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Non è mai una strada dritta. Storia di un cambiamento che sembrava irrealizzabile
Non è mai una strada dritta. Storia di un cambiamento che sembrava irrealizzabile
Non è mai una strada dritta. Storia di un cambiamento che sembrava irrealizzabile
E-book311 pagine4 ore

Non è mai una strada dritta. Storia di un cambiamento che sembrava irrealizzabile

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Info su questo ebook

La vita e le sue tempeste possono gettarci in un buco profondo, lontano dalla luce, da dove può sembrare impossibile uscire. Possono portarci a vivere un’esistenza insoddisfacente, che non ci somiglia, lontana da quello che siamo e che vogliamo veramente. Ma è davvero possibile cambiare? Ci sono incontri che generano un cortocircuito, un’energia tensiva tale che niente può rimanere come era prima. Due persone, le loro risorse, i loro limiti. Uno scrittore e un noto esponente della psicologia contemporanea. Le loro vite si incrociano e quello che sembrava irrealizzabile diventa invece possibile. La storia vera di un percorso di vita senza filtri né mascheramenti si intreccia con una narrazione della psicologia reale, distante dagli stereotipi e dai fraintendimenti che ancora la circondano. Non sono sufficienti le teorie, i modelli, le tecniche, è sempre la sensibilità dell’essere umano a fare la differenza. Per spogliare il cuore dai suoi incubi, è somministrare se stessi la cura più potente. Cambiare si può. Ma non si possono seguire scorciatoie o metodi facili. Non si può aspirare alla perfezione, perché non esiste. Il cambiamento non è mai una strada dritta. Alla fine c’è una meta meravigliosa, alla fine ci siamo noi.

Emanuele Cruciani vive nella periferia sud-est di Roma, dove lavora, scrive e sogna con ostinazione. Da sempre coltiva la passione per la scrittura, scrive regolarmente sui social e ha pubblicato come co-autore le raccolte di poesia Eissaure e Il silenzio è il linguaggio di tutte le forti passioni (Aletti).

Marco Pacifico è psicologo e psicoterapeuta, PhD, co-fondatore e Direttore di CEPIB (Centro di psicologia integrata per il benessere) e di ContactU.it, piattaforma di telepsicologia, professore a contratto presso l’Università del Molise e docente in istituti e master post universitari, Ufficiale psicologo dell’Arma dei Carabinieri, Psicologo della squadra nazionale FILJKAM. Presente sui social tramite la sua pagina personale e quelle del CEPIB, ha pubblicato come co-autore TPC - Turning Potentials into Capacities (Hogrefe), DPA - Dimensional Personality Assessment (Giunti Psycometrics), Farsi assumere subito, L’intelligenza multidimensionale, Confini terapeutici e Disturbo dell’umore (Sovera), Conoscere la depressione bipolare e Una bussola per l’ansia (FrancoAngeli). 
 
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2023
ISBN9788830688889
Non è mai una strada dritta. Storia di un cambiamento che sembrava irrealizzabile

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    Anteprima del libro

    Non è mai una strada dritta. Storia di un cambiamento che sembrava irrealizzabile - Emanuele Cruciani

    pacificoLQ.jpg

    Emanuele Cruciani

    incontra

    Marco Pacifico

    Non è mai

    una strada dritta

    Storia di un cambiamento

    che sembrava irrealizzabile

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-8411-9

    I edizione agosto 2023

    Finito di stampare nel mese di agosto 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Non è mai una strada dritta

    Storia di un cambiamento che sembrava irrealizzabile

    Ciò che si vede ha sempre radici profonde.

    A Voi che negli anni mi avete offerto la Vostra fiducia

    e a tutti coloro che credono

    che sia sempre una strada dritta.

    Marco

    A Flavia, senza la quale niente sarebbe stato possibile.

    Emanuele

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Prologo

    "Chi non conosce la propria storia

    è destinato a ripeterla."

    Quando suonai per la prima volta quel campanello, non sapevo che sarei arrivato così lontano.

    A dire la verità, il campanello che ho davanti adesso non è lo stesso che suonai quella prima volta.

    È quello del nuovo studio, in un altro pianerottolo, un altro palazzo.

    Ma la sostanza non cambia.

    Perché non ha importanza quale campanello abbia davanti.

    L’importante è quello che significa, è quello che rappresenta.

    E per me, quel piccolo pulsante che sporgeva da una parete bianca, è stato il punto di svolta.

    Allora ancora non potevo sapere che avrei lasciato il punto in cui ero, che avrei abbandonato i miei vecchi pensieri, le mie vecchie convinzioni e mi sarei incamminato in un lungo viaggio che mi avrebbe portato ben più lontano di quanto avrei mai potuto immaginare.

    Che poi quando suonai per la prima volta quel campanello, in realtà non lo suonai.

    Avevo attraversato tutta Roma con lo stomaco, il cuore e la testa in subbuglio.

    Ero uscito da casa con il fiato corto e i polmoni compressi da una potente miscela di ansia, paura e perplessità.

    Prima di prendere quell’appuntamento, prima di accettare di fare quell’incontro, avevo resistito con tutte le mie forze.

    Non avevo abbastanza soldi, mi ero detto.

    Non avevo abbastanza tempo.

    E volevo farcela da solo.

    Avevo inventato di tutto, mi ero raccontato di tutto pur di non andare a quell’incontro.

    Ma poi avevo ceduto.

    Sopraffatto dalle difficoltà, dal non vedere una via di uscita, dal senso di impotenza e fallimento, avevo deciso di farlo.

    Anche se ero all’epicentro di un caotico vortice di dubbi, paure e pregiudizi, il sentirmi senza scampo, i pensieri in cui ero incastrato e l’insoddisfazione che sentivo in ogni attimo erano divenuti intollerabili.

    E allora, in uno slancio di coraggio e disperazione, avevo deciso di andare.

    Il tragitto era stato lungo.

    Quel campanello era lontano da casa mia, era dall’altra parte di Roma, nel vero senso della parola.

    Prima un tratto a piedi, poi l’autobus, poi quasi tutta la linea della metropolitana, poi ancora un altro tratto a piedi.

    Ad ogni fermata, mi ero chiesto se ne sarebbe valsa la pena, se il risultato sarebbe valso la fatica.

    Sempre se fosse arrivato un risultato.

    Mi sentivo bloccato in un buco profondo.

    E quando sei nel tuo buco profondo, la luce che intravedi fuori dall’imboccatura ti sembra solo un miraggio, un’illusione.

    Che non puoi raggiungere, che non ti meriti di raggiungere.

    E che forse non esiste.

    Ogni fermata dell’autobus e della metropolitana era stata scandita da un dubbio, da un pensiero cupo, da una domanda a cui non era seguita alcuna risposta.

    Ma ognuna di essa mi aveva portato sempre più lontano dal punto dall’io che ero e più vicino all’io che sarei stato.

    Solo che ancora non potevo accorgermene.

    Arrivato finalmente davanti alla porta, davanti a quel campanello, mi ero fermato, avevo fatto un grande respiro e avevo guardato l’orologio.

    Lo avevo guardato e poi guardato ancora.

    Due volte.

    Perché alla prima occhiata non avevo capito l’ora.

    Era presto.

    Ero arrivato con più di dieci minuti di anticipo.

    Allora ho aspettato.

    Lì, fermo, davanti alla porta.

    Senza fare niente, senza pensare a niente.

    O almeno era quella la mia intenzione.

    Perché invece avevo pensato. E avevo pensato tanto.

    Di nuovo alle mie paure, alle mie incertezze, alle mie domande, ai miei dubbi.

    Quando mancavano cinque minuti, non volevo più aspettare.

    Ma quando misi il dito su quel campanello, in realtà non fece alcun suono.

    O forse sì e io non l’avevo sentito.

    Allora in me si aggiunse un altro dubbio.

    L’avevo suonato oppure no?

    Per averlo premuto, lo avevo premuto.

    Indeciso su cosa fare, rimasi fermo e zitto, trattenni il respiro e protesi l’orecchio verso la porta per capire se da dentro venivano dei rumori.

    Magari il campanello aveva suonato e io da fuori non l’avevo sentito perché dentro le pareti erano insonorizzate. O magari il campanello era uno di quelli che non suonavano, uno di quelli che facevano accendere una luce da qualche parte e basta, così le sedute non venivano disturbate.

    Passarono altri minuti.

    E arrivò l’ora dell’appuntamento.

    Allora mi chiesi se dovessi suonare di nuovo.

    Pensai che magari sarei sembrato insistente, che avrei potuto fare una brutta figura, proprio durante il primo incontro.

    Però poi pensai che se non l’avessi fatto, sarei rimasto lì fuori e io quel primo incontro lo avrei saltato.

    E mi ritrovai paralizzato, di nuovo incastrato nei miei pensieri, nelle mie insicurezze.

    Alla fine conclusi che l’unica cosa che avrei potuto fare era suonare un’altra volta.

    Se non altro per togliermi da quella situazione. E per non sprecare tutta la fatica che avevo fatto per arrivare fino a lì.

    Quindi lo feci. Premendo il pulsante più forte.

    E il campanello funzionò. Con un bel suono chiaro e forte. Perfettamente udibile anche da fuori.

    Altro che pareti insonorizzate. Altro che campanello luminoso per non disturbare le sedute.

    La prima volta semplicemente avevo premuto troppo piano e non avevo suonato.

    Perciò, quando suonai per la prima la volta quel campanello, o meglio la seconda, non sapevo ancora veramente niente.

    Dopo pochi secondi, lui mi venne ad aprire.

    Era vestito bene. Bella camicia, bei pantaloni, belle scarpe. E bella barba.

    Mi sorrise.

    «Ciao, benvenuto» mi disse.

    E mi fece cenno con la mano per invitarmi ad entrare.

    Io lo salutai e feci un passo avanti.

    Entrai nel suo studio.

    E anche nella mia nuova vita.

    Capitolo 1 - Nessuno te l’ha raccontata così

    Se cambi Tu, cambia tutto.

    Entro nello studio di Marco e, per un attimo, ho l’impressione che tutto questo tempo non sia mai passato.

    Dall’ultima volta che ci siamo visti, molte cose sono cambiate. Anche lo studio non è più lo stesso. Questo è più grande, è più bello, è più comodo.

    Sono cambiate molte cose dentro e fuori di me.

    In fondo, sono cambiato proprio io.

    Eppure quella familiarità, quel senso di benessere e di sicurezza che provavo allora lo sento ancora.

    Mi siedo sulla poltrona che è davanti alla scrivania, quella su cui mi sono sempre seduto.

    Mi siedo e aspetto.

    Marco va a prendermi un bicchiere d’acqua. Come la prima volta che ci incontrammo. Quando arrivai accaldato e spaventato.

    Ora non lo sono più.

    Certo, la paura c’è ancora e a volte è ancora tanta, ma adesso almeno so come funziona, so perché c’è. E so come sopravvivere ad essa.

    È una bella coincidenza.

    Una di quelle coincidenze che mi fanno pensare che nulla accade per caso, nulla accade inutilmente.

    Sento la poltrona sotto di me.

    Non solo mi sorregge, ma mi accoglie, mi avvolge.

    Come allora, anche adesso.

    Si sta così bene qui.

    Oramai questo posto è diventato un luogo mentale.

    È diventato parte del mio posto sicuro e, il solo fatto di esserci dentro, mi tranquillizza, mi fa sentire a casa.

    E mi viene da sorridere.

    «Che c’è?» Marco è tornato e interrompe i miei pensieri «Cosa ti fa sorridere?»

    «Tutte le volte che sono venuto qui e mi sono seduto su questa poltrona, mi sono sentito bene. Adesso che sono qui di nuovo, mi sono ricordato come mi sono sentito e mi è venuto da sorridere. Perché questa cosa non è cambiata.»

    «È una bella cosa.»

    «Molto bella, è vero.»

    «Tieni, ti ho portato l’acqua.»

    «Grazie. Un’altra cosa che non è cambiata è il viaggio per arrivare qui. È sempre lungo uguale.»

    Marco abbozza un sorriso.

    «Almeno adesso non devi più farlo così spesso.»

    «Non ci crederai, ma un po’ mi manca.»

    «In che senso?»

    «Non so spiegarti bene. È come quando finisci la scuola e hai passato degli anni belli, ti sei trovato bene. Sai che è finita e non torneresti mai indietro. Eppure, in fondo, un po’ ne hai nostalgia. Sai che quelle emozioni che hai provato in quel determinato periodo non le vivrai mai più in quel modo. Ringrazi il momento in cui è finita, ma un po’ ne sentirai nostalgia sempre. Ecco, io adesso mi sento così. Non rifarei mai tutta questa strada un’altra volta. Eppure, se penso a quei lunghi viaggi in metropolitana passati a riflettere, a quelle ore passate a prendere bastonate e carezze qui dentro da te, se penso a tutte le cose che abbiamo fatto e passato insieme, devo ammettere che un po’ mi prende la malinconia. È stato un percorso faticoso, ma è stato bello.»

    «Dimmi la verità, questo discorso ti è venuto in mente ora o te lo eri preparato prima?»

    «Un po’ tutte e due. È che mi è preso un momento di nostalgia. Ora mi passa.»

    «In ogni caso, è bello rivederti.»

    «Grazie, anche per me è lo stesso.»

    Ci fissiamo negli occhi e godiamo, per un attimo, della bellezza di esserci rincontrati.

    «Ora però veniamo al motivo per cui sono qui» gli dico.

    «Mi stavo giusto chiedendo perché fossi venuto.»

    «Tempo fa avevamo parlato di scrivere un libro insieme.»

    «Mi ricordo.»

    «Ma all’epoca non ero pronto.»

    «Infatti, alla fine, io ti dissi di no.»

    «Pensavo sul serio che potessimo farlo. E in quel momento ci rimasi molto male.»

    «Lo so.»

    «Solo tempo dopo capii che non sarebbe stato possibile per me scriverlo. Non in quel momento, almeno. Non era ancora tempo.»

    «Adesso pensi che quel tempo invece sia arrivato.»

    «Già, adesso è decisamente arrivato.»

    «E quindi?»

    «E quindi adesso ti proporrò di scrivere un libro insieme e stavolta mi dirai di sì.»

    «Cosa ti fa essere così sicuro?»

    «Perché quel giorno tu mi hai detto di no perché io non ero pronto, non perché non ti piacesse l’idea. Allora non avevo ancora capito tante cose, ma questa la avvertii chiaramente.»

    Marco sorride.

    «E se veramente ti dicessi di sì, di che genere sarebbe?»

    «Non so bene neanche io. Ma ho un’idea chiara. Parleremo di psicologia.»

    «Potrebbe essere interessante. Ma perché dovremmo?»

    «Perché tu senti il bisogno di raccontare la tua esperienza di terapeuta, di parlare del tuo percorso e del tuo metodo di lavoro, di chi sei e di cosa hai fatto per esserlo.»

    «E tu?»

    «E io ho bisogno di capire il percorso che ho fatto. Con le tue parole nelle orecchie e il tuo esempio negli occhi, io ho trovato la mia strada e la forza di percorrerla. Ma adesso ho bisogno di capire quello che ho fatto, il come, il perché. È un po’ come quando vai al cinema e guardi un film che scopri che ti piace da morire. Poi torni a casa e ci ripensi. Vai su internet e leggi le opinioni, le critiche. Poi ti compri il DVD e te lo riguardi e poi ti vedi anche il making off. Ecco io voglio sapere il retroscena del mio percorso, chi è il regista del mio film, lo sceneggiatore, gli attori e tutto il cast fino all’ultimo cameriere del catering.»

    «Ti conosco ormai troppo bene, amico mio, per sapere che questo è solo quello che ti racconti. È sicuramente una bella storia, ma non è tutta la storia. Qual è il vero motivo per cui vuoi scrivere questo libro con me?»

    È vero.

    Non è solo per questo.

    Lui ha capito prima di me quello che penso, quello che provo veramente.

    Di nuovo.

    Ma è così che funziona quando sei davanti ad un terapeuta che ti conosce bene.

    Lui ti conosce da fuori, ti guarda da fuori, da lontano. Tu invece ti guardi sempre da troppo vicino e devi sempre districarti tra le tue difficoltà, tra i tuoi ostacoli. Con il tempo, l’esperienza, la consapevolezza, puoi imparare a conoscerli e a gestirli. Ma questo non significa che non ti siano di impaccio e ti ostruiscano la visione.

    «Allora? Perché vuoi scrivere questo libro con me?» mi chiede di nuovo.

    Allora mi guardo dentro per un attimo, trovo la risposta e gliela dico.

    «Perché durante il mio percorso ho visto e fatto delle cose che non avevo mai visto e fatto prima, cose che non pensavo neanche potessero esistere. Ho visto persone cambiare in modo incredibile, vite cambiare in modo inimmaginabile.»

    Mentre parlo, mi rendo conto che mi sto infervorando. Forse un po’ troppo, ma a quello che dico ci credo sul serio.

    «Ho sempre sentito dire Le persone non cambiano» continuo. «È questo il sentore comune. Chiedi a cento persone se questa affermazione è vera e novantanove ti risponderanno di sì. Una ti risponderà di no e stai sicuro che tutte le altre la prenderanno per matta. Ma io sono cambiato, la mia vita è cambiata. E questo è un dato di fatto.»

    La mia vita è cambiata veramente e, nel momento in cui pronuncio quelle parole, mi rendo conto di quanto lo sia. Perché fino a qualche tempo fa mai le avrei pronunciate, mai sarei venuto qui a dire a qualcuno quello che sto dicendo a Marco.

    «Quando raccontavo alle persone che facevo terapia, spesso queste persone mi guardavano strano. La psicoterapia è ancora guardata come cura per i matti, per i disagiati, per quelli che hanno problemi mentali forti. Ora io non dico di non essere matto, di non essere disagiato. Anzi. Quando sono venuto di te, avevo un grandissimo senso di disagio. E una serie di grandi e piccole nevrosi che non sono scomparse. Anche perché non possono. Eppure il mio percorso non è stato quello di mero superamento dei miei disagi, non è stato mera attenuazione delle mie nevrosi.»

    «No, infatti, non è stato solo questo.»

    «Il mio percorso è stato un percorso di cambiamento che mi ha portato ad essere, nella sostanza, un’altra persona. In realtà sono sempre io, eppure sono un io più consapevole, più soddisfatto, più funzionante. Le persone ancora pensano che la psicologia sia una cosa misteriosa e un po’ inquietante, esercitata da professionisti austeri con il panciotto e la giacca di tweed che ti fanno stendere sopra un lettino di pelle nera e ti chiedono com’era da bambino il rapporto con tua madre. Questo è il modo in cui molte volte ci viene raccontata. I libri, i programmi televisivi spesso sono pieni di questa concezione, di questo stereotipo che forse andava bene ai tempi di Freud.»

    «Arriva al punto.»

    «Io voglio andare oltre a questi stereotipi. Voglio raccontare quello che ho vissuto. Voglio raccontare la psicologia come nessuno l’ha raccontata. È una cosa che mi sento di dover fare.»

    «Sei sicuro che tu debba?»

    «Non lo so. Ma questa storia va raccontata.»

    Marco mi guarda fisso.

    Sta pensando.

    Anche io lo guardo.

    E aspetto la sua risposta.

    «Mi hai convinto» mi dice all’improvviso. «Saremo noi a raccontare questa storia.»

    Io scatto sul bordo della poltrona.

    «Quindi ci stai?»

    «Ci sto.»

    Sono contentissimo che abbia accettato.

    Questo progetto insieme mi entusiasma. Sarà una bella cosa.

    Marco mi fa un gesto con la mano.

    «Allora andiamo. Dopo di te. Mostrami la strada.»

    Lo guardo stupito.

    «Veramente posso?» gli chiedo.

    «Fino ad ora te l’ho mostrata io. È il momento che vada avanti tu.»

    «Grazie, è un grande onore.»

    «È un grande piacere.»

    «Andiamo?»

    «Andiamo.»

    Capitolo 2 - È come una batteria

    "Nessuna opera di talento può nascere

    senza un carattere di aggressività."

    Ritornare in questo posto mi fa sempre un effetto strano.

    Fin dal primo passo fatto nel vecchio studio, niente di quello che ho trovato è stato come me lo ero aspettato.

    E quel poco che avevo immaginato non somigliava minimamente a quello che trovai lì.

    A partire dalla sala d’aspetto.

    Che poi era una normale sala d’aspetto.

    Sedie allineate lungo le pareti, un mobile basso pieno di volantini con le attività dello studio, una cesta con le riviste di psicologia dentro, una piccola scrivania con un telefono sopra.

    Tutto molto convenzionale.

    Ma c’era qualcosa, invece, che convenzionale non mi sembrò affatto.

    In un angolo c’era un cavalletto, uno di quelli alti, di legno, da pittore, con sopra un quadro astratto dai colori intensi, pastosi.

    Nell’angolo di fronte un altro mobile basso su cui era appoggiata, perfettamente arrotolata, una cintura nera e un paio di guantoni da boxe bianchi.

    Oggetti che non avrei mai pensato di trovare in uno studio di psicologia.

    Che ci facevano lì? Di chi erano?

    Solo in seguito ne avrei conosciuto i proprietari e come quegli oggetti fossero la prova concreta e lampante del loro percorso di cambiamento, di crescita, di autorealizzazione.

    Lo stesso che poi, a mio modo, avevo già iniziato anche io.

    E poi i poster.

    Sì, proprio i due poster appesi alle pareti.

    Uno raffigurava una grande scacchiera di foto di volti in bianco e nero sopra la quale campeggiava la scritta I grandi maestri della psicologia.

    Quando lo vidi per la prima volta, strizzai gli occhi per capire di chi fossero quei volti.

    A parte Freud e Jung, non riconobbi nessuno. Gli altri volti erano tutti di perfetti sconosciuti e le scritte erano troppo piccole per essere lette.

    Ma anche se fossi riuscito a leggerle, in quel momento nessuno di quei nomi avrebbe significato qualcosa per me.

    Una delle cose che ancora non sapevo era che invece molti di loro poi in seguito mi sarebbero diventati parecchio familiari.

    E, a loro modo, importanti per il mio percorso.

    Sull’altro poster, invece, c’era la grande faccia barbuta di un uomo anziano sorridente e con i capelli radi e spettinati.

    In alto il suo nome si leggeva bene.

    Fritz Perls.

    Un altro nome sconosciuto.

    L’uomo però aveva una bellissima espressione e mi colpì per questo.

    Freud e di Jung, che avevo appena intravisto sull’altro poster, con le loro facce austere ed ordinate allora costituivano il mio intero immaginario della psicologia e degli psicoterapeuti. Per cui quell’uomo e la sua grande barba e i suoi capelli disordinati e la sua espressione beata erano per me una grande sorpresa.

    E in basso, sotto questo volto sorprendente, altrettanto bene si leggeva una scritta.

    "Io sono io. Tu sei tu.

    Io non sono al mondo per soddisfare le tue aspettative.

    Tu non sei al mondo per soddisfare le mie aspettative.

    Io faccio la mia cosa. Tu fai la tua cosa.

    Se ci incontreremo sarà bellissimo;

    altrimenti non ci sarà stato niente da fare."

    Quando le lessi, quelle frasi suonavano dentro la mia testa senza avere alcun senso.

    Come era possibile non avere aspettative?

    Un’altra cosa che allora non potevo sapere era quanto invece mi avrebbero insegnato quelle parole.

    E quanto mi avrebbero alleggerito l’esistenza.

    Anche la stanza di Marco era totalmente diversa da come l’avevo immaginata.

    Davanti alla porta c’era un divano basso

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