Inno all'Italia morente
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Di forte spinta conservativa, è un inno alla difesa contro un modello estraneo di società che si va delineando, dichiarando senza veli la profonda contrarietà a un'immigrazione incompatibile che possa condurre la cultura d'Italia a una deformazione.
Un atto di accusa contro uno Stato inadempiente che ha esonerato dai doveri, indicando, come condizione indispensabile per uscire dallo stato delle cose, la necessità di abbattere un sistema ritenuto fallimentare e instaurare un nuovo ordinamento dello Stato, che ha negato il suo ruolo e tradito sé stesso, sradicando “la parte guasta che provoca il crollo” dalle politiche d'Italia, per avviare una rinascenza in una reale rinnovazione.
Sebbene permeato di sentimento eversivo, “Inno all'Italia morente” è un accorato appello al valore delle cose. Gli accenti perentori dei primi passi si addolciscono in quella che appare essere una nostalgia d'Italia, dove l'autrice non nasconde il suo attaccamento alla propria terra e la rivendicazione della radice originaria.
Non manca, infine, un monito agli Italiani, che nella rinuncia dei diritti e del coraggio assistono inerti alla sopraffazione che li assale come a lo spogliamento d'Italia. Terminando in una esortazione finale a un'Italia stordita e incosciente, verso il recupero e la rinascita di un'Italia nuova in una terra da mantenere sovrana.
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Anteprima del libro
Inno all'Italia morente - Gloria Manfredi Finello
Finello
I
Beati gli affamati e assetati di giustizia perché saranno saziati
(Matteo: 5,6)
Quando i governi rinnegano l'obbedienza dei doveri nell'esercizio delle proprie funzioni; quando si fanno servitori di chi attenta alla propria nazione avverso la propria nazione, e ne agevolano e proteggono altresì le inique azioni per seguitare a mantenersi e a ingrassare per mano d'un padrone; quando si fanno complici contro la propria stessa gente, arrecandone abusi e diseguaglianze sociali, sottraendo diritti e libertà alle loro esistenze, colpevole è il popolo che non insorge.
Quando un popolo consente il proseguo dei soprusi, la mala pianta del cattivo governo affonda le sue radici e s'impossessa del futuro e dei destini, cui toglie arbitrio e indipendenza. Così il popolo diviene suddito, e conseguentemente, diviene schiavo.
La casta regnante cui nessun popolo ha delegato a regnare, ha occupato un potere che non le compete e non le può spettare. Delibera senza poter deliberare. Dirige, amministra e legifera senza il sovrano benestare.
Di fronte a uno Stato illegittimo, dove regna la falsa democrazia non ugualitaria, una voce di ammonimento si elevi.
Contro i distruttori della nazione e della sua inviolabile sovranità, che mercanteggiano la patria come mercanzia da svendere. Contro i fautori di governi che tradiscono l'osservanza delle proprie funzioni, venendo meno a gl'inderogabili doveri nella tutela e rappresentanza del popolo cui appartengono, e contravvenendo al primario vincolo della dedizione alla custodia del Paese, alla sua difesa e conservazione. Responsabili del maggior tradimento che sparge il seme della discriminazione. Lavoranti al disfacimento della identità nazionale e del tessuto culturale e sociale d'Italia.
Contro il pericolo di una ideologia settaria distruttrice degli intrinsechi valori sopra i quali la cultura d'Italia si fonda.
Contro chi attenta alla nostra incancellabile sovranità, ed ha piegato e assoggettato le volontà di un popolo, orchestrandone la vita presente e futura per la conquista dei propri interessi ideologici, politici e personali.
Nell'Italia ammalata di democratismo, l'Italia senza più bandiera, dove i cialtroni e i poltroni sguazzano in un mare di fango e di corruzione, e dove i mezzani e i lenoni ingrassano e arraffano nella fossa dei ladroni, la piccola Italia impera e s'inquina di viltà e di corruzione.
Contro un regime oligarchico che ha voltato le spalle al proprio popolo, sordo alle sue richieste e alle vitali esigenze, ma attentissimo e industrioso alle pretensioni straniere. Che imbavaglia chi avrebbe il dovere di servire. Indegnamente forte coi deboli, e vilmente debole con i forti.
Rammentiamo l'inalterabile principio di democrazia a chi l'avesse scordata o simulato di scordare.
Di parola greca Demos = Popolo, e Kratos = Autorità. Il concetto unico di democrazia è l'autorità del popolo.
La democrazia non è l'asservimento di un popolo ad una casta, ma il predominio del potere popolare in un qualunque governo, e il controllo suo dello stesso.
Il concetto di Stato democratico è inseparabile da libertà fondamentali quali sono la libertà di pensiero e di espressione, di opinione, di diritto e libertà di lavoro, di indipendenza e libertà dei mezzi di informazione, di incremento dell'istruzione, che ha da essere libera d'ogni politico indottrinamento. Libertà fondamentali di apparenza consentite ma di sostanza negate, poiché consentite fintanto che allineate al pensiero lecito e confacente, in un tacito diniego al discordare.
Ci si soffermi pertanto a domandarsi che cosa sia lo Stato. E quali funzioni dovrebbe avere chi se ne fa servitore.
Uno Stato ha da essere un elemento operante nell'interesse primario della propria nazione e del suo popolo abitante. Affinché uno Stato sia tale, ha da onorare i moventi per i quali è preposto; la protezione dei suoi confini e la custodia degli interessi nazionali. Qualsiasi altra forma di operato non è che infedeltà e defezione.
I Greci dell'età antica diedero vita a quello che noi indichiamo comunemente come democrazia, se pure attribuendogli un'erronea significanza. Essi tenevano per gli uomini politici un elevato riguardo, ma un'altrettanta severa attenzione. Ai rettori delle Città-Stato spettava il dovere di compiere bene il proprio ufficio apportando un Bene alla collettività, e non dovevano godere di benefizi né indulgenze poiché servire la Città era considerato avanti a tutto un onore. Nel suo ideale di buon governo, Platone poneva i filosofi, ovverosia i Giusti, a capo delle Città-Stato, che avevano quale supremo obiettivo la ricerca della Verità. Privi adunque d'ogni interesse personale, ma volti al conseguimento della felicità generale. E per tanto non avevano benefizi né favori, poiché occuparsi della cosa pubblica non era mestiere ma era bensì un privilegio morale.
Criterio, questo, portato persino dallo Statuto Albertino * , che ne indicava il medesimo concetto. E a tal proposito, pare se non altro una curiosa faccenda che in una monarchia la si pensasse in questo modo, e in una repubblica, onde vi stanno coloro che assurgono a difensori del popolo si cerchi d'arraffare a mano bassa ogni non dovuto, svuotando le tasche al beneficiato.
L'uomo politico, così come è stato concepito, ha da rimettere la sua vita e la sua opera al servizio del proprio Paese e della propria gente, che lo elegge come suo funzionario per l'adempimento di un incarico che egli ha il dovere di eseguire bene, nell'interesse prevalente della propria nazione. Lo Stato deve avere pertanto obbligazione di apportare alla propria collettività un benessere. Se esenta da questo è un non-Stato, il governo che lo rappresenta è illecito, e come tale non ha da essere riconosciuto, ma destituito.
Oggi lo Stato ha assunto un ruolo di prepotenza. Non rappresenta più la collettività ma il potere del comando sul cittadino, e chi dovrebbe rappresentarlo si sente autorizzato a piegare il mandatore al proprio volere. Questa è un'appropriazione indebita della forza dello Stato trasformata in prepotenza di un singolo.
La politica non è e non ha da essere un mestiere, ma una missione finalizzata al comune Bene.
E' debito ricordare agli Italiani che chiunque si occupi di politica ha da essere al servizio loro e non il suo contrario. Si rammentino che chi li rappresenta è un loro delegato; è l'uomo