La signora che investiva i bambini
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Anteprima del libro
La signora che investiva i bambini - Joan Armangué
Joan Armangué i Herrero
La signora che
investiva i bambini
illustrazioni di Linhart
traduzione dal catalano di Antoni Arca
ISBN 978-88-7356-940-4
Condaghes
Indice
1. Di bambini nemmeno a parlarne
2. Un cane di compagnia
3. Un viaggio all’inferno
4. La morte viaggia in macchina
5. Storia di due ulivi
L'Autore e l'Illustratore
La collana Il Trenino verde
Colophon
1
Di bambini nemmeno a parlarne
Mia moglie, Antonia, era un po’ tocca di cervello, scusando l’espressione. Era pazza come una capra.
I medici capirono immediatamente che per il suo male non c’era nessun rimedio, e decisero che era molto meglio che una persona con quei problemi, con quella scemenza e con tutte quelle cose in testa, non stesse a contatto con la gente per strada. Consigliarono perciò di rinchiuderla in una villetta alla periferia di Barcellona, all’ultimo piano, senza riscaldamento né acqua corrente, sino alla completa guarigione dalla sua pazzia. Nel frattempo, che mangiasse pure pane e acqua, in modo da dimagrire un po’.
Avevano ragione: Antonia era davvero grassottella. E poteva diventare pericolosa soprattutto per i bambini, che la osservavano stupefatti quando passeggiava nel parco e distribuiva spintoni a destra e a manca e calpestava i più piccoli: violentemente, con il tacco sulla punta delle loro scarpe. Poi si sedeva, e se a qualcuno cadeva il gelato a terra, rideva e pensava: Ben fatto!
Ma su una cosa i medici sbagliavano: la mia Antonia non doveva vivere rinchiusa, nossignore. Il suo posto era a casa con me, e non sepolta in una villetta in periferia, per cui me la riportai a casa, nel nostro bell’appartamentino in centro: – Antonia, tu sei la regina del mio cuore. Senza di te non avrebbero senso né il giorno né la notte, né i pomeriggi oscuri né i lunghi vespri estivi. Antonia, tu sei la padrona del mio amore e niente, niente!, ci potrà separare.
E lei, la mia Antonia, l’Antonietta del mio cuore, rispondeva: – Vai a farti friggere!
– Le tue dolci labbra – la rimproveravo teneramente – non sono fatte per queste parole poco gentili, Antonina. Sii un po’ più educata.
– Ah, sì? Allora, per favore, vai a farti friggere, grazie!
Non c’era niente da fare. Finché un giorno uscì di casa, arrivò fino al canile municipale e ne ritornò con l’anima nera del diavolo. Con quella bestia feroce dagli occhi di fuoco e dall’alito puzzolente di zolfo, entrò in macchina e andò sino a una scuola, ad aspettare l’uscita dei bambini. Quando ne individuò un bel gruppetto proprio in mezzo alla strada, schiacciò a fondo l’acceleratore per cercare di colpirne quanti più poteva, e la tragedia venne riportata l’indomani dai quotidiani e dai telegiornali delle tredici e delle tredici e trenta.
Lei, nel frattempo, pensava: Ben fatto
.
Era cambiata, Antonia. Quando la conobbi era una ragazza vivace, simpatica, sempre allegra, che sapeva dire cose carine come «tu sei il mio tesoro» o «la farfalla della primavera della mia vita». Adesso, invece, diceva: – Sembri una zecca, tutto il giorno appiccicato!
Oppure: – Sei il verme repellente della mia vita! Che schifo!
Sissignore, era cambiata. Il carattere le si era inacidito, la voce le era diventata roca, le era spuntato un porro accanto al naso e non si pettinava più. Sembrava un’altra.
I primi anni di matrimonio erano stati felici. Trascorrevamo le giornate abbracciati, scambiandoci baci e facendo tutte quelle cose che fanno gli innamorati, e ci dividevamo i lavori di casa con grande equilibro ed equità: lei lavava i piatti, mentre io preparavo la crema di zucchine che tanto le piaceva e il purè di patate.
Adesso, però, cucinavo e lavavo i piatti sempre io, sempre da solo, e rifacevo i letti, scopavo, spolveravo, cucivo, stiravo e sceglievo il regalo di Natale per i nostri amici. Lei, nel frattempo, rimaneva spalmata sul divano, a leggere la cronaca nera o a guardare