams, il vero Omero del country, ancora misconosciuto, passando per il blue collar ante litteram dei Creedence Clearwater Revival di John Fogerty, fino al sound garage sixties esemplificato da Sherry Darling. E’ allora che i luoghi tipici di Bruce cominciano a divenire un fondale davanti al quale il nostro fa sfilare la sua lunga teoria di personaggi, ora liberatisi dall’influenza dylaniana (influenza che tornerà prepotentemente negli anni a venire), personaggi che sembrano proiettati davanti a un chromakey che ricorda i B-movie americani e i Drive-In. Il New Jersey diventa allora un Mondo, un luogo che, per noi italiani, rappresenta una sorta di terra promessa, un leggendario posto in cui tutto è possibile e il R’n’R la fa da padrone. Allora, in un’epoca ancora lontana da internet e Google, sbirciando sullo sfondo delle poche immagini disponibili di Bruce si vedevano villette da american dream deragliato che anticipavano i problemi del welfare state farlocco, il New Jersey assurgeva a metafora dell’America antieroica, quasi un’ameroica
se mi passate il termine, ove la disoccupazione e i problemi economici della gente diventano un’epidemia, e la decadenza di Atlantic City racconta il fallimento dell’idea di essere americano, almeno fino al giro di boa rappresentato da Obama.
Quasi trent’anni fa mi immaginavo il New Jersey come un luogo del tutto diverso dal reale, influenzato da alcuni confusi approfondimenti, un luogo di club e musica. Anni dopo capii quanto mi ero sbagliato uscendo dall'Holland Tunnel, quando mi sono accorto di quanto il Garden State
assomigliasse alla suburbia modenese, quelle zone cuscinetto tra campagna e città modeste come le nostre, ove la natura pianeggiante del terreno influenza direttamente la vita dell’uomo.
Più che una delusione ciò che provai allora fu un senso di conferma rispetto al nostro eroe, con quella sua capacità di raccontare e rendere mitico un luogo come quello. In fondo c’è un New Jersey ovunque, a Bombay come a Mexico City come in campagna da noi...
Rigo
Introduzione di Andrea Griminelli
Inizio volentieri con questa frase che Bruce mi disse quando cominciò la nostra bella amicizia, diversi anni fa: Gli italiani sono i miei migliori fans
.
Ricordo che ero in vacanza in barca con Sting a quel tempo, a Capri e alle isole Eolie, e Sting invitò Bruce ad unirsi a noi. Era il luglio del 1994. Stavamo navigando intorno a Stromboli, vicino alla costa ed avevamo già compiuto alcuni giri intorno all’isola quando le note presenze a bordo vennero viste dalla riva. Quello che all’inizio era un lontano puntino nero in movimento si trasformò ben presto nelle sembianze di un giovane ragazzo che, dopo essersela fatta tutta a nuoto sino a raggiungere la barca, implorava dall’acqua l’attenzione di Bruce, chiedendo un autografo. Bruce aiutò questo impavido fan a salire sulla barca e gli fece l’autografo desiderato, e non riuscì a non chiedere al ragazzo come avrebbe fatto a tornare a riva con il pezzo di carta autografato.
Tengo il braccio alzato, non ti preoccupare, grazie Bruce
e in un attimo era già in acqua, verso la costa, sotto gli occhi increduli miei, di Sting e di Bruce stesso. A quel punto Bruce si diresse dal capitano della barca e chiese di calare il tender per accompagnare il ragazzo a riva, e sentendosi responsabile o quantomeno coinvolto nella faccenda, salì anche lui sul natante. I ragazzi che stavano aspettando il loro intrepido amico a riva lo videro quindi riaccompagnato da Bruce, sotto l’ovazione generale di tutti.
Trovo che Bruce sia una persona straordinaria, un grande amico e anche un grandissimo cantante; non è solo un artista, non è solo un musicista ma è anche un uomo mediatico, ed è una cosa un po’ unica, strana, proprio come il suo carisma. Mi auguro che questo tuo libro abbia successo, piacerà di sicuro anche a Bruce. Come è noto, lui è molto legato ai posti che descrivi nel tuo libro. Ricordo che andai a trovarlo a casa sua tempo fa, e ricordo che tenne particolarmente a mostrarmi quei luoghi. Ci dotammo di Harley Davidson e girammo tra Asbury Park e Freehold, dove, una volta arrivati, proseguimmo a piedi, raggiunti dalla sua famiglia.
Passeggiammo nella sua città natale, e mi mostrò dove aveva vissuto, dove era stato cresciuto, con particolare enfasi per il camion dei vigili del fuoco che regalò alla citta di Freehold, intitolandolo come il suo grande successo Born to Run
; poi finimmo tutti insieme a cena, in un ristorante del posto.
Andrea Griminelli
Capitolo 2
Objects in Mirror are Closer than they Appear
Vidi per la prima volta questa frase alcuni, anzi tanti anni fa. Era stampata sullo specchietto retrovisore di una Harley Davidson, usata per allestire la vetrina del negozio in cui lavoravo a quel tempo. Ricordo che, sebbene acerbo d’inglese, riuscii a tradurla e mi soffermai parecchio sul significato di quelle parole appena lette: Gli oggetti nello specchio sono più vicini di quanto possa sembrare
. Realizzai poi negli anni a venire che non avevo scoperto nulla di nuovo, quella frase era già stata usata da molti per diverse metafore narrative, televisive o cinematografiche. Poco importa, per me queste parole hanno ancora oggi la forma di una bella verità.
Asbury Park mi ha sempre dato la sensazione di essere più vicina di quanto materialmente possa esserlo. Sarà perché sono nato in una terra artisticamente molto fertile, sarà perché nel mio piccolo riesco ad imbracciare una chitarra, sarà perché vivo in luoghi modesti ma ricchi di persone, sentimenti e talento, posso proprio dire che Asbury Park è davvero lo specchio dei miei posti e delle emozioni che questi stessi luoghi mi regalano. La visitai per la prima volta nel dicembre del 2008, di ritorno da un viaggio nella costa ovest degli Stati Uniti. Ritagliai una giornata tra quelle a disposizione per toccare con mano quanto, per circa vent'anni, avevo immaginato, sentito, ascoltato, visto, parlato, vissuto e sognato. Ecco che stavo continuando il paragrafo con Inutile dire che..
Poi ho pensato che così inutile non lo è per nulla. Non è inutile
dire che non sono la cittadina, le sue strutture o l’oceano a farmi avvertire questo posto come una seconda casa; non è inutile
dire che i veri Ties that bind
sono Bruce, la sua musica e la sua vita.
In questo libro non desidero parlare di Bruce Springsteen, la mia competenza su di lui è disegnata su me stesso, sulle mie aspettative e sulle mie emozioni. E deve rimanere tale, deve