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Sposami per un anno e un giorno
Sposami per un anno e un giorno
Sposami per un anno e un giorno
E-book190 pagine2 ore

Sposami per un anno e un giorno

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Info su questo ebook


In un solo giorno Mila Mauri perde il lavoro e il compagno, che la tradisce con la sua migliore amica. Mila non è mai stata fortunata in amore e ancora non sa che il destino, a volte, gioca scherzi davvero strani. Il suo, di destino, si diverte a giocare con un passato vecchio di quindici anni e il ricordo della più bella, ma allo stesso tempo più triste, estate della sua vita. All’epoca Mila aveva trascorso le vacanze a Kinsale, in Irlanda, dove tutt’ora vivono sua zia Milly, ora quasi novantenne, e la sua più cara amica, Deidre. Entrambe le donne la invitano a tornare lì, tacendole, però, che anche Konnyr, il ragazzo che tanto tempo prima le aveva fatto perdere la testa, è tornato sull’isola. Mila e Konnyr sono più adulti, più maturi e, forse, in grado di resistere all’attrazione fisica che tanto tempo prima li aveva stregati, ma, a complicare il loro rapporto, ci si mettono zia Milly, gli amici che si sposano, un poeta matto che vive dentro un vecchio faro insieme a un labrador, un’antica leggenda e l’handfasting, il suggestivo rito celtico che Deidre e Liam hanno scelto per unirsi in matrimonio.
LinguaItaliano
Data di uscita15 gen 2018
ISBN9788833280332
Sposami per un anno e un giorno

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    Anteprima del libro

    Sposami per un anno e un giorno - LORENA MARCELLI

    BIOGRAFICHE

    UNO

    Sospirando Mila uscì dall’ascensore, si fermò sul pianerottolo e sollevò un ginocchio per appoggiarci sopra la scatola che conteneva i suoi oggetti personali, che fino a qualche ora prima erano appoggiati su quella che, negli ultimi tre anni, era stata la sua scrivania. Infilò la mano nella borsa sperando di riuscire a trovare al primo tentativo le chiavi dell’appartamento; rovistò come una forsennata, imprecando contro la sfortuna e la confusione che regnava all’interno di quello che, secondo la pubblicità, doveva essere il perfetto organizer di una donna in carriera. Peccato che la sua fosse finita prima ancora di iniziare.

    Il telefono di casa squillò proprio in quel momento e lei imprecò di nuovo. Appena riuscì a trovare le chiavi di casa la scatola le sfuggì di mano. Infastidita sbuffò e cercò di bloccarla, senza però riuscirci e alla fine anche la borsa raggiunse gli altri oggetti sparsi sul pianerottolo. Quando riuscì a rimettere tutto dentro la scatola, il telefono smise di squillare.

    A questo punto posso fare con calma, si disse, togliendosi una ciocca di capelli dagli occhi con un altro sbuffo nervoso. Aprì la porta e il gatto siamese del suo compagno le corse incontro, strusciandosi con insistenza contro le sue gambe.

    «Dub, gira al largo, non sono in vena di coccole, in questo momento», urlò percorrendo di corsa il corridoio.

    Si tolse sciarpa e cappello, si sfilò gli stivali, mosse con sollievo le dita dei piedi, poi si cambiò in fretta, sostituendo i pantaloni di velluto con una comoda e informe tuta, infine attorcigliò i lunghi capelli ricci e li fermò con una serie di mollette colorate. Quando si guardò allo specchio non poté evitare di fare una smorfia alla propria immagine.

    Se mi vedesse ora, scapperebbe di sicuro, si disse pensando a Dario, suo compagno da cinque anni, che mal sopportava di vederla in disordine. Lui non sarebbe rientrato prima di due ore, quindi lei aveva il tempo per preparare la cena, fare una doccia veloce e tornare a nascondere la tuta di ciniglia nell’armadio. Aveva acquistato delle fettine di vitello che pensava di cuocere in padella con un contorno di funghi e piselli, ma non aveva molta voglia di cucinare. Quello era stato il suo ultimo giorno di lavoro e dalle diciotto in avanti era ufficialmente disoccupata. Certo che ritrovarsi senza lavoro a trent’anni non era una gran bella cosa! In realtà non lo era nemmeno lavorare per un’agenzia che organizzava matrimoni a dir poco stravaganti, soprattutto dopo anni e anni di studi umanistici, ma in città non aveva trovato niente di meglio e, dopo innumerevoli porte sbattute in faccia, si era dovuta accontentare di quell’impiego che, per lo meno, le aveva permesso una certa autonomia finanziaria. Dario non faceva altro che ripeterle che sarebbe stato più dignitoso lasciarlo, ma lei non aveva mai voluto dargli ascolto. Non le piaceva dipendere da lui e non avrebbe mai accettato di essere mantenuta da un uomo. L’indomani si sarebbe messa alla ricerca di un nuovo impiego, ma quella sera non gli avrebbe detto nulla, tanto lui non le avrebbe fatto domande.

    Entrò in cucina e preparò la carne, tagliuzzò i funghi e aprì la scatola dei piselli. Accese il fornello e abbassò la fiamma al minimo, coprendo il tegame con un coperchio di vetro per tener d’occhio la cottura. Dub tornò alla carica e lei riempì una ciotola di croccantini al pollo, i suoi preferiti. Si assicurò che avesse abbastanza acqua, poi accese la radio e la sintonizzò su una stazione che trasmetteva solo musica italiana. Venti minuti dopo si precipitò in camera per indossare uno degli abiti con cui Dario amava vederla. Era un tubino molto stretto e lungo fino al ginocchio, di uno strano colore che era un misto di grigio, nero e blu e che, secondo lei, faceva a pugni con il suo incarnato mediterraneo e i capelli scuri. Si passò la spazzola fra i riccioli ribelli e li tirò indietro, fermandoli sulla nuca, poi stese un velo di rossetto sulle labbra. Gettò uno sguardo all’orologio da polso e calcolò il tempo che le rimaneva prima che lui rientrasse. Trentacinque minuti. La puntualità era il punto forte del suo compagno. Apparecchiò la tavola coi piatti migliori, i bicchieri di cristallo con il bordo dorato e le posate, regalo della madre di Dario, che continuava a chiederle perché il figlio non si fosse ancora deciso a sposarla. Il telefono squillò di nuovo, facendola sobbalzare. Abbassò il volume della radio e si affrettò a rispondere.

    «Ciao Mila, scusa se ti disturbo a quest’ora, ma volevo chiederti se più tardi posso passare da te.»

    La voce di Valeria era strana. Si conoscevano da quando erano adolescenti e lei riusciva a captare il suo nervosismo anche attraverso la linea telefonica.

    «C’è qualcosa che non va?» le chiese, preoccupata.

    «Perché me lo chiedi?»

    «Non so, ho l’impressione che tu sia agitata.»

    «È solo una tua impressione, te lo assicuro. Devo parlare con te di una cosa che mi riguarda», la rassicurò Valeria.

    «Allora passa quando vuoi, sai che quando si tratta di te Dario non fa storie.»

    Era in cucina quando sentì la porta d’ingresso chiudersi con un tonfo soffocato. Dario era rientrato e lei seguì il rumore dei suoi passi fino in camera. Sapeva già quali sarebbero stati i suoi gesti: si sarebbe tolto la giacca, sfilato la cravatta e rimboccato le maniche della camicia fino al gomito, poi sarebbe andato in bagno per lavarsi le mani. Infine sarebbe entrato in cucina, le avrebbe dato un bacio leggero e le avrebbe chiesto com’era andata la sua giornata.

    Quella sera invece le cose andarono in modo diverso dal solito.

    Dario entrò in cucina, si sedette al suo posto e, senza guardarla, le disse: «Più tardi esco con Gianni. Mi ha invitato a bere qualcosa al bar.»

    Mila rimase in silenzio, disorientata dall’atteggiamento del compagno. Sistemò la carne e il contorno nei piatti, gli versò un po’ di vino e gli si sedette accanto.

    «Hai avuto una brutta giornata?» gli chiese con gentilezza.

    «Perché me lo chiedi?»

    Lei rabbrividì. Le aveva risposto nello stesso modo e con lo stesso tono di Valeria. Quel dettaglio le lasciò una strana sensazione addosso.

    «Mi sembri nervoso», si limitò a commentare.

    «È stata una pessima giornata. Ho dovuto prendere delle decisioni pesanti, ma che non potevo proprio rimandare», le spiegò lui senza alzare lo sguardo, poi si mise a tagliuzzare la carne e a guardare davanti a sé, ignorandola.

    Non era la prima volta che tornava a casa di cattivo umore e lei perse la voglia di fare conversazione. Subito dopo aver bevuto il caffè si alzò e la salutò, con un fare ancor più distante e affettato di prima.

    Mila ebbe la netta sensazione che stesse fuggendo, come se rimanere nella stessa stanza con lei gli provocasse un fastidio insopportabile. Infilò piatti e bicchieri nella lavastoviglie e avviò il programma di lavaggio rapido, poi andò in sala, scelse un film da vedere mentre attendeva Valeria, spense la luce e si abbandonò sul divano.

    ***

    L’amica arrivò un’ora dopo. Suonò il campanello una sola volta, forse temendo di disturbare. Mila andò ad aprirle. Il viso privo di trucco della ragazza era tirato e pallido. Sembrava avesse pianto e aveva un alone nero sotto gli occhi.

    «Posso entrare?» le chiese.

    «Ora che ti vedo sono ancora più preoccupata. Dimmi subito cosa ti è accaduto. Non ti ho mai visto in queste condizioni.»

    Si fece da parte e la fece entrare, poi la precedette in salotto. Valeria si sedette in un angolo, rigida come un manichino.

    «Ti devo raccontare una cosa», disse in un soffio, la voce che si spezzò prima della fine della frase.

    «Dimmi», la sollecitò lei, cercando di prenderle una mano.

    Valeria tirò indietro la sua e l’appoggiò sulle ginocchia, poi prese a torturarsi le pellicine intorno alle dita.

    «Dario è già uscito?» le chiese, guardandosi intorno.

    Mila annuì, preoccupata. Il suo cervello registrò la stranezza della domanda e comprese la situazione in meno di un secondo: Valeria sapeva che Dario non sarebbe stato in casa.

    «Bene», commentò l’altra, poi proseguì: «lui non voleva che fossi io a dirtelo, ma ho insistito tanto. Alla fine ha dovuto cedere.»

    Dita gelate scivolarono sulla schiena di Mila e la fecero rabbrividire.

    «Dirmi cosa?»

    Una terribile sensazione si faceva strada dentro di lei e più Valeria temporeggiava più quella sensazione aumentava. Sentì l’impulso di afferrarla per le braccia e scuoterla forte per costringerla a parlare, ma sapeva anche di non aver bisogno di sentire la confessione di Valeria: aveva già compreso tutto.

    «No, non dirmi nulla, non lo voglio sapere.»

    L’appuntamento di Dario con Gianni era una scusa. In fondo se lo doveva aspettare, lo avrebbe dovuto capire da tempo, e forse lo aveva capito, anche se aveva fatto finta di non accorgersene. Era sempre stata brava a evitare la verità, soprattutto quando era scomoda. Aveva avuto intenzione di evitarla anche quella sera, non dicendogli che era stata licenziata. Anni di menzogne e di negazioni, d’illusioni e di nulla. Ecco cos’era stata la sua vita con Dario. Sentiva le lacrime pungerle gli occhi con la forza di aghi affilati, ma non voleva dare a Valeria la soddisfazione di vederla piangere.

    «Io devo spiegarti, devo farti capire. Io non volevo… noi non volevamo ferirti, ma ci siamo innamorati; non ce ne siamo nemmeno accorti, ma è successo», mormorò Valeria coprendosi il viso con le mani e scoppiando a piangere.

    «Sono io quella che dovrebbe piangere», ribatté Mila.

    In un solo pomeriggio aveva perso il lavoro, la sua amica, il suo uomo e la sua casa, perché lì non poteva rimanere, visto che era l’appartamento di Dario. Si ritrovò a pensare che non avrebbe saputo dare un ordine d’importanza a quelle perdite e poi si biasimò per quel pensiero. Che senso aveva fare una graduatoria? Era bastato un istante e la bolla in cui aveva vissuto fino a quel momento era scoppiata, lasciando dietro di sé inconsistenti gocce di nulla.

    «Vai via, per favore», mormorò avviandosi verso la porta. «Verrai a vivere qui?» chiese poi a Valeria, mentre le passava davanti per uscire.

    «Appena te ne sarai andata. Non vogliamo metterti fretta, ma è giusto che tu lo sappia. Dario starà da me qualche giorno, il tempo che ti servirà per organizzarti. Puoi lasciare le tue chiavi di sotto, dal portiere. Ci penserà lui ad avvisarlo.»

    Sentì una botta di nausea. Dario era fuggito; non era stato capace di dirle che era finita e aveva mandato la sua nuova donna a sfrattarla. Era sicura che, dopo lo stordimento iniziale, si sarebbe trovata preda di una profonda delusione.

    «Potrei dirti che mi fate schifo entrambi, ma non te lo dirò», iniziò, poi osservò l’accenno di un sorriso di sollievo che si era formato sulle labbra di Valeria. Forse pensava che l’avrebbe perdonata. «In realtà sei tu a farmi schifo, a darmi il voltastomaco. In fondo da Dario me lo potevo aspettare. Da un uomo così falsamente perfetto mi sarei potuta aspettare di tutto, ma da te proprio no. Pensavo fossi mia amica, una vera amica. Se fossi in te, mi vergognerei da morire. Sei una donna indegna.»

    Il mezzo sorriso di Valeria si afflosciò e Mila chiuse la porta con veemenza, poi appoggiò i palmi sul legno lucido, pensando a tutto quello che avrebbe dovuto fare nei giorni seguenti e a chi avrebbe potuto chiedere ospitalità fino a quando non avesse trovato un’altra sistemazione.

    DUE

    Quella mattina il vento si era alzato prima del solito; soffiava da nord-est e s’infiltrava con prepotenza fra le imposte chiuse del piccolo cottage affacciato sulla scogliera. Al di là dei vetri della finestra della sua camera da letto, Milly O’Dought, ottantadue anni compiuti da un paio di mesi, osservava il viavai delle auto che si avvicinavano a Fort Charles. Ogni tanto si distraeva seguendo il volo dei gabbiani che si tuffavano a capofitto in mare in cerca di cibo. Il sole, aiutato dal vento gelido e impetuoso, era riuscito a farsi largo nel cielo e ora provava perfino a riscaldare, se così si poteva dire, le mura del vecchio forte che, sotto i suoi deboli raggi, sembravano quasi argentee. La vecchia signora si mosse piano nel letto in attesa di udire il rumore metallico della chiave che girava nella serratura.

    Claire Laine, la sua giovane vicina, se così poteva essere definita una donna di sessantaquattro anni, sarebbe arrivata di lì a poco e, come sempre, l’avrebbe intontita a forza di chiacchiere e pettegolezzi. Da anni Claire si prendeva cura di lei, per essere precisi da quando, dieci anni prima, sua sorella gemella Margaret O’Dought era morta. Un’infinità di tempo in realtà e presto sarebbe toccato a lei percorrere la strada di Margaret. Il suo vecchio e malandato cuore la stava abbandonando e lei doveva accelerare le cose per far sì che Mila tornasse in Irlanda. Per quel motivo il ritardo di Claire la stava irritando oltre misura. Erano ore che pensava alla lettera che doveva dettarle e, se quella sciocca dai capelli turchini non fosse arrivata in fretta, rischiava di dimenticare qualcosa. E lei non voleva farlo. No davvero! Non aveva passato la notte in bianco riflettendo su ciò che voleva dire a quella ragazza, per poi dimenticarsene. Pensò che non la vedeva da… quanti anni? Quindici, o forse più. Non ricordava bene. Però i loro rapporti, nonostante l’accaduto e nonostante l’ostinazione di Mila, che non aveva mai accettato di tornare a Kinsale, non si erano mai interrotti. L’aveva sentita al telefono qualche giorno prima e la nipote le aveva raccontato, seppur per sommi capi, com’era finita la sua convivenza. Avevano parlato per qualche minuto, poi Mila le aveva detto che non poteva trattenersi a lungo perché doveva contattare delle agenzie immobiliari per cercare un monolocale dove trasferirsi. L’idea le era venuta subito dopo averla salutata. Perché no? si era detta, rendendosi conto che era arrivato il momento giusto per convincerla a tornare in Irlanda. Lei aveva bisogno di compagnia e la ragazza aveva bisogno di una casa, oltre che di un periodo di riflessione e di un lavoro. Avrebbero potuto trovare un compromesso soddisfacente per entrambe. Claire era fin troppo affaccendata e non aveva mai il tempo di portarla in giro, e lei non voleva passare i suoi ultimi giorni chiusa in casa come una reclusa. E poi Claire al volante era un disastro e avrebbe potuto essere la causa della sua fine anticipata. A Mila era piaciuto stare lì, quindici anni prima. Fin troppo, in realtà. Era una ragazzina allegra e solare, piena di vita e intraprendente come poche altre. Se non

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