Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Periferie Psichedeliche
Periferie Psichedeliche
Periferie Psichedeliche
E-book189 pagine2 ore

Periferie Psichedeliche

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

David Bowie ha ispirato decine di biografie sul suo genio musicale, ma nessuna mai così ricca di particolari - e di foto inedite - come quella degli esordi dell’artista nella periferia londinese raccontanti dalla giornalista Mary Finnigan in Psychedelic Suburbia – David Bowie and The Beckenham Arts Lab, pubblicato da Jorvik Press . É la storia di un giovanissimo Bowie, ancora sconosciuto, in cerca di ingaggi per concerti nei club di Londra. Mary Finnigan racconta di averlo accolto nella sua casa nel quartiere londinese di Beckenham, sostenendolo economicamente e di esserne divenuta la sua amante. Insieme fondarono un folk club al pub Three Tuns di Beckenham, organizzando riunioni settimanali alle quali man mano partecipavano sempre più persone tra poeti, studenti di cinema e altri creativi. Il club divenne un vero e proprio laboratorio artistico, The Beckenham Arts Lab,  tra arti visive, teatro, poesia e musica, una Factory proprio come quella che stava creando Andy Warhol a New York. Il tutto culminerà nel Free Festival del 1969, evento che Bowie canterà nella famosa canzone "Memory of a Free Festival".

Traduzione a cura di Andrea Giampaoli

LinguaItaliano
Data di uscita28 ott 2018
ISBN9781547547036
Periferie Psichedeliche

Correlato a Periferie Psichedeliche

Ebook correlati

Celebrità, ricchi e famosi per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Periferie Psichedeliche

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Periferie Psichedeliche - Mary Finnigan

    MARY FINNIGAN

    PERIFERIE PSICHEDELICHE

    David Bowie e il Laboratorio Artistico di Beckenham

    Traduzione a cura di Andrea Giampaoli

    CENNI SULL’AUTRICE

    Mary Finnigan nasce a Manchester, Inghilterra, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. I primi ricordi risalgono agli ululati notturni delle sirene anti raid, ai familiari che la tirano giù dal letto e la portano di peso in un riparo nel soggiorno di casa; è questo trauma infantile, forse, a far  sbocciare in lei quell’indole talmente ribelle da renderle insostenibile il ruolo secondario in cui era ancora confinata la donna degli anni cinquanta. Appena maggiorenne sposa un uomo più vecchio per sottrarsi a una madre oppressiva, mette al mondo due figli per poi fuggire improvvisamente da Manchester a Londra, abbandonando il marito e trovandosi un lavoro come scrittrice di moda al Daily Mirror. La carriera della giornalista annovera pubblicazioni sul Daily Sketch, Daily Express e collaborazioni freelance con il Sunday Times. Nel corso di un periodo di congedo dal lavoro, durato circa cinque anni, incontra David Bowie. Il libro racconta l’avventura vissuta insieme e l’eredità che questa ha generato, un lascito che è ancora vivo e vibrante a distanza di quasi mezzo secolo. Ha lavorato come reporter, editore e produttore a Visnews, Independent Radio News e London Broadcasting Company. Attualmente collabora con quotidiani nazionali, pubblicazioni online e con BBC radio.

    Mary vive a Bristol con il compagno, Chris Gilchrist. Ha tre figli ormai adulti e tre nipoti, è buddista praticante nella tradizione Dzogchen, attivista per i diritti delle donne e hippie irriducibile.

    RINGRAZIAMENTI

    La lista di chi ha dato il suo prezioso contributo alla stesura di questo libro è davvero lunga, pertanto mi scuso nel caso in cui abbia dimenticato di inserirvi qualcuno. Inizierò con Chris, che durante tutti questi anni non ha mai smesso di spronarmi, con gentilezza ma senza mai mollare la presa; il lama tibetano Choegyal Namkhai Norbu, per cui nutro profondo rispetto e gratitudine e l’editore Peter Stansill, un amico di vecchia data. Ho scritto questa storia a distanza di quasi mezzo secolo dagli eventi, facendo ricorso in gran parte a una memoria non proprio infallibile; se ho riportato qualcosa di sbagliato, interpretato erroneamente alcune situazioni o tralasciato eventi degni di nota me ne assumo la responsabilità e mi scuso fin da subito.

    Tante anime gentili hanno condiviso foto, ricordi e sensazioni, come Christina Ostrom, Keith Christmas, Richard Raven, Tony Visconti, Natasha Ryzhova Lau, Dave Walkling, James Plummer, David Bebbington, Ian Anderson, Roger Bacardy, Mark Adams, Craig Hamlin, Chantal Cooke, Lynn Evans Davidson, Alison Fraser Black, Angie Bowie, Lara Owen, Catriona Mundle, Peter Culshaw e Cliff Watkins. Un ringraziamento speciale va a Wendy Leigh, Jack (Amory), Iris e Aurora Kane, Bill Liesegang, Ray Stevenson, Caroline Finnigan, Richard Finnigan, al compianto Peter Finnigan, Daniel Taghioff, Alva Taghioff e, naturalmente, a David Bowie. Vorrei ringraziare particolarmente Paul Kinder per l’esperienza mostrata nel provare e nel verificare i fatti accaduti.

    ––––––––

    Bristol, Inghilterra e

    Valle Gran Rey, La Gomera, Canarie

    2015

    A Chris

    Grazie per l’amore e

    per il profondo piacere

    della tua compagnia

    INTRODUZIONE

    Sto per raccontarvi una storia meravigliosa avvenuta in un sobborgo di Londra sul finire degli anni sessanta, una storia che va a toccare le vite di tanta gente famosa e in particolare quella di un’icona della musica; è soprattutto la storia di alcune persone che riuscirono nell’impresa di portare un pizzico di magia in una società tradizionalista e fortemente conservatrice. Eravamo giovani, idealisti, talentuosi e irriverenti: eravamo gli alfieri dello slogan sex drug & rock’n’roll, le convenzioni dell’epoca non facevano per noi e le regole erano lì solo per essere violate; nonostante queste premesse, tutti o quasi finirono per volerci bene, sorprendendo noi per primi. La nostra influenza artistica contagiò la zona meridionale di Londra; oggigiorno, a quasi cinquant’anni di distanza, viene ancora celebrato come il momento in cui venne ridata una boccata d’ossigeno a quel che rimaneva del movimento giovanile dei sessanta. Il terreno era fertile, i giovani di Beckenham ed oltre non aspettavano altro che di voltare pagina; riuscimmo a coinvolgere anche i loro vecchi, non proprio tutti, ma fu comunque un’impresa.

    Beckenham è un sobborgo benestante sito nella tranquilla periferia sud di Londra. Originariamente costituiva il bordo più settentrionale della Contea del Kent e venne inglobato nel distretto di Bromley durante una delle innumerevoli riassegnazioni governative emanate con l’istituzione del Gran Consiglio di Londra del 1965. La sua storia risale almeno al 1086, anno in cui appare nel Catasto Inglese come Bacheham. In sassone probabilmente stava a significare villaggio di Beohha. Il nucleo abitativo crebbe rapidamente fino a diventare un importante villaggio amministrato dal castello posto di fronte alla chiesa. Nel 1773 John Cator diventò signore del castello, nel 1857 arrivò la ferrovia da Londra e i Cator capirono che i tempi erano ormai maturi per lo sviluppo residenziale. In poco tempo diverse abitazioni furono edificate intorno alla nuova stazione. La città venne progettata come una città coloniale indiana, con ampi viali alberati e ville indipendenti con giardini spaziosi, edificate per attrarre famiglie benestanti in cerca di una casa appena fuori Londra che non fosse troppo distante dalla città. I Cator avevano un discreto fiuto per gli affari: quando il mercato arrivò a saturazione cominciarono a costruire residenze più piccole e mantennero il controllo sullo sviluppo di buona parte della città riservandosi la proprietà degli immobili. Dopo la seconda guerra mondiale quasi tutte le loro proprietà furono  convertite in case e appartamenti moderni; tale processo si estese anche ad altre parti della città, sebbene qualche zona sia rimasta tale e quale al periodo tra le due guerre mondiali. Beckenham è borghese da far schifo, elegge al Parlamento una linea ininterrotta di Conservatori sin dagli anni cinquanta; non sembra proprio il luogo perfetto per iniziare una rivoluzione ma in fin dei conti è così che andò, ed è pur vero che si trattò di una rivoluzione delle coscienze, non di una rivoluzione portata avanti con la violenza. Le generazioni degli adulti e dei pensionati non si scandalizzarono per le nostre attività anticonformiste; in tutto il paese i ragazzi degli anni sessanta erano ai ferri corti con i propri vecchi: mamma e papà si disperavano per i capelli lunghi, i gilet afgani, il rock’n’roll, l’amore libero, le manifestazioni di piazza, l’abbandono degli studi e in particolar modo per l’utilizzo di droghe. I giovani dal canto loro si sentivano incompresi, non riuscivano a capire per quale motivo questo stile di vita causasse tanto tormento. E’ solo pace, amore e libertà, amico, quello che dici di volere anche te, quindi qual è il problema? Tutto quello che i genitori riuscivano a fare consisteva nel ripetere il mantra trovati un lavoro, che per un hippie equivaleva a  ricevere un calcio negli zebedei. Durante la primavera, l’estate e l’autunno del 1969 a Beckenham questa frattura generazionale non si avvertì più di tanto, forse la magia giaceva addormentata sotto la crosta di rispettabilità borghese, in attesa di qualcuno che la riportasse alla luce, forse c’erano motivi demografici, all’epoca la maggioranza dei residenti era composta da gente matura, rilassata e abbiente, che voleva evitare attriti con i propri figli. O ancora, è possibile che la cosa funzionò perché le nostre azioni erano permeate da un’aura di innocenza: eravamo aperti mentalmente, naif, senza peccato, volevamo divertirci e far divertire anche tutti gli altri.

    ––––––––

    RETROSCENA

    Dato che sto per raccontare una storia vissuta in prima persona, prima di proseguire vorrei spiegare come sono entrata a far parte dei protagonisti di questa straordinaria serie di eventi. Nei primi anni sessanta mi trasferii dal Ceshire a Beckenham per fuggire da mio marito, Peter Finnigan. L’avevo sposato, vergine e appena maggiorenne, terminati gli studi in Svizzera; all’età di ventun anni avevo già due figli. Non avevo la minima idea di cosa volessi fare della mia vita. Peter veniva da una famiglia irlandese, cattolica, ricca e influente, proprietaria di magazzini a Manchester e a Londra. Aveva circa quindici anni più di me ed era alla disperata ricerca di una moglie dopo alcuni fidanzamenti fallimentari. Era conosciuto nei circoli più esclusivi del Chesire per essere un bel damerino che andava dietro alle ragazze, veniva invitato a party, balli, corse di cavalli, gite in barca e tutto il resto. Alloggiava in un appartamento nello stesso corridoio della residenza dove vivevo con mia madre, una villa ristrutturata in stile vittoriano nella verde Bowdon, un sobborgo periferico di Manchester. Peter manifestò interesse nei miei confronti e mia madre, al settimo cielo, incoraggiò la nostra relazione, pur sapendo che era un debole con problemi di alcolismo, peraltro non molto dotato a livello intellettuale. Mia madre aveva un programma tutto suo: vedova a corto di denaro, cercava ardentemente qualcuno con cui risposarsi, e in questo le venne in aiuto il vice segretario comunale della città di Wigan, che la corteggiava. I due annunciarono il proprio fidanzamento il giorno stesso in cui accettai la proposta di Peter: lei si sentì enormemente sollevata nel liberarsi di me e nel consegnarmi all’uomo che considerava un buon partito. Dire che al tempo fossi ingenua sarebbe riduttivo, in effetti un agnellino diretto al macello potrebbe rendere meglio il concetto, dato che il matrimonio con Peter ben presto si tradusse in un disastro di prim’ordine; credo di averlo intuito subito dopo la luna di miele ma di averlo compreso per intero solo quando Peter venne estromesso dagli affari di famiglia, non essendo riuscito a tener testa al suo spietato cugino Brian. Al tempo avevo due figli: sapevo già che non sarei diventata adulta dall’oggi al domani e che non avrei saltato a piedi pari gli anni dell’adolescenza, avevo le mie ragioni per scappare.

    Londra chiamava, e iniziai a progettare la fuga. Conobbi Simon Hext, un parrucchiere, mentre lavoravo come traduttrice dal francese all’inglese in uno show a Blackpool. Gestiva un salone a Beckenham e praticamente mi auto-invitai a stare da lui e da sua madre, per mettermi in cerca di un alloggio in periferia. L’angelo custode vegliava su di me: trovai subito alloggio al civico 24 di Foxgrove Road, una via tranquilla nei pressi della stazione di Beckenham, in uno spazioso appartamento con un ampio cortile dove c’era incluso un gatto di nome Pywacket. L’affitto era davvero a buon mercato, cinque sterline a settimana, e non me lo lasciai sfuggire. Tornai subito a Bowdon con la notizia che mi trasferivo a Londra e che avrei portato i bambini con me. Cercai di farlo digerire a Peter, dicendogli che sarebbe stato meglio per entrambi, ma la verità era che lo stavo lasciando. Povero Peter, non mi comportai benissimo con lui. Provai a rimediare poco prima che morisse ma a quel punto aveva già perso il senno, probabilmente non fu mai pienamente consapevole del mio rimorso. Il trasloco a Foxgrove Road avvenne quasi senza intoppi, forse l’angelo custode era ancora nei paraggi. Iscrissi mia figlia Caroline al collegio delle suore a meno di cento metri da casa e trovai posto per Richard in un asilo nido lì vicino. La ragazza alla pari, felice di venire a Londra, ci seguì. Peter, in tutto ciò, si dimostrò davvero accomodante. Compresi, ma solo in seguito, che la testardaggine mi aveva fatto fare un salto nel buio, cosa che un individuo più cauto avrebbe forse evitato. Ripensandoci bene ero giovane, energica, ribelle e senza esperienza, per me tutto ciò significava la liberazione dalle costrizioni imposte dalla middle class, la fuga da un matrimonio malato e da una madre a cui non piacevo.

    Per lei ero sempre stata fonte di estremo imbarazzo, e all’età di quindici anni ne scoprii il motivo: mia zia un giorno mi confessò che sulla mia venuta al mondo aleggiava una menzogna. Mio padre non era il marito di mia madre, morto quando avevo quattordici anni, ma un francese originario della costa azzurra. In famiglia tutti sapevano tranne me. Forse il mio dna mediterraneo spiegava perché volessi inconsciamente fuggire dal freddo e umido nord-ovest inglese.

    ––––––––

    Londra mi riservò un caloroso benvenuto anche nel mondo del lavoro. Un paio di miei articoli da freelance vennero pubblicati sul London Evening, così  quando venni a sapere che Ellen Goyder stava per lasciare il suo impiego

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1