L'ira del mostro
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Thriller - romanzo breve (72 pagine) - Il sesto peccato è l’ira
Ilario Belviso è un mostro. E come ogni mostro ha imparato a controllarsi, per scivolare inosservato in mezzo a chi mostro non è. Il giorno in cui una ragazzina dai capelli verdi lo ingaggia per indagare sulla scomparsa della sorella, pagandolo con pochi spiccioli e un paio di mutandine usate, Ilario Belviso si troverà spalle al muro. Dovrà scendere all'inferno oltrepassando i portoni dell'Aleister, un locale oscuro fatto di simboli occulti, elettricità e musica. Dovrà affrontare i propri demoni e soprattutto l'ira più ardente, la propria, per capire quella di qualcun altro e uscirne vincitore.
Scilla Bonfiglioli nasce vive a Bologna. Ha pubblicato racconti in diverse antologie (Bacchilega, Delos Book, Edizioni Diversa Sintonia), collane (Delos Digital), sulle riviste Writers Magazine Italia e Robot. Vincitrice del premio WMI per tre volte consecutive, è autrice della saga fantasy L'Ultima Soglia pubblicata per Delos Digital nella collana Fantasy Tales. Nel 2012 esce con il racconto Skylla e Karybdis su Segretissimo Mondadori. Nel 2013 pubblica Pagare cara una pelle nell’antologia Giallo 24 su Giallo Mondadori. Nel luglio del 2014, il thriller storico La Corte della Seta esce nell'antologia Anno Domini per Mondadori, accanto a grandi nomi del giallo italiano. A dicembre 2017 pubblica per Mondadori il racconto Un'ombra sulla luna, vincitore del primo Premio Segretissimo. Nel 2018 vince il Premio Gran Giallo Città di Cattolica con il racconto Non si uccidono i dodi, in pubblicazione a novembre su Giallo Mondadori. Nel 2019 si aggiudica il Premio Altieri con il romanzo Nero&Zagara.
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Anteprima del libro
L'ira del mostro - Scilla Bonfiglioli
9788825402001
1
Sabato
Un cliente come quello che aveva davanti non gli era mai capitato, poco ma sicuro.
Ilario Belviso cercò di prendere tempo e si infilò in bocca un pasticcino. Ne masticò fuori la dolcezza eccessiva e lasciò correre lo sguardo sulla folla che riempiva Roma Termini. Erano le sette del mattino, li mortacci.
– Ci sei, detective segreto? Non è che posso stare qua tutta la vita.
Ilario si pulì le dita piene di zucchero sui pantaloni.
– Ci sono. Come hai detto che ti chiami, chicca?
– Mi chiamo Sara – rispose il suo cliente. E dondolò i piedi, facendo vibrare il tavolo. – Sara Ricci. Ho trovato il tuo numero su internet. Volevo mandarti uno snapchat, ma non ce l'hai. Per fortuna sei venuto. Non sapevo più come fare.
Sara Ricci aveva undici anni ed era una ragazzina che dava da pensare. Le piacevano le cose troppo dolci e accavallava le gambe con una malizia costruita, come per imitare qualcuno di più grande. Non aveva fatto una piega quando l'aveva visto in faccia. Gli aveva sorriso, invece, e lo aveva praticamente costretto a condividere la colazione zuccherosa che aveva ordinato mentre lo aspettava. E quando lui le aveva chiesto se i mostri non la spaventassero, lei si era stretta nelle spalle.
Aveva visto di peggio, era stata la sua risposta.
Ilario si domandò se si fosse messa il rossetto per incontrare lui o se avesse qualche altro impegno più inquietante nell'arco della mattinata. La guardò infilarsi le dita nei capelli, inanellando le ciocche tinte di verde sulle unghie smaltate, tirarsi nervosamente i pendenti degli orecchini.
– Ti ho chiamato perché mia sorella è scomparsa. Oggi è sabato? Mina Vagante non la vedo da giovedì.
– Aspetta. – Ilario sollevò un dito. – Tua sorella si chiama Mina Vagante?
– Puoi giurarci, Belfaccino.
– Chiamami ancora così e trovo tua sorella e te la faccio mangiare. Capito, chicca?
La sua cliente alzò le mani in segno di resa e fece un sorrisetto mesto.
– Basta che me la ritrovi. Posso pagarti bene, sai?
Si piegò a frugare nello zaino e tirò fuori un involto di carta di giornale. Dentro c'erano il totale di duecento euro (due carte da cinquanta, tre da venti, il resto in monete che Sara contò davanti a lui una per una, per dimostrare la sua onestà) e un paio di mutandine nere, che mandarono a Ilario un involontario brivido caldo dritto all'inguine.
– Sono di Mina Vagante – spiegò Sara, richiudendo l'involto. – Appena usate, le ha lasciate in camera. A volte le dà alla gente nel locale e loro le danno dei soldi. Pensi che possa bastare? Potrai essere ricco, se troverai mia sorella. Un giorno diventerà una cantante famosa e avrà una barca di euro, ti puoi fidare.
Ilario si massaggiò le tempie.
– Fa la cantante – annuì. – Mina Vagante è il nome che usa quando canta? Bene. Ma come si chiama per davvero? Ricci anche lei, se è tua sorella. Ma di nome?
Sara spinse le labbra rosse in fuori, in un'espressione di sorpresa così infantile che fece a pugni con tutto il resto di lei. Poteva atteggiarsi da adulta quanto voleva, ma si vedeva che era piccola. Che ci faceva una ragazzina alla stazione di Termini alle sette del mattino e vestita come una battona della Salaria?
– Che ne so – fece lei. – Io l'ho sempre chiamata Mina Vagante.
Ilario era stranito. Era la seconda volta di fila che veniva chiamato per rintracciare un fratello o una sorella, volevi vedere che dall'ultima cena alla villa si era sparsa la voce? Abbassò gli occhi sull'involto di giornale. Normalmente con quella cifra si sarebbe fatto pagare appena le prime spese di sopralluogo. Inoltre, non era sicuro che degli slip usati potessero essere impiegati come moneta corrente. Tuttavia, cedette.
– Te la trovo, tua sorella – disse. – Raccontami di lei.
Alla ragazzina dai capelli color prato si illuminò la faccia, quando gli sorrise di nuovo. Sorrise a lui, diavoli! Quella cosa, il fatto che lei non tenesse in conto la sua deformità, lo faceva sentire a posto anche in mezzo alla folla della stazione. Sara Ricci non fingeva. Ilario era bravo a scovare quelli che lo facevano. No, per lei non c'era davvero nessun problema.
– Cosa ti devo raccontare?
– Tutto quello che ti viene in mente.
Lei si infilò una ciocca sgargiante dietro l'orecchio, si ficcò in bocca quello che rimaneva della colazione e cominciò.
Mina Vagante faceva la cantante all'Aleister, un bel localino su via delle Tre Fontane, proprio nel quartiere dell'EUR. In famiglia erano solo in tre: Sara, la sorella scomparsa e la loro mamma. Il padre se ne era andato che lei era piccola, quasi non lo ricordava.
– Tua madre non ha denunciato la scomparsa di tua sorella? Non è preoccupata?
– Capirai, è morta.
Lo disse con una schiettezza da far male, stringendosi nelle spalle davanti all'ineluttabilità della faccenda.
– Mi dispiace molto.
– Eh, ma sai – fece lei. – Si drogava sempre ed è morta di overdose. Quattro settimane fa. C'è stato anche il funerale.
Ilario fece una smorfia. La situazione della famiglia Ricci si dipingeva bella quanto un rigore contro al novantasettesimo. Sara era addolorata, per la perdita della madre, si vedeva, ma non era disperata. Si capiva che la donna aveva svolto un ruolo marginale, nella vita di quella bambina verderame.
Sara era stata cresciuta da Mina Vagante, che invece non era marginale affatto.
– Io non so come fare, senza di lei. – Per la prima volta, Sara Verdeoliva arricciò la faccia, sul punto di piangere, e gemette da spezzargli il cuore. – Aiutami.
– Ehi, chicca. – Ilario allungò la mano per consolarla, ma la ritrasse con vergogna. – Ti aiuto io. Te la riporto a casa io, la tua Mina Vagante, vedi di stare tranquilla.
– Allora va bene – Lei annuì e lottò per ricomporsi. Tornò a fargli un sorriso timido e spinse verso di lui l'involto di giornale. Poi si tirò lo zaino sulla spalla. – Adesso però io devo andare a scuola. Sono già in prima media, sai?
Ilario sentì allentarsi la mascella. Verdesara ci andava a scuola, con il rossetto, lo smalto e quei capelli? Ma faceva davvero o lo prendeva in giro?
– Grazie, detective Belviso. – Sara scrisse in fretta qualcosa a penna, sull'angolo del quotidiano che avvolgeva soldi e mutandine. – Se mi vieni a prendere all'una, apriamo le indagini. Questo è l'indirizzo.
– Apriamo le indagini? – fece lui, guardandola scendere dallo sgabello.
– Eh. – Lei sorrise ancora. – Come