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La signora che investiva i bambini
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La signora che investiva i bambini
E-book75 pagine48 minuti

La signora che investiva i bambini

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Info su questo ebook

Questa è la storia della signora Antonia e di un ragazzino di nome Toni. La signora Antonia vorrebbe avere un figlio. Toni vorrebbe fuggire da uno zio che  lo tormenta. Riusciranno a realizzare i loro sogni, Toni e la signora Antonia? Forse sì. Ma prima ne vedremo delle belle. Perché un grande dolore a volte può far perdere la testa. E perché tra il dire e il fare questa volta ci sono di mezzo un cane dolcissimo e uno diabolico, una folla di ragazzini in pericolo e un’intera città che trema di fronte alla Signora che investiva i bambini
Età: dai 9 anni in su
LinguaItaliano
EditoreCondaghes
Data di uscita26 mar 2018
ISBN9788873569404
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    Anteprima del libro

    La signora che investiva i bambini - Joan Armangué

    Joan Armangué i Herrero

    La signora che

    investiva i bambini

    illustrazioni di Linhart

    traduzione dal catalano di Antoni Arca

    ISBN 978-88-7356-940-4

    Condaghes

    Indice

    1. Di bambini nemmeno a parlarne

    2. Un cane di compagnia

    3. Un viaggio all’inferno

    4. La morte viaggia in macchina

    5. Storia di due ulivi

    L'Autore e l'Illustratore

    La collana Il Trenino verde

    Colophon

    1

    Di bambini nemmeno a parlarne

    Mia moglie, Antonia, era un po’ tocca di cervel­lo, scusando l’espressione. Era pazza come una capra.

    I medici capirono immediatamente che per il suo male non c’era nessun rimedio, e decisero che era molto meglio che una persona con quei problemi, con quella scemenza e con tutte ­quelle cose in testa, non stesse a contatto con la gente per strada. Consigliarono perciò di rinchiuderla in una villetta alla periferia di Barcellona, all’ultimo piano, senza riscaldamento né acqua corrente, sino alla completa guarigione dalla sua pazzia. Nel frattempo, che mangiasse pure pane e acqua, in modo da dimagrire un po’.

    Avevano ragione: Antonia era davvero gras­sottella. E poteva diventare pericolosa soprattut­to per i bambini, che la osservavano stupefatti quando passeggiava nel parco e distribuiva spin­to­ni a destra e a manca e calpestava i più pic­coli: violentemente, con il tacco sulla punta delle loro scarpe. Poi si sedeva, e se a qualcuno ­cadeva il gelato a terra, rideva e pensava: Ben fatto!

    Ma su una cosa i medici sbagliavano: la mia Antonia non doveva vivere rinchiusa, nossignore. Il suo posto era a casa con me, e non sepolta in una villetta in periferia, per cui me la riportai a casa, nel nostro bell’appartamentino in centro: – Antonia, tu sei la regina del mio cuore. Senza di te non avrebbero senso né il giorno né la notte, né i pomeriggi oscuri né i lunghi vespri estivi. Antonia, tu sei la padrona del mio amore e niente, niente!, ci potrà separare.

    E lei, la mia Antonia, l’Antonietta del mio cuore, rispondeva: – Vai a farti friggere!

    – Le tue dolci labbra – la rimproveravo teneramente – non sono fatte per queste parole poco gentili, Antonina. Sii un po’ più educata.

    – Ah, sì? Allora, per favore, vai a farti friggere, grazie!

    Non c’era niente da fare. Finché un giorno uscì di casa, arrivò fino al canile municipale e ne ritornò con l’anima nera del diavolo. Con quella bestia feroce dagli occhi di fuoco e dall’alito puzzolente di zolfo, entrò in macchina e andò sino a una scuola, ad aspettare l’uscita dei bambini. Quando ne individuò un bel gruppetto proprio in mezzo alla strada, schiacciò a fondo l’acceleratore per cercare di colpirne quanti più poteva, e la tragedia venne riportata l’indomani dai quotidiani e dai telegiornali delle tredici e delle tredici e trenta.

    Lei, nel frattempo, pensava: Ben fatto.

    Era cambiata, Antonia. Quando la conobbi era una ragazza vivace, simpatica, sempre allegra, che sapeva dire cose carine come «tu sei il mio tesoro» o «la farfalla della primavera della mia vita». Adesso, invece, diceva: – Sembri una zecca, tutto il giorno appiccicato!

    Oppure: – Sei il verme repellente della mia vita! Che schifo!

    Sissignore, era cambiata. Il carattere le si era inacidito, la voce le era diventata roca, le era spuntato un porro accanto al naso e non si pettinava più. Sembrava un’altra.

    I primi anni di matrimonio erano stati felici. Trascorrevamo le giornate abbracciati, scambiandoci baci e facendo tutte quelle cose che fanno gli innamorati, e ci dividevamo i lavori di casa con grande equilibro ed equità: lei lavava i piatti, mentre io preparavo la crema di zucchine che tanto le piaceva e il purè di patate.

    Adesso, però, cucinavo e lavavo i piatti sempre io, sempre da solo, e rifacevo i letti, scopavo, spolveravo, cucivo, stiravo e sceglievo il regalo di Natale per i nostri amici. Lei, nel frattempo, rimaneva spalmata sul divano, a leggere la cronaca nera o a guardare

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