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Un Caso Complicato
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E-book120 pagine1 ora

Un Caso Complicato

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Info su questo ebook

Il detective Fumagalli Ambrogio é chiamato da una bella ragazza di nome Anna Bonfiglio, figlia di un Onorevole molto potente che la stampa descriveva legato alle famiglie mafiose e alla 'ndrangheta, a investigare sulla morte del comune amico Vittorio Boffi rinvenuto cadavere nel suo ufficio con un buco in fronte.

Da sabito il caso si presentò complicato
LinguaItaliano
Data di uscita29 gen 2024
ISBN9791222720746
Un Caso Complicato

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    Anteprima del libro

    Un Caso Complicato - Antonio Annunziata

    CAPITOLO I

    Anna Bonfiglio nata a Rapallo una trentina d’anni fa era, usando le parole del commissario Montalbano una femmina da togliere il fiato!

    Alta, gambe slanciate, bionda, occhi color verde smeraldo, labbra carnose, ovale che pareva una Madonna dipinta. Laureata in lingue straniere con il massimo dei voti e bacio accademico, bacio che s’apprestò a darle il Rettore Vincenzo Oliva prima sulla guancia destra e poi sulla sinistra non perché la tesi fosse meritevole di ciò, ma perché era notoriamente un viscido essere che approfittava di ogni pretesto per toccare le allieve piacenti. Quando ricorda il fatto Anna Bonfiglio non poteva non mostrare il suo sdegno perché ancora oggi, a distanza di anni, sentiva le mani del suddetto scivolare sulle sue natiche: prima la destra e poi la sinistra.

    Lavorava per lo studio dell’Onorevole Giuseppe Bonfiglio, suo padre, notissimo uomo politico che, dicevano, avesse interessi personali sia nel mondo industriale, in quello immobiliare, delle comunicazioni e del turismo. Più volte la stampa ne aveva parlato come uomo legato alla mafia, estremamente abile ad ottenere favori (ben remunerati) e a farli ottenere agli amici degli amici dietro laute prebende.

    Quella mattina d’agosto fu svegliata dallo squillare del telefono di casa sistemato sul comodino della camera da letto. Ancora assonnata portò la mano destra alla radio sveglia pensando che lo squillo venisse da lì, poi, quando la mente fu più reattiva, capì che era il telefono di casa e quindi, sollevando la cornetta, chiese:

    «Pronto chi parla?» dalla bocca le uscirono le parole impastate.

    «Anna sono io!» disse la voce dall’altro capo del filo.

    «Io chi?»

    «Viddorio, Viddorio Boffi non mi riconosci?»

    «Affatto, ma che voce hai?»

    «Scusami, ma sono moldo raffreddado. Ieri in barca ho preso moldo freddo!... Sendi di delefono di prima maddina perché avrei bisogno di vederdi più dardi nel mio ufficio. »

    «Ma è così urgente da svegliarmi all’alba!?»

    «Sì, è cosa moldo delicada che non posso dirdi al delefono. Quando vieni de lo dico. Per favore vieni...»

    «Va bene vengo, ma non prima delle undici e trenta mezzogiorno!»

    «Grazie... di aspeddo... poi magari andiamo a mangiare al risdorande, quello che conosci e che di piace!»

    Terminata la conversazione, Anna restò per alcuni minuti seduta sul letto a pensare, chiedendosi cosa le doveva dire di tanto delicato e urgente.

    Poi si alzò andò in bagno, si tolse il pigiama di seta e si buttò in doccia.

    CAPITOLO II

    Alla medesima ora dello stesso giorno Ambrogio Fumagalli, per gli amici Tognazzino perché dicevano somigliasse fisicamente e anche come timbro di voce all’attore Ugo Tognazzi, si svegliò di malumore. Aveva fatto un brutto sogno dal quale si era imposto di interrompere. Era tutto sudato, aveva il fiato grosso, la bocca spalancata e con gli occhi ancora appiccicosi cercò l’interruttore per illuminare la stanza. Solo in quel preciso momento si rese conto di essere seduto all’estremità del letto lato piedi, che aveva la canottiera inzuppata di sudore, che aveva il fiato corto, che aveva la bocca spalancata come per prendere più aria possibile e che il cuore gli batteva a mille.

    Aveva sognato di trovarsi a pizzo di un precipizio mentre un’auto stava precipitando. Era un’auto qualsiasi – sicuramente non sua, lui non aveva mai preso la patente e non possedeva nemmeno una bicicletta – mentre le urla di una donna all’interno dell’abitacolo chiedevano aiuto. Ma lui restava immobile a guardare. Bloccato dalla innata paura del vuoto, conscio che nulla avrebbe potuto fare per soccorrere la poveretta.

    A un certo punto si sentì spingere alle spalle da una mano e così iniziò a precipitare nel vuoto mentre una voce di femmina gli comandava di buttarsi per aiutare la poveretta prigioniera nell’abitacolo.

    Iniziava così a nuotare nel vuoto agitando le mani come un nuotatore tra le onde per tenersi a galla, e il suo era un volo lento come se fosse dentro a una scena girata al rallentatore in un film.

    Si alzò dal letto e a piedi scalzi si diresse alla finestra. Alzò la tapparella e la luce di un sole caldo e luminoso lo investì. Guardò fuori: la strada era deserta. Certo, si disse, è agosto chi vuoi che giri per strada a quest’ora di domenica mattina!

    Si spogliò e nudo prese la porta del bagno per gettarsi sotto la doccia. L’acqua fredda lo avrebbe svegliato e avrebbe cancellato dalla sua testa quell’orribile sogno. Uscito dalla cabina doccia andò al lavandino, accese le luci dello specchio e dopo aver deliberatamente rifiutato di guardarsi allo specchio per una decina di giorni, cioè da quando Laura lo aveva lasciato si guardò. Si faceva schifo: la barba lunga, gli occhi sgranati

    le occhiaie che parevano pittate di grigio scuro, i capelli arruffati, le basette schizzate di bianco. Erano stati sufficienti dieci giorni per invecchiare di dieci anni, si chiese, o era stata la lite che aveva avuto con Laura la causa di tanto sfracello?

    Si faceva schifo e si vergognava per quello che era successo. Lei, la sua fidanzata lo aveva lasciato sbattendo la porta. Era stata irremovibile nella sua decisione, e di chi era la colpa di tutto questo?

    «Solo tua!» gridò a quello stronzo che lo guardava nello specchio. Della sua inguaribile gelosia, dei suoi sospetti, di non volere credere alle parole di Laura. E lei gli aveva gridato in faccia che non ne poteva più di questa situazione, che il bicchiere era ormai colmo e che non ce la faceva più a sopportarlo.

    «Non cercarmi! Non ne voglio più sapere di te, della tua gelosia! Non sono quella che nella tua mente bacata scopa con questo o con quello; ma tu ti ostini a credere quello che la tua mente malata ti fa credere.

    Sono stufa di cercare di farti capire che non è vero niente! Tu sei malato ti devi far curare!

    Sei un investigatore di professione perché non mi hai fatto pedinare dal tuo aiutante, o meglio perché non mi hai pedinato tu stesso...»

    Cosa che il Fumagalli aveva fatto ma che non poteva confessarle!

    Ripensandoci, l’incubo fatto era niente in confronto alla sensazione di vuoto che le aveva lasciato dentro. Avvertì un dolore acuto in mezzo al petto. Respirò a pieni polmoni una, due, tre volte fino a che il dolore passò.

    Andò in cucina. Si preparò un caffè senza zuccherarlo. Poi ritornò in camera da letto e si vestì. Verso mezzogiorno sarebbe dovuto andare all’ufficio di Vittorio Boffi, un suo vecchio amico delle medie, che lo aveva invitato per l’ora di pranzo.

    CAPITOLO III

    Anna Bonfiglio indossò un abitino di seta verde come i suoi occhi. Ai piedi infilò dei sandali eleganti in tinta col vestito col tacco non troppo alto. Nella borsetta a tracolla infilò trucco, cipria, rossetto, chiavi di casa, portafoglio in coccodrillo (verde), sigarette e accendino. Si guardò per l’ultima volta allo specchio. Si piacque ed uscì.

    La palazzina dove aveva l’ufficio l’amico Vittorio distava dalla sua abitazione un paio di chilometri in linea d’aria. A passo svelto raggiunse la destinazione che erano le undici e trentacinque, suonò al citofono dove la targhetta diceva Import Export Vittorio Boffi.

    Siccome non ebbe nessuna risposta, suonò la seconda volta e avvicinando il viso al citofono meccanicamente, senza attendere il click, disse: «Vittorio, sono io, Anna. Mi apri?»

    Alla terza si spazientì dicendo ad alta voce, mentre dal portone usciva una signora con al guinzaglio un barboncino bianco: «Ma guarda questo qui che mi fa alzare la mattina all’alba per andare da lui e non mi apre!»

    La signora del barboncino, una quarantenne alta e secca secca, capelli stretti alla nuca e occhi spiritati la guardò e udendo le parole chiese garbatamente: «Chi sta cercando?»

    «Vittorio Boffi, non mi risponde.»

    «È al quarto piano» fece la signora secca secca spostandosi di lato per far entrare la ragazza, trattenendo col guinzaglio il barboncino che avrebbe voluto pulirsi le zampette sul vestito di seta.

    «Grazie, troppo gentile» fece Anna chiudendosi alle

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