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Della Croce e Altri Demoni
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E-book292 pagine4 ore

Della Croce e Altri Demoni

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Info su questo ebook

Della Croce e Altri Demoni è un romanzo occulto, alchemico ed esoterico. E’ un romanzo che narra di vicende taciute, che rievocano il processo che subì Arimane (qui Mr. Harimann) nel lontano medioevo.

L’astrofisico M. Teodorani, nel suo saggio “CRONOVISORE – sogno del futuro o esperimenti reali?” (MacroEdizioni), ci parla di uno strumento ideato dal benedettino Padre Ernetti, capace di scrutare nel passato. Tale strumento, si è lasciato intendere, dovrebbe trovarsi secretato nei sotterranei del Vaticano, ma qualcuno potrebbe averlo sottratto o, più semplicemente, clonato. Fatto sta che il protagonista di DCeAD ne viene in possesso e, aiutato dai trattati di G. Kremmerz, E. Lévi e G. Gurdjieff, riesce a vedere ciò che nessun uomo avrebbe dovuto vedere.

Gli avvenimenti però non sono prevedibili, perché in gioco ci sono interessi che travalicano il piccolo mondo degli umani e coinvolgono direttamente il Principe della Luce (qui identificabile come il creatore degli uomini) e un potentissimo demone dell’Infinito. Cosicché un certo Alfred Hartmann, la voce narrante che ci accompagnerà nel romanzo, giocherà un ruolo determinante per l’intera vicenda.
LinguaItaliano
Data di uscita22 gen 2018
ISBN9788827806333
Della Croce e Altri Demoni

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    Anteprima del libro

    Della Croce e Altri Demoni - Roberto di Chio

    terra.

    "C’è un posto che non ha eguali sulla terra...

    Questo luogo è un luogo unico al mondo, una terra colma di meraviglie, mistero e pericolo.

    Si dice che per sopravvivere qui bisogna essere matti come un cappellaio.

    E per fortuna...io lo sono"

    (Il Cappellaio matto – dal Film Alice in Wonderland)

    I

    I FRAMASSONI

    Dopo quel tremendo sogno, la mia vita prese una brutta china. Non dormivo più, non mangiavo più e, soprattutto, non scopavo più. Così, decisi di rivolgermi ad uno specialista; un dottore dei matti, per intenderci.

    A dire il vero, l’idea non venne direttamente a me, bensì la trovai già bella e confezionata in certi libri che Romeo Della Croce aveva salvato dal macero; giacché io e lui lavoravamo in un archivio sanitario, come vi spiegherò meglio in dettaglio più avanti.

    Insomma, come normalmente avviene alle persone dotate di buon senso e di normale capacità di discernimento, adesso c’era un problema e quindi dovevo trovare la soluzione. Mi adoperai dunque per cercare questa benedetta soluzione e, come la saggezza impone, iniziai proprio dai libri...di psichiatria, per capirci.

    Purtroppo, certe letture hanno la capacità di ampliare, anziché attenuare i problemi e, se questo è già vero in linea generale, in campo psichiatrico la questione può diventare davvero devastante. Così, semplicemente, avvenne che divorai libri su libri e, ad ogni pagina che concludevo, in me s’accresceva il dubbio di essere di volta in volta schizofrenico, maniaco depressivo, bipolare, isterico, istrionico, paranoico, depresso e quant’altro si poteva trovare nella declaratoria dei disturbi mentali. Insomma, se non ero davvero un malato mentale inconsapevole, e questo ora che scrivo lo posso escludere con certezza, perlomeno ero un ipocondriaco della psiche.

    Così, mentre le mie notti si susseguivano nella più completa insonnia, cariche di visioni diaboliche e rumori infernali, alla fine decisi di rivolgermi a chi ne doveva sapere di più; giacché gli esorcismi per me erano solo fenomeni da baraccone. Cercai dunque là dove nessuno dovrebbe mai scovare uno psichiatra...sull’elenco telefonico. E lo cercai con un metodo alquanto discutibile...con la semplice preferenza verso il nome che mi piaceva maggiormente.

    Trovai dunque fico e geniale scegliere il primo nome straniero che mi capitò sott’occhio; così, per quella balzana idea che vorrebbe che lo studioso straniero sarebbe migliore di quello nostrano...perché le università dell’Altrove dovrebbero essere un po’ come l’erba del vicino, che è sempre più verde della nostra.

    Ritenni quindi altamente performante il nome del Dottor Professor Mario Della Suerte e lo contattai appena il suo maledetto telefono mi consentì di parlargli.

    Lui, però, non era straniero. E questo avrebbe già dovuto convincermi a rivolgere la mia attenzione ad altri. Era napoletano...verace, aggiungerei.

    Tra l’altro, come avesse fatto quello schifo d’uomo a ritrovarsi con un cognome spagnoleggiante, lo ignoravo allora e continuo ad ignorarlo ancor oggi. Ma questa era e rimane una questione di ben poco conto.

    Il problema, semmai, era lui come persona fisica; quell’omuncolo che aveva i capelli neri, traslucidi e impagliati, come se li avesse rubati a qualche manichino d’abbigliamento. L’anomalia, si concretizzava dunque in quel tipo magrissimo, vecchio ormai da pensione inoltrata, che stonava davvero tanto lì dietro quella scrivania rigata dalle unghie di un gatto paranoico, dentro quella giacca brutta e logora, di una taglia tre volte più grande del dovuto.

    Come dicevo, amici miei, i segnali per girare i tacchi e cercarmi un altro medico c’erano davvero tutti e, se ciò non fosse bastato...e non mi era bastato, a completare l’opera c’era pure la pessima immagine proposta da quel suo studio medico in preda al caos entropico; con quei fogli sparsi qua e là alla rinfusa, persino sul pavimento. Uno studio dove l’igiene era una materia medica oscura; peraltro con il pavimento coperto da un ampio tappeto, talmente sporco che chiunque poteva intendere che non era mai stato lavato fin dal giorno che aveva lasciato il negozio.

    Insomma, signori miei, lì davanti avevo un essere laido che probabilmente era più pazzo dei suoi ultimi cento pazienti, ma che a quel tempo io veneravo, come fosse il mio personalissimo dio salvatore...acciecato com’ero dalla paura di aver perso il controllo della psiche e fiducioso verso di lui, come solo un cane affamato lo è del suo padrone.

    Ad ogni modo, dopo un iniziale e frettoloso colloquio, lui accettò di prendermi tra le fila dei suoi sfortunati pazienti, enunciando teorie e frasi astruse che avrebbero dovuto riferirsi al mio caso. Sembrava un teatrante da avanspettacolo, tanto si calava nella parte del sommo sacerdote della scienza psichiatrica. Anzi, per dirla tutta, eccelleva davvero nell’interpretare il ruolo di uno di quei personaggi che si possono incontrare nelle fiere di paese; visto che mercanteggiò in modo osceno sul prezzo delle sedute, come solo un marocchino farebbe per vendere tappeti.

    Così, nel volgere di pochi giorni, iniziarono le mie sedute psicanalitiche...peraltro con un approccio che avrebbe fatto certamente vergognare Freud e Jung nelle loro rispettive tombe; giacché il professore, durante quel tempo che io pagavo profumatamente, parlava più lui dei cazzi suoi che io dei miei problemi. Ma anche questo particolare, comunque di non poco conto, a quel tempo mi sfuggì.

    Non mi sfuggì però l’immagine dipinta su di un quadro che campeggiava nel mezzo di una parete scrostata dello studio, maldestramente coperta da una logora tenda trasparente, fatta di pizzi e merletti ingialliti. Si trattava della copia di quel quadro di Poussin, che gli studiosi dell’arte annotano con il titolo de I pastori dell’Arcadia. Un quadro davvero controverso, soprattutto in ambito esoterico, che richiamerebbe certe oscure manovre portate a compimento da una losca società segreta, nota come Il Priorato di Sion.

    Fatto sta che, allorché mi venne la malaugurata idea di far sapere al dottore che conoscevo il Priorato e la storia di quel quadro, lui s’aprì verso l’argomento appena proposto, come un fiore alla luce del mattino...tanto pagavo io.

    Era astuto, il figlio di puttana; forse quasi quanto me. Io pagavo, e lui godeva come un porco nello svuotare le sue viscere cerebrali, come avrebbe sicuramente fatto anche Duchamp se fosse tornato in possesso della sua sconcia opera. Così, quella sulle società segrete fu la furbesca deviazione in corso d’opera di quel ciarlatano laureato in medicina...perché, diceva lui, i miei problemi là erano iniziati e là dovevano finire. Quindi, fatti salvi i soldi a lui sempre dovuti, il dottore finì per convincermi, con quelle sue insulse divagazioni sul Nuovo Ordine Mondiale, ad entrare in una di quelle sette massoniche che ancor oggi vanno tanto di moda.

    Naturalmente, ad onor del vero, l’infimo professionista della mente non mancò mai di prescrivermi ogni sorta di psicofarmaco oggi in commercio...con l’unico probabile intento di valutare di volta in volta, sulla mia pelle, le pasticche che mi rincoglionivano poco e quelle che invece mi rincoglionivano troppo.

    Insomma, miei cari lettori, come avrete certamente intuito, quell’uomo mi stava uccidendo e io lo pagavo profumatamente per portare a termine il suo ignobile compito. In più, come se ciò non fosse bastato, la mia insonnia peggiorava e con essa peggioravano anche le visioni notturne...ma lui demandava sempre la mia guarigione a un domani che però tardava sempre ad arrivare. In altre parole, dette alla francese, quel coglione mi ciucciava i soldi per parlare di cazzate. E in più m’imbottiva di psicofarmaci.

    C’era però anche un lato positivo in tutta la vicenda. Infatti, come vi dicevo, il professore m’introdusse negli ambienti della massoneria esoterica e lì, nel volgere di poco tempo, trovai davvero pane per i miei denti...nel senso che incontrai persone che parlavano del demonio come se fosse un loro amico intimo.

    Erano persone all’apparenza normali...farmacisti, panettieri, giudici, preti e politici; brava gente, insomma. Ma tutti, indistintamente, erano davvero troppo seriosi nei loro intenti, al punto che quei perditempo sembravano solo un’accozzaglia di folcloristici soldatini, al pari dei Testimoni di Geova; tanto erano squadrati nelle loro convinzioni e chiusi ad ogni critica. Così, io commisi lo stupido errore di dar loro importanza. E quelle persone, peraltro senza mostrare alcuna empatia verso le mie sofferenze intime, fecero su di me esperimenti occulti di ogni genere; tanto che per allontanare Satana dalla mia vita, finirono invece per farlo accomodare nel salotto buono della mia povera anima.

    Come vi ho detto, c’era però anche un lato positivo che rendeva tutta quell’esperienza degna di essere vissuta...eh sì, perché da lì in avanti, ogni cosa malefica che avrebbe potuto attraversare la mia mente non sarebbe stata mai più di mia responsabilità...perché, a sentire quei bravi Framassoni, io non avevo alcuna colpa di quanto mi stava accadendo. Semmai, per loro, quella che erroneamente la scienza trattava come una malattia mentale, era invece solo opera del demonio...e io ne ero la povera vittima.

    Insomma, per quella gente ero semplicemente un’anima da salvare e una mente da studiare. Praticamente, per quei cialtroni ero solo un poveraccio; uno sfortunato...ma si sbagliavano. Infatti, io sono sempre stato uno scaltro opportunista e non ho mai lasciato andare in malora alcuna occasione. Così, poco alla volta e senza alcun ritegno, iniziai a godere di quella mia nuova condizione e con essa mi ritagliai un ruolo da protagonista in tutta la vicenda, lasciando ad altri quello da comparsa...tanto che senza il mio prezioso apporto le cose non sarebbero mai potute andate come dovevano andare.

    Non ci volle dunque molto affinché il tempio della massoneria iniziasse inesorabilmente a cadere in mio potere. Semplicemente, ciò avvenne perché tramai con gli uni contro gli altri e sovvertii l’ordine degli avvenimenti rimestandoli come fossero bietole in un calderone. Così, signori miei, alla fine ciò che per secoli era rimasto immutato, cominciò inesorabilmente a degenerare, producendo inimicizie, diffidenze e sotterfugi, laddove avevano regnato indisturbati per lungo tempo la rigida regola e il rispetto reciproco. Per me era comunque diventato naturale mettere a soqquadro le piccole cose dei piccoli uomini; tanto che con maestria innata procedevo avanti come un bulldozer, eradicando ogni intralcio, sospinto dalla priorità di carpire più segreti possibile.

    Così, mentre quel pazzo furioso di Mario Della Suerte m’imbottiva di sostanze psicotrope, io mi protendevo indomito verso la conquista dell’occulto e, rubando qua e là informazioni e segreti, alla fine arrivai a risultati davvero inimmaginabili.

    In pratica, l’avrete certo ben capito, tutto quanto di seguito andrò a raccontarvi appartiene solo in minima parte al lavoro del Della Croce e di quel bastardo di Simone D’Orleans...perché senza il mio prezioso apporto e le mie sottili indagini parallele, i loro quattro fogli pasticciati non sarebbero serviti a nulla e l’opera omnia che qui mi pregio di offrirvi non sarebbe mai arrivata al giusto compimento.

    Perché sappiate, miei increduli amici, che l’occulto non è fatto di semplici dichiarazioni d’intenti, di riti da scimmiottare, libri da sfogliare e citazioni da imparare. Ci vogliono le palle, signori miei. Perché l’occulto è una strada da seguire con assoluta devozione, come lo è l’arte della guerra di Sun Tzu...una strada che s’imbocca senza alcun timore, perché chi inizia questo cammino, anche solo con un mezzo passo, non avrà mai più alcuna possibilità di tornare indietro.

    Chiudete dunque lesti queste pagine, se avete nel petto un cuore pavido che batte...se ne avete ancora il tempo. Mettete dunque questo libro sotto un’acquasantiera e fuggite via, voi che temete l’ignoto, perché le prossime parole che andrete a leggere potrebbero colare nel vostro spirito come piombo fuso; tanto che dietro ad ogni virgola, a ogni punto o inciso, potrebbe nascondersi la parola che aprirà i cancelli del vostro inconscio. Attenti dunque,perché il Wyrd potrebbe bruciare i vostri occhi e gli spiriti della notte potrebbero rubare la vostra anima. Perché nelle memorie tramandate dagli oscuri personaggi che daranno vita alla nostra storia, potrebbero celarsi segreti troppo grandi per voi.

    Orbene, ciò detto, io v’ho avvertito.

    E dunque, per voi che invece restate, lasciate allora che vi mostri di seguito ciò che dormiva silente da secoli sui logori fogli di antichi manoscritti.

    Or dunque, bando agli indugi. Leggiamo insieme queste prime e misteriose pagine.

    Non sia di altri chi può esser di se stesso

    (Philippus Theophrastus Bombast von Hohenheim, detto Paracelsus)

    II

    TRISTANO DI RIVAMONTE

    Sedetevi comodi in poltrona, amici miei, ma non perdete tempo a cercare altrove, perché ciò che leggerete di seguito non lo troverete nelle librerie del centro e nemmeno sulle pagine del vostro web. Qui non siamo a colazione da Tiffany; qui si narreranno tremende verità nascoste. Parleremo di Angeli Ribelli, di Azazel e del suo Regno, ma soprattutto si riporteranno alcune trascrizioni di quel processo segreto che decretò la condanna del potente demone, altrove conosciuto con il nome di Arimane. Perdonatemi dunque, fin d’ora, se avrò l’ardire di scrivere cose che sarebbero dovute rimaner taciute, ma io sono solo quel povero scrivano cui è toccata in malasorte l’eredità di portare a conoscenza ciò che altri hanno scoperto.

    Ad ogni modo, qualcuno così ha voluto e io non ho saputo opporre resistenza. Anzi, ho fatto una promessa e quindi, eccomi qui a riportare per voi la prima parte di quel manoscritto che il Della Croce custodì per anni come fosse la più preziosa delle reliquie.

    Chi ha dunque orecchie per intendere, intenda, e chi ha intelletto per capire, capisca; di più non posso dire. Pertanto, ora basta tergiversare; per iniziare la nostra ricerca, ecco a voi riportate di seguito, come ho promesso, le pagine del manoscritto di tal Tristano di Rivamonte, dalle quali prese il via l’indagine qui narrata e che alfine spinse il Della Croce a intraprendere la sua pericolosa discesa negli inferi.

    PARLA TRISTANO DI RIVAMONTE

    (Il testo è stato volutamente da me tradotto solo in parte nella lingua dei giorni nostri, per lasciare il più possibile intonsa l’autenticità storica del documento)

    ~

    La vita è tutta una burla e dappresso lo dimostrerò.

    Non ricordo molto della mia vita, perlopiù fatta di battaglie, copule e gozzovigli, ma con chiarezza ricordo bene quando ero ancora un giovine di bottega che bramava d’incrociare lo ferro con li cavalieri che spavaldi tornavan dalle imprese e portavan seco mirabolanti novelle.

    Io penso che quel giovine, ch’ero poi io, fosse animato dallo stesso strano foco che porta alcune genti impavide a cercar la propria fine tentando di catturar un’idea, solamente perché credono che codesta misera vita non sia fatta solo per mangiare e cacare o per servire li padroni. Non posso dar torto a quel ragazzo, perché se volto lo sguardo addietro lo vedo lì, giovine e senza futuro, a spalar letame per raggiunger l’agognato premio d’ogni dì, fatto di un tozzo di pane secco e due croste di formaggio di capra; dove ben inteso la parte bona se l’erano portata via li signori perbene.

    Ora io son rimasto solo un povero omo d’armi e dunque ciò che un tempo ho scritto e che quivi m’appresto a rievocare, non puote esser scambiato per opera di diletto, di ciarla, o per racimolar danaro. Ciò che ho vergato l’ho fatto con immane fatica, mettendo giù parola dopo parola e cercando di coniugare a dovere li verbi, come lo mio padrone di bottega m’insegnò un tempo e di cui ricordo ancora li calci suoi nello mio povero deretano.

    Purtroppo, non posso tardare oltre l’impegno di chiarir meglio li fatti, perché ora li preti mi stan cercando. Così, prima di tirar l’ultimo fiato ho da dire e da raccontare di cose importanti, ma che forse son riservate solo a quelle poche genti che si curano di sapere lo vero. Gli altri, e son tanti, son pecoroni che non chiedono mai allo pastore indove li conduce.

    Si sappia dunque, a memoria dei posteri, che manco m’ero ancora tolto la polvere dell’ultima crociata e avevo appena finito di pugnare contro quelli di Cantagallo, che lesti li preti m’avevano già accusato di eresia per colpa di alcuni miei scritti...poemetti, potrei dir a mia discolpa, che comunque raccontavan lo vero.

    Ad ogni modo, per meglio capire di quel tempo che vò or narrando, ricordo che l’armata con me di seguito era appena passata poco distante dallo mio abituale uscio e avea lasciato sulle pietre delle strade molte gocciole di sangue, che raccontavan l’immane dolore che puote spargere una tal tenzone, fatta da un mucchio di caproni che li uni contro li altri si ammazzarono come al macello; senza mai conoscere lo profumo della vittoria. Privilegio codesto riservato sempre e solo alli signori.

    Ecco, giusto per far memoria all’impresa quel dì vissuta, posso accennare che in quei giorni si eran combattuti li signori dello castello di Rivamonte, alleati delli Frati Neri, contro quelli dello paese di Cantagallo, servi dello papa re.

    Nella pratica, come sempre avviene, gli straccioni di una parte e quelli dell’altra si eran macellati senza nemmeno saper lo perché. E io, mercenario di professione nonché cavaliere di Rivamonte, ero stato lì, in mezzo a loro, a menar di spada a destra e a manca, come al solito per un pugno di monete da spender poi in baldracche e osterie.

    Mi rodea però dentro lo fatto che anche codesta volta l’istoria delli sapienti avrebbe trattato solo le gesta delli signori, ma non avrebbe accennato nulla di ciò che invece accadde quel dì alli poeracci. Così, per far sapere alli posteri che tale Giacomo lo mugnaio dello castello s’era fatto fracassare lo braccio e la spalla mancina da talaltro Alberto, che nello paese nemico facea invece di mestiere lo tagliaboschi, io abbandonai la spada e presi la piuma in mano per vergar quella istoria.

    Semplicemente, raccontai lo vero alle genti dello mondo, perché altrimenti niuno avrebbe mai spargiuto lagrima per quella pugna, al pari di come invece Giacomo avea fatto per lo braccio suo perduto; e niunaltro avrebbe mai saputo che di lì a poco lui, lo mugnaio, lo avrebbero cacciato nella fossa ad ingrassar li vermi, mentre la sua familia sarebbe poi finita nella miseria più nera. E ancora, niuno avrebbe mai saputo che la bottega sua sarebbe poi finita nelle mani di tal Fabrizio, che invece non era andato alla guerra perché era pavido, ma furbo, ed avea un poco la schiena gobba, ma di pregio avea tanta capacità di lingua con li padroni.

    Or dunque, io mi caricai lo peso di render onore a quelli poveri pezzenti senzadio per dar loro almeno un poco di giustizia...ma la cosa non piacque alli preti. E codesto è tutto quanto ho da dir per mia discolpa.

    Così va dunque lo mondo cane e così ho visto che è divenuto un dì, oggi ancora molto distante. Mi son per cui dimandato a chi giovasse tutto ciò e ho capito che la vita dopotutto andrebbe presa come un balocco, perché poi li vermi non dimandan perpiacere quando s’ingrassano della carogna di tale o di talaltro; sia che costoro abbian vestito una toga, una pelliccia o un paio di braghe con le pezze al culo. Ho capito quindi che niuna legge d’omo è più giusta di quella di nostra signora la natura. E tutto questo io l’ho vergato a monito per le genti future.

    Ma scrivere in un mondo dove niuno legge e tutti ascoltan lo ronzar delle mosche è un po’ come voler parlare di Socrate alli preti. Si perde solo tempo e si rischia di finir sul rogo. Perché al tempo che ora rimembro, il mondo per i più finiva a due giorni di cammino dallo fienile e le novelle viaggiavan solo di bocca in bocca. Epperciò, pochi avean l’onore di conoscere lo nome dello re, dell’imperatore, dello papa o dello condottiero che avea conquistato questo o quello regno. Si muoriva per un dente marcio, per la cacarella o più semplicemente si muoriva per aver mangiato marciumi trovati chissà dove. Semplicemente, si nasceva, si soffriva e poi si moriva. Perché il volgo piglia sempre tutto come fa anco lo bue quando tira l’aratro, che pacifico non si dimanda mai perché lo scemo che ora gli da di bastone un dì gli avea già tajato li cojoni.

    Codesto è un mondo strano, dove molti credon d’esser furbi e dunque vorrebbero andar verso quella meta che però è destinata solo a pochi; e così, ignari di saperne il perché, i più finiscon miseramente in morte ciò che avean già iniziato ancor più miseramente in vita. E’ un mondo ch’io so non migliorerà nelli tempi a venire.

    Ecco, or che ho

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