Carl Schmitt: Eccezione. Decisione. Politico. Ordine concreto. Nomos.
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Andrea Salvatore insegna Filosofia politica presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università di Roma Sapienza. Ha curato la nuova edizione de La situazione della scienza giuridica europea di Carl Schmitt ed è autore, con Mariano Croce, de L’indecisionista. Carl Schmitt oltre l’eccezione (Quodlibet 2020).
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Anteprima del libro
Carl Schmitt - Andrea Salvatore
compimento.
1. Eccezione
«Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione» (Schmitt 1934², 33). Che l’incipit di Teologia politica sia la formula schmittiana più nota è ragionevolmente certo. Che sia tesi aperta a diverse interpretazioni è di contro sufficientemente falso, sebbene Schmitt tenda in più punti ora a rimarcarne ora a sfumarne i contorni, rimandando a un carattere liminare, pur innegabilmente connaturato alla figura del sovrano, che rischia talvolta di confondere, più che di chiarire, i termini della questione. Cerchiamo allora di ricostruire con accortezza, sfrondando il discorso di qualche paradossalità di troppo, la concezione della sovranità che si profila nel testo richiamato, a partire dal concetto realmente fondamentale di eccezione.
Per farlo, è opportuno prendere le mosse dalla concezione della sovranità che inaugura il pensiero politico moderno. Secondo questa tradizione, la sovranità si identifica con l’autorità suprema (vale a dire non derivata da un’autorità superiore), posta a fondamento dell’ordine giuridico. A titolo di esempio, l’articolo 1 della Costituzione italiana afferma: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Come si vede, una norma individua un’entità come sovrana e la assume quale scaturigine dell’intero ordinamento.
Cosa c’è che non va in questa concezione, secondo Schmitt? In condizioni normali nulla, ma per un concetto che si pretende assoluto, come per definizione il concetto di sovranità, tale limitazione è sufficiente a porne in questione l’intero statuto, o quantomeno a richiederne una più dirimente specificazione. Se infatti non è sovrano sempre, ma solo in condizioni normali (se si vuole, quasi sempre), un sovrano smette di essere realmente tale, perché si darà almeno un caso, una circostanza, una situazione, in cui questi risulterà subordinato a qualcosa di preordinato, da cui la sua stessa natura sovrana, a quel punto solo derivata (e dunque non più sovrana), risulterà dipendere.
Questo caso-limite, in cui il sovrano classicamente inteso smette di essere tale, è indicato da Schmitt con il termine di eccezione. L’eccezione è di per sé un evento non previsto, un’alterazione del corso normale delle cose, uno scarto, un’eccedenza rispetto alla serie ininterrotta di fattispecie omogenee necessarie per il darsi di un dato ordine. A seconda dell’intensità e dell’estensione di tale fenomeno deviante, si avranno delle ripercussioni sull’ordinamento giuridico più o meno rilevanti (un’uccisione è uno scostamento statistico, un numero di uccisioni che superi una certa soglia è la certificazione di una guerra civile). Nel caso in cui l’incidenza delle situazioni eccezionali sia tale da compromettere l’osservanza generalizzata della norma, e dunque la sua vigenza, si ha quello che Schmitt definisce uno stato di eccezione (se a ogni incrocio ha luogo un conflitto a fuoco, la norma che vieta di portare le armi non può più essere osservata e viene pertanto sospesa o dismessa).
In quanto eccezionale, si tratta di una casistica assolutamente minoritaria, tale per cui – lo ripetiamo, ché non pochi sono gli equivoci sorti al riguardo – la concezione classica della sovranità, come anche l’architettura costituzionale che su di essa si è venuta costruendo nei secoli, nella pressoché totalità dei casi si rivela perfettamente adeguata alle circostanze; vale a dire che essa dà esaustivamente conto di come funzionano le cose e predispone tutti gli accorgimenti giuridici necessari a che le cose funzionino. (Che poi tale apertura all’eccezionale rischi di comportare non solo una delimitazione del normativo, ma anche una sua compressione in favore di un personalismo politico di fatto eslege, o quantomeno ultra vires, appare evidente in più momenti e in più testi schmittiani).
Il problema, come detto, si pone per il semplice – ma decisivo – fatto che di tanto in tanto si danno delle circostanze eccezionali in cui l’esercizio della sovranità, che di norma risulta efficace nelle modalità previste dall’ordinamento vigente, smette di risultare tale e si rivela dipendente da qualcosa d’altro, cui dunque spetta la qualifica di autentico sovrano.
Quando si dà una situazione del genere? Si dà ogniqualvolta si venga a creare uno stato di cose, una situazione concreta, che rende di fatto inoperanti, il che significa inosservate (e talvolta finanche inosservabili), le norme di un certo ordinamento. Detto altrimenti, si è di fronte a una condizione eccezionale, data dal fatto che le prescrizioni di legge che fino a quel momento avevano dato prova di riuscire a regolare efficacemente i rapporti sociali si rivelano all’improvviso inefficaci, vale a dire non più in grado di assicurare un ordine effettivo (quali che siano le ragioni di detta inefficacia).
Ora – ed è questo lo snodo decisivo – che si dia una condizione tanto anomala da assurgere a stato di eccezione è questione che non dipende di per sé da una qualche evidenza «esterna», la cui effettiva presenza possa essere fatta dipendere dal riscontro di un criterio oggettivo (tasso di crimini commessi, incidenza delle diserzioni, carenza di beni essenziali, sistematicità del ricorso alla violenza, ecc.). Si tratta al contrario di una condizione sì fattuale, ma che si dà o non si dà del tutto indipendentemente da ogni risultanza altra rispetto alla disponibilità degli attori sociali a credere o non credere che essa si dia (disponibilità che certo dipenderà almeno in parte da elementi esterni, ma la valutazione dei quali rimanda a sua volta a parametri e situazioni non necessariamente condivisi né nella loro individuazione né nella loro