I piedi d'argilla
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Anteprima del libro
I piedi d'argilla - Samuele Baracani
Prefazione
Miei cari quattro lettori, di cui due leggono queste mie sciocchezze in anteprima con la scusa di farmi da correttori di bozze e l’intento di leggere qualcosa, anche di scarsa qualità, finché è gratis, mi spiace deludere le vostre aspettative. Di certo vi aspettavate un libro meno serioso, senza tutti questi straordinari pasticci semi-apocalittici e distopici e almeno con uno di quei continui sforzi di ironia che non mi hanno reso famoso, come d’altra parte non lo ha fatto null’altro.
Quasi mi dispiace trasportarvi in un mondo di polvere e sangue che finge di non sapere di essere una fesseria come le precedenti; in fondo, però, avete voluto continuare leggere me e dunque ve lo siete
meritati.
Tuttavia desidero che sia chiaro che in alcun modo ho smesso di fare la corte all’unica signora che si degna per lo meno di fingere che le mie attenzioni le siano gradite, monna Ironia. Se non vedrete un sorriso beffardo profilarsi tra le orecchie di queste pagine è perché esse stesse lo sono.
Non me ne vogliano coloro che parlano sempre come se l’Apocalisse di San Giovanni apostolo fosse costantemente dietro l’angolo in agguato, insieme alle sue compagne di merende, le apocalissi di Pietro, di Adamo, di Abramo e di Elia e al libro di Enoch un po’ in disparte che si frega le mani.
Non me ne vogliano coloro che credono di vivere già ora dentro una distopia e vedono dietro ad ogni decisione politica un tentativo di portare l’uomo alla sua rovina o di ricrearlo secondo una nuova antropologia. So che i pericoli che gli uni e gli altri paventano sono reali e che le loro preoccupazioni sono ben motivate; semplicemente mi permetto di non credere a quelle profezie che ripetono ogni tre ore più cupe. Non che io sia uno di quegli inguaribili ottimisti che credono in un mondo senza ombre, dove le autorità fanno a gara di santità e i santi fanno a gara di autorità; anzi, vedo molte più ombre di quelle su cui quelli che si rigano il volto e cospargono il capo di cenere si concentrano, cercando di scurirle il più possibile. Ciò che mi distingue dai sopradetti profeti di sventura è la banale convinzione che non sia un mio compito esclusivo arginare l’ondata transumanista. Anzi, a dire il vero, vedo ogni giorno numerosi eroi che con le loro piccole armi, umiltà e buon senso, si assicurano che la diga regga; e ho riconosciuto in me l’eco irriducibile della solidità della mia natura umana, di cui una fra questi coraggiosi, Giulia Bovassi, è l’araldo. Se pure la diga dovesse cadere, quest’ultimo, che si trova in ogni uomo, non potrà essere soppresso e nulla sarà perduto per sempre.
Ora, avendo già tentato di non scontentare i signori di cui sopra usando un linguaggio pomposo simile al loro (che non mi accusino mai di essere un propagatore di neolingua postorwelliana), aggiungo che non debbono preoccuparsi riguardo alle loro predizioni. Se è vero che esistono infiniti universi, realtà e dimensioni parallele, sono più che certo che in uno di questi le loro profezie si sono realizzate. E dunque, se non vogliono attendere che le meraviglie della tecnica permettano loro di teletrasportarsi in un mondo dove possano in tutta coscienza dire ve l’avevo detto, leggano questa storia, che per l’appunto è ambientata in quel luogo.
Capitolo 1
Quattro uomini stavano appesi al quarantottesimo piano della Saber Tower, come mosche su un vetro attaccati alle loro iper-ventose, ma invisibili nei loro abiti scuri, nella notte senza stelle.
Le luci della città si perdevano più di cento metri al di sotto, poche e solitarie data l’ora tarda ed il quartiere altolocato.
Gab volse la testa verso i suoi uomini e questi gli risposero con un cenno di assenso dietro le loro maschere antigas. Il capitano del piccolo commando inspirò poderosamente come faceva sempre prima dell’azione. Il suo braccio si mosse in un rapido cerchio sul vetro e il diamante tagliò perfettamente una, due, tre volte. Con estrema rapidità afferrò il vetro appena tagliato, prima che cadesse all’interno e lo depositò attraverso il foro con estrema delicatezza.
Un altro cenno di assenso con i suoi compagni, poi si infilò dentro all’apertura con agilità da professionista. I tre rimasti fuori continuarono con quello che stavano facendo, tendendo dopo pochi istanti un cavo appena sotto il foro entro cui era penetrato il capitano. Il tutto con quella calma e quella abilità che rendono le cose veloci e pulite. Era la loro ventiduesima missione, dopotutto.
Passarono due minuti, centoventotto secondi per la precisione, poi Gab ricomparve, stringendo fra le braccia il bambino. Si lanciò nel vuoto. Il gancio magnetico funzionò, come sempre, attaccandosi all’imbracatura di di Gab. I suoi uomini incominciarono a calarlo lentamente, senza produrre alcun rumore.
Il bimbo iniziò a piangere e il