I racconti del Lago-Ombre dal passato
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Il romanzo inizia con un prologo ambientato nei nostri giorni, ma il racconto ha radici lontane, in un periodo della nostra storia triste, doloroso e cruento. Passato e presente s’intrecciano e il dolore e il sangue versato nel passato chiedono la resa dei conti nel presente con altro dolore, altro sangue, altre umanità distrutte; affinché tutto sia finalmente e definitivamente sepolto.
Accanto alla trama principale altre storie, altri interessi s’intrecciano e fanno di questo romanzo un mosaico: noir, poliziesco, spy story o più semplicemente, il racconto di una tragedia di anime spezzate.
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Anteprima del libro
I racconti del Lago-Ombre dal passato - Ignazio Presti
Ringraziamenti
Presentazione
Luca Combi, il protagonista della serie I Racconti del Lago
si trova coinvolto in questa avventura in modo più personale e profondo rispetto alle precedenti. In Ombre dal passato è in pericolo la persona amata, in gioco vi è tutto il suo mondo, i suoi affetti e il protagonista si ritroverà a dover lottare da solo.
Il romanzo inizia con un prologo ambientato nei nostri giorni, ma il racconto ha radici lontane, in un periodo della nostra storia triste, doloroso e cruento. Passato e presente s’intrecciano e il dolore e il sangue versato nel passato chiedono la resa dei conti nel presente con altro dolore, altro sangue, altre umanità distrutte; affinché tutto sia finalmente e definitivamente sepolto.
Accanto alla trama principale altre storie, altri interessi s’intrecciano e fanno di questo romanzo un mosaico: noir, poliziesco, spy story o più semplicemente, il racconto di una tragedia di anime spezzate.
Il romanzo è pura opera di fantasia pertanto qualsiasi riferimento a fatti accaduti e cose o persone realmente esistenti o esistite è da ritenersi assolutamente casuale e non voluto.
Prologo: 2013-il diario ritrovato.
Un giorno di primavera. Vecchie scartoffie, quaderni, scatoloni e un solaio pieno delle più disparate cianfrusaglie e ricordi.
"Di mio padre Alessandro - pensa Stefania - rimane solo questo."
Un solaio pieno di cose di una vita e che per molti anni è stato il luogo segreto, il Sancta Sanctorum del padre, il suo rifugio.
Il padre,ora, era morto da qualche mese e lei doveva trovare la forza di mettere ordine in quel caos.
"Caos, che contraddizione"- pensava- Tu, che eri l’ordine e la pignoleria fatta persona
. Incominciò a prendere alcuni oggetti, mettendo da parte ciò che avrebbe tenuto da quello che avrebbe poi buttato o cercato di vendere come vintage. Si muoveva quasi con timore in quel luogo fra le molte cose appartenute al padre molto amato, ma un po’ distante, introverso e malinconico.
Ne aveva passate tante, il padre, e per lei, Stefania, quell’uomo era stato non solo un padre ma anche madre e amico. Madre, perché la mamma, Stefania, l’aveva persa da bambina, molto piccola, due anni appena, e di lei ricordava pochissimo: ricordava una donna dal viso sempre un po’ mesto, come sofferente, ma che sorrideva quando stringeva a sé la figlia. Di fatto, della madre sapeva solo quello che gli altri, suo padre per primo, le avevano raccontato.
Era morta, la mamma, per una grave malattia- "E ora"- le diceva sempre il padre- Ci guarda e sorride, lassù nel cielo
- e lei, Stefania bambina, guardava il cielo sperando di vedere una mamma sorridere. Ancora adesso, adulta e non religiosa, si soffermava a guardare quasi in apnea le rare volte che le capitava di vedere una statua della Madonna. Chissà perché, istintivamente la associava alla madre, forse per quel sorriso mesto e dolce che spesso gli artisti creavano.
Il tempo trascorreva veloce, accatastando mobiletti o impilando libri e altro. Un vecchio secretaire, gelosamente conservato, l’attirò: era l’oggetto più segreto
del padre, e ora era lì, un mobiletto un po’ fuori dal tempo, sembrava uscito da un racconto dell’ottocento, e sembrava raccogliere la stessa malinconia del suo proprietario.
Stefania cominciò a tastarlo, come una provetta ladra o un detective d’altri tempi, in cerca di chissà quali cose nascoste. Un gioco. E come per rispondere a quel gioco, un cassettino nascosto si apri silenziosamente- Che secretaire saresti, senza un cassettino nascosto?Ma io sono Arsenio Lupin, mio caro
.
Il cassettino, sempre più come un gioco, incredibile e misterioso, conteneva anche un vecchio e sdrucito diario di pelle bordeaux.
"E’ di papà". Una curiosità indescrivibile e irresistibile la prese, doveva leggere quel diario. Doveva leggere quel libriccino che conteneva tutto suo padre, quella parte rimasta sempre insondabile e distaccata. Il diario di suo padre. Guardò l’ora, era passato da poco mezzogiorno, aveva lavorato per due ore filate e, si disse, un po’ di riposo non guasta. Sentì un brontolio allo stomaco - Riposo, panino e birra. Ma sì
- Corse in cucina, aveva del tempo ancora, suo figlio sarebbe uscito da scuola solo nel tardo pomeriggio.
Seduta su una sedia nel piccolo tinello, con un panino in una mano e nell’altra il diario, cominciò a sfogliarlo attentamente dalla prima pagina, iniziava con una data, 1977-L’anno della morte della mamma, papà ha cominciato a scriverlo allora
-
Ma le date non si succedevano in modo regolare, era più una memoria di quello che l’uomo aveva vissuto, una vita. Le date si accavallavano, come la memoria umana, ma, pian piano il racconto prendeva forma e Stefania rimase allibita da quello che stava leggendo e vivendo attraverso le parole del padre morto.
Può una vita intera ribaltarsi completamente? È possibile che tutto ciò che si sia vissuto per tanti anni possa non esser niente, quasi non aver più valore, davanti a quell’Attimo che ha la forma dell’Infinito e il sapore amaro del Dolore?
Un dolore che assorbe tutto di te, intorno a te e tutto ciò che tu sei? Per Stefania la risposta, se fosse riuscita a emettere anche solo un suono, era un sì, dolorosamente perentorio. Il boccone di panino gli si strozzò in gola e delle lacrime brucianti cominciarono a scendere.
Niente sarebbe stato come prima. Il prima
non esisteva più nella sua vita.
Uno
Tempo indefinito. Finalmente era giunto il momento, il tempo di agire. Sapeva tutto, aveva organizzato e preparato ogni cosa nel modo giusto, perfetto, e tutto si sarebbe svolto in modo preciso, come lei aveva prima immaginato e poi preparato.
Due anni gli erano costati il suo piano, due anni di vita. Due anni in cui aveva accantonato ogni cosa, relegato in una lontana periferia della sua vita ogni altro pensiero che non fosse il Piano. Ad eccezione del figlio,che adorava e per il quale avrebbe sacrificato la vita, da quel momento,di due anni prima, aveva reciso, sacrificato sull’ altare della vendetta, "Giusta e sacrosanta" ogni rapporto, ogni amicizia, ogni sentimento. Aveva sacrificato anche il sentimento che provava per quell’ uomo, l’unico cui teneva, l’amico che a modo suo, come la vita gli aveva permesso, amava. L’aveva visto soffrire, in silenzio, com’ era sua abitudine, così gentile e rispettoso. Una lacrima gli scende sulla guancia, nel ricordarsi del volto amato, malinconico e incredulo, nel sentirsi inspiegabilmente allontanato dalla sua vita. Lui non sapeva, non doveva conoscere, non avrebbe compreso.
Forse sì - rispose a se stessa - avrebbe compreso, ma non poteva rischiare, e poi, lui cosa c’entrava? Era una cosa sua tutto questo. Per meglio dire una cosa loro, di famiglia.
Prima di ogni cosa, di ogni elaborazione di piani, aveva dovuto imparare. Imparare a cambiare se stessa, il suo carattere, il suo modo di reagire davanti al dolore della vita. Diventare fredda, lucida anche quando avrebbe voluto urlare e piangere - lo aveva fatto all’ inizio,venuta a conoscenza delle cose, come un’animale ferita a morte. Aveva dovuto diventare pragmatica, metodica, lasciando pure che il suo odio, il suo rancore, covasse dentro di lei e scavasse come una lama nel suo animo.
Ora, si ripeteva, tutto era pronto, bastava pigiare un immaginario pulsante e tutto avrebbe avuto inizio. Si sentiva padrona del destino. Dea terribile della Vendetta.
Seduta davanti al suo computer, amico e complice, guardò un' ultima volta ciò che era scritto sul desktop, poi un gesto deciso, meccanico e atteso da tempo, pigiò il tasto nero di Invio
della tastiera. "Fall-out" pensò Non si torna indietro
.
Si alzò dalla seggiola per sdraiarsi sul divano, si sentiva sfinita, della stanchezza di chi ha compiuto bene ogni cosa, e ora bisognava attendere la prossima mossa. Accanto a sè il libro, quel diario dalla copertina di pelle smunta che gli faceva compagnia da due anni e che ormai rappresentava il suo personale legame con la realtà. Una realtà, se ne rendeva conto, divenuta distorta, negativa.
Conosceva ogni parola, ogni segno di punteggiatura, tutto di quel libro. Lo aveva letto, riletto e imparato a memoria come mai aveva fatto con nessun' altra cosa. Era permeata di quel libro, la sua vita era tutt’ uno con quell’ oggetto. Respirava, vedeva e pensava insieme a quel libro. Ne vedeva le parole di giorno come di notte. Come un lungo, drammatico film, le parole scritte diventavano immagine vive, parlanti e capaci di sentimenti. E ora, in attesa degli eventi, che non avrebbero tardato, iniziò a rileggerlo nella sua mente, pagina dopo pagina.
Due
1977- E’ morta. Giuditta se n’è andata. Devo farmene una ragione. Per me, per la piccola e, in fondo, anche per lei, Giuditta. Dentro di me non posso reprimere un senso di sconfitta, di fallimento. Non sono riuscito a salvarla, a tirarla fuori da quell’inferno in cui la sua anima vagava da anni, non ne sono stato capace, questa è la cruda realtà, punto. A niente serve dire che era un’impresa impossibile, che ho fatto il possibile, dato tutto me stesso e il mio amore. Lei è morta! Eppure dentro di me una voce mi sussurra nella mente che ora lei è in pace, che il suo inferno è finito. Al suo terzo, credo, tentativo Giuditta è riuscita a togliersi di dosso il gravame che era la vita. La comprendo. Comprendo il suo gesto, ma il mio dolore non ne vuol sapere, segue altri parametri.
La sua è stata una vita sofferta, credo che il desiderio, quel sentimento forte come le radici di un albero, che ci tiene, nonostante ogni avversità, attaccati alla vita, in lei si sia spezzato. Stroncato molti anni fa, quando era ancora una bambina. Perché, Dio, la vita può essere così maledetta? E’ l’uomo, la peggior bestia del creato? Eppure c’è scritto che Tu l’hai creato a Tua immagine e somiglianza. Eppure nessuna bestia è crudele quanto l’uomo.
" Mia madre si è uccisa. Si è tolta la vita, ed io non l’ho mai conosciuta mia madre. Mi è stata nascosta la sua fine".
Per tutta la vita Stefania aveva creduto che la madre fosse morta di qualche strana malattia. Invece, a quanto leggeva, la sua malattia era nell’animo, così spezzato da non reggere. Perché? Perché lo aveva fatto? Perché aveva negato a lei, allora una bambina, il diritto di crescere con una madre che l’amasse? Perché era stata così egoista nella sua debolezza?
Non poteva farci niente Stefania: in lei, leggendo quei primi stralci, confusi, del diario del padre, moti di rabbia e di disappunto per una privazione così importante salivano nel cuore insieme al dolore. Più in là avrebbe compreso la madre, forse non giustificato, ma pietà, pena e dolore per quella donna sì.
Rancore: la certezza di una grave ingiustizia subita da loro tre: madre, padre e lei, privata dell’amore materno, rabbia si mescolò in lei, quella grave ingiustizia non poteva rimanere così, non soddisfatta. Giustizia doveva esserci. Qualcuno avrebbe dovuto pagare. Qualcuno avrebbe pagato.
Tre
Lecco.Trovato morto l’imprenditore Armando Cremella
.
2015. Un giorno di fine inverno. Ore 06:45. Il notiziario flash del mattino di Rete Libera
apriva così la sua pagina di cronaca. Luca, ancora in uno stato intermedio tra il sonno e il primo bagliore di realtà, vagava come in trance avanti indietro cucina-tinello. Più che un essere umano cosciente, assomigliava a un paffuto zombie che girovagava per un territorio inesplorato. Si fermò davanti allo schermo del televisore con la bustina dello zucchero in mano a mo’ di trofeo, cercando, per quanto potesse, di comprendere quello che diceva lo strano essere che parlava e parlava di continuo da dentro quel coso, il televisore.
Questa mattina è stato ritrovato cadavere nella sua auto l’imprenditore lecchese Armando Cremella di anni 65. Il Cremella era noto in città in quanto co-titolare di varie birrerie e discoteche della zona
.
Cazzo! Cremella. Morto!
. Stop. Punto. Il suo cervello non riusciva a fare di più