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Nel cuore oscuro del sogno hippie: Spie, assassini e rockstar nella Hollywood degli anni '60
Nel cuore oscuro del sogno hippie: Spie, assassini e rockstar nella Hollywood degli anni '60
Nel cuore oscuro del sogno hippie: Spie, assassini e rockstar nella Hollywood degli anni '60
E-book465 pagine6 ore

Nel cuore oscuro del sogno hippie: Spie, assassini e rockstar nella Hollywood degli anni '60

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Info su questo ebook

"Weired scenes inside the Canyon", pubblicato da Headpress, London 2014, entrato in classifica dei libri più venduti dell'anno 2014, 2015 e 2016 in Inghilterra e USA, tradotta per la prima volta in Italia da Federico Farcomeni, esamina le connessioni tra rockstar, guru e hippie con assassini, militari e servizi segreti.

Alla fine degli anni '60 Laurel Canyon, uno dei quartieri più alternativi di Los Angeles, divenne il luogo in cui una parata incredibile di musicisti si riunì per dare vita alla colonna sonora di quei tempi turbolenti.

Membri di band come i Doors, i Beach Boys, gli Eagles, e cantautori come Joni Mitchell, James Taylor e Carole King, vivevano fra le colline di Hollywood.

Ma Laurel Canyon nascondeva un'anima oscura: molti di quegli artisti non sopravvissero e molte morti restano ancora avvolte nel mistero.

Non è un caso che a Laurel Canyon, fosse presente, integrato nel contesto, Charles Manson.

Così come non è un caso che nello stesso contesto gravitassero politici, persone legate all’intelligence ed installazioni militari top secret.

LinguaItaliano
Data di uscita29 lug 2021
ISBN9788869347252
Nel cuore oscuro del sogno hippie: Spie, assassini e rockstar nella Hollywood degli anni '60

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    Anteprima del libro

    Nel cuore oscuro del sogno hippie - David McGowan

    David McGowan

    Nel cuore oscuro del sogno hippie

    Spie, assassini e rockstar nella Hollywood degli anni ‘60

    Traduzione di Federico Farcomeni

    WEIRD SCENES INSIDE THE CANYON

    Laurel Canyon, Covert Ops & The Dark Heart of the Hippie Dream

    First published by Headpress in 2014 – headpress.com

    © Bibliotheka Edizioni

    Piazza Antonio Mancini, 4 – 00196 Roma

    tel: (+39) 06. 4543 2424

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, luglio 2021

    e-Isbn 9788869347252

    Editing: Cesare Paris

    Disegno di copertina: Riccardo Brozzolo

    David McGowan

    David McGowan è nato e cresciuto a Torrance, a pochi chilometri dalle Hollywood Hills. Morto nel 2015, e laureato in Psicologia alla UCLA, è stato sempre un grande appassionato della cultura pop fra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70.

    Oltre ad aver pubblicato Nel cuore oscuro del sogno hippie, è stato autore di Programmed to Kill: The Politics of Serial Murder e Understanding the F-Word: American Fascism and the Politics of Illusion, ottenendo unanimi consensi da parte del pubblico e della critica.

    Credo che al giorno d’oggi, soprattutto negli Stati Uniti, si debba essere un politico o un assassino per essere davvero una superstar

    Jim Morrison

    Prefazione

    Indagine su rockstar al di sopra di ogni sospetto

    Poteva chiamarsi anche così il libro-inchiesta che avete tra le mani. Un minuzioso, appassionato, visionario – ma con i piedi ben saldi nella terra smossa da altri reporter, saggisti, narratori che semplicemente hanno enunciato ma trascurato le informazioni rimesse al centro dell’attenzione dall’autore – contromanuale dei movimenti controculturali degli anni ’60.

    Siamo subito sinceri: se siete appassionati di rock, se il peace and love è il motto della vita che avreste voluto vivere, se gli anni ’60 tra San Francisco e soprattutto Los Angeles fino a Woodstock sono il vostro orizzonte ideale, avrete parecchie brutte sorprese in queste pagine.

    Dalle linee di parentela dei vostri idoli, delle loro muse, dei loro manager, troppo compromettenti e troppo frequenti per far finta di niente, fino alla geografia da ridisegnare dei luoghi del movimentismo, della musica, dei guru, passando per amicizie pericolose, strane dimenticanze, coincidenze dure da digerire, attraversando interviste, dichiarazioni, canzoni mai scritte. Perché la storia la si racconta anche con quello che non è stato fatto, con le posizioni non prese, con le parole non pronunciate.

    David McGowan, autore giovane e cazzuto, è quello che i detrattori chiamano complottista e revisionista. Come già in altri libri, però, McGowan si disinteressa della sua fama e lavora come molti suoi colleghi, schiavi di versioni istituzionali e troppo affascinati dal carisma del successo per evitare le apologie, dimenticano di fare. Sorta di Pollicino dei lati oscuri della Storia contemporanea, raccoglie le briciole degli altri, quelle parole, pagine, aneddoti disseminati in libri, interviste, ricostruzioni, testimonianze e costruisce un puzzle in cui i tasselli combaciano perfettamente, anche se non replicano, insieme, l’immagine che vediamo da sempre sulla scatola dei ricordi che il mainstream ha preparato per noi.

    Non inventa, non fa voli pindarici, cerca schemi, la sua è quasi un’attitudine matematica nell’analizzare ciò che è accaduto più di mezzo secolo fa. E allena la mente di chi legge: non c’è bisogno di essere d’accordo con lui, per condividere il suo percorso. McGowan ti sfida, con quei capitoli che sono la piramide su cui si fonda non la sua teoria preconcetta ma invece ciò che lui stesso, inizialmente non immaginava potesse apparire. Perché qui non si parla solo di musica, rock, hippie, ma anche di Vietnam, diritti civili, segreti di stato.

    In un mondo drogato dalle fake news – non quello degli hippie, ma il nostro – ci siamo dimenticati che mettere in discussione le versioni ufficiali, i biografi compiacenti, la pravda dei fans è un esercizio sano di democrazia e cultura, che non va mai abbandonato. Proporre una versione alternativa prendendo in esame fatti reali, voci autorevoli, connessioni logiche e coincidenze è un modo per far sì che la comunità cresca, adulta e vaccinata ai cialtroni ma anche ai guardiani delle verità di comodo.

    E forse solo un quarantenne, per di più australiano e quindi legato a quella scena anche linguisticamente e come crescita musicale personale, ma abbastanza lontano anche geograficamente per scrutarlo con disincanto, poteva raccontare una storia che è diversa fin dal suo punto di partenza, quel Laurel Canyon che è al centro di tutto ma nessuno ci ha mai raccontato. Seppellito nella memoria storica, nell’immaginario collettivo da altri posti, più rassicuranti.

    Solo un quarantenne, nipote dei fiori (figlio dei figli di quella generazione ma non parte integrante di essa, lui è stato un ragazzo di provincia cresciuto da due insegnanti, dall’altra parte del mondo) e orfano delle grandi lotte che avrebbe voluto e meritato ma che sono toccate in sorte a quei ragazzacci, poteva avere il giusto occhio, al contempo cinico e sentimentale, verso una comunità, un’era musicale e non solo, che grazie a lui ora scopriamo controversa.

    In alcuni momenti possiamo sentire l’eco del mitico Easy Riders Raging Bulls di Peter Biskind, ma lì l’aneddotica clamorosa sovrasta il pur interessante e non banale quadro d’insieme. Se in quel capolavoro del genere c’è una visione industriale-antropologica dell’epoca e dei suoi eroi, qui invece l’occhio è clinico nel sondarne il peso politico, culturale, sociale. Posizionamenti, relazioni, analisi di chi e dove agiva, magari mentre negli stessi posti suonavano chitarre e pistole, c’è tutto, in una carta d’identità generazionale impietosa e con troppi segni particolari.

    Se Biskind ci mostrava l’uomo dietro la star, se raccontava ciò che gli uffici stampa tenevano nascosto, per quanto possibile, McGowan ci mostra i fili di certi figli di papà (militari, dei servizi segreti, persino primattori nell’inventare, diffondere, usare armi chimiche) che hanno ben pensato di essere marionette più o meno consapevoli. Di burattinai forse neanche tanto occulti, per chi vuole vedere.

    Ovvio che pur essendo in alcuni casi chiarissima la connessione tra certi ambienti apparentemente incompatibili, oltre che sospetta la fortuna di alcuni con i legami giusti rispetto ad altri che non avevano nella band neanche un soldato semplice come cugino, qui non si pretende di dare risposte, ma di comporre un affresco alternativo al mito, al pantheon giovane, geniale, bello e sregolato che (ri)partì dal movimento hippie.

    Qui si tenta di dare un altro angolo visuale agli appassionati, ai curiosi, agli orfani di quegli ideali che forse tali non sono mai stati. Anzi no, perché se qualcuno ci ha creduto in buona fede, quei valori c’erano eccome, ma è giusto sospettare e capire come e se altri ne abbiano approfittato.

    McGowan traccia questo percorso da spy-story, da giornalista d’inchiesta, non dimenticando mai anche la cronaca di costume, il gusto per il ritratto dei comprimari (Vito e i suoi fricchettoni meritano un libro a parte), la descrizione di un evento, un luogo, un momento non solo investigativo, ma umano.

    Il buon David alla fine non bara. La ricca bibliografia è un punto di partenza per altri viaggi. Per altre ipotesi, per altre ricerche. Lui la sua scommessa l’ha giocata, il suo scenario l’ha delineato, le sue pedine le ha schierate. In questo volume ci dice cosa pensa di quel momento storico e culturale e come e perché crede che sia una storia nera, per certi versi infame, pericolosa.

    Noi siamo liberi di pensarla come vogliamo, di andare dove pensiamo sia più giusto. Ma lui ci ha dato strumenti in più per scegliere a ogni bivio, per immaginare senza inventare, per dedurre senza manipolare. E in questo, oltre alla capacità di intrattenimento della sua penna (valorizzata da una traduzione italiana accurata e coinvolgente), possiamo definirlo un libro perfetto.

    Anzi, quasi perfetto. Perché caro David, San Francisco è una canzone straordinaria. E alla faccia tua ora la carico nella regia e la metto nella trasmissione che conduco con Tatiana Fabbrizio su Radio Rock, Gagarin. E al rientro in voce racconto agli ascoltatori una di quelle storie che a me hanno fatto attorcigliare le budella. Perché Frank e Jim non si discutono, si amano. O almeno così la pensavo prima di leggere questo libro.

    P.S.: Caro Quentin Tarantino, lo so che vuoi chiudere la tua carriera con il prossimo film. Ma che ne dici di scrivere insieme a David una serie tratta da Nel cuore oscuro del sogno hippie – Spie, assassini e rockstar nella Hollywood degli anni ’60? Sì, perché, compreso il tuo, ce ne sono già una dozzina di film che accarezzano quei momenti (e almeno quattro lo fanno magistralmente), ma qui c’è tanto materiale per te. Più di quanto tu possa immaginare.

    Boris Sollazzo

    Introduzione

    Iniziò in modo del tutto innocente.

    Nella mia vita quotidiana, trascorro buona parte del tempo a fare ricerche sulla corruzione e la criminalità nei mondi della politica e dell’applicazione della legge. E spesso finisco per trovarmi a percorrere strade buie e tortuose. Ma stavolta sentivo che sarebbe stato diverso. Stavo per andare in ferie in un paradiso tropicale e desideravo soltanto staccare la spina e dimenticarmi di tutto per un paio di settimane.

    Poco prima di questa pausa tanto agognata, mia figlia maggiore mi aveva regalato una copia del libro di Michael Walker Laurel Canyon: The Inside Story of Rock-and-Roll’s Legendary Neighborhood che raccontava dettagliatamente il panorama musicale della fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta a Los Angeles. Sembrava veramente lo svago ideale in quanto mi avrebbe riportato alla mente tanti bei ricordi di quella musica che aveva fatto da colonna sonora ai miei anni da studente. Cosa c’era di più distante dalle mie solite letture?

    Come spesso accade, però, le cose non andarono come mi ero immaginato. Non appena arrivati a destinazione, iniziai ad immergermi nella lettura e cominciarono a scattarmi in testa una serie di campanelli d’allarme. Cos’era questa storia di tunnel sotterranei segreti che collegavano alcune delle abitazioni più famose di Laurel Canyon? Per non parlare dei misteriosi incendi che avevano raso al suolo le case di numerosi cantanti e musicisti. E perché c’erano così tante morti violente associate ad un movimento fondato su peace and love? Non mi spiegavo nemmeno l’allusione di Walker ad una base militare segreta nel bel mezzo di hippielandia. E perché un buon numero di questi menestrelli americani provenivano da famiglie militari e dal mondo dell’intelligence? E come si incastravano in questo quadro sempre più astruso gli occasionali riferimenti alla pedofilia?

    Se Walker aveva fatto un bel lavoro nel raccontare la storia di Laurel Canyon da un punto di vista convenzionale, tra le linee sembrava nascondersi una storia molto più intricata, che lui stesso cercava di aggirare spiegandola come una serie di incongruenze interessanti quanto insignificanti. Non ero nemmeno a metà della vacanza, che già scalpitavo per tornare a casa e approfondire ulteriormente questa storia. Al mio rientro iniziai a divorare qualsiasi cosa fosse stata scritta sull’argomento.

    Anche se sono stato etichettato da molte persone come complottista, nel senso dispregiativo del termine, ho sempre condotto le mie ricerche attraverso canali ufficiali. Credo fermamente che la verità sia là fuori, ma allo stesso tempo non mi aspetto che ci venga recapitata in un pacchetto infiocchettato da nessun canale o mezzo di informazione tradizionale. Ritrovarla vuol dire assemblare una sorta di puzzle con l’obiettivo di raccogliere tutti i pezzi di un mosaico che altri scrittori tendono a classificare come avvenimenti casuali o come stravaganti anomalie. Ma l’esperienza mi ha insegnato che se queste anomalie trovano la giusta collocazione, spesso emerge un quadro diverso, capace di dipingere una realtà completamente contrastante da quella condivisa su larga scala.

    Alla fine tutto si fonda sul riconoscimento di uno schema.

    Ad esempio, se solo alcuni musicisti di Laurel Canyon fossero provenuti da famiglie di militari, avremmo considerato questo aspetto come un’interessante, quanto irrilevante stranezza. Se, invece, un numero sbalorditivo delle muse ispiratrici di Laurel Canyon fosse cresciuto in un ambiente del genere, allora potrebbe iniziare a delinearsi uno schema rilevante.

    Allo stesso modo, se solo alcuni di questi astri musicali fosse passato a miglior vita per morte violenta, avremmo potuto considerare il tutto un fatto tragico quanto irrilevante. Ma se le morti violente avessero caratterizzato tutto il panorama, con intere famiglie strappate alla vita in circostanze sospette, anche questo avrebbe portato ad uno schema distintivo, da tenere in estrema considerazione.

    Sono certo che questo libro non verrà accolto positivamente da tutti i lettori. In una cultura come la nostra, fondata così tanto sulle celebrità, mettere in discussione il carattere e le psicologie di così tanti personaggi ammirati e mitizzati dell’industria dell’intrattenimento non è il modo migliore per risultare popolari. Allo stesso modo, dipingere negativamente personaggi da sempre considerati simboli di cause care alla sinistra, non è il modo migliore per ingraziarsi chi si considera liberale o progressisti.

    Sebbene le mie simpatie politiche tendano sicuramente a sinistra, in questo libro, così come avvenuto nei miei lavori precedenti, non ci sarà nessun favoritismo nei confronti di queste icone. Il mio scopo, infatti, è quello di disseppellire verità nascoste per comprendere meglio il mondo in cui viviamo.

    Non sono riconducibile a nessun partito e non sono mai stato associato in alcun modo a entità governative o semi-governative. E, solo per dovere di cronaca, non sono nato nel mondo dell’intelligence militare visto che ho trascorso la mia infanzia – piuttosto monotona – in una sonnacchiosa periferia, con due insegnanti scolastici come genitori. Non ho mai sostenuto di essere in possesso di informazioni da insider o di avere accesso a fonti importanti o confidenziali. La mia ricerca e i punti di vista espressi nel mio lavoro sono esclusivamente farina del mio sacco.

    Sebbene quasi tutti i miei lavori, sia attuali che precedenti, siano di solito considerati come piuttosto opinabili, i fatti contenuti in questo volume non lo sono affatto. Come affermato in precedenza, sono stati dissotterrati da fonti convenzionali quanto rispettabili. È solamente il modo in cui li ho disposti, il modo con cui ho scelto di assemblarli, che li rende discutibili.

    Alcuni sosterranno che li ho scelti accuratamente in modo da dipingere un ritratto inutilmente oscuro di molti personaggi-simbolo che compongono il cast di questa storia. Di certo mi sento di dissentire con fermezza un’affermazione del genere. Secondo me, queste critiche non colgono affatto il punto centrale del libro, ovvero che, venuta meno la propaganda che li accompagna e assemblate le tessere in modo da costituire degli schemi preponderanti, questi fatti anomali portano a galla verità altrimenti invisibili.

    Un’altra critica che mi sento di poter anticipare riguarderà il fatto che non sono andato a parlare direttamente con la gente che era parte di quel panorama musicale. Vero. Ma il motivo principale risiede nel fatto che le possibilità che delle vecchie rock star e i loro agenti non avessero voluto avere niente a che fare con me erano molto alte. Cronisti dell’epoca ebbero un accesso privilegiato nella vita di queste persone, ma in cambio hanno pagato un conto salato e perso la loro integrità giornalistica, riducendosi a scrivere pezzi agiografici, monotoni, ripetitivi, aneddotici. Storie narrate tutte allo stesso modo, in una sorta di dogmatico loop, anche quando era palese che non potessero essere vere.

    Non voglio diventare il responsabile delle relazioni esterne degli eredi di Jim Morrison, John Phillips o Frank Zappa, e non mi interessa riempire le pagine di questo libro con gli stessi racconti apocrifi raccontati da altri reporter. Ci sono numerose pubblicazioni elencate nella bibliografia che potranno soddisfare chi è in cerca di quel tipo di lettura. Il mio obiettivo qui è indicare nuove strade e far riflettere i lettori sull’eventualità che altri scrittori possano aver tralasciato alcuni aspetti di una storia che, invece, avrebbero dovuto narrare.

    Quanto avvenuto a Laurel Canyon dalla metà degli anni Sessanta alla fine dei Settanta è enormemente affascinante e, nonostante questo, si tratta di una storia sconosciuta per tutti coloro che non ne fecero parte. Quasi tutti hanno sentito parlare di Haight-Ashbury a San Francisco, ma persino i losangelini di vecchia generazione sono all’oscuro della controcultura musicale andata in onda sulle colline hollywoodiane.

    Ed è strano che, a mezzo secolo di distanza, Haight sia universalmente riconosciuta come il luogo di nascita degli hippy e dei figli dei fiori, sebbene Laurel Canyon avesse preceduto e ampiamente ispirato quanto avvenne nella California del Nord.

    Perché Haight-Ashbury è stata messa sotto la luce dei riflettori per così tanto tempo, mentre pochissima attenzione è stata rivolta al mondo che l’ha generata? Forse Laurel Canyon nascondeva così tanti oscuri segreti di cui era meglio non impicciarsi. E adesso è giunto il momento di fare luce su quei lati oscuri del canyon per capire quali scheletri potrebbero esserci nascosti.

    Capitolo 1

    Il villaggio dei dannati

    A mo’ di introduzione

    "There’s something happening here

    What it is ain’t exactly clear"

    Se avete tempo, seguitemi sulla strada dei ricordi ritornando a circa cinquant’anni fa, quando l’America intraprese una guerra sanguinaria con le sue truppe per imporre una democrazia Orwelliana su una nazione sovrana.

    È la prima settimana dell’agosto 1964 e, a quanto pare, le navi da guerra guidate dall’Ammiraglio della Marina Americana, George Stephen Morrison, sono state attaccate mentre pattugliavano il golfo del Tonchino in Vietnam. Quest’episodio, poi divenuto noto come Incidente del golfo del Tonchino, sfociò nell’immediata approvazione, da parte del Congresso americano, dell’evidentemente già redatta Risoluzione del golfo del Tonchino che, a sua volta, porterà rapidamente alla profonda ingerenza degli Stati Uniti nel cruento pantano vietnamita. Prima della fine del conflitto, oltre 50.000 corpi americani (senza contare i milioni del sudest asiatico) cadranno sui campi di battaglia di Vietnam, Laos e Cambogia.

    Per la cronaca, l’Incidente del golfo del Tonchino si differenzia dalle altre presunte provocazioni che portarono gli Stati Uniti alla guerra. Questa non fu, come abbiamo visto altre volte, un’operazione sotto falsa bandiera (che prevedeva che lo Zio Sam attaccasse se stesso per poi puntare il dito contro qualcun altro). E non era nemmeno un attacco deliberatamente istigato. L’Incidente del golfo del Tonchino in realtà fu, come si seppe in seguito, un attacco mai realmente avvenuto. L’incidente, come è stato tutt’altro che ufficialmente riconosciuto, venne inventato di sana pianta (rimane plausibile il fatto che l’intento fosse provocare una reazione difensiva, che in seguito sarebbe stata bollata come un attacco ingiustificato nei confronti delle navi americane; le navi in questione erano in missione di intelligence e stavano operando in modo decisamente prepotente; è molto probabile che, quando l’esercito vietnamita, come previsto, alla fine non reagì, lo Zio Sam decise di fingere che lo avesse fatto).

    Nonostante questo, all’inizio del febbraio del 1965, gli Stati Uniti, senza una formale dichiarazione di guerra e senza un valido motivo per emetterne una, iniziarono a bombardare indistintamente il Vietnam Settentrionale. A marzo di quell’anno sarebbe iniziata la famigerata Operazione Rolling Thunder. Nel corso dei successivi tre anni e mezzo, milioni di tonnellate di bombe, missili, razzi, attrezzi incendiari e armi chimiche sarebbero stati scaricati sulla popolazione vietnamita, in quello che può essere descritto come uno dei peggiori crimini contro l’umanità mai perpetrati su questo pianeta.

    A marzo dello stesso anno, i primi soldati americani in divisa sbarcarono ufficialmente su suolo vietnamita (nonostante reparti speciali travestiti da consulenti e addestratori fossero già lì da quattro anni o forse più). Ad aprile, 25.000 ragazzini americani in divisa, in buona parte teenager appena usciti dalle superiori, sgobbarono tra i campi di riso in Vietnam. Entro la fine dell’anno, il numero di militari americani raggiunse le 200.000 unità.

    Nel frattempo, in quei primi mesi del 1965, in un’altra parte del mondo un nuovo scenario si stava delineando nella città di Los Angeles. In una comunità geograficamente e socialmente appartata, conosciuta con il nome di Laurel Canyon (una parte boschiva, rustica, spensierata e vagamente sinistra, arroccata sulle colline che separano il bacino di Los Angeles dalla San Fernando Valley), musicisti, cantanti e cantautori iniziarono improvvisamente a radunarsi lì come se fossero stati convocati da un invisibile pifferaio magico. Nel giro di pochi mesi, nacque per partogenesi il movimento hippy/figli dei fiori, assieme ad un nuovo stile musicale che diverrà la colonna sonora dell’agitata seconda metà degli anni Sessanta.

    A partire dalla metà degli anni Sessanta, e per tutta la decade dei Settanta, un numero spropositato di rock star emergerà da Laurel Canyon. I primi a pubblicare un album furono i Byrds, la cui stella più luminosa sarà David Crosby. Mr Tambourine Man uscirà il giorno del solstizio d’estate del 1965, seguito in rapida successione dagli esordi dei Mamas & the Papas di John Phillips (If You Can Believe Your Eyes and Ears, gennaio 1966), dei Love con Arthur Lee (Love, maggio 1966), di Frank Zappa e i Mothers of Invention (Freak Out, giugno 1966), dei Buffalo Springfield con Stephen Stills e Neil Young (Buffalo Springfield, ottobre 1966) e dei Doors (The Doors, gennaio 1967).

    Uno dei primi ad arrivare a Laurel Canyon/Sunset Strip fu Jim Morrison, l’enigmatica voce dei Doors. Jim diventerà rapidamente uno dei personaggi più iconici, controversi, acclamati ed autorevoli a prendere la residenza a Laurel Canyon. Curiosamente, l’autoproclamato Re Lucertola divenne famoso anche per un altro motivo, che nessuno dei suoi numerosi storiografi considererà di grande importanza per la sua carriera e la sua morte prematura: era infatti il figlio del sopracitato Ammiraglio George Stephen Morrison.

    Così, mentre il padre stava cercando instancabilmente di mettere in piedi un incidente che verrà usato per accelerare una guerra illegale, il figlio si stava preparando a diventare un simbolo del movimento hippie/pacifista.

    Non c’è niente di strano, immagino. In fondo, il mondo è piccolo. E la storia di Jim Morrison non è poi così insolita.

    Nei primi anni della sua golden age, la personalità eccentrica di Frank Zappa dominò Laurel Canyon. Nonostante Zappa e le varie incarnazioni dei Mothers of Invention non raggiungeranno mai il successo commerciale della band capitanata dal figlio dell’ammiraglio, Frank sarà comunque una figura di spicco tra i suoi coetanei. Sistematosi alla "Log Cabin¹ (una dimora situata nel bel mezzo del Laurel Canyon, all’incrocio tra Laurel Canyon Boulevard e Lookout Mountain Avenue), Zappa ospiterà praticamente tutti i musicisti che passeranno di lì tra la metà e la fine degli anni Sessanta, scoprendo talenti emergenti e firmando accordi con numerose case discografiche. Alcuni si riveleranno personaggi tanto stravaganti quanto indefiniti (tipo Captain Beefheart e Larry Wild Man" Fischer), altri, come il cantante rock psichedelico oltre che esponente dello shock rock Alice Cooper, diventeranno delle superstar.

    Zappa, insieme ad alcuni componenti del suo nutrito entourage, sarà un elemento chiave nell’introdurre look e atteggiamenti che definiranno la cosiddetta controcultura hippy (anche se Zappa e il suo seguito preferivano farsi etichettare come freak). Nonostante questo, Zappa non nasconderà mai davvero il suo disprezzo per una cultura che lui stesso aveva contribuito a generare e in cui si immergerà.

    Considerando che, stando a diverse versioni, Zappa era un maniaco del controllo, autoritario e dispotico, non è una sorpresa constatare che non provasse empatia nei confronti del movimento che aveva contribuito a alimentare. Ed è abbastanza logico pensare che anche il padre di Frank, Francis Zappa, non avrebbe considerato postivamente la cultura giovanile degli anni Sessanta, considerando che, nel caso ve lo steste chiedendo, era uno specialista della guerra chimica di base a – e dove altrimenti? – Edgewood Arsenal, vicino Baltimore, Maryland. Edgewood è la più antica base americana per la guerra chimico-biologica, e viene spesso menzionata in quanto profondamente invischiata nel progetto MKULTRA. Frank Zappa passò i primi sette anni della sua vita nelle abitazioni militari presso questa struttura. La famiglia in seguito si trasferì a Lancaster, in California, nei pressi della base aeronautica di Edwards, dove Francis Zappa continuerà a tenersi occupato svolgendo mansioni segrete per i militari e l’intelligence. Suo figlio, nel frattempo, si preparava a diventare l’idolo del popolo del peace and love. Anche qui, immagino non ci sia niente di anomalo.

    Il manager di Zappa era un personaggio ambiguo: originario del Bronx, Herb Cohen arrivò a Los Angeles insieme a suo fratello Mutt poco prima che musica e locali iniziassero a scaldare i motori. Ex marine americano, Cohen aveva viaggiato per il mondo per alcuni anni prima del suo arrivo a Laurel Canyon. Curiosamente, questi viaggi lo avevano portato in Congo nel 1961, proprio mentre il Primo Ministro di sinistra Patrice Lumumba veniva torturato e ucciso dalla CIA. Niente di preoccupante però: stando ad uno dei biografi di Zappa, infatti, Cohen non era in Congo per qualche efferata missione segreta, ma solo per fornire le armi che avrebbero consentito a Lumumba di «opporsi alla CIA». Perché questo era proprio il tipo di cosa che gli ex marines giramondo facevano a quei tempi (come vedremo a breve parlando di un altro luminare di Laurel Canyon).

    L’altra metà della Prima Famiglia di Laurel Canyon è la moglie di Frank, Gail Zappa, precedentemente nota con il nome di Adelaide Sloatman. Gail vantava una lunga discendenza da ufficiali della marina, compreso suo padre, che aveva vissuto buona parte dei suoi giorni lavorando nella ricerca di armi nucleari segrete per la Marina americana. La stessa Gail un tempo aveva lavorato come segretaria per l’Ufficio di Ricerca e Sviluppo Navale.

    Molti anni prima del loro simultaneo arrivo a Laurel Canyon, Gail aveva frequentato lo stesso asilo di Mr. Mojo Risin’ in persona, Jim Morrison (pare che una volta, quando erano piccoli, Gail colpì Jim in testa con un martello). Lo stesso Morrison, in seguito, frequentò ad Alexandria (Virginia) la stessa scuola superiore di altri due luminari di Laurel Canyon: John Phillips e Cass Elliot.

    Forse più di qualsiasi altro illustre residente a Laurel Canyon, Papa John Phillips contribuì in maniera decisiva alla diffusione della controcultura giovanile in America. Il suo apporto sarà duplice: in primis sarà co-organizzatore del famoso festival pop di Monterey che, grazie anche ad un’esposizione mediatica senza precedenti, mostrerà per la prima volta all’America la musica e le mode dell’emergente movimento hippy; in secondo luogo, Phillips scriverà un’insignificante canzone intitolata San Francisco (Be Sure To Wear Flowers in Your Hair), che scalerà in poco tempo le classifiche. Insieme al festival di Monterey, questo brano sarà fondamentale nell’attirare a San Francisco i non aventi diritto al voto, la maggior parte dei quali minorenni in fuga, per dar vita ad Haight-Ashbury e alla famosa Summer of Love del 1967.

    Prima di arrivare a Laurel Canyon e spalancare le porte di casa a quelli che sarebbero diventati famosi, a quelli già famosi e a chi diventerà famoso per altri motivi (vedi Charlie Manson, la cui Famiglia trascorse del tempo alla Log Cabin e presso la casa di Mama Cass Elliot che, se non lo sapete, abitava proprio di fronte alle abitazioni di Abigail Folger e Voytek Frykowski, ma cerchiamo di non bruciare i tempi), John Edmund Andrew Phillips era sorprendentemente un altro erede dell’intelligence. Figlio del Capitano della Marina Claude Andrew Phillips e di una madre che asseriva di avere poteri psichici e telecinetici, John frequentò una serie di scuole private a Washington DC, terminando il suo percorso scolastico alla prestigiosa Accademia Navale di Annapolis.

    Dopo aver lasciato Annapolis, John sposò Susie Adams, discendente diretta del Padre Fondatore John Adams. Il padre di Susie, James Adams Junior, era stato coinvolto in quella che Susie descrisse come un’operazione clandestina con l’aeronautica a Vienna (e che altri preferivano chiamare operazione di infiltrazione). In seguito Susie stessa venne assunta al Pentagono insieme alla sorella maggiore di John Phillips, Rosie, che si presentò diligentemente al lavoro per quasi trent’anni. Anche la madre di John, Dene Phillips, lavorò per il governo federale svolgendo un non meglio specificato incarico. E Tommy, il fratello maggiore di John, era un ex marine, un ferito di guerra che trovò lavoro ad Alexandria come poliziotto, nonostante una fedina disciplinare non proprio pulita, visti i suoi precedenti con la gente di colore.

    Nonostante fosse stato circondato per tutta la vita da componenti delle forze armate o dell’intelligence, John Phillips non era coinvolto in queste situazioni. O almeno così ci fanno credere. Bisogna constatare che, prima del successo musicale, John sembrò trovarsi, in modo del tutto casuale, in posti alquanto insoliti. Uno di questi era L’Avana, a Cuba, dove Phillips arrivò al culmine della Rivoluzione Cubana. Per la cronaca, Phillips disse che andò a L’Avana come semplice cittadino, con l’intenzione – questa è bella – di combattere per Castro. Perché, come detto, molta gente all’epoca andava all’estero per sventare operazioni della CIA prima di prendere casa a Laurel Canyon e unirsi alla generazione hippy. Nelle due settimane della crisi missilistica di Cuba, alcuni anni dopo che Castro era salito al potere, Phillips si ritrovò ad ingannare l’attesa a Jacksonville (Florida) nei pressi della Stazione Navale di Mayport.

    Ma parliamo adesso di un’altra delle stelle più luminose e precoci di Laurel Canyon: il signor Stephen Stills. Stills si distinse per essere stato il fondatore di due delle band più acclamate e amate di Laurel Canyon: i Buffalo Springfield e, inutile dirlo, i Crosby, Stills & Nash. In più, Stills fu l’autore di uno dei primi e più epocali inni della generazione dei Sessanta, For What It’s Worth, le cui strofe di apertura compaiono all’inizio di questo capitolo (il secondo singolo di Stills si chiamerà Bluebird che, per coincidenza o meno, è anche il nome in codice che la CIA aveva originariamente assegnato all’omonimo progetto MKULTRA).

    Anche Stills, prima del suo arrivo a Laurel Canyon, discendeva da una famiglia militare. Cresciuto inizialmente in Texas, il giovane Stephen aveva vissuto buona parte della sua infanzia a El Salvador, Costa Rica, nella zona del Canale di Panama e in altre parti del Centro America, insieme a suo padre che, ne possiamo esser certi, stava contribuendo a diffondere la rinomata democrazia americana. In linea con il resto del nostro cast, Stills era stato educato presso scuole delle basi militari prima, e in accademie militari d’élite poi. Tra i suoi coetanei, a Laurel Canyon, era dai più considerato un personaggio irritante e dispotico. Anche qui, come in precedenza, niente di davvero insolito.

    C’è anche un altro aspetto curioso nella vita di Stephen Stills: come lui stesso dichiarerà, era tra quelli che prestarono servizio per lo Zio Sam nelle giungle del Vietnam. Questi racconti verranno unanimemente scartati dai cronisti dell’epoca come nient’altro che allucinazioni da stupefacenti, in quanto Stills era arrivato a Laurel Canyon proprio nel momento in cui le prime truppe iniziarono a sbarcare e, da quel momento in poi, rimase per anni sotto i riflettori. Se da una parte si rivelerà vero che Stills non aveva potuto prestare servizio in Vietnam, dall’altra verrà sistematicamente ignorato il fatto che gli USA avevano migliaia di consulenti attivi della CIA/Servizi Speciali sul campo molti anni prima dell’arrivo delle prime truppe. Considerando origini, età e cronologia degli eventi, non solo Stills avrebbe potuto essere presente in Vietnam, ma avrebbe potuto essere un candidato ideale per partecipare ad una missione del genere. Dopo la quale, ovviamente, sarebbe diventato un simbolo della peace generation.

    Un altro di questi simboli, uno degli abitanti più effervescenti di Laurel Canyon, fu un giovanotto di nome David Crosby, fondatore dei Byrds e, ovviamente, dei Crosby, Stills & Nash. Crosby (non certo a sorpresa) era figlio di un laureato di Annapolis, membro dei servizi segreti durante la Seconda Guerra Mondiale, il Maggiore Floyd Delafield Crosby. Come altri in questa storia, Floyd Crosby trascorse buona parte degli anni successivi al pensionamento militare in giro per il mondo, tra cui Haiti, cui fece visita nel 1927, quando il Paese era – ovviamente per caso – occupato militarmente dalla Marina Americana. Uno dei marine che prese parte attiva all’occupazione fu il Capitano Claude Andrew Phillips che abbiamo incontrato precedentemente.

    Ma David Crosby non era solo figlio del Maggiore Floyd Delafield Crosby. David Van Cortlandt Crosby, come si saprà, era il rampollo delle famiglie van Cortlandt, van Schuyler e van Rensselaer, tutte imparentate tra loro. Probabilmente ora starete pensando le famiglie Van chi?, ma posso garantirvi che se cercaste questi cognomi su Wikipedia, perdereste un bel po’ di tempo a leggere il potere esercitato da questo clan negli ultimi 220 anni. Basterebbe dire che l’albero genealogico della famiglia Crosby includeva una impressionante gamma di senatori e membri del Congresso americani, deputati, governatori, sindaci, magistrati, giudici della Corte Suprema, generali delle guerre d’Indipendenza e Civile, firmatari della Dichiarazione di Indipendenza, e componenti del Congresso continentale. Aggiungo – per chi tra voi sono interessati all’argomento – che includeva anche alcuni massoni d’alto rango. Stephen van Rensselaer III, ad esempio, prestò servizio come Gran Maestro dei Massoni di New York. E, se non bastasse, secondo la New England Genealogical Society, David van Cortland Crosby era anche un discendente diretto dei Padri Fondatori Alexander Hamilton e John Jay, autori de Il Federalista.

    Se, come molti credono, esiste un’élite che manipola gli eventi americani e mondiali da tempo, è probabilmente giusto affermare che il lignaggio di David Crosby provenga da quel clan (questo spiegherebbe perché il suo sperma sia così richiesto in alcune cerchie visto che, ad essere onesti, ciò non può essere dovuto al suo aspetto o al suo talento). Se in America esistesse la monarchia, forse David Crosby sarebbe un duca, un principe o qualcosa del genere.

    A parte questo, David era un ragazzo normale che, solo per una serie di concause, ha brillato come una delle stelle più luminose di Laurel Canyon. E un ragazzo che, aggiungerei, aveva una vera passione per le armi, soprattutto per le pistole, che aveva collezionato per tutta la vita. Stando alle fonti più attendibili, erano rare le occasioni in cui il signor Crosby girava disarmato e, almeno in un’occasione, aveva svuotato un intero caricatore contro qualcuno. Tutto questo lo rendeva un candidato ideale per unirsi ai figli dei fiori.

    Solo alcuni anni dopo, un’altra stella brillerà nell’universo di Laurel Canyon: il cantautore Jackson Browne, anche lui – vi state già annoiando come me? – discendente da una famiglia militare.

    Il padre di Browne venne mandato in Germania per la ricostruzione postbellica, quindi è molto probabile che lavorasse per l’OSS, predecessore della CIA. Come sapranno i lettori della mia opera precedente, Understanding the F-Word, il coinvolgimento degli Stati Uniti nella ricostruzione tedesca consisteva soprattutto nel mantenere intatte buona parte delle infrastrutture naziste e, al contempo, preservare i criminali di guerra da arresti e azioni penali. Ed è in un simile contesto che Jackson Browne venne alla luce, in un ospedale militare a Heidelberg.

    Parliamo adesso di altri tre cantanti

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