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Senza Chiedere Perdono
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E-book354 pagine4 ore

Senza Chiedere Perdono

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Info su questo ebook

Un’avventura straordinaria e perpendicolare ai quasi 118 anni della Società Sportiva Lazio 1900, dove drammi sociali, eventi bellici e violenza si vanno ad intrecciare con la passione di una intera famiglia per i colori della più antica società di calcio romana. Un libro di pura e semplice passione. Tre generazioni sulle quali i tacchetti dello scarpino entrano duri e catapultano a terra sporcando di prato l’intera casacca. Una sequenza impressa nella memoria di situazioni belle e drammatiche, ascoltate o vissute in prima persona, dove commozione e rabbia, profonda amicizia e lealtà, pianto e sogni, si sono infranti e realizzati all’ombra di tanti moderni castelli chiamati stadi.
LinguaItaliano
EditoreFlux
Data di uscita23 gen 2018
ISBN9788827556986
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    Anteprima del libro

    Senza Chiedere Perdono - Roberto De Sanctis

    traduzione.

    01. Adua, Etiopia. 1 Marzo 1896.

    Al Fondatore della Lazio.

    " Resto lì insieme a tutti gli altri, siamo appiattati fra le pieghe polverose di Af Zebib (i), dentro quella straordinaria ignobile disfatta.

    Tutti noi soldati abbiamo onorato le nostre uniformi come meglio non avremmo potuto. Abbiamo pagato in molti casi con orribili mutilazioni ove non con la stessa nostra vita. A salvarsi pochi, io uno dei fortunati, ma per una casualità, non per alcun merito".

    La sconfitta non è mai una questione di responsabilità o di colpa, ed oramai è consegnata alla storia, ma chi c’era e l’ha vissuto non può non tener conto della scellerata e totalmente inadeguata gestione tattica della battaglia da parte dei nostri ufficiali. Alcuni con coraggio, altri con leggerezza e protagonismo, hanno inanellato errori su errori, iniziando col sottovalutare le forze e l’equipaggiamento dei nemici e finendo col dotarsi addirittura di mappe errate prima di decidere le operazioni tattiche. Questo è l’ovvio risultato.

    È il 1 Marzo del 1896, ed Adua adesso appare madida di sangue. La polvere si mescola in un fango marrone che impasta insieme le vittime dei vincitori e dei vinti, mentre il vento bollente continua a sferzare ed evita ai sopravvissuti il tanfo di quintali di cadaveri che giunge da ogni dove.

    Dentro, le urla, e fra tutti quei lamenti sofferenti la vergogna ed il dolore. Si scosta da quell’ammasso di carne morta, sia di chi ha soverchiato, sia di chi, sopraffatto, è comunque rimasto nella sua divisa, la mia, uno di quelli che, pur perdendo, grazie al cielo tira via la pelle da questa sciagura.

    Quando termina l’orgoglio c’è l’onore, ma finita la battaglia va via tutto, e quello che davvero importa, che davvero esiste e resiste, è il solo fatto di poterla raccontare senza l’onta di una fuga o di una resa delle armi.

    Sono lì, esattamente dov’è lui, su quel bastimento che adesso lo riporta a casa. Curato nelle sue ferite il corpo torna sano alla sua Patria, in Italia. Le lacerazioni dolorose, tuttavia, sono quelle che rimangono nell’animo.

    Resta seduto sul ponte Luigi, guarda la sua Terra che lentamente gli si fa di nuovo incontro. Negli occhi ha tutta quella gente, quell’esercito di persone ordinate e già in fila mentre il ponte si apre ai passeggeri per stendersi sul molo.

    Assicurato al terreno, come delle formiche l’una dopo l’altra la massa inizia lentamente a muoversi. Tante, piccole e operose, portano valigie come foglie e scendono quel ponte come fosse il sottile condotto fra le due ampolle di una grande clessidra di vetro trasparente.

    Ecco qua! Come i tanti granelli di sabbia bianca di una clessidra, ancora quella sabbia, quella maledetta sabbia.

    Accenna un sorriso amaro e ripensa a tutta quella poltiglia di budella e di arti, alle orbite esplose dei suoi fanti e a tutta quella serie di deflagrazione.

    Pensa alle mezze teste che nel fumo ha visto volare via, ai corpi dilaniati dalle pallottole e sempre a quel loro putrido olezzo mentre con uno slancio, mettendosi ritto come ad un ordine di un ufficiale, muove anche lui i suoi passi per scostarsi da quella grande nave.

    Una volta imboccata la strada per scendere a terra freme per il suo intero peso, un fardello che forse, adesso realmente sembra poter divenire lieve. L’ultima occhiata è per la bandiera, quei Tre Colori tenuti al cuore a costo delle numerose cannonate, mentre si scrolla di tutto il superfluo lasciandolo sul bastimento, ivi compreso quel lacero dolore che nonostante la sua giovane età, appena vent'anni, è già costretto a trascinare con le proprie spalle.

    La guerra è finita ma Luigi non ha ancora tempo per sé. Ad abbandonarlo sono stati già in molti, li ha visti morire e in molti casi li ha anche già pianti, ma la burocrazia militare, quella no, non lo lascia ancora. Altro tempo necessario, passa i giorni successivi a sbrigare le pratiche e a mettere le firme per quel suo sospirato congedo.

    In quell’ufficio quel giorno le uniformi sono identiche alla sua, ma non le riconosce nemmeno. Al suo ingresso il burocrate mostra intera la sua faccia: tanti soldatini tirati a lucido che sembrano pronti per una cena di gala, ma la sua schiena nel breve è già china sulla tavola dell’attendente mentre la mano viaggia sicura come quando imbracciava il suo fucile nel pieno della bagarre ingaggiata contro gli uomini di Menelik.

    Ora stringe quella penna e va a dipingere il suo autografo per sigillare il meritato ritorno allo status di civile. Una breve esitazione cui segue una piccola macchia d'inchiostro. Forse per la solennità di quel momento personale oppure per una scrittura solo ora poco sicura, tanto basta per suscitare nei presenti delle fragorose risa.

    Si ferma un istante, alza lo sguardo e riflette, rimane chino mentre in silenzio li passa tutti in rassegna. Uno alla volta li osserva, è la forza effettiva di quella sala: delle giovani aquile che non hanno ancora tolte le piume... speriamo non debbano vedere mai quello che ho visto io con i miei occhi!, pensa...

    Il suo silenzio denso placa tutto come se per un momento riuscisse a rimanere sospeso anche il tempo. Quei sorrisi si placano immediatamente e in quell’attimo esatto tutto, assolutamente tutto resta immobile.

    L’inchiostro riprende a correre via veloce come il palmo aperto della mano destra. Luigi finalmente ha firmato, e sollevato dai suoi doveri verso la sua Patria si volta e sulla soglia della stanza per un'ultima volta saluta al berretto quel giovane ufficiale, il più alto in grado, lo fissa dritto negli occhi, chiude la porta e va via.

    (Gen. Oreste Bovio, Adua)

    02. Roma, Italia. 29 Aprile 1973

    Alla bellezza delle cose.

    Luigi aspetta sull’altare mentre la sposa come da copione si fa attendere. Quando Marisa entra in chiesa accompagnata dal padre però, sua madre Pasqua non riesce a trattenere le lacrime, mentre anche lui, che a breve diventerà suo marito, ha il volto paonazzo. La vede arrivare dal fondo col padre Giovanni accompagnato da un ovvio velo di commozione.

    Siamo nella zona nord di Roma. Quel giorno la chiesa dell’Istituto Asisium di via di Grottarossa è davvero gremita. Testimoniano tutti che lei è più bella che mai.

    La funzione scorre fra le lagne dei neonati presenti e le coccole di genitori dondolanti per sedare l’imbarazzo di quei piagnistei.

    In chiesa è la consueta cappa infatti qualcuno non resiste e finisce inevitabilmente per accomodarsi fuori anzitempo e prendere una rinfrancante boccata d’aria fresca.

    Gli sposi si rispondono di sì ratificando il tutto anche per la Chiesa dopo averlo fatto per lo Stato. Puro pro forma per ciò che loro avevano da tempo già sancito promettendosi l’amore.

    Immagini corrono come diapositive tremanti sui colori bianco e nero che si inseguono l’una dopo l’altra.

    Siamo all’inizio degli anni ‘70, sono gli anni della rivolta sociale e dello scontro di piazza. Questi tempi a lungo andare finiranno purtroppo per proporre solo false soluzioni, talvolta meschine, altre incoerenti, spesso suggerite da dubbi interpreti e manovratori di grande classe.

    Hanno già generato una certa discrepanza fra i linguaggi e i contenuti di generazioni differenti, pile di incomprensioni fra la gioventù (che preme e vuole sdoganarsi) ed il vecchio sistema (che invece vuole continuare ad assoggettare a regole obsolete le nuove generazioni che non sono apparentemente nemmeno più in grado di comprenderle).

    Ereditati e costruiti sulle macerie della finta rivoluzione sessantottina, nuovi termini come dipendenza o controllo divengono di uso comune e quello che era nato come un richiamo a combattere per le proprie idee, come un grido di libertà, è nel breve destinato ad essere relegato a ricoprire mero ruolo di disagio e a fungere da moderatore dei fenomeni delle masse.

    Il divide et impera di Filippo il Macedone torna ad essere quanto mai attuale, è uno degli strumenti usati insieme a LSD, metadone e a una feroce repressione per ammansire l’impegno politico di una generazione che spinge e vuole essere partecipe dei suoi destini.

    È una semina cui segue un raccolto di pura violenza, esercitata con ogni mezzo. Università e licei, ma anche curve degli stadi e piazze diventano presto terreno dove riaffermare il predominio del proprio credo politico sugli altri.

    Incancrenendosi su una totale assenza di dialogo, la situazione (non si saprà mai quanto in maniera casuale) sfugge di mano a molti, e già devastata dal primo periodo delle stragi, vede alzare il tiro entrando in quello che passerà alla storia come il periodo della Lotta Armata.

    L’effettiva conta degli strascichi e delle conseguenze si sconterà ben oltre l’ingresso nel decennio successivo, ma sono ancora lontane dall’essere comprese in quella Domenica di fine Aprile del’73, che per Luigi e Marisa è un giorno soltanto loro, lontano da tutto il resto.

    Il contesto storico non è buono, la crisi petrolifera attanaglia l’intera nazione e a cinque mesi da lì, nel successivo mese di Ottobre, avrà luogo la guerra lampo sull’altopiano del Golan (guerra del Kippur). Sotto la spinta occidentale un ulteriore solco fra la popolazione arabo - palestinese ed il governo israeliano produce altre macerie sulla linea di confine fra Occidente e Medio Oriente, mentre dall’altra parte del mondo invece, si è in piena Guerra Fredda e le due superpotenze del globo, Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e Stati Uniti d’America, si affrontano a colpi di diplomazia e spionaggio, contendendosi a suon di test nucleari e finanziamenti di guerre più o meno dichiarati la leadership globale. Insomma, non manca davvero nulla.

    Luigi e Marisa ricevono gli abbracci e le congratulazioni degli invitati. Escono dalla porta della chiesa ma a cadergli addosso non sono né le bombe americane dei Boeing B-52 Stratofortress (sganciate in quantità sul Vietnam), né quelle dei Tupolev Tu-16 e dei più snelli Sukhoi Su-24 (che l’Unione Sovietica adopererà nell’occupazione dell’Afghanistan dal 1979 in poi), soltanto una sostanziosa e ben augurante dose di manciate di riso.

    Al ristorante la gioia e i ripetuti brindisi accompagnano la giornata mentre entrambi passeggiano fra i tavoli accogliendo e salutando gli invitati, ogni tanto assecondando anche le loro richieste di baci e suscitando gli applausi di tutti.

    Scorre via la giornata, e alle varie portate da un certo punto in poi, si aggiunge piano il suono basso della radio. Luigi e Marisa hanno cura dei loro invitati, ma fra familiari ed amici sono molte le cose in comune, quindi mentre il brusio si fa a tratti più forte, a tratti più delicato, la colonna sonora di Tutto il Calcio minuto per minuto adesso abbraccia in una nenia incessante tutti quanti i tavoli dei commensali, rendendo il convivio un festival di sintonizzazioni sullo stesso evento.

    Quel giorno allo stadio Comunale di Torino incrociano gli scarpini la più antica società di Calcio romana, l’affascinante Lazio di Chinaglia e Re Cecconi, ed i granata del Toro, di Paolo Pulici, Castellini e Sala. È la Ventisettesima giornata e con questo mancano appena 4 turni alla fine.

    La Lazio è passata (fra la fine degli anni ‘50 e gli anni ‘60) dall’essere fra le cinque nobili mai retrocesse a militare per varie stagioni nella serie cadetta. Adesso però è risalita ed è una delle squadre protagoniste: da neopromossa contende alla Juventus degli Agnelli la vittoria finale. Proprio quel Gianni Agnelli padrone della FIAT, figura vincente e per molti aspetti controversa dell’intero jet set.

    Alle 15.01 il pranzo prosegue. Siamo a Roma, meno di tre chilometri dal campo di Tor di Quinto dove la Lazio si allena, e a soli altri tre da dove mosse i suoi primi passi.

    È praticamente impossibile non seguirne le sorti. È la squadra del cuore di quasi tutti gli invitati e quel giorno si gioca una grossa fetta di possibilità di ottenere un sensazionale risultato.

    La partita non si schioda dallo zero a zero, alla fine dell’incontro giungeranno pochissime emozioni. La Lazio non esce sconfitta ma non è nemmeno riuscita a segnare il gol della vittoria contro il Toro. Se pure lo avesse segnato, il gol più bello della Lazio quel giorno lo fanno quei due: Luigi e Marisa.

    Per la Cronaca :

    Domenica 29 Aprile 1973 – Stadio Comunale, Torino

    Stagione 1972/73

    Campionato italiano di Calcio Divisione Serie A – XXVII Giornata

    Incontro: Torino-Lazio 0-0

    Torino:

    Castellini, Lombardo, Fossati, Zecchini, Cereser, Agroppi, Rampanti, Ferrini, Bui, Sala, Pulici P.

    A disposizione: Sattolo, Crivelli.

    Allenatore: Gustavo Giagnoni

    Lazio:

    Pulici F., Polentes, Martini, Wilson, Oddi, Nanni, Garlaschelli, Moschino, Chinaglia, Frustalupi, Manservisi.

    A disposizione: Chini, Mazzola F.

    Allenatore: Tommaso Maestrelli

    Arbitra il signor Panzino di Catanzaro

    03. Roma, Italia. 28 Maggio 1974

    A tutte le vittime degli attentati .

    Sette e trenta della mattina del 28 Maggio 1974. Marisa occupa un letto della clinica Regina Elena di viale Angelico, zona Prati, e mentre le infermiere passano per servire le colazioni lei già sa che dovrà far nascere il suo primo figlio con un parto cesareo.

    L’intervento è fissato per il giorno dopo e sebbene non sia un parto normale lo stress e la curiosità per la mamma sono quelli consueti.

    Ancora non conosce il sesso del nascituro, probabilmente anche questo fa la sua parte, deambula nervosa tenendosi la grossa pancia e scambiando per le stanze saluti e commenti con le altre partorienti. Alcune attendono, mentre altre, già mamme, aspettano pazienti di essere dimesse con i loro neonati.

    La mattinata scorre tranquilla fino a quando, neanche tre ore più tardi, alle 10.12 esatte un tamtam alla radio da notizia di una forte esplosione avvenuta a Brescia, in piazza della Loggia.

    Le varie emittenti radio e le televisioni rimbalzano notizie frammentarie che paiono già da subito molto confuse.

    La strategia della tensione come detto, arriva e miete nuove vittime. Più tardi si verrà a sapere che l’ordigno esploso era stato abbandonato in un cestino dei rifiuti, e deflagrando ha provocato la morte di otto persone ed il ferimento di altre centodue.

    La versione ufficiale afferma che la matrice è da ricercare negli ambienti dell’eversione nera. Insomma i responsabili, quindi i colpevoli, secondo le prime indiscrezioni sarebbero degli appartenenti a gruppi della Destra Extraparlamentare, tant’è che nel processo che seguirà all’accaduto, le condanne porteranno in carcere vari esponenti di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale (due organizzazioni da collocarsi effettivamente in quell’area politica).

    Ad onor del vero non verrà mai fatta piena luce sull’effettiva dinamica dei fatti di questa strage. Movente, mandanti, responsabilità, rimarranno imbrigliate in un magmatico quanto misterioso, confuso silenzio.

    Come tante altre in quegli anni, anche questa di piazza della Loggia sarà inserita nel novero dei fatti evidenti senza però avere le evidenze necessarie affinché evidenti lo siano davvero.

    Il giorno seguente, il 29 Maggio, viene indetto uno sciopero generale proprio in conseguenza di quanto accaduto a piazza della Loggia. Ad incrociare le braccia è anche il personale ospedaliero della clinica Regina Elena, che quindi non permette a Marisa di dare alla luce il suo primo figlio e le allunga il suo calvario di ulteriori ventiquattro ore.

    Mattina del 30 Maggio 1974 dunque. Marisa è stanca e rimane stesa sul lettino in attesa di sapere se e quando potrà partorire.

    C’è ancora agitazione e non è chiaro se riuscirà ad essere trasferita in sala operatoria per affrontare finalmente il suo parto.

    Alle 10.30 l’apparato riesce finalmente a muoversi: un intervento chirurgico, appena un paio d’ore fra attesa e sala operatoria per regalare una vita. Sono passate da poco le 12.00 e Marisa dà alla luce un maschio. Il bambino non pesa molto, appena 2.550 kg, ma urla come un’aquila e passa appena qualche attimo fra le braccia della mamma prima di essere portato via, non è Paola ma Roberto, e viene al mondo per la felicità di sua mamma e di suo papà.

    La ferita all’addome costringerà Marisa ad una degenza leggermente più lunga ma qualche giorno in più di clinica non rappresenterà certo un problema per la neo mamma.

    Luigi è papà da nemmeno mezz’ora, ha giusto il tempo di ricevere la notizia che attende e vola via. È impiegato a due passi dalla clinica e lascia il lavoro fra le pacche sulla schiena dei colleghi e dei clienti mentre corre a conoscere il suo primo figlio.

    Lavora fra via delle Milizie e viale Giulio Cesare, per arrivare all’angolo con viale Mazzini ci vuole nulla ma gli sembra una vita e quando arriva purtroppo suo figlio è già via e dovrà aspettare ancora per poterlo vedere anche lui. Una grande emozione davvero.

    In quei giorni Luigi di quella strada fa un solco. Le attenzioni per la moglie si decuplicano ed entrambi genitori da poco, passano quanto più tempo possibile assieme. Non sono più soltanto una coppia, adesso sono diventati una famiglia.

    04. Roma, Italia. 2 Gennaio 1900

    Alla Lazio.

    Luigi ed il fratello Giacomo abitano al 15 di via degli Osti, nel Rione di Parione. Sono le mura delle odierne via di Tor Millina, piazza del Fico e piazza Montevecchio. Si dannano l’anima insieme ai loro inseparabili amici, partecipano a gare di Nuoto, di Podismo e di Marcia. Qualunque cosa, ogni attività possibile, viene praticata.

    Di cose brutte Luigi nonostante la sua giovane età ne ha già viste molte. Sono passati soltanto quattro anni e quell’orrore se lo tiene dentro, celato, mentre tenta di offrire agli altri tutto il resto.

    Si appassiona al podismo e alla marcia, e corre Luigi, corre insieme ai suoi amici ma a differenza loro vola, si spinge in avanti e va, forse per lasciarsi alle spalle quell’orribile abisso che lo accompagna.

    Già nel 1898 partecipa insieme al fratello Giacomo, ad Alberto Mesones e a Galileo Massa, ad alcune gare di nuoto e di podismo sotto i colori dell'Associazione della Gioventù Cristiana.

    Nel’99 giunge una testimonianza (fonte Il Messaggero) della partecipazione alla seconda gita di allenamento per prepararsi all’ Audax podistico italiano. Si marcia sulla distanza di 54 km, una infinità, da Porta Portese a Fiumicino e ritorno.

    Insieme a lui, che dopo un’ora di riposo al ritorno stacca gli altri, gareggiano anche suo fratello Giacomo, Galileo Massa, Ugo Bastianini, Nino Velli, un certo Annibaldi ed Alberto Mesones.

    È quasi tutta lì quell’Idea, e con le sue indiscutibili doti di leader, sopra tutta quella violenza sta facendo rifiorire lentamente il desiderio e la voglia.

    In quei giorni organizzano, si interrogano, hanno continui stimoli ed hanno voglia di fare ma la sua testa inevitabilmente torna sempre lì. Pensa e ripensa a quelle maledette giornate africane, lui, un sottufficiale dei Bersaglieri, sconfitto, soldato, superstite e reduce: praticamente un eroe del niente.

    Le immagini dei suoi amici fatti a pezzi sono ancora vivide, tutte di fronte ai suoi occhi a ricordargli quanto infame e selvaggio può essere il destino di un uomo e l’uomo stesso.

    Gli amici ascoltano morbosamente i suoi racconti. Anche se non ama parlarne sono spesso gli altri ad imbeccarlo, a chiedergli, e su quella panchina si accorge che lentamente così facendo continuano ad aiutarlo.

    Tira fuori quel rabbioso malessere che lo accompagna, lo vomita via ed è lo stesso che butta sull’asfalto quando marcia o nell’acqua quando nuota. Oscenità di ogni genere è la guerra, e proprio da quello stesso terreno occorre ricreare. Quello stato di cose muta ed al contempo il dramma si trasforma sempre più in ferma determinazione, in nuove idee.

    Alle immagini nere, alle scene che ha impresse, veloci ora seguono nuovi propositi. Brutti ricordi e nuovi intenti si mescolano finalmente ai bei sogni. Questo non scaccia del tutto i fantasmi ma aiuta e distrae.

    Marzo 1896. La battaglia di Adua determina di fatto la fine dei propositi coloniali del governo italiano in Eritrea.

    In quello stesso anno si tiene un evento straordinario ed assolutamente nuovo. Il primo congresso olimpico, a Parigi il 23 Giugno del 1894, oltre a sancire la nascita del CIO (Comité International Olympique), ratifica ufficialmente l’organizzazione dei primi giochi olimpici dell’Era Moderna.

    Sulla spinta di Pierre de Frédy infatti, barone di Coubertin ma discendente del nobile ceppo romano dei Fredi, vengono stabilite le date dal 6 al 15 Aprile del 1896 come il periodo per lo svolgimento dei primi Giochi.

    La sede scelta per la kermesse è la Grecia, Atene, in onore delle contese antiche, e le cerimonie di apertura e chiusura vengono svolte nello stadio Panathinaiko.

    Le gare consistono essenzialmente in competizioni in varie pratiche sportive, prettamente nell’ambito dell’Atletica e della Ginnastica. Su tutte però spicca la straordinaria prova nella Maratona, voluta per evocare la straordinaria impresa dell’ateniese Fidippide che, si narra, con Atene minacciata dai persiani, percorse 225 km a piedi in un solo giorno per raggiungere Sparta e chiedere il suo sostegno.

    Grandioso! La prima edizione dei Giochi si rivela un successo e spinge il barone de Coubertin ad assumere la presidenza del Comitato Olimpico e ad organizzare personalmente le Olimpiadi successive, che si dovranno tenere fra il Maggio e l’Ottobre del 1900 a Parigi.

    Questo è il contesto al quale si affaccia anche la città di Roma nel primo’900. È un periodo di grande fermento, la popolazione, più che raddoppiata rispetto a trent’anni prima, adesso conta 450.000 abitanti. Chiaramente ancora lungi dall’assomigliare alle grandi capitali del Nord Europa, lo sviluppo edilizio porta comunque i primi edifici all’esterno delle mura storiche della vecchia città. Si costruisce sulla Nomentana, sulla Salaria, a piazzale Flaminio e a Prati di Castello (odierno Rione Prati).

    Per il Natale di Roma, il 21 Aprile, è prevista una gara di Marcia che parte dalla località di Castel Giubileo per poi snodarsi fra le arterie dell’Urbe attraversando le zone centrali della città fino a raggiungere piazza del Popolo prima e Porta Pia poi. Si marcia sulla distanza dei 20 chilometri.

    Luigi e Giacomo sono seduti su quella panchina, si arrovellano il cervello come i loro amici: Enrico, Alceste, Giulio, Alberto e gli altri. Vogliono gareggiare, ma come? Per prendervi parte è necessario essere tesserati per un circolo sportivo riconosciuto ma loro non hanno nessuna tessera. Eccola allora l'idea: facciamola noi la società!. Nasce così l’idea Lazio, nei primi giorni del nuovo secolo.

    Sul piatto Luigi mette tutto il suo naturale carisma. L’entusiasmo suscitato è tanto ed in quei giorni si eseguono tutti i passi di un iter che porterà la neonata società ad emettere il suo primo naturale vagito. Tutto è a punto e si vanno definendo le ultime cose, con quei nove ragazzi e, a margine, anche gli altri.

    Il capannello ascolta attentamente, a parlare adesso sono tutti e ciascuno espone le proprie idee, ma inevitabilmente quando parla Luigi gli altri rimangono tutti a sentire in silenzio.

    Colori!.

    L’eco delle Olimpiadi di Atene non si è ancora spento, mentre l’approssimarsi della nuova edizione crea altro fermento. Quale migliore omaggio allo Sport se non quei colori? La Grecia, il Paese delle Olimpiadi, antiche e moderne. Bianco e Celeste, è deciso!.

    Adesso tocca al simbolo!.

    In aiuto ai ragazzi giunge la storia di Roma. L’aquila già nella mitologia, sia greca che latina, rappresentava simbolo di potenza, prosperità e vittoria. Ai tempi dell’Impero veniva usata come simbolo delle legioni ma il suo valore simbolico crebbe a tal punto da trasformarsi in un emblema di forza e potenza, tanto che i soldati delle singole legioni sembra si rispecchiassero addirittura in essa.

    Spettava all’aquilifero l’onere e l’onore di portare l’aquila sul campo, e veniva difesa a costo della vita. Questo perché si pensava fosse protettrice in battaglia. Perdere l’aquila poteva voler dire sciogliere la legione stessa, oppure farle perdere l’identità. Pare addirittura che in alcune battaglie l’aquila fosse di proposito scaraventata fra le linee dei nemici, forti della consapevolezza che i soldati avrebbero fatto di tutto per riprenderne il possesso. Aquila! Potenza, Prosperità, Vittoria..

    Il nome?.

    Esisteva già la Società Ginnastica Roma, quindi la scelta ricadde praticamente da subito e per evitare che si facesse confusione, sul nome Lazio, dal latino Latium Vetus. Era la vasta area che comprendeva anche la riva destra del fiume Tevere dov’era sorto il primo insediamento di contadini romani, il Lupercale, fra il colle Celio ed il colle Palatino.

    Rappresentava la storia di Roma e ne comprendeva il territorio: sia!.

    Nasce la Lazio, il suo simbolo è l’aquila delle legioni di Roma ed i suoi colori sono il bianco ed il celeste, colori della bandiera greca, patria delle Olimpiadi.".

    L’edizione del quotidiano romano Il Messaggero del 10 Gennaio 1900 in un trafiletto recita: "Ieri per opera di alcuni volenterosi giovani è stata fondata una società di sport pedestre denominata Lazio. Essa, a somiglianza delle consorelle di Milano, Torino, Genova, ecc., si ripromette un’attività di propaganda in favore di questo sport tanto utile a tutti in specie poi alla gioventù. Saranno da essa bandite giornate di corsa e di marcia, gite di allenamento ed infine si avrà in Roma una sede dell'Audax podistico italiano, che ha sede in Milano. Il numero di soci è di garanzia che questo sport avrà lo sviluppo che merita. Intanto

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