Storie e leggende dalle Barbagie
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I vecchi raccontavano ai giovani queste storie davanti al focolare in inverno o nel patio di casa in estate. Sono storie sanguinarie e terribili, vere e proprie lezioni di vita, che avevano lo scopo di rendere i ragazzi più cauti nelle loro azioni quotidiane e future.
Età: 10-14 anni
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Anteprima del libro
Storie e leggende dalle Barbagie - Antonangelo Liori
Antonangelo Liori
Storia e leggende dalle Barbagie
illustrazioni di Michele Altieri
ISBN 978-88-7356-870-4
Condaghes
Indice
Prefazione
Storie e leggende dalle Barbagie
Il piccolo califfo
La volta in cui Gesù venne e inventò la ricotta
Baunei nell’anno del Signore 1590
Il segno di Dio
Le lettere del bandito
La strega di Or...
Antioco il carbonaro
Come Peppelu commise falso giuramento e la sua pancia scoppiò in bolle di sangue
L’antico sogno della madre morta
Di come Margada rubò il tesoro ai banditi e divenne una ricca signora
Perché zio Bobbore si arricchì e come poi perdette la sua anima
Il sonno dei morti
Dei due fratelli, quello saggio e quello matto
Il cervo del diavolo
Di come Don Satta non voleva morire e poi perse la vita
Una bisaccia piena di sangue
La donna tradita
La testa mozzata
Di quando trasportammo le vacche di venerdì santo e invece furono le vacche a trasportare noi
Il maiale di Sant’Antonio
L’Autore e l’Illustratore
La collana Il Trenino verde
Colophon
Prefazione
Questi racconti, di paura e di terrore, sono presi paro paro dalla classica tradizione barbaricina. E sono quelle narrazioni che hanno popolato la mia infanzia e la mia adolescenza. In gran parte si tratta di fatti reali, trasposti in una fantasia mitica, che affonda le sue radici in un codice d’onore antichissimo, nel quale la parola data e il rispetto degli altri, diventano un fatto quasi sacrale. I vecchi raccontavano ai giovani queste storie davanti al focolare in inverno o nel patio di casa in estate. Ed erano storie sanguinarie e terribili, in modo che noi ragazzi, ossessionati dall’orrore del mondo, fossimo più cauti nelle nostre azioni quotidiane.
Quelle che qui presentiamo sono quasi tutte molto diffuse nella Barbagia centrale, qualcuna è stata anche già raccontata, magari in versioni più romanzate o più sintetiche; mentre qualche altra è tipica di specifici paesi: Desulo, Fonni, Orgosolo, Mamoiada, Bitti, Baunei, Dorgali, Orune.
Un solo piccolo suggerimento per i lettori più giovani: queste fiabe sono anche piccole narrazioni antropologiche, che raccontano gli usi e i costumi di una società arcaica, ma i cui valori e le cui memorie sono ancora vive e vitali negli strati più conservatori e profondi della Sardegna tradizionale.
A.L.
storie e leggende dalle barbagie
Il piccolo califfo
– I mori, i mori! – urlò quel vigliacco quando vide la bandiera della mezzaluna all’orizzonte. E si gettò in acqua. Fuggì a nuoto dalla barca lasciando me, il suo unico fratello, in mano ai pirati saraceni. – Non ti uccideranno – disse – sei ancora tanto piccolino.
Io rimasi là, come un imbecille, sopra quella piccola barca. Avevo undici anni e non sarei riuscito a toccare terra se, preso dalla paura, mi fossi tuffato in mare. Quelli arrivarono, con la barca spettrale e quelle urla strane. Si avvicinarono al mio piccolo legnetto fradicio d’acqua e, dopo aver scambiato tra loro qualche frase, mi presero di peso e mi caricarono sulla feluca. Sballottato da una parte all’altra, non riuscii a capire cosa avvenisse esattamente. Mi sentivo spaesato e impaurito. Dio! A casa c’era mio fratello che raccontava la scena. E mia madre che moriva dal dispiacere. Mori maledetti che non rispettano i bambini.
I pirati sono esseri strani. Vivono in un luogo lontano e non temono il vento e la vertigine. Stanno nel mondo per fare del male. O così, almeno, pensavo in quegli attimi. Poi, però, dovetti ricredermi.
Arrivato in Turchia venni sbattuto in un recinto pieno di ragazzi dove iniziai a rendermi conto di cosa mi stava accadendo. Capii che ero divenuto uno schiavo degli Arabi e che avrei dovuto lavorare in eterno per loro. E iniziai a lavorare: spaccavo pietre, costruivo canestri, trasportavo acqua e sacchi di grano.
Finché un giorno venne il califfo in persona per guardare lo stato di salute della sua proprietà
e vedendomi disse: – Questo bambino è tale e quale a mio figlio.
Poi, rivolto a me, aggiunse: – Senti, io ho un bambino della tua età simile a te in tutto e per tutto. Il mio ragazzo è triste quanto te e ha i tuoi stessi occhi di pianto. Te la senti di vivere con lui e di fargli compagnia?
E senza darmi il tempo di rispondere mi portò nel suo castello, nell’oasi di Sa Haran.
Il piccolo califfo era veramente molto triste: non parlava mai, piangeva di continuo e io gli chiesi: – Ma perché sei così afflitto? Perché non riesci a ridere?
E lui, dopo le mie insistenze: – Perché da questo castello non posso vedere le albe e i tramonti sull’orizzonte del mare.
La sua situazione ricordava la mia. Capii che io e lui eravamo rinchiusi nella stessa prigione, io come schiavo e lui come padrone. Glielo dissi e aggiunsi, con la mia saggezza di bambino: – È sufficiente sognare le cose per averle.
Passarono i giorni, i mesi, gli anni e noi due divenimmo inseparabili amici. Lui doveva stare rinchiuso nel castello finché non fosse cresciuto e io sarei dovuto rimanere in Turchia per sempre. Parlammo della libertà, dei miei ricordi e delle sue speranze, di mio padre che invecchiava precocemente, della mia terra sarda avvilita e derisa.
Finché un giorno insieme scoprimmo che la porta del castello era chiusa solo perché non avevamo mai pensato di aprirla. E glielo feci notare dicendogli: – Guarda che da questo castello escono tutti: perché noi due non possiamo?
Prendemmo il coraggio a due mani e andammo fuori, sulla spiaggia, a vedere le albe e i tramonti all’orizzonte. Per giorni e giorni.
Finché un mattino lui mi disse: – Io ora sono libero e contento. Tu, invece, sei sempre triste, perché?
– Perché le mie albe e i miei tramonti non sono qui, risposi, ma appartengono al paese dal quale sono venuto.
Lui capì la mia sofferenza e chiese al padre la grazia di liberarmi.
All’età di venticinque anni tornai in Sardegna vestito da