Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L'enigma del Battista
L'enigma del Battista
L'enigma del Battista
E-book347 pagine4 ore

L'enigma del Battista

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook


Alice è morta da secoli, ma la sua discendenza è continuata senza interruzioni fino ad Alessia, giovane erborista italiana, che si ritrova improvvisamente catapultata nell’eterna lotta tra la Luce e le Tenebre e che dovrà scegliere da che parte schierarsi.
di Lorena Marcelli
Cosa hanno in comune la decapitazione di San Giovanni Battista – uno degli eventi più importanti descritti nel Vangelo secondo Matteo – Alice Kyteler – donna colta e scaltra vissuta in Irlanda tra il XIII° e XIV° secolo e Alessia, giovane erborista italiana nata ben 700 anni dopo Alice?
Il ritrovamento sull’isola di Sveti Ivan, in Bulgaria, dei presunti resti di San Giovanni riaccende la contesa tra i giovanniti, i Figli della Luce, e coloro che non vorrebbero che la Luce torni a regnare sul mondo.
La lotta per impossessarsi del Caput del santo sconvolge la vita di Alessia, che dovrà scegliere da che parte schierarsi in una lotta sovrannaturale.
LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2020
ISBN9788833284453
L'enigma del Battista

Leggi altro di Lorena Marcelli

Autori correlati

Correlato a L'enigma del Battista

Ebook correlati

Narrativa storica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su L'enigma del Battista

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L'enigma del Battista - LORENA MARCELLI

    23)

    Prologo

    Galilea, 35 d.C.

    Due donne passeggiavano lungo il porticato della lussuosa villa. La prima, più anziana, con la sua fisicità e imponenza sembrava quasi sovrastare la ragazza che le camminava accanto, una giovane dalla bellezza travolgente, talmente bella che i servi e i soldati non riuscivano a staccare gli occhi da lei quando passava loro davanti. Il viso, di un pallore alabastrino, era incorniciato da lunghi capelli neri, portati alti sulla nuca e acconciati ad arte. Li adornava spesso con perle e pietre preziose, e gemme rilucevano intorno ai suoi polsi e al collo sottile. Gli occhi, grandi e scurissimi, erano di taglio perfetto e sembravano rivolgere mute domande alla sua interlocutrice che, però, continuava a parlare solo di ciò che le pareva, senza curarsi di darle risposte. Le labbra, carnose e sensuali, lasciavano intravedere i denti minuscoli, da bambina. Le curve del corpo agile, scolpito da ore di danza, s’intravedevano sotto la semplice tunica di lino color ocra e i piedi, calzati con leggeri sandali di pelle scurita dal sole, avevano dita sottili, dipinte con l’henné. La ragazza camminava in silenzio, ascoltando con muto rispetto le parole della madre.

    «Ha osato dire proprio queste parole. Quel vile ciarlatano, quel falso profeta, quel pazzo predicatore coperto di cenci puzzolenti, quel povero mangiatore di miele selvatico e locuste del deserto, ha osato dire al re: Non licet tibi habere uxorem fratris tui! Ti rendi conto? Ha osato offendere il re dicendogli che non era lecito sposare la moglie di suo fratello, come se avesse il diritto di intromettersi nei nostri affari! Fino a quando quel maledetto profeta rimarrà in vita io non avrò pace; nella mia mente e nel mio cuore rimarranno scolpite le sue parole, come se lui le avesse impresse con il più ardente dei marchi! Il suo oltraggio merita di essere punito in maniera esemplare!»

    Il tono della donna era duro, secco, senza pietà. La giovane scosse la testa e alzò gli occhi verso il viso della madre, stravolto dalla rabbia.

    «Madre, sapete che vostro marito non permetterà mai di fare del male a Iokanaan. Lo teme molto e crede in quello che lui dice e predica. Il tetrarca sa che gode del favore del popolo, dal quale è venerato e considerato. Tutti pensano che sia il profeta di quel dio che loro adorano, anche se nessuno l’ha mai visto.»

    Erodiade strinse forte il braccio di sua figlia, spingendola oltre i gradini che conducevano al giardino. Davanti a loro, i servi si affrettavano a pulire i sentieri, in modo che potessero percorrerli senza sporcarsi i piedi. La donna s’incamminò verso il labirinto, seguita dalla ragazza che non osava più parlare, temendo di dire qualcosa che potesse innervosirla ancora di più. Guardava pensierosa gli ultimi raggi del sole che penetravano attraverso le fronde degli alberi e illuminavano le nuove colonne di marmo ai lati del giardino. La luce, riflessa sulla superficie lucida, l’accecava, costringendola a tenere gli occhi socchiusi.

    Erodiade fremeva. La sua rabbia era tangibile: in Iokanaan vedeva un nemico che la denigrava e che voleva toglierle la corona, l’autorità e il decoro. Lui voleva annientarla e aveva chiesto di essere ricevuto a corte per instillare in Erode il tarlo del dubbio. Suo marito era uno sciocco e credeva in tutto ciò che il pazzo del deserto predicava per le strade della Galilea, ma lei era riuscita a convincerlo e aveva fatto imprigionare quello stolto in una cisterna sul Macheronte. Nonostante ciò, non era soddisfatta e gridava vendetta. Quel vile si sarebbe presto reso conto di quanto potesse essere pericolosa la rabbia di una donna offesa. Erano giorni che preparava il suo piano e Salomè era la sua arma più potente.

    Conosceva bene la passione che Erode provava per la sua giovane e bellissima figlia. Quando la ragazza entrava nella loro stanza, l’uomo non riusciva a nascondere la sua eccitazione. Erodiade avrebbe usato la giovane per colpire Erode e Iokanaan nello stesso istante. Ci aveva pensato giorno e notte, meditando e studiando ogni mossa da compiere. L’imminente giorno in cui avrebbero festeggiato l’anniversario di nascita di Erode le avrebbe permesso di mettere in atto la sua vendetta, che l’avrebbe risarcita per la profonda umiliazione subita. Tornò a guardare sua figlia con occhi pieni di odio. La fissò fino a quando la giovane fu costretta ad alzare lo sguardo verso di lei.

    «La sera in cui ballerai per il tuo re, lui ti chiederà cosa desideri in premio. Tu non gli risponderai senza prima consultarti con me. Sarò io a dirti cosa dovrai chiedere. Non dimenticarlo o te ne farò pentire per il resto della tua vita, hai capito?» le chiese con cattiveria, affondandole le unghie nella carne del braccio.

    Salomè tremò, spaventata. Sapeva che la madre era capace di fare del male a chiunque e senza rimorsi. Annuì, cercando di sottrarsi alla presa dolorosa.

    «E se il re non fosse soddisfatto della mia danza?» osò chiedere.

    Erodiade rise, beffarda. «Questo non potrà mai accadere, te lo assicuro, visto che sarai l’unica saltatrice della serata.»

    Il gran giorno era arrivato ed Erodiade aspettava con ansia il momento in cui avrebbe potuto vendicarsi di quel miserabile.

    La corte riluceva di argento e oro. Le stanze del tetrarca e di sua moglie erano state adornate con tessuti di bisso e di lana. Gli arazzi, meravigliosamente lavorati, coprivano le pareti dipinte; le sete più preziose erano drappeggiate intorno alle panche e alle lettighe, mentre le vesti dei padroni di casa erano intessute con gioielli preziosi. Ogni angolo della villa faceva sfoggio di lusso e magnificenza. Le sale e le anticamere erano affollate di ufficiali e cavalieri che indossavano divise nuove e molto decorate, preparate per l’occasione.

    Nel suo lussuosissimo appartamento, Erode riceveva i gran signori e i ministri, mentre Erodiade accoglieva nelle proprie stanze le signore, che non erano ammesse nelle sale riservate agli uomini.

    Sui tavoli non mancavano il cibo, il vino e le bevande dolci e fruttate. Gli ospiti, illustri e rumorosi, sembravano gradire molto la cacciagione, cucinata con miele e frutta secca e accompagnata da un vino rosso proveniente dalla Sicilia, mentre quello che giungeva dalla città di Cipro scompariva continuamente dalle brocche, costringendo i servitori più giovani a recarsi spesso nelle cantine per rifornire le tavole.

    Erode entrò nel salone principale acclamato dalle urla e dagli applausi dei commensali. Gli ospiti lo onoravano e gli auguravano di vivere tanti anni ancora, come predicevano gli oracoli.

    In tutta la casa risuonava la musica di decine di strumenti musicali, tanto che le diverse melodie si mescolavano e si confondevano, rendendo impossibile capire cosa si stesse suonando.

    Dopo essersi comodamente sdraiato, Erode si mise a tracannare una coppa di vino dopo l’altra, limitandosi ad assaggiare pezzi di frutta fresca che un servo gli porgeva su uno splendido vassoio d’argento. Gli ospiti lo emulavano, bevendo il dolce nettare dalle coppe ogni volta che lui portava la propria alle labbra.

    La luce del sole era scomparsa dietro le cime delle lontane colline e le ombre della sera si erano ormai allungate sull’intera città, costringendo i servitori ad accendere decine di fiaccole. La villa non era mai stata così luminosa e calda. Il calore delle fiamme incendiava la pelle degli uomini, già riscaldata a sufficienza dalle preziose bevande. Accorgendosi dell’impazienza dei suoi ospiti, Erode batté le mani e ordinò di sgombrare la sala dai pesanti tavoli, affinché tutto fosse pronto per le danze. Era davvero curioso di scoprire quale spettacolo avesse organizzato Erodiade per il suo compleanno. Sua moglie gli aveva promesso una sorpresa indimenticabile e la donna non mentiva mai.

    Quando la sala fu pronta, Erode batté di nuovo le mani e il suono di un tamburo rimbombò nel buio della notte estiva. Nella stanza entrò una sola saltatrice, che avanzò a testa alta, fissando il re negli occhi. I lunghi capelli erano raccolti in un’acconciatura alla moda, inanellati e crespi, tinti di nero e intrecciati con pietre preziose e gioielli che scendevano sull’alta fronte. Dalla ragazza proveniva un profumo dolcissimo, inebriante e persistente. La sua veste era leggera, trasparente e colorata, e ondeggiava a ogni passo, lasciando scoperte le lunghe gambe. In una mano reggeva un grande ventaglio di piume di pavone, che ogni tanto muoveva con maestria, nascondendo il corpo flessuoso e giovane; nell’altra stringeva una rosa appena colta e un candido giglio.

    Quasi ancora prima che muovesse qualche passo, gli uomini sembravano già impazziti. Il tetrarca inghiottì a vuoto molte volte, prima di riuscire a respirare normalmente. Salomè era la più bella fra le belle; il fiore del deserto, la bianca colomba della sua reggia. Erodiade aveva mantenuto la promessa: gli aveva permesso di godere appieno della grazia della sua figlia più bella, della saltatrice più abile di tutto il regno. Il suo corpo, nudo sotto la veste preziosissima, leggera come un velo e cosparsa di fiori freschi, gli infiammava i sensi, impedendogli di ragionare in modo lucido. Voleva vederla ballare; voleva vedere il suo corpo contorcersi e immaginarla mentre si muoveva sopra e sotto di lui, lontana dagli sguardi bramosi degli altri uomini, ammaliati dalla sua bellezza e dalla sua perfezione.

    Salomè sorrise nel vedere il compiacimento di Erode. La musica invase la stanza e lei, senza mai abbassare lo sguardo, iniziò a muoversi con grazia infinita. Le sue gambe sembravano non toccare terra e le piccole mani volavano intorno al corpo con la leggerezza delle farfalle. La ragazza girava intorno a Erode accarezzandolo con leggerezza e facendogli perdere il lume della ragione; lui tremava e beveva un calice di vino dopo l’altro. La musica aumentò il suo ritmo e la giovane si dimenò per la stanza, disseminando dietro di sé i fiori che staccava dalla veste. Sulle note più potenti, sciolse il nodo che fermava il panno color porpora che le stringeva i fianchi; questo cadde a terra e la veste si aprì, lasciandola nuda davanti al re.

    La musica cessò nel momento stesso in cui la danzatrice si lasciò scivolare ai piedi dell’uomo, bagnandoli con il proprio sudore. Respirava con affanno, mentre il cuore le galoppava in petto. Dopo alcuni minuti di assoluto silenzio tornò a guardarlo negli occhi. Erode bevve di nuovo e si passò la lingua sulle labbra asciutte.

    «Chiedimi, o Salomè, ciò che più ti piace e ti aggrada. Chiedimi pure anche la metà del mio regno: io son pronto a cedertela. Per farti capire che non ti mento e non t’inganno, faccio qui davanti a tutti un giuramento solenne: Pete à me quod vis, et dabo tibi: quia quicquid petrieris, dabo tibi, licèt dimidium regni mei», urlò con voce alterata e acutissima.

    Salomè si alzò con grazia e s’inchinò davanti all’uomo, ormai in sua balìa.

    «Permettetemi di allontanarmi un attimo, mio signore. Mi avete colta di sorpresa e non sono in grado di rispondervi. Mi ritirerò alcuni minuti per pensare», disse, e subito fuggì.

    Erodiade l’aspettava, impaziente. Si muoveva nella stanza come un leone inferocito e non prestava attenzione alle altre donne, che continuavano a banchettare e a ridere, non comprendendo la causa dell’agitazione della donna.

    «Madre, cosa devo chiedere?»

    La voce della ragazza era ancora spezzata.

    Erodiade sorrise, un’espressione malvagia negli occhi grigi.

    «Devi dire al re che vuoi la testa di Iokanaan. Torna da lui e pretendi che ti sia servito il capo del Profeta sul più bel vassoio d’argento della sala; quello sul quale è scolpita l’effige del re. Poi consegnalo a me.»

    Salomè tornò da Erode e s’inchinò di nuovo davanti al marito di sua madre. Gli occhi del re fissavano il seno florido della figliastra, appena coperto da un drappo.

    «Voglio la testa di Giovanni Battista e la voglio servita su quel vassoio!» ordinò lei, indicando quello su cui, in rilievo, era scolpito il busto di Erode e la scritta: Anno XV di Tiberio.

    Erode guardò con orrore la ragazza e scosse la testa, senza riuscire a parlare. Nella grande sala era sceso un silenzio gelido. Gli ospiti avevano smesso di ridere e chiacchierare, e ascoltavano senza dissimulare la loro morbosa curiosità.

    «Che cosa ho udito?» La voce di Erode ora sembrava diversa.

    Salomè ripeté la sua richiesta, desiderosa di compiacere sua madre: «Voglio che mi sia consegnata la testa del Battista. Voglio che mi sia portata sul vostro vassoio migliore, il più prezioso, il più pesante. Quello dell’argento migliore, realizzato per il vostro anniversario di nascita. Voglio che ciò sia fatto immediatamente, senza alcun indugio.»

    Erode crollò il capo, affranto. Si sarebbe macchiato di un delitto che non avrebbe mai potuto giustificare agli occhi dei seguaci del Battista. Il Profeta era seguito dai giovanniti, ma anche dai pagani, e quell’azione avrebbe provocato di certo delle sommosse popolari. Il gesto sarebbe stato gravissimo, ma lui non poteva tornare indietro e dire alla giovane che il suo desiderio non poteva essere esaudito. Aveva giurato solennemente davanti a tutti e non poteva non tenere fede alla sua promessa. Come un ragno, Erodiade aveva tessuto la sua tela in maniera spettacolare. La giovane Salomè non aveva alcun interesse per il Battista e, se sua moglie non l’avesse istruita in tal senso, non avrebbe mai avanzato una simile richiesta. Con un pesante sospiro di rassegnazione, chiamò a sé uno degli ufficiali.

    «Fate quello che è stato chiesto», ordinò, poi si accasciò sul triclinio.

    Gli ospiti rimasero in attesa mentre i soldati si recavano sul monte Macheronte, dove il Battista era rinchiuso. Quando furono di ritorno, Erode guardò con orrore la testa mozzata, che gocciolava sangue dentro il capiente vassoio. Salomè l’avvolse con il panno che le aveva cinto i fianchi e lasciò la stanza, diretta verso gli appartamenti della madre.

    La donna l’accolse in preda all’euforia e le strappò di mano il vassoio, sollevando il drappo insanguinato. Il viso dell’uomo, ormai, non le faceva più paura. Gli sputò addosso, scoppiando a ridere in modo isterico.

    «Ho vinto io, misero predicatore», urlò, e si mise a correre fra le sue ospiti con la testa mozzata in mano, suscitando urla di terrore.

    Salomè la guardava in silenzio, certa di essersi macchiata di una colpa gravissima e pentita del peccato commesso per accontentare la madre.

    La notizia della morte del Profeta si diffuse in fretta, gettando nello sconforto le centinaia di seguaci che credevano in lui e nelle sue parole. Quella notte alcuni discepoli del Battista lasciarono la città e raggiunsero la prigione sul monte. Aprirono la cella del maestro, recuperarono il cadavere decapitato e lo coprirono con pesanti teli di lino. Lo caricarono su un cavallo che avevano lasciato fuori dalla cisterna e si diressero verso la città di Sebaste, in Samaria, dove Erode non aveva giurisdizione. Il maestro sarebbe stato sepolto nel luogo in cui riposavano altri profeti, un luogo santo. Il Re della Luce avrebbe vegliato su di loro fino alla fine dei tempi.

    Erodiade passò la notte vegliando la testa decapitata, nel timore che Iokanaan potesse ricongiungere il corpo con il capo per tornare a tormentarla e umiliarla di fronte a tutti. Doveva dimenticarsi di lui, sbarazzarsi di quella maledetta testa mozzata; doveva seppellirla personalmente, senza rivelare a nessuno il luogo in cui l’aveva nascosta. Appena l’alba si affacciò, coprì di nuovo il capo con il panno e afferrò il pesante vassoio d’argento. In silenzio, si diresse verso il giardino privato.

    Salomè non era riuscita a dormire perché l’euforia della serata era stata sostituita da un profondo senso di colpa e dalla paura. Non riusciva a provare soddisfazione per il gesto che la madre l’aveva obbligata a compiere. Quella donna era pazza e pericolosa e lei, ormai, non poteva più negare di essere stata generata da una folle. Un uomo di grande valore era morto per colpa sua, che si era resa complice della perfidia di colei che odiava il Battista più di qualsiasi altra persona al mondo. Dal momento in cui si era saputo che il Profeta era morto, i suoi seguaci si aggiravano inquieti per la città, gridandone il nome. La giovane scoppiò a piangere, non potendo più trattenere l’oppressione che le aveva riempito il cuore. Aveva commesso un gravissimo errore, che in qualche modo doveva riparare. Doveva riconsegnare la testa del Battista agli uomini che lo adoravano. Solo così avrebbe potuto farsi perdonare per il peccato commesso.

    Aspettò che facesse giorno, poi lasciò le sue stanze, decisa a raggiungere la madre per chiederle indietro il capo mozzato. La vide però uscire con il grande vassoio in mano, allora si nascose dietro i preziosi tendaggi e rimase a guardarla mentre si dirigeva verso il giardino privato. La donna sembrava stanca, aveva i capelli scomposti e indossava ancora gli abiti della festa. La sontuosa veste era sporca di sangue rappreso.

    Quando fu sicura di non correre pericoli, Salomè uscì dal proprio nascondiglio e scese i quattro gradini di marmo che conducevano al giardino. Non voleva che la madre si accorgesse di lei, ma non poteva rimanere troppo lontana, se voleva scoprire quali fossero le sue intenzioni. Avanzò passo passo, tenendosi nascosta dietro le grandi colonne di marmo. Poco dopo Erodiade si fermò e appoggiò a terra il pesante vassoio.

    Vedendo il panno porpora scurito e rigido a causa del sangue rappreso, la ragazza rabbrividì, in preda allo sconforto. Tutto ciò non sarebbe dovuto accadere. Ricacciò indietro un singhiozzo.

    Erodiade si avvicinò a un vaso enorme e provò a spostarlo, ma non ci riuscì. La fronte imperlata di sudore, sbuffando, provò di nuovo a spingerlo facendo forza sulle gambe. Poi cambiò idea e si avvicinò a un pesante masso. Provò a spostarlo con un piede, poi si chinò e lo afferrò con entrambe le mani, spingendolo. Ci provò ancora tre volte, fino a quando sentì la pietra cedere. Si guardò intorno, vide una robusta pala di legno accanto a una pianta di olivo e la usò come leva, infilandola sotto il masso. Spinse di nuovo e, dopo alcuni istanti, la pietra rotolò di lato. Erodiade iniziò ad affondare la pala nel terreno morbido e scavò per mezz’ora, senza dare segni di stanchezza. Si fermò, esaminò la buca e rise, soddisfatta. Recuperò il vassoio e lo lasciò cadere nella buca.

    Salomè sobbalzò quando sentì il suono metallico, appena attutito dalla terra umida, provocato dal vassoio che, cadendo, aveva colpito un sasso. Erodiade si affrettò a ricoprire la buca, infine fece scivolare il masso sulla terra fresca. Aveva finito.

    Salomè si accucciò ai piedi della colonna, al riparo di un folto cespuglio di rose selvatiche.

    Erodiade le passò davanti cercando di pulirsi le mani sulla preziosa veste. Era sporca e sudata e aveva uno sguardo da folle. La giovane tremò, sconvolta dalla paura, e aspettò a lungo prima di lasciare lo scomodo nascondiglio.

    Finalmente tornò nelle proprie stanze, pensando a come recuperare la testa del Battista per consegnarla ai seguaci del Profeta.

    Capitolo primo

    Italia, 24 giugno 2016

    L’uomo si accomodò sulla poltrona, prese il telecomando e schiacciò il tasto play. Il video si avviò e lui alzò il volume al massimo per non perdere nemmeno una parola. Il documentario si apriva con un’immagine dell’isola di Sveti Ivan, in Bulgaria, poi la ripresa si restringeva fino a inquadrare un gruppo di archeologi all’interno di un vecchio monastero ormai in rovina. La voce narrante era di una donna; chiara, limpida, senza inflessioni e dalla dizione perfetta, non trasmetteva emozioni. Una professionista, senza alcun dubbio, e lui amava i professionisti, che svolgevano il loro compito senza contaminare il lavoro con il proprio pensiero.

    Bulgaria, 2010. Isola di Sveti Ivan. Tradotto dal bulgaro: San Giovanni. In un monastero del V secolo dopo Cristo ormai in rovina un gruppo di archeologi, guidati da Kazimir Popkonstantinov e da sua moglie Rossina Kostova, ha trovato, all’interno di un piccolo sarcofago di marmo sepolto sotto l’altare maggiore, quelle che sembrano essere le reliquie di San Giovanni Battista. Il Santo nacque da famiglia sacerdotale, figlio di Zaccaria ed Elisabetta, anziana cugina di Maria, madre di Gesù. La nascita avvenne ad Ain Karim, circa sette chilometri a Ovest di Gerusalemme. Della sua infanzia e giovinezza non si sa nulla, ma, secondo la tradizione, Giovanni Battista si ritirò giovanissimo nel deserto di Giudea, dove visse da eremita nel digiuno e nella preghiera, preparandosi così alla sua missione di Profeta messianico e dove, come affermano alcuni studiosi, subì anche l’influsso degli asceti di Qumran. Dai Vangeli si apprende che, verso l’anno ventisette, si spostò sulle rive del Giordano per predicare la prossima venuta del regno di Dio e amministrare il battesimo di penitenza – da qui l’appellativo di Battista – battesimo che anche Gesù volle ricevere prima di intraprendere la sua predicazione. Poco dopo l’inizio della vita pubblica di Gesù, Giovanni fu arrestato per ordine di Erode Antipa, del quale deprecava l’unione con Erodiade, e rinchiuso nella fortezza di Macheronte, in Transgiordania, dove fu decapitato su richiesta di Salomè, figlia di Erodiade che, istigata dalla madre, volle la sua testa come premio per la sua abilità di danzatrice. Gli storici affermano che il suo sepolcro fu venerato fino al IV secolo nella città di Samaria, l’odierna Sibastiya e che, dopo che Giuliano l’Apostata ne fece disperdere i resti, tale venerazione continuò nelle chiese costruite in epoca bizantina e nel periodo delle crociate. La Chiesa cattolica celebra il ventiquattro giugno la sua nascita e commemora il ventinove agosto la sua decapitazione. Il Battista è ricordato anche come un uomo che mortificava severamente il proprio corpo, disciplina che probabilmente aveva appreso dalle comunità religiose del deserto delle quali si è parlato in precedenza. Viene considerato un grande Profeta, anzi, il più grande dei profeti di Israele, perché vide e indicò l’oggetto stesso delle sue profezie. Le ossa ritrovate nel piccolo sarcofago sono la parte anteriore del cranio, un dente e la falange di una mano. Era stata rinvenuta anche una costola, ma quest’ultima è stata trafugata subito dopo il ritrovamento. In tale occasione il vescovo di Sofia ha emanato un decreto contenente la scomunica e la condanna all’inferno e alla dannazione non solo per la persona che ha rubato la costola, ma anche per la sua famiglia e tutti gli abitanti del luogo in cui la Reliquia è stata portata.

    L’improvvisa risata dell’uomo coprì la bella voce della giornalista. Il riso fu presto sostituito da una serie di colpi di tosse. Bevve un lungo sorso d’acqua e si pulì la bocca con il fazzoletto che spuntava dal taschino della costosa giacca.

    Il suo uomo era stato superbo, come sempre. I compiti impossibili potevano essere affidati solo a lui, capace di rubare qualsiasi cosa senza destare il minimo sospetto. Anche quella volta era riuscito a trafugare un reperto senza che nessuno se ne accorgesse, né notasse la sua successiva assenza. Rise di nuovo e guardò la teca di vetro blindato. L’osso era lì da due anni e riposava tranquillo in atmosfera protetta, illuminato da piccoli fari che rimanevano sempre accesi.

    Le analisi erano state svolte subito e lui era venuto a conoscenza dei risultati molto prima che l’Università di Oxford li annunciasse ufficialmente. La datazione poteva essere esatta, ma mancavano ancora dei dettagli. Dettagli importantissimi. Doveva prestare attenzione a ogni singolo fotogramma del documentario e a ogni parola pronunciata dalla donna. Bloccò il video, fece tornare indietro il nastro e ripartì dal momento in cui gli era scappato da ridere.

    "Vicino al sarcofago in cui sono state ritrovate le ossa umane, gli archeologi hanno rinvenuto anche tre ossa animali e una piccola scatola in cenere vulcanica indurita, recante una scritta in greco antico e la data del giorno dedicato al Santo, il ventiquattro giugno. Secondo gli archeologi le ossa sarebbero arrivate sull’isola da Antiochia, in Turchia. Un’equipe di scienziati dell’Università di Oxford ha condotto una datazione al carbonio 14 su un frammento di dito, scoprendo che risale al I secolo dopo Cristo e che le ossa appartengono a un uomo vissuto nel vicino Oriente. La certezza che si tratti veramente del Battista non si avrà mai; questo è, per certi aspetti, scontato. Gli indizi, in effetti, sono pochi, ma ciò non scalfirà di certo la fede dei cristiani e nemmeno quella dei musulmani, che lo venerano come un profeta. Le prove scientifiche confermano che le ossa ritrovate a Sveti Ivan sono appartenute a un uomo vissuto nel periodo giusto, ma nessuno può affermare con la massima sicurezza che siano davvero le ossa del Santo. La certezza non esiste nemmeno riguardo alla cassetta che fa riferimento a Giovanni Battista e al giorno in cui si celebra la sua festa nel mondo cattolico. D’altronde nel resto del mondo esistono diversi luoghi dove sarebbero conservate reliquie del Battista. Tra questi ricordiamo la moschea degli Omayydi di Damasco, la chiesa di San Silvestro in Capite di Roma e la cattedrale di San Lorenzo a Genova, dove sarebbe conservato anche il piatto sul quale la testa

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1