Vite
Di Fabio Zoia
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Anteprima del libro
Vite - Fabio Zoia
633/1941.
UNO
La storia inizia, o finisce, in una colorata campagna della collina Irlandese. Istantanea ed infinita al tempo stesso. La luce, inesorabilmente, qui come in ogni altro luogo, insiste ostinata ogni mattina sulle decisioni degli individui, che ormai totalmente assuefatti all’incalzare del tempo, giorno dopo giorno si devono svegliare e scoprire. La strana storia del Signor Finn inizia proprio mentre molte altre finiscono, rumorose o silenziose, oppure si trasformano, nell’intimo del mondo conosciuto. Del resto è cosa naturale, ogni giorno nascono e muoiono milioni di storie, si generano, si dissolvono e si trasformano. Alcune di queste prendono vita dal nulla, altre dal caso, altre sono costruite proprio per essere raccontate, mentre altre esistono senza che nessuno se ne accorga. Difficile, per ciascuno di noi, riconoscere quale storia di vita stia animando, semplicemente abitando o inventando. Ancora più complicato è capire il nostro ruolo, per lo meno intuirlo o supporlo. Ci appare estremamente normale osservare le storie degli altri, raccontarle, interpretarle ed anche criticarle. Le nostre invece riusciamo a capirle solo alla fine, quando giungono alla loro conclusione, allora sì... che diventa tutto chiaro, ma a quel punto, è troppo tardi. I personaggi hanno interpretato il copione loro attribuito dal destino, il tempo è trascorso inesorabile e ritmico come è nella sua natura e quel che è fatto è fatto. Riusciamo a teorizzare la vita, a tradurla in concetto filosofico, ad immaginarla con visione ottimista, nichilista o in differenti altre trasposizioni, ma la difficoltà sta nel viverla e nell’orientarne la direzione.
Anche Finn, immerso nella sua storia, non era in grado di percepire e comprendere molto di più del nulla. Per lui era tutto abituale, anzi, anche eccessivamente ordinario. Finn, con il suo cappello rosso, viveva ogni giorno la sua personale storia. Finn non era solo, incontrava ogni giorno molte persone, chi per un motivo, chi per l’altro ma non vedeva nessuno solo per il piacere di incontrare e di conoscere. Sempre un perché, sempre un motivo, sempre un movente che uccideva la spontaneità. E’ estremamente raro fare qualche cosa senza scopo, senza un motivo tangibile, un’esigenza immediata, un fine. Forse, chi riesce a farlo raggiunge la libertà estrema, o la pazzia. Ma Finn no, per lui c’era sempre un motivo che guidava le sue azioni, un binario da seguire, la soddisfazione di aver fatto quello che doveva essere fatto e la convinzione di non essere solo.
Quando Finn la sera appendeva là, su quella parete, il cappello rosso, si liberava anche di tutti i suoi doveri. Si staccava dal suo dover fare, assaporava l’aver fatto e pensava al da farsi del giorno successivo. Solo per un momento riusciva ad essere veramente sé stesso, solo in un piccolo squarcio della realtà, che riusciva a ricavarsi ogni giorno e che gli dava la forza, di rimettere il suo cappello rosso il mattino successivo.
Finn scriveva. Sì…, scriveva continuamente, qualsiasi cosa. Non era uno scrittore, un narratore o un poeta e nemmeno un fine pensatore. Lui scriveva e niente altro. Scriveva a volte storie, a volte pensieri, a volte, persino numeri. E rileggendo quello che aveva scritto, aveva la sensazione che il tutto provenisse da un’altra persona, un lui diverso e profondo. Si stupiva di quante parole potevano essere prodotte dalla sua mente in una sera, si stupiva veramente. Aveva quasi l’impressione di avere la necessità reale di farle uscire dalla sua testa, per non esplodere. Ma Finn non era uno scrittore, non ne era capace. Così scriveva e sì, in quei preciso istante, lo faceva senza un vero fine. Scriveva per sé stesso, per lui e per l’altro lui dentro sé stesso, o almeno questo entrambi pensavano.
Così, anche se quando Finn scriveva in realtà era sempre altrove, il luogo in cui passava le serate si riempiva disordinatamente di fogli con pezzi di vita di altri, emozioni mai provate ed incongruenze che conosceva bene. Avendo la possibilità di sbirciare su quel tavolo, si potevano leggere le cose più inusuali o semplicemente storie e visioni. Per Finn scrivere era come creare un impasto. Idee, pensieri e parole che si mescolano e formano qualche cosa di consistente che inizia ad esistere e che prima non esisteva. E come lui stesso aveva scritto in un appunto che teneva per sé, Le idee illuminano i vicoli di notte ed il suono delle passioni riempie di ritmo il vento. La gente rincorre la vita, e la vita trascorre nel tempo
. Tutta farina del suo sacco.
Quella sera Finn, mentre tornava a casa, mormorava qualche cosa tra sé e sé, non era un pensiero compiuto, non ne era nemmeno consapevole, era lo scalpitio della sua mente. Non borbottava sonoramente, era tutto dentro di lui nei suoi percorsi mentali. La gente attorno a lui non udiva niente, ma il suo sguardo, il suo sguardo assorto faceva intendere che qualche cosa stava per succedere. Quella sera, una calda sera come tante di un mediano giorno di giugno, Finn si mise a scrivere e si ritrovò di colpo nella vita di Filipe.
DUE
Raccontare Filipe non è affatto semplice, occorre tornare un momento alla sua infanzia, ed è un bel percorso considerando che ha già quasi quarant’anni suonati. Filipe trascorre la sua infanzia nella città di Albuferia sulla costa sud del Portogallo. La sua famiglia, non benestante ma nelle condizioni di vivere senza apprensione e con la possibilità di togliersi di tanto in tanto ogni tipo di sfizio, abita in un villino dove Filipe passa la gran parte del suo tempo libero nell’ordinato giardino. Le aiuole sono contornate da sassi bianchi e regolari che sembrano dividere la realtà dal sogno. Le piante di acero rosso, regalano un tocco di colore anche agli spazi verticali. Tutto è dove e come deve essere. I colori dei fiori sono la sua passione e si ritrova di frequente a disporre pazientemente le piantine seguendo percorsi cromatici che gli fanno esplodere l’immaginazione. I genitori sono molto impegnati, non hanno molto tempo per lui e non si accorgono di quanti e quali mondi fantastici riesce ad inventare con la sua fantasia. Il papà, alto e austero, sempre occupato in faccende e sempre affannato ad occupare il tempo. La