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Fox: Bodhi Beach vol. 1
Fox: Bodhi Beach vol. 1
Fox: Bodhi Beach vol. 1
E-book366 pagine5 ore

Fox: Bodhi Beach vol. 1

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Info su questo ebook

Sophie Fordham non ha mai davvero pensato alla maternità, almeno finché l’insorgere di una menopausa precoce non la mette di fronte a una scelta: se vuole avere un bambino deve sbrigarsi. Ma cosa può fare una ragazza single con una pessima situazione finanziaria?
Forse rivolgersi al suo migliore amico, quello che si conosce sin dai tempi dell’asilo?
Non dovrebbe essere poi un gran sacrificio visto che Fox Monkhouse è un sexy surfista che ha un gran successo con le donne, anche se chiedergli di “inzuppare il biscotto” potrebbe risultare davvero imbarazzante. Per non parlare di quando bisognerà poi iniziare a spogliarsi…
Quando Fox accetta di aiutarla, Sophie è entusiasta, ma presto si renderà conto che mantenere separati sesso e sentimenti non è ciò che sa fare meglio e, se la loro inconsueta relazione non dovesse evolvere in qualcosa di diverso, potrebbero distruggere l’amicizia di una vita.
LinguaItaliano
Data di uscita19 mag 2018
ISBN9788831980050
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    Anteprima del libro

    Fox - S.M. Lumetta

    Capitolo 1

    La diagnosi: «È menopausa»

    Risate, tante risate. Finché, la dottoressa Beaufort mi guarda come se mi fossi rotta. Mi fermo e deglutisco.

    «Aspetti, cosa vuol dire è menopausa

    «Sophie, i tuoi sintomi e i risultati dell’esame indicano una peri-menopausa. I livelli dei tuoi estrogeni sono un po’ sfalsati e, insieme al tuo ciclo irregolare, è molto probabile che sia iniziata la menopausa precoce.»

    Per fortuna in questo momento non sto né mangiando né bevendo nulla, perché mi sarebbe andato tutto di traverso. Okay, come non detto... mi sto strozzando con la mia stessa saliva. È fantastico non aver nemmeno bisogno di mettere qualcosa in bocca, per soffocare.

    Il pubblico nella mia testa reagisce a comando, con gesti sconci e di esultanza.

    «Mi scusi?» chiedo, con la gola in fiamme, mentre tossisco con violenza. Sembro un fumatore incallito. O, persino, che sia passata oltre quello stadio e mi sia direttamente giocata le corde vocali.

    La dottoressa, finalmente, nota il mio panico evidente e agita le mani davanti al viso. «Sto dicendo che potrebbe essere così.»

    Tossisco ancora, spaccandomi un polmone – giusto per sicurezza – e sperando di aver capito male. «Ma... ho ventotto anni.»

    Questo è il momento in cui il pubblico supporta la mia indignazione con un improvviso boccheggio, seguito da un silenzio mortale.

    La dottoressa Beaufort sorride, i denti di un bianco smagliante in contrasto con la sua pelle scura, ma quel sorriso non mi consola. «Sono consapevole della tua età,» afferma con un pizzico di umorismo «ma sono abbastanza certa che si tratti di menopausa prematura. Può colpire addirittura donne appena ventenni, sebbene sia raro.»

    La fisso, con la bocca spalancata, ma che ancora tenta di formulare una parola o due. Tutto ciò che ne esce, però, è: «M... m... m...»

    Nonostante tutti i sintomi bizzarri degli ultimi sei, forse otto, mesi, non mi è nemmeno mai passata per l’anticamera del cervello questa possibilità. Da quando ho mollato quella sanguisuga di Brett, ho dato la colpa di ogni cosa allo stress della rottura: dalle noie del ciclo, agli sbalzi d’umore pazzi e insoliti, fino ai due o tre terribili attacchi di sudorazione notturna. Anche se, a dire il vero, il primo ciclo saltato ha causato un diverso tipo di panico. O meglio, così lo ha definito la mia migliore amica, Nora: Spauracchio da Gravidanza Udito dal Mondo Intero.

    La dottoressa Beaufort sta parlando, ma il mio cervello è disconnesso. Sono costretta a scuotere un po’ la testa per risintonizzarmi.

    «A ventotto anni non è certo comune, ma non è inaudito» continua imperterrita, indifferente ai miei versi attoniti, o forse proprio a causa di quelli. «E non è comunque una cosa immediata. Come forse sai, la menopausa stessa è un processo lungo. Ci potrebbero volere anni perché si completi. Quindi potresti avere ancora tempo per fare un figlio, se la cosa rientra nei tuoi piani. Molte donne che attraversano la menopausa hanno un bambino inaspettato

    «Un bambino?» domando, come se non ne avessi mai sentito parlare. Ripenso allo Spauracchio di cui sopra e, per un secondo, mi chiedo se invece non sarebbe stata una benedizione. Gesù, no. Così, ora, sarei legata a Brett per sempre. Rabbrividisco. A causa sua, persino la mia affidabilità creditizia è finita nel cesso. Più che abbastanza, direi, come eredità e intrusione nella mia vita.

    Il silenzio che segue si allunga all’infinito, e non perché io non abbia nulla da commentare o da chiedere, ma perché non riesco proprio a parlare.

    «Sophie?» comincia la dottoressa Beaufort. Penso mi abbia fatto una domanda, ma mi sento come se fossi sott’acqua.

    D’improvviso, ho problemi a concentrarmi e sento il corpo ondeggiare. La stanza comincia a girare e tutto diventa nero.

    Quando mi sveglio, sono felice di scoprire che non sono caduta dal lettino ginecologico. Tuttavia, scorgo un infermiere che mi tiene le gambe sollevate e la dottoressa Beaufort che mi porge un sacchetto di carta.

    «Non sto iper-ventilando, dottoressa Beaufort» mormoro, spingendo via la busta. Sembro ubriaca. Ottimo. Per caso, mi è venuto anche un ictus? Sarebbe una deliziosa ciliegina su questa torta colma di merda. «Stavo per soffocare e ho avuto una reazione irrazionale.»

    Sono ben consapevole delle mie tendenze drammatiche. A volte. Di tanto in tanto. Quando mi sta bene.

    «Sei svenuta» si limita a informarmi lei, senza giudicare. «Ti senti stordita?»

    Faccio un resoconto mentale. «Sto bene.» Mentre mi rimetto a sedere, piano e con un piccolo aiuto, noto che l’infermiere al mio fianco non è altri che il mio più vecchio amico al mondo, Fox Monkhouse.

    «Ma che cazzo ci fai tu qui?» cerco di dargli un calcio, ma sembra più lo spasmo agonizzante di un grosso pesce impacciato. «Sono senza mutande, Fox! Non dovrebbe esserci un’infermiera?»

    Adesso, il tentato calcio risulta ancora più goffo. Mi stringo il camice da ospedale sulla schiena e serro le cosce per nascondere la topa.

    «Il signor Monkhouse era giusto qui fuori, quando sei svenuta. E, tranquilla, ha un master in infermieristica» aggiunge la dottoressa B., ignara del fatto che io conosca le sue qualifiche fin troppo bene. E, a prescindere, ciò non significa che io gradisca che incomba sulla mia signorinella. «È un professionista.»

    «Sì, ma è molto discutibile in cosa sia professionista!» ribatto.

    Il viso di Fox si apre in un enorme sorriso.

    Idiota. «Che ci fai qui? Tu lavori a Shoreline!»

    Fox si strofina l’angolo dell’occhio col dito medio. «È la stessa rete ospedaliera» risponde, trasudando falsa professionalità. «Oggi avevano bisogno di un lavoratore nomade.» Fa una smorfia molto immatura alle spalle della dottoressa Beaufort, mentre io cerco con tutte le mie forze di non ridere alla definizione lavoratore nomade, in pratica un vagabondo. La sua immaturità è troppo contagiosa, e alcuni eloquenti episodi passati mi balenano in mente. Le smorfie che ne conseguono devono essere orribili. Sono contenta di non potermi vedere allo specchio in questo momento.

    «Stai bene, Sophie?» mi chiede lei, guardandomi con una certa preoccupazione. «Suppongo che tu e Fox siate amici.»

    Fingo un colpo di tosse e mi schiarisco la voce. «Sto bene, grazie. E sì, immagino che si possa definire così.»

    Fox sbuffa, portandosi un ricciolo baciato dal sole dietro l’orecchio. Il resto dei suoi capelli, biondi e lunghi alle spalle, è legato in una coda. «Conosco Sophie da quando avevamo... non ricordo, cinque anni?»

    «Quattro» lo correggo, solo per fare la stronza. Lui alza gli occhi al cielo e io gli sorrido. «Da quando la mia famiglia si è trasferita nel quartiere. Non avevo ancora iniziato l’ultimo anno di scuola materna.»

    «Giusto! Abbiamo stretto amicizia dal gelataio» prosegue lui.

    «Grazie al Calippo.»

    «Ooh» geme, quasi come stesse avendo un orgasmo. La dottoressa Beaufort gli lancia un’occhiata, ma lui non ci fa caso. «Lo adoravo.»

    «Monkhouse, in pratica è zucchero congelato e colorante alimentare» interviene la dottoressa B. dicendo la sua. «È una porc...»

    «Non smerdi la mia infanzia, Beaufort» scatta Fox in modo scherzoso, ma poi si rende conto del suo ruolo e sfoggia un’espressione colma di imbarazzo. «Voglio dire, sì, dottoressa. Mi scusi. Sì, naturalmente. Ha assolutamente ragione.»

    L’idiota fa una pausa per schiarirsi la gola. Colgo la dottoressa B. che scuote appena la testa, in quello che presumo sia un gesto di esasperazione. Capisco perfettamente cosa prova. Dopo un imbarazzante istante, lui riprende da dove ha lasciato.

    «Ad ogni modo, pensi, Sophie si rifiutava di cominciare la scuola, a meno che io non fossi in classe con lei. Aveva bisogno di me.»

    «In realtà era un po’, diciamo, in ritardo» aggiungo. «Ha iniziato l’ultimo anno della materna a sette anni.»

    Fox tossisce. «Stronza!»

    La dottoressa Beaufort alza gli occhi al cielo, prima di guardarmi. «Mi devo ricredere per quanto riguarda la professionalità. Ti senti bene?»

    «Benone, dottoressa Beaufort» dice Fox.

    «Sto bene» rispondo io nello stesso momento. Almeno per quello che riguarda gli svenimenti. Il resto è ancora piuttosto discutibile.

    «Bene» dice lei, fissando Fox con un accenno di sorriso sul viso. Mi dà una pacca sulla spalla e mi invita a rivestirmi. «Possiamo continuare a parlare nel mio ufficio, prima che tu vada. Monkhouse, permetta alla paziente di vestirsi, per favore.»

    «Certo» risponde lui con un cenno del capo. Lei sorride mentre esce.

    «Hai fatto sesso con lei? O ci stai provando?» gli chiedo.

    «Non sputo dove mangio» ribatte.

    «Oh, davvero?» Le sopracciglia mi balzano fino all’attaccatura dei capelli e gli occhi rivelano la mia evidente incredulità.

    «Ha vent’anni più di me!»

    Inclino la testa, in attesa. Sta cercando di tenere duro. Sa benissimo di essersi scopato una collega o due sulla quarantina. Ad esempio... «Rita?»

    Spalanca la bocca e quegli occhioni bicolore. Grazie al camice, quello verde diventa verde acqua, o turchese come l’oceano, e quello color nocciola sembra dorato. Ancora mi meraviglio di quanto siano strani ma belli.

    «Complimenti, vedo che estrai tutte le armi» esclama. «E va bene, ho ripassato il reparto delle infermiere e un paio di dottoresse, ma ho imparato la lezione. Le cose poi vanno a finire male.» Apre la porta e si ferma. «Rivestiti.»

    Aspetto che esca, prima di togliermi il camice dell’ospedale e rimettermi i miei vestiti.

    «Perché sei svenuta?» mi chiede quando esco nel corridoio, dove mi stava chiaramente aspettando.

    Gli do un leggero pugno sul braccio, notando che sul naso ha una lieve scottatura. Qualcuno stamattina è andato a fare surf e ha dimenticato la protezione solare.

    «Non hai del vero lavoro da sbrigare, stalker?»

    «Non in questo preciso momento.» Si guarda intorno. «Allora, che succede? Stai bene?»

    «Un calo di zuccheri» mento. Mi sembra quasi un insulto, soprattutto data la sua sincerità. Io non mento mai ai miei migliori amici. «Ho dimenticato di mangiare, stamattina.»

    «Tu hai dimenticato di mangiare? Non è da te.» Si avvicina un po’ di più, quasi come se sapesse che gli sto rifilando una cazzata. «Me lo diresti se ci fosse qualcosa che non va, non è vero?»

    La sua preoccupazione mi fa bene al cuore, ma non mi sento ancora pronta a parlare di nulla. È il momento di cambiare discorso.

    «Stai insinuando che sono grassa, Monkhouse?» Mi piace scherzare con lui. Oltretutto, ho un buon rapporto col mio corpo. Sono alta un metro e settantacinque e abbastanza magra, a eccezione di quel po’ di sedere che mi è venuto fuori quando ero al college.

    «Sempre, bella Trippona.»

    In quel preciso istante passa una donna anziana, che si ferma per esprimere l’estremo sdegno che prova nei confronti di Fox, sputandogli addosso. «Uomo orribile! Vuoi che gli frantumi le palle?» mi chiede, sollevando il bastone da passeggio decorato con lingue di fuoco.

    «Uhm» balbetto e fingo di pensarci su. Fox spalanca gli occhi e stringe le labbra in un’espressione di rimprovero.

    Rivolgo di nuovo lo sguardo verso la mia salvatrice. «Idea molto allettante, grazie. Ma non occorre.»

    «Sei sicura?» La nonna di Harley Quinn non se la beve, ed è evidente che sta cercando una scusa qualsiasi per rifilargli due sonori ceffoni. Forse anche lei oggi ha ricevuto brutte notizie.

    «Sì, sì. Stia tranquilla.» Mi chino verso di lei, portando la mano alla bocca come per sussurrarle qualcosa. «Ho saputo da fonti attendibili che il suo pendolo non oscilla poi così bene, non so se mi spiego.» Lei annuisce con aria di intesa e minaccia ancora una volta Fox col suo bastone cazzuto, prima di andarsene.

    «Cacchio!» esclamo appena lei gira l’angolo. «È stato come tornare alle superiori.»

    Al liceo faticavo a mantenere il peso, per via del mio metabolismo veloce. Alcune persone, molto stronze, mi chiamavano Secca, e Fox, di contro, mi chiamava Cicciona, per protesta. Si è cacciato in un mare di guai, per questo, giacché i sagaci insegnanti di Bodhi Beach High erano convinti che io fossi anoressica e che Fox mi stesse bullizzando. In realtà, le vere bulle erano le ragazze, e, visto che erano femmine, ovviamente non si sono fatte beccare. Fox, invece, ne andava fiero e insisteva nel chiamarmi in quel modo. È scoppiato un casino colossale ma, alla fine, si trattava solo del mio amico che prendeva le mie difese con i suoi modi poco ponderati e alquanto controversi, come sempre.

    «Cacchio, non mi era mai capitato di venire minacciato col bastone ufficiale delle Hells Angels» afferma, asciugandosi la saliva della donna dal camice.

    «Torna al lavoro» ribatto con una risatina. «Ci sentiamo più tardi.»

    «Vieni al barbecue questo sabato?» mi grida dietro. «È il mio compleanno, lo sai.»

    «Non me lo perderei per nulla al mondo, vecchio mio. Ma almeno, il falò sarà legale questa volta?» Gli faccio l’occhiolino. La casa di Fox è sulla spiaggia. Era di suo nonno e lui l’ha ereditata, brutto culo sfondo...

    «Certo che no!» risponde, abbassando il tono di voce. «Cioè. Sì, certo. Porta la birra. Oh, a proposito, e tuo fratello?» mi chiede.

    «Boh, non parlo con Cameron da un po’. Pare si sia un po’ isolato, ultimamente, stando a quanto dice mia madre. Comunque, non penso che se lo perderebbe.»

    Fox annuisce. «Be’, spero che venga. Digli di vestirsi da donna, voglio di nuovo infilargli la faccia tra le tette finte. Non so dove abbia preso quei canotti, ma erano super comodi per le mie guance.»

    Alzo gli occhi al cielo e faccio dietro front verso l’ufficio della dottoressa Beaufort. «Allora ci vediamo, pervertito» lo saluto.

    «Tra simili ci si intende!»

    Dopo una conversazione più approfondita con la dottoressa B., non mi sento più molto bene. Potrei avere a disposizione solo un altro anno di fertilità, se voglio concepire un bambino senza assistenza, ma è vero anche che potrebbero rimanermene altri cinque, forse di più. È difficile da stabilire. La menopausa non è solo complicata da prevedere, ma sballa anche il ciclo, il che incide pesantemente sulle probabilità, a mio sfavore. Pensavo di volere dei bambini, ma sono super single al momento, cavolo. Sono passati otto mesi da quando ho scaricato Brett e, dopo quello sfacelo, la domanda se voglio dei figli o meno, be’, è del tutto opinabile. A causa della mia nuova tempistica tutt’altro che in rialzo, mi trovo costretta ad affrontare un problema di cui mi sarei dovuta occupare tra una decina d’anni.

    Congelare alcuni ovuli sarebbe un’opzione plausibile: sono un’ottima candidata e, tutto sommato, in buona salute. "Ma non aspetterei a lungo ha insistito la dottoressa Beaufort, evidenziando il fatto che potrei non avere molto tempo, pensaci, ma non metterci troppo. Prima che tu te ne renda conto, potrebbe non esserci più tempo".

    Le ho risposto che non c’era nemmeno bisogno di pensarci. Non ho decine di migliaia di dollari da investire in ovuli congelati. Grazie alle cazzate di Brett, e al mio stupido cuore fiducioso, gli ho prestato i soldi per iniziare la sua carriera da deejay. Biasimo, per questo, la passione cieca.

    Ho finito per comprargli un sacco di roba, che l’imbecille poi ha rivenduto per sputtanarsi i soldi in scommesse. Alla fine, è venuto fuori che non voleva dare il via a nessuna carriera artistica, ma solo alimentare il suo segreto vizio del gioco. La mia situazione economica è crollata a picco insieme alla nostra relazione. Sto ancora pagando il debito che ho fatto a causa sua, e non ho nemmeno i soldi per assumere un sicario. Dov’è la giustizia?

    Ho la Mustang decappottabile del 1967 di mia nonna, che vale un po’ di soldi, ma non è del tutto originale e nemmeno in ottime condizioni. Avrei quindi bisogno di tasche molto più profonde, e non indebitate, per permettermi i lavori necessari per riportare in auge il capolavoro che era. E in ogni caso, non riesco a immaginare di separarmene solo per ripagare il casino causato dalla mia stupidità.

    Con questo enorme fardello sulle spalle, mi siedo proprio nella mia antiquata Mustang decappottabile, ferma nel parcheggio, e piango. Piango. Piango finché non sono del tutto disidratata e con impresso sulla fronte il segno del volante. Il sole al tramonto penetra dritto attraverso la carrozzeria, costringendomi a uscire e prendere aria.

    L’ora di punta è ormai passata da un pezzo, e non dovrebbe esserci più l’ingorgo sulla 405. E infatti è proprio così.

    Capitolo 2

    La ripercussione

    Saltare il lavoro per i due giorni successivi non era nelle mie intenzioni, ma non riesco ad alzare il culo dal divano. Mi sento sola e punita ingiustamente. Forse punita è un parolone, ma sono intrappolata nell’infantile stato mentale del non è giusto!. Sono stata privata dei miei privilegi senza aver commesso nemmeno un reato e, stavolta, la cosa peggiore è che non è colpa né dei miei genitori, né dei miei insegnanti, ma del mio stesso, maledetto corpo. Necessito di conforto. Voglio rannicchiarmi e dimenticare.

    Mi manca il mio Ripley, il soriano grigio che avevo salvato prima di trasferirmi all’università. Mamma aveva insistito affinché lo portassi con me. Penso lo abbia fatto perché lei e papà erano nel mezzo di uno schifoso divorzio, anche se potrei sbagliarmi. Ad ogni modo, era un gatto fantastico: grassoccio, comunicativo, pigro e amava schiacciare pisolini con me. Il suono delle sue fusa nel mio orecchio era la miglior medicina.

    Da quando non ho più lui a consolarmi, sono costretta a farlo alla vecchia maniera, con i maccheroni al formaggio liofilizzati. Fatti con formaggio vero. In altre parole, formaggio chimico. Si sa, le cose buone... Riesco a resistere solo a due delle quattro scatole che si trovano nella credenza. Le preparo entrambe e le mangio direttamente dalla padella. Ehi, sono una donna forte e tutto quello che volete, ma non sono perfetta. Ho delle necessità. E, a quanto pare, anche delle decisioni da adulti da prendere, o almeno da considerare.

    Dopo una lunga maratona di terribili trasmissioni anni Novanta su Netflix, mi trascino fuori dal vortice di autocommiserazione e chiamo mia madre. Dirmi quanto io sia eccessivamente melodrammatica è il suo passatempo preferito, e mi piace darle questa possibilità. In realtà, spero che mi sproni a reagire. È brava a farlo. Come è bravissima a ricordarmi di indossare il rossetto, cosa che ogni tanto faccio, ma che per lei è come dire di indossare biancheria intima pulita.

    Il telefono squilla un po’ di volte. Mentre aspetto, esco a passeggiare sul balcone del mio appartamento. È la metà superiore e spaziosa di una bifamiliare, quindi non mi sento troppo segregata in casa mia. Dopo la bancarotta causata dal Caso Brett, ho perso lo slancio per comprare una casa, come fa invece molta gente della mia età. Le sedie che ho nel patio sono economiche e scolorite dal sole, ma abbastanza comode, e quantomeno non sporche. Mi siedo e la plastica o il vimini – giuro su Dio, non lo so – scricchiola. Non so perché, ma gli ordino di fare silenzio. Non ho dormito proprio benissimo nelle ultime due notti, ma non è questo il punto. Oppure lo è. Boh.

    Rispondi al telefono, mamma!

    «Ciao, piccola!» la sua voce trilla, come sempre quando sta canticchiando sopra una canzone. Mi fa sorridere.

    «Mamma, le mie ovaie si sono seccate» dico a mo’ di saluto. Insomma, dritti al sodo, giusto?

    «In che senso?» mi chiede. La musica di sottofondo è troppo alta. Come sempre. È una festa continua a casa loro. Ridicolo; non mi stupisce che la mia fabbrica interna di bambini stia chiudendo i battenti: mia madre è più giovane di me.

    Tengo il telefono a distanza e urlo: «Ho il tuo sistema riproduttivo e rivoglio indietro il mio!»

    «Non occorre che gridi, tesoro. Non sono mica sorda.» La musica si abbassa e sento un suono statico mentre lei si riporta il telefono all’orecchio. «Ma, forse, tra un mese Ruben avrà qualcosa da dire in merito. Sai, ha iniziato a suonare la batteria.»

    Alzo gli occhi al cielo e sorrido. Ruben è il mio patrigno, e si sono sposati solo cinque anni fa, più o meno. Un brav’uomo, molto dolce. E, devo ammettere, davvero sexy per essere un cinquantaseienne. È nato a Cuba, quindi l’avvenenza potrebbe derivare dal gene latino. Mamma dice che, quando si sono incontrati, lei l’ha scambiato per Andy Garcia e Ruben ha replicato: Se è questo che mi ha fatto acchiappare un angelo, alleluia!. Sono troppo carini.

    «Due domande» comincio con il tono più serio che riesco a trovare. «Primo, quelli che sento sono dei bonghi? E, secondo, lui suona nudo?»

    Lei lancia un urlo quasi più forte della musica. «Non te lo dico! Non sono affari tuoi.»

    «I bonghi o il nudo?»

    Mamma ridacchia. «Su, avanti, cosa stavi dicendo prima? Qualcosa di mio che hai tu?»

    Sospiro.

    «Oh-oh.» La musica di sottofondo si spegne del tutto. È pronta a entrare in modalità mamma seria. «Racconta tutto alla mamma.»

    «Sto entrando in menopausa.» Un’aria fredda appropriata attraversa il mio balcone giusto in quel momento. Tiro indietro i piedi, infilandoli sotto al sedere.

    «Dove stai entrando?» Ruben doveva star suonando vicino alle sue orecchie. «In metropolitana? Non credo di aver sentito bene.»

    «In menopausa!» rispondo brusca, battendo il pugno sul bracciolo della sedia. «Sto morendo dentro!»

    Lei ridacchia e mi rimprovera: «Sii seria! Cosa mi stavi dicendo veramente?»

    «Non sto scherzando, mamma! Sono andata dalla dottoressa perché continuava a saltarmi il ciclo, e non ho cavalcato nessun pene per giustificare la mia mancata oblazione mensile di sangue. Da alcune settimane stiamo facendo alcuni test ormonali, e la dottoressa Beaufort sostiene che sembra si tratti di menopausa precoce.»

    La sento fare un sospiro profondo. «Sembra impossibile» schernisce. «Pensi di sentire un altro medico, per un secondo parere?»

    Dio, che frustrazione. «Immagino dovrei.»

    «Fallo. Voglio dei nipotini.» Mi piace che questa sia la sua immediata reazione. Non dimenticherò mai quali sono le sue priorità. «E molti, anche.»

    «Cacchio! Bel modo di supportarmi, Margaret» le dico, con voce piatta e palesemente irritata. «Sai, c’è anche Cameron che potrebbe ancora essere fonte di nipoti, un giorno.»

    «Io ti sto supportando! E so che vuoi dei bambini, quindi non dirmi di non preoccuparmi» sbuffa. «E non cambiare discorso! Cammy è... Maledizione, Mona, scendi!» Mona è il loro labrador nero. «Cam ha già abbastanza cose di cui occuparsi, in questo momento.»

    «Occuparsi di cosa? Quindi, non stai facendo pressione anche a lui per dei nipoti. Sei sessista, mamma.» Sembro lagnosa, ma è facilissimo regredire quando si parla con i propri genitori. Mi sento sempre una tredicenne, durante certe conversazioni. È imbarazzante, molto più che averli davvero, tredici anni.

    «Dannazione, Sophie Ann, smettila di cambiare discorso. Hai sempre detto di volere dei bambini, un giorno» ribatte nel tipico tono frustrato da mamma, di quelli che intendono: ti amo alla follia, ma vorrei di più prenderti a schiaffi.

    Sento un forte pizzicore alla tempia, e mi accorgo di avere una ciocca di capelli castano scuro attorcigliata così stretta intorno al dito, che temo mi si strappi via dalla radice. Forse dovrei tagliarli? Basta! concentrati.

    «Oh, mamma. Non ne sono sicura... o almeno non lo ero. Ora che potrebbe essere fuori discussione – sfornare un bambino nel senso tradizionale del termine, intendo – desidero avere quell’opportunità. Non sono ancora pronta a rinunciarci.»

    «E io cos’ho appena detto?»

    Fantastico. La risposta più materna che potesse scegliere. «Lo so, ma...»

    «Fidati di tua madre. Ti conosco meglio di chiunque altro al mondo.» Non ha torto. «E comunque, hai messo il rossetto? Dovresti sempre mettere il rossetto. È così che si acchiappa un donatore di sperma.» Come volevasi dimostrare.

    «Oh, mio Dio. Mamma!» spingo la sedia sulle due gambe posteriori e butto indietro la testa.

    «Be’, l’hai messo o no?» Si comporta come una rappresentante Avon sotto steroidi. «Il rossetto ti illumina il viso! Se non prendi almeno un po’ di sole, sembri troppo pallida.»

    «Sì, mamma» mento. «Ho il rossetto. Quello rosso che ti ho fatto vedere a Pasqua. E comunque sei conscia del fatto che siamo di razza bianca, sì? Essere pallide è ciò che ci riesce meglio.»

    «Tu ti abbronzi bene, e io mi rifiuto di accettare un tale pallido destino.» Immagino i suoi capelli biondo scuro accostati alla sua pelle abbronzata. Non ha ancora la pelle come il cuoio, ma, se non si dà una calmata con questa fissa per il sole, non ci vorrà molto.

    «Ecco perché diventerai una borsetta, prima o poi» la sfotto. Sento le gambe della sedia tremare come se dovessero cedere da un momento all’altro. La riporto in avanti con un tonfo.

    «Lo diventeremo tutti, piccola» risponde, puntualizzando le parole con una sbuffata. Dio, quanto siamo uguali. «Quando morirò, puoi trasformarmi in uno zaino o in una bella borsa con portafogli coordinato.»

    «Ma dai, mamma, smettila! È orribile» rispondo, irritata dal fatto che sia divertente e terrificante allo stesso tempo.

    «Perché? Chi se ne frega. Io sono una donatrice di organi. È scritto sulla mia patente.» Me lo dice come se non le sapessi, certe cose.

    «Va bene, farò di te una borsetta Coach, ma adesso basta!» Emetto il suono come di un conato di vomito. «Possiamo tornare all’argomento precedente?»

    Lei sghignazza, fin troppo divertita dal mio disagio. «Bene, bene. Dimmi cosa stai pensando di fare. Un secondo parere, e poi?»

    Mi alzo e torno dentro. In cucina, mi verso un po’ di succo d’arancia, mentre rifletto ad alta voce. Lei insiste sull’idea degli ovuli congelati, ma io le spiego quanto sia costoso e perché il mio piano assicurativo faccia schifo. Discutiamo ancora un po’ dell’argomento e io continuo a rifiutare le sue offerte di denaro. Solo il pensiero di poterlo accettare mi rende così nervosa da farmi consumare le mattonelle della cucina, mentre cammino su e giù. So bene che lei e Ruben non navigano nell’oro. Per non parlare del fatto che Cameron vive ancora a casa loro, il che significa che non paga affitto, bollette, e che non contribuisce alla spesa. Inoltre, stanno pianificando di andare in pensione in Spagna e io non voglio assolutamente negare loro questa possibilità. Desidero che questo loro sogno si realizzi più di quanto possa volere i loro soldi, anche se so che lei farebbe anche uno di quei prestiti ipotecari truffaldini pur di finanziare la nascita di un nipote.

    Sembra davvero ridicolo dovere spendere così tanto per imbottirmi di ormoni e farmi espiantare gli ovuli – non voglio neanche sapere come funziona questo furto con scasso – per poi ficcarli in una vaschetta di ghiaccio per un periodo indefinito. Sto semplificando, è chiaro, ma dopo ci sarebbero anche i costi di scongelamento, fertilizzazione e impianto. Sembra che l’unica soluzione sia vincere alla lotteria.

    «Hai chiamato la compagnia assicurativa per una verifica?» mi

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