Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il Maestro Smarrito – Memorie di un illuminato che si é dimenticato di sé
Il Maestro Smarrito – Memorie di un illuminato che si é dimenticato di sé
Il Maestro Smarrito – Memorie di un illuminato che si é dimenticato di sé
E-book289 pagine4 ore

Il Maestro Smarrito – Memorie di un illuminato che si é dimenticato di sé

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Ho conosciuto Roberto molto tempo fa. Sono venuto a conoscenza del suo percorso al limite dell'esperienza umana.

Immerso in una quotidianità scandita da lavoro, litigi amorosi e amici emarginati incontra Gaspare che lo introduce ad antichi saperi e lo guida in una ricerca personale inconsueta grazie alla quale sviluppa nuove capacità. Ma lo spirito inquieto di Roberto, ormai risvegliato, lo induce a trasgredire le indicazioni del suo mentore fino a superare gli ordinari confini della conoscenza. E' così che esplora nuovi piani di realtà, molto vicini ad ognuno di noi, conoscendo personaggi affascinanti che lo aiutano nel percorso.

Il viaggio del protagonista alterna momenti di profonda riflessione a situazioni divertenti, scenari quotidiani a circostanze apparentemente irreali, in due mondi che sembrano sempre più sovrapporsi.
LinguaItaliano
Data di uscita9 apr 2018
ISBN9788827824832
Il Maestro Smarrito – Memorie di un illuminato che si é dimenticato di sé

Leggi altro di Angelo La Rocca

Autori correlati

Correlato a Il Maestro Smarrito – Memorie di un illuminato che si é dimenticato di sé

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il Maestro Smarrito – Memorie di un illuminato che si é dimenticato di sé

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il Maestro Smarrito – Memorie di un illuminato che si é dimenticato di sé - Angelo La Rocca

    Indice

    PREMESSA

    Dal diario di Roberto

    Cap. I

    Cap. II

    Cap. III

    Cap. IV

    Cap. V

    Cap. VI

    Cap. VII

    Cap. VIII

    Cap. IX

    Cap. X

    Cap. XI

    Cap. XII

    Cap. XIII

    Cap. XIV

    Cap. XV

    Cap. XVI

    Cap. XVII

    Cap. XVIII

    Cap. XIX

    Cap. XX

    Cap. XXI

    Cap. XXII

    Cap. XXIII

    Cap. XXIV

    Cap. XXV

    Cap. XXVI

    Cap. XXVII

    Cap. XXVIII

    ANGELO LA ROCCA

    Il Maestro Smarrito

    (Memorie di un illuminato che si è dimenticato di sé)

    ISBN | 9788827824832

    Prima edizione digitale: 2018

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti  dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    PREMESSA

    Ho conosciuto Roberto molto tempo fa. Siamo diventati amici e nel corso degli anni mi ha raccontato la sua storia. Di lui, com’è naturale, si possono avere differenti opinioni, una cosa, però, ritengo si possa affermare: non è il tipo che inventa di sana pianta episodi di vita vissuta. Parla delle sue esperienze raramente e conduce una vita rigorosa, quasi ascetica. Non riferisce di astronavi spaziali che l’hanno preso e portato su pianeti sconosciuti, né di civiltà aliene o nascoste al centro della terra, di angeli venuti dal cielo o di demoni infuriati. Racconta di realtà differenti, vicine a ognuno di noi e come si possa dare un senso alla propria vita coltivando lo sviluppo interiore.

    La sensazione, ascoltandolo, è che nei suoi racconti ci sia sempre qualcosa di plausibile e conseguenziale.

    Ho sentito l’esigenza di raccontare la sua testimonianza pensando potesse essere utile a quanti come lui hanno fatto della propria vita un percorso di ricerca.

    Ho messo insieme, come ho potuto, ciò che nel tempo mi ha narrato. Ho cambiato i nomi di luoghi e persone, ho accorciato o dilatato, mescolandoli un po’, i tempi del racconto.

    Questo libro non è un romanzo, è un diario, ricomposto anche grazie ai suoi quaderni. Al termine di ogni capitolo ho inserito alcune annotazioni, verbali o riportate di volta in volta dai suoi appunti. Alla fine dello scritto non sono più riuscito a distinguere il racconto dalle considerazioni. Del resto in un diario come si fa esattamente a scindere l’uno dalle altre?

    Con questi elementi ho tentato di ordinare un discorso riguardante la vita di Roberto e il suo insegnamento, una disciplina occidentale che è esperienza diretta di dimensioni diverse, un cammino di crescita non privo di difficoltà e insidie.

    Alla stesura sono stati posti determinati limiti, perché ci sono cose che, come dice lui, non possono esser dette o spiegate. Viene resa, comunque, una testimonianza su un sapere poco noto anche se Gaspare, il suo maestro, è solito ripetere che non c’è nulla di segreto, le cose sono lì sotto gli occhi di tutti per essere conosciute. Il problema è semmai avere la capacità di osservarle.

    A. L. R.

    Dal diario di Roberto

    La mia vita sembra un indovinello irrisolvibile. Un labirinto senza un centro da raggiungere.

    L’ho deciso ieri, ci ho pensato a lungo e alla fine mi è sembrata una soluzione accettabile. Sono quasi astemio, questo pomeriggio, però, ho comprato una bottiglia di Martini bianco, una confezione di Schweppes e tanto per essere sicuro un Morellino di Scansano. L’intenzione è di diventare brillo e iniziare a scrivere liberamente di me e del casino che ho dentro. L’effetto dell’alcol dovrebbe garantire l’abbassamento dei livelli di autocontrollo e se resto sufficientemente lucido, alla fine, qualche verità verrà fuori.

    E’ una pressione forte e costante che si traduce in una domanda che non so formulare, perfida nell’ostinazione, surreale nell’impossibilità di avere una risposta. Ho iniziato a scrivere questo diario nel tentativo di comprendere qualcosa in più di me stesso. Ho letto e riletto ciò che scrivo, ma niente.

    La tua utilità, Caro diario è solo di sfogo, visto che fino ad oggi non ho ricevuto alcuna risposta. Adesso, però, voglio fare questo tentativo.

    L’esperimento inizia: tre dita abbondanti di Martini e il resto acqua soda, gazzosa… ma come altro si può chiamare ‘sta cosa oltre quel nome straniero impronunciabile?

    Non essendo abituato agli alcolici sento che fa effetto rapidamente. Ho tenuto le bottiglie in frigo, è gradevole come bevanda. Forse questo è un mio inizio da ubriacone perso.

    Voglio però essere rigoroso, un attimo di concentrazione e inizio la prova.   

    E’ un mistero. Di tutto ciò che ho letto, compreso e vissuto, una cosa è sicura: la vita è un mistero.

    Un’antica storiella narra che gli dei, creando l’uomo, decisero di nascondergli, nel luogo più segreto possibile, il senso della vita. Tra loro si aprì un acceso dibattito, chi diceva di riporlo in fondo al mare, chi in alto tra le stelle, altri ancora all’interno di una montagna. Infine il capo degli dei disse: nascondiamolo nel luogo più profondo e sicuro, nel suo cuore. Così l’uomo è condannato a chiedere invano, finché non porrà la domanda a se stesso, nel modo giusto. Già, ma qual è questo modo?

    Vorrei sapere perché, conoscere il fine, purtroppo nello scavare e ricercare la mente riesce solo a chiacchierare con se stessa. L’unico risultato evidente è l’incapacità di dare una risposta vera a tutto questo.

    Ciò che mi sembra di intuire è che: 1) esiste una richiesta centrale e impellente di dare un senso profondo alla mia vita; 2) nel contempo non so rispondere; 3) non posso sfuggire alla domanda, nemmeno facendo finta di niente.

    Mille volte ho posto la questione e mille volte risuona solo l’eco della domanda stessa. Secondo me gran parte degli uomini avverte questo enigma e poiché si rende presto conto che è una condizione davvero penosa, inizia a mentire. Sì, a fingere ingannando se stessi con illusioni di vario genere che diventano nel tempo esse stesse condizioni indispensabili per sopravvivere a questo rompicapo. Così si finisce per trascorrere un’esistenza fatta di apparenze, inganni, sogni. Fantasmi di noi stessi attraversiamo la vita come ombre in transito.

    Io voglio la verità, o almeno un pezzetto, se è data una domanda deve essere concessa almeno una possibilità di trovare la risposta.

    Non so perché io sia così, un’ex fidanzata scema mi ha detto che sono interrogativi adolescenziali, poi a una certa età passano e lasciano il posto alle cose vere della vita. Mi sembra evidente che per lei, io sia rimasto un giovinetto immaturo. Ciò che credo è che spesso, in realtà, non si cresce, ci si appiattisce nei piccoli grandi adempimenti quotidiani, nel rispettare le cosiddette tappe sociali: diploma, lavoro, matrimonio, figli e tutto il resto. Non trovare una risposta dà angoscia e l’unica soluzione è ingannare il tempo con impegni e interessi che in realtà non hanno vera sostanza.

    L’urgenza che sento nel dover rispondere è per me straordinariamente concreta, come se non potessi neanche continuare a vivere se non trovassi una soluzione, altro che problematiche giovanili. La risposta, ovviamente non ce l’ho, però la condizione stessa di cercatore placa un po’ questo malessere.

    A volte mi siedo su una panchina a osservare i passanti e mi convinco che non vanno da nessuna parte, chi sa se sentono il loro dialogo interiore e se odono il frastuono confusionario della città. Forse sono solo strano, non lo so, certo è che tutto mi appare assurdo, compreso il fatto che gli altri non sentano lo stesso disagio che avverto io.

    Non so perché questo sia toccato a me, ma è così.

    Lo straniamento che caratterizza la mia esistenza è solo mio, all’esterno tutto appare ordinario, nella norma, fin troppo banale. Con il tempo ho imparato a convivere con questa schizofrenia, mi riesce piuttosto bene, nessuno sospetta nulla.

    Ciò che sento è così forte che non riesco a comprendere come io possa apparire assolutamente normale agli occhi degli altri.

    Dovendo sopravvivere e relazionarmi ho cercato di non mostrare questa natura da scalatore interiore, del resto neanche io saprei spiegare nulla.

    A causa di ciò ho sentito la necessità di nascondermi, è strano se ci penso, si nasconde agli altri chi ha esperienze o turbamenti inconfessabili, mostri dissimulati nell’inconscio, ma io perché?

    Ricordo che ai tempi di scuola, durante una traduzione di latino, ho avuto difficoltà a rendere correttamente una frase di Ovidio: bene qui latuit bene vixit. Non ricordo a cosa si riferisse lui, io ritengo che per gestire il mio equilibrio, effettivamente, devo rimanere nascosto se desidero vivere bene. 

    Poiché sono aduso alle nebbie interiori e non avendo alcuno con cui confrontarmi, nei momenti in cui anche la fioca luce dell’astro polare si oscura ai ragionamenti, riconduco tutto alla concretezza. Una cosa, qualsiasi cosa, dal comprare un paio di scarpe a una scelta che potrebbe orientare la mia vita, istintivamente è sì o no.

    L’importante, nei momenti cruciali, è ridurre il pensiero il più possibile, ragionando e sentendo con una parte di me che, in realtà, non conosco. Non sempre è detto che faccio la cosa giusta, però sono evitati gli arrovellamenti e le indecisioni. Mentre dico sì o no, non penso, o almeno non lo sto facendo in modo convenzionale. La soluzione alternativa per i casi palesemente incerti è che rimando tutto a momenti di ventre-pensiero più chiari. La regola è: nelle fasi di bassa nebbia non s’intraprende alcuna iniziativa, né si cercano risposte.   

    Insomma, ciò che mi è successo è che non sapendo fare la domanda giusta e non avendo risposte adeguate, è come se mi fossi allontanato dal mondo. Non è stata una mia decisione però è andata così. Posso solo avere fiducia, non in me stesso perché non ci sto capendo molto, ma nella vita. Questa condizione crea, ovviamente, difficoltà nei rapporti con le persone. Credo che nell'intimo di ogni uomo ci sia una parte nascosta, forse celata anche a se stesso. A causa di tutto ciò inizia un gioco di ruolo tra essere e apparire che dura spesso tutta la vita e alla fine si sceglie, in buona fede, un io di rappresentanza convinti di essere quello. Ecco, ho compreso questo meccanismo e forse per questo o per altro ancora che ignoro non riesco a relazionarmi correttamente con gli altri.

    Basta mi sono rotto, più di così non riesco, ce l’ho messa tutta. E’ venuta fuori una sbornia pseudo esistenziale e tanto per cambiare giro in tondo con la mente. L’unica cosa che ho appurato in modo chiaro è che da brillo o da sobrio sono ugualmente inconcludente. Posso dire che almeno ci ho provato. Già, questa potrebbe essere la frase della mia vita. Prima di essere sopraffatto dalla tristezza smetto qui.

    Si è fatta l’ora, in televisione so che trasmettono I Mastini del Dallas un vecchio film con Nick Nolte. Roba da veri uomini, lo vedrò con piacere continuando a sorseggiare Martini e Schweppes.  

    Cap. I

    Margherita è andata via di casa un paio di settimane fa dicendo di non sopportarmi più. Ha infilato le sue cose quasi scagliandole dentro i borsoni e tirato con forza le zip. L’ho osservata in silenzio, sembrava stesse fuggendo da un’imminente catastrofe, non voleva trovarsi lì nel momento della sciagura, quando tutto sarebbe stato travolto. Era ormai prossima una calamità e voleva stare al riparo da quei luoghi, mettersi in salvo per tempo. Il disastro ero io.

    - Non scappare, parla, ci si confronta in queste situazioni.

    - Ci si confronta con un interlocutore!

    - Perché io che sono?

    - Non sei un interlocutore.

    Aggiunse, citando Dante Alighieri, che sono come color che son sospesi e che vivo la realtà da estraneo.

    - Hai un comportamento tale che sembri dire: io sono Roberto e sto qui nel mio mondo. Ho provato a venire lì da te, non cambia mai nulla, il tuo stato di quiete è immutabile mentre io voglio vivere e avere una famiglia. Sei come i buchi neri, assorbi materiale cosmico che non si sa dove vada a finire, forse in altre galassie. Ti si parla, si condividono fatti, emozioni ma sembra che nulla riesca ad avere effetti su di te. E’ sempre: io sono Roberto e vivo nel mio mondo. Io, invece, sono Margherita e vivo in questa realtà che è pratica, per me e per il resto dell’umanità. Stiamo in mondi differenti, per cui facciamoci ciao ciao a distanza con la manina che è meglio.

    Nonostante la battuta sarcastica ho cercato di mediare la situazione dicendo la verità su ciò che provavo per lei.

    - Sono sicuro che senti che ti voglio profondamente bene.

    - Lo vedi, lo vedi?! Hai persino paura di pronunciare la parola amore!

    - Volere bene nel mio codice è più che amore.

    - Nel mio no.

    Barcollando sui tacchi a causa dei borsoni, ha sbattuto la porta di casa ed è scomparsa dentro un taxi.

    Ho messo su You’ve got a friend cantata da James Taylor, ho pigiato il tasto repeat e sono sprofondato nella poltrona per il resto della notte, tanto per farmi un po’ di male in più.

    Ci vuole tempo e capacità di razionalizzare per digerire certe cose. Quando poi si riesce a riflettere più lucidamente è necessario andare alla radice del proprio sentimento.

    Sono innamorato? Perché se così fosse non l’avrei lasciata andare, avrei provato a trattenerla, so che sarebbe rimasta, oppure addirittura sarei cambiato io e questo avrebbe dimostrato l’autenticità del mio sentimento.

    Quindi, se l’ho fatta andare via, perché sono così addolorato e con le impalcature interiori scricchiolanti?

    Dopo alcuni giorni di solitudine e sconforto, mentre mi trovo nel corridoio di casa, luogo di passaggio per eccellenza, un lampo nel cervello: se non la amo non è per lei che sto così male. E’ perché sono solo!

    Adesso che ci penso nella furia di andare via si è portata anche una fotografia cui tenevo molto, tanto da incorniciarla; io bambino nel cortile di casa con la palla tra le mani, anche lì da solo.

    Sembra sempre la stessa storia: o vado irrevocabilmente via io con un atteggiamento compassato e testardo o le faccio fuggire per disperazione. Ho provato a chiarire quest’aspetto del mio carattere e non riesco a trovare nessuna causa psicologica; sono stato desiderato dai miei genitori, la mia famiglia è unita e nessuna fidanzata mi ha mai lasciato in prossimità dell’altare traumatizzandomi. Sono stato educato alla parità con la partner e non sono particolarmente egoista. Decisamente non so perché non riesco a mantenere un rapporto in piedi. E’ vero, mi piace stare per i fatti miei, ma sempre da solo è disumanizzante. E poi non riesco nemmeno ad avere un vero amico! Mi rendo conto che se dovessi descrivermi così, chiunque penserebbe che io sia il classico esempio di uomo orso, asociale e antipatico. Neanche questo corrisponde alla realtà, il fatto è che sono diviso in due. Da una parte la mia vita che scorre nella più comune normalità, dall’altra la frattura sofferente che esiste tra me e il quotidiano. Ho tentato più volte di spiegarmi con le persone alle quali voglio bene, succede però, che da un certo punto in poi, in genere già all’inizio, vedo nei loro occhi il sottile smarrimento di chi non sta comprendendo affatto. Sembra che non riescano ad associare nulla della loro esperienza a ciò che dico. Forse, semplicemente, ho un vissuto non condivisibile e quindi non possono commentare nulla. Se chiedessi loro una disamina politico-finanziaria sull’aumento ingiustificato del gasolio fornirebbero varie spiegazioni trovandosi perfettamente a loro agio. Dunque, perché le ragioni dell’anima non vengono colte e quelle del gasolio sì? Eppure abbiamo in comune la condizione di esseri umani non un combustibile. Un essere umano è un essere umano, amore e dolore sono uguali in ognuno di noi. Il sorriso di un bambino è il sorriso di un bambino in qualsiasi parte del globo. Ancora più inspiegabile è amarsi e non comprendersi.

    Ecco, vivo una vita normale, tuttavia è come se stessi sempre da un’altra parte e di questo ne sono conscio. Nelle cose del mondo io non ci sono mai veramente dentro e ci sto male. Forse mi illudo di ingannare la vita, di certo non posso fingere con me stesso.

    La più grave delle sciagure è raccontarsi bugie; che tale atteggiamento sia consapevole o meno di fronte al vivere è ininfluente.

    Margherita è stata un’interruzione bella e un po’ più lunga del solito, adesso vivo nuovamente da solo in un piccolo attico con ampie vetrate su una valle.

    Risiedo in una zona centrale di Roma, eppure si odono i suoni della campagna, i richiami dei contadini intenti ai lavori nei campi e persino i temporali che si avvicinano, tutto è una meraviglia. Nei mesi giusti insieme all’aria tiepida arrivano folti gruppi di rondini che s’inseguono all’imbrunire. Da qui si osservano tramonti infuocati che fanno vibrare il cielo. Ogni volta mi ritrovo a pensare che filosofi e teologi potrebbero smettere di argomentare per dimostrare l’esistenza di Dio, non ce n’è bisogno. E che meraviglia l’animo umano capace di provare questa gioia così intensa.

    E’ stata una fortuna incredibile trovare questa casa a un prezzo così vantaggioso, un’opportunità che aspettava proprio me, grazie ad una serie di coincidenze favorevoli. Ho sempre avuto la netta sensazione che qualcuno me l’abbia quasi regalata.

    Non so se sia un bene, di certo questa dimora mi aiuta a stare fuori dal mondo, mi sento bene qui. Tre settimane orsono è venuto su a casa il portiere dello stabile, mi ha detto che è morto il signor Brandi del primo piano. Era un vecchietto simpatico e delicato, un signore con una cortesia d’altri tempi.

    - Mi spiace era una persona perbene, quando è morto?

    - Una settimana fa, giusto er giorno che lei è partito.

    - E’ sicuro?

    - Sì, stava male già da un po’ de tempo poraccio.

    - E’ certo del giorno? Perché la sera prima che partissi (allontanato a forza dalla mia torre d’avorio a causa del lavoro) è venuto fin qui a chiedermi se avevo del tè sfuso da dargli, me lo ricordo bene perché poi ha aggiunto che lui di solito non prende bevande eccitanti e che sin da giovane ha sempre bevuto un infuso di sua invenzione a base di foglie di alloro. Ricordo di aver pensato che era davvero di un’altra epoca.

    - Ma poi lei sfuso cell’aveva?

    - Sì certo, è una vecchia tradizione di famiglia, mai tè in bustina. Brandi era del mio stesso parere ed è andato via contento con un po’ di tè nero avvolto in un fazzoletto di carta. I tempi non corrispondono, stava già così male e la sera prima di morire si è preoccupato di salire fino all’attico?

    - Guardi che la sera prima c’erano tutti i parenti più stretti a casa, lo so pe’ certo perché m’hanno chiamato pe’ avvertì quelli del piano sopra che c’hanno la ragazzina che corre sempre pe’ casa, se sentono certi zompi!

    Resto perplesso, cerco di ragionare su tempi e modalità e non trovo soluzione: teoricamente Brandi mentre era moribondo è venuto fin quassù a chiedermi del tè. Il portiere mi vede stranito e troncando gli indugi mi saluta:

    - Beh, bbonaserata.

    - Arrivederci. - Rispondo sopra pensiero.

    Pochi giorni più tardi incontro lungo le scale la sorella del signor Brandi, scambiamo le consuete frasi di rito, ci salutiamo, poi fatti alcuni gradini…

    - Ah senta, quasi dimenticavo, ho trovato in cucina un mucchietto di tè dentro un fazzoletto di carta e accanto un biglietto con su scritto: restituire al signor Roberto dell’attico. Credo sia suo, glielo lascio in portineria, a presto.

    Adesso il fagottino sta sulla mensola della libreria di casa, sigillato con un nastrino rosso, lo tengo lì come portafortuna, anche se, evidentemente, devo avere fatto un casino con il conteggio dei giorni.

    La piccola casa con una vista stupenda, i libri, la musica, qualche fidanzata che ogni tanto entra e puntualmente esce sbattendo la porta. La mia vita, in fondo, sarebbe perfetta nella sua solitudine se non ci fosse un piccolo problema, tutti i giorni devo andare a lavoro.

    Non è che non mi piaccia, anzi; progetto corsi e scrivo relazioni sulla formazione del personale e l’organizzazione d’ufficio. Non so bene che fine facciano questi scritti, se siano valutati e utilizzati, oppure si smaterializzino in nano particelle aziendali. Questo dovrebbe crearmi frustrazione e invece ho risolto il problema grazie al mio aspetto ludico che, in questo caso, consiste nel non avere obiettivo se non il divertimento in sé nel redigerli. E’ un campo aperto nel quale sono autonomo e certe volte, sicuro che non li leggerà attentamente nessuno, azzardo teorie sociologiche che non credo abbiano nulla a che fare con un’attività che miri unicamente al profitto.

    Esiste un vantaggio nell’essere ignorati, si è più liberi. Puoi

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1