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Un giorno da favola
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E-book232 pagine3 ore

Un giorno da favola

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Info su questo ebook

Francesca è una sessuologa trentenne, single dopo una deludente storia d’amore con un uomo sposato. La sua passione sono i romanzi di ambientazione storica e sogna un amore come quello delle loro protagoniste. Un giorno, in tribunale per una causa in cui sono coinvolti due suoi clienti, incontra Christian Balardini, cinico e arrogante avvocato. Tra i due scatta subito una forte attrazione ma Francesca ha paura di aprirsi di nuovo. Si ritrova a combattere, perciò, una battaglia tra ragione e sentimento, ma non ha tempo per soffermarsi a riflettere su ciò che le sta accadendo, perché la sua migliore amica le chiede aiuto per organizzare un matrimonio in perfetto stile austeniano… per la vigilia di Natale! Così, in una girandola di avvenimenti ed equivoci, le strade di Francesca e Christian continueranno a incrociarsi. E se fosse proprio lui il suo Mr Darcy tanto atteso?

Lasciatevi sedurre da un bestseller

«Io mi sono innamorata di questo libro dalla prima pagina, davvero, la storia mi ha conquistata subito!»
Fantasticando sui libri

«Assolutamente consigliato agli amanti del genere.»
Orlando furioso

«Personaggi descritti in maniera acuta, in grado di trasmettere emozioni di affetto, ironia, simpatia, rabbia.»
Federica D’Ascani
Fabiola D'Amico
È cresciuta ad Aspra, un piccolo borgo in provincia di Palermo, e vive a Bagheria, la città delle ville settecentesche. Il lavoro occupa gran parte del suo tempo ma appena può s’immerge nella lettura o nella scrittura. Ha pubblicato molti romanzi sia con piccole case editrici sia come autrice selfpublished. Un giorno da favola è uscito solo in edizione digitale con LibroMania.
LinguaItaliano
Data di uscita19 nov 2015
ISBN9788854189799
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    Anteprima del libro

    Un giorno da favola - Fabiola D'Amico

    Capitolo 1

    David fece cadere il cappotto e cominciò ad accarezzarla, partendo dalle cosce, salendo su, fino alle morbide rotondità che riempivano la sua mano; le strinse e la fece combaciare a sé, gustando la dolce pressione del corpo di lei sul proprio.

    VeloNero, Un lungo fatale ultimo addio

    Sicuramente quella non era una delle giornate migliori della vita di Francesca Galizzo. Appena prima di uscire da casa, ecco il primo imprevisto: una banalissima e fastidiosa smagliatura al collant.

    Certo, neanche rimanere bloccata in mezzo al traffico inconsulto causato da un improvviso temporale era la fine del mondo. Tanto più che se avesse dato un’occhiata al meteo, lo avrebbe saputo in anticipo e sarebbe partita prima del previsto, ma la prudenza non faceva parte del suo carattere.

    Accidenti! Guardò di sfuggita l’orologio e si disperò: pochi minuti e sarebbe arrivata in ritardo all’appuntamento di lavoro. E lei odiava arrivare in ritardo. D’altra parte, ormai era nei guai, meglio distrarsi e pensare al bacio appassionato che i protagonisti del libro che stava leggendo si erano scambiati. Già che c’era poteva leggiucchiare qualche riga mentre era ferma in mezzo al traffico.

    La fila si mosse.

    Fortunata come al solito.

    Pochi metri dopo si rese conto di essere quasi arrivata. Forse era meglio posteggiare e proseguire a piedi. Il suo sguardo frugò tra le macchine alla ricerca di un posteggio. Eccolo!

    «Ehi!», esclamò poco dopo, quando un furbastro le rubò il posto.

    Francesca batté la mano sul volante e si chiese stizzita che cosa ci facesse lei nel ventunesimo secolo; lei che aveva un animo sensibile e sognava di blasonati gentiluomini.

    Sì! Blasonati, belli e intelligenti cavalieri. Insomma gli eroi dei romanzi che leggeva. A volte aveva la certezza di essersi reincarnata in un’epoca che le era estranea.

    Mentre storceva il naso per l’ennesimo imprevisto della giornata, rifletté sul fatto che cento anni prima una donna non sarebbe stata costretta a cercare un posto in cui parcheggiare il suo landò. Qualcuno lo avrebbe fatto per lei o, laddove fosse stata una di quelle dame piene di iniziative, avrebbe trovato un uomo che le avrebbe ceduto il posto per galanteria. Cento anni fa, non certo nel ventunesimo secolo.

    Ma era inutile angustiarsi, i suoi erano solo vaneggiamenti. Proseguì imperterrita nella ricerca, dandosi della sciocca poiché non solo non era scesa dalla macchina per cantarle di santa ragione al tipo che le aveva rubato il parcheggio, anzi, non lo aveva nemmeno insultato come meritava. Perché suo padre l’aveva cresciuta facendole credere che le femmine non debbano dire parolacce? Le buone abitudini in certe situazioni sarebbe stato meglio scordarsele.

    Del tutto smarrita in quella riflessione, notò il cartello posteggio a pagamento all’ultimo istante.

    Con una sterzata degna di un’automobilista imbranata, s’immise nel garage senza mettere la freccia.

    Alle sue spalle uno strombettare di clacson.

    Le bastò uno sguardo allo specchietto retrovisore per rendersi conto che un motociclista aveva rischiato grosso a causa della sua mossa azzardata. Così, mormorò un mortificato: «Scusi!».

    Inutile, poiché aveva i finestrini chiusi e il poveretto, dopo averle rivolto le peggiori ingiurie, aveva ripreso la sua strada.

    Spense il motore della macchina con un sospiro rassegnato. Al riparo dalla pioggia e dagli uomini moderni, si guardò allo specchietto per dare un’ultima controllata al trucco.

    I grandi occhi di un particolare ed espressivo castano erano evidenziati dalla matita nera e le lunghe ciglia erano ancora più folte grazie al suo nuovo mascara. Il viso ovale era leggermente colorito da un piccolo accenno di fard e le labbra carnose erano brillanti per effetto di un profumatissimo lucidalabbra alla fragola. Aveva trent’anni, ma con lo sbarazzino taglio a caschetto ne dimostrava molti di meno. Peccato che per mantenere la piega così perfetta dovesse passare la piastra un’infinità di volte sui suoi capelli castano chiaro.

    Diede un ultimo ritocco alle labbra con il pennello del gloss e scese dalla piccola utilitaria. Sulla camicia di raso grigio perla indossò la giacca del tailleur in tinta, la cui gonna sfiorava il ginocchio e si apriva in uno spacco poco profondo sul fianco sinistro; un paio di scarpe décolleté nere, dal tacco medio, completava una mise elegante e raffinata.

    La sobrietà era qualcosa di connaturato in lei, persino quando in casa girava con malconci abiti smessi. Da parte sua non avrebbe tenuto in gran conto l’aspetto esteriore, ma era consapevole che nella vita reale l’apparenza conta. Così, quando aveva un appuntamento, tendeva a curare l’immagine in modo particolare.

    Mentre camminava sicura, non si rese conto dell’occhiata di apprezzamento che le lanciò il posteggiatore. Era troppo indaffarata a rovistare nella borsa tra l’agenda, il borsellino e l’ultimo libro che stava leggendo, Lezioni di seduzione di Emma Wildes, alla ricerca del suo bellissimo ombrello rosso a pois bianchi.

    La storia l’aveva coinvolta al punto che approfittava di ogni momento libero per andare avanti nella lettura. In verità, camminava sempre con un libro a portata di mano, giusto per ingannare il tempo nel caso in cui fosse stata costretta ad attendere momenti morti tra un appuntamento e un altro; peccato le accadesse raramente.

    In quel momento la sua mente era così concentrata sul lavoro da non pensare ad altro. Era stata chiamata in una causa di divorzio in qualità di consulente esterno. Era la prima volta, da quando esercitava la professione di sessuologa, che accadeva. Se fosse andato tutto bene avrebbero potuto aprirsi per lei nuove porte professionali. Ecco perché ci teneva a fare bella figura e ad arrivare in anticipo.

    Quando si ritrovò all’esterno del posteggio una folata di vento la investì spingendola verso il maleodorante ma sicuro garage.

    Nei pochi minuti in cui si era trattenuta al coperto, il temporale era diventato più intenso e alla pioggia si era affiancato un vento che sferzava l’acqua con forza. Sul volto di Francesca il sorriso scomparve, sostituito da un’espressione grave; afflitta, si guardò le scarpe e pensò che sarebbe arrivata in tribunale con i piedi a mollo. Armandosi di coraggio, spostò l’ombrello in diagonale e con la testa bassa attraversò la strada. Raggiunto l’altro marciapiede, cercò di camminare sotto i balconi, ma una folata rovesciò il suo parapioggia e alcuni raggi si piegarono rendendolo totalmente inservibile.

    Francesca guardò l’ombrello e le venne da piangere; osservò sconsolata il suo misero aspetto: se aveva considerato le calze smagliate come un inconveniente, quello che le stava accadendo era un vero disastro. Un flagello divino. Chiuse l’inservibile rottame, lo gettò nel cassonetto vicino e, borsa sui capelli, si apprestò con passo veloce a percorrere l’ultimo isolato. Ed ecco la ciliegina sulla torta: un dannatissimo automobilista sfrecciò su una pozzanghera e l’acqua, alzandosi come un’onda da surf, le schizzò tutta sul fondoschiena. Per interminabili secondi, Francesca rimase paralizzata, incapace di credere che tutte quelle disgrazie stessero capitando proprio a lei.

    Che male aveva fatto per meritarsi una simile sciagura?

    C’è di peggio, sussurrò il diavoletto sulla spalla sinistra. Potresti scivolare sui gradini del tribunale, fratturarti una gamba e passare mesi in trazione!.

    Non dargli retta!, rispose l’angioletto sulla spalla destra.

    Zittendo ogni altra discussione interiore, bagnata fradicia, si diresse, ormai senza alcuna fretta, verso l’entrata principale del tribunale.

    Al riparo dall’imperioso vento e dalla pioggia incessante, ebbe l’impulso, non proprio umano, di scrollarsi di dosso le gocce grondanti dai capelli. Guardò con raccapriccio la pozza d’acqua ai suoi piedi e, mortificata, si allontanò, decisa a raggiungere i bagni per darsi una sistemata.

    Tuttavia, una rapida occhiata al grande orologio la dissuase; mancavano pochi minuti all’inizio dell’udienza. Il panico sembrò impadronirsi di lei e per interminabili secondi cercò di prendere il sopravvento, ma anni di studi in psicologia lo tennero a bada. Respirando pesantemente, cercò di autoconvincersi, dicendo a se stessa: Non c’è nessuna ragione di innervosirsi, sarà capitato a molta gente di ritrovarsi nelle mie condizioni.

    Ignorando il rumore sinistro delle sue scarpe sul pavimento antico del tribunale, prese l’agenda e lesse il numero della stanza in cui si sarebbe tenuta l’udienza: diciassette.

    Oggi la sfortuna ti perseguita!, la prese in giro il diavoletto, sghignazzando.

    Ormai al limite della sopportazione, Francesca lo mise a tacere e, con aria stoica, andò incontro al suo destino.

    Christian Balardini, avvocato, era in tribunale dalle otto del mattino; oltre a due udienze, doveva depositare alcuni decreti ingiuntivi. Odiava quella parte del suo lavoro. Non tutto ciò che faceva nella sua professione di avvocato civilista era eccitante e stimolante.

    In attesa della prossima causa, sedeva su una scomoda panca, una gamba sull’altra, concedendosi il lusso di riflettere.

    Da alcuni anni la sua vita aveva subìto un radicale cambiamento. Il lavoro e la famiglia erano diventati il suo unico pensiero.

    Niente più notti brave o serate in discoteca a fare le ore piccole da quando il fratello gemello aveva perso la vita alcuni anni prima. Non era un uomo che piangeva facilmente, ma ora, spesso, sentiva il dolore martellargli nel petto. Con fatica, provò a scacciare via quei tristi pensieri concentrandosi sul caso della giornata. Aprì la ventiquattrore e prese l’incartamento dei coniugi Canfora: una separazione scomoda e certamente poco credibile. Il suo lavoro metteva in mostra il lato peggiore dell’essere umano; rarissime volte aveva assistito a separazioni quiete e indolori, dove la coppia, ormai in frantumi, non litigasse selvaggiamente per una manciata di soldi. Laddove prima aveva trionfato l’amore, ingiurie e calunnie cancellavano con un colpo di spugna anni di vita coniugale.

    L’amore! Roba da libri, da romanzi di appendice! Era più che consapevole che nella vita reale erano il dio denaro e la trasgressione ad avere la meglio sui valori morali. Quel lavoro e la gente che aveva incontrato nella vita avevano fatto di lui un uomo cinico e freddo.

    Eppure da qualche parte, la fiamma della speranza brillava ancora tenue, poiché era abbastanza sincero da ammettere con se stesso che in fin dei conti esistevano delle coppie felici. Lo erano stati i suoi genitori, tuttavia loro erano persone di un’altra generazione. Una generazione che tentava di recuperare i cocci di un rapporto piuttosto che frantumarli del tutto, come accadeva in quei giorni.

    Nessuna delle donne che aveva frequentato gli aveva mostrato un interesse sincero per i veri valori della famiglia. Avevano nel sangue il testosterone, ragionavano come uomini, pur mostrandosi avvenenti e seducenti. Erano brave a letto, ma per il resto del tutto insensibili. Non le condannava, in fondo sapeva che nell’epoca in cui vivevano, una donna doveva tirare fuori tutta la grinta per potersela cavare, ma si stava oltrepassando il limite.

    Non si sarebbe mai sposato con la consapevolezza di divorziare un anno dopo e, soprattutto, non avrebbe messo al mondo dei figli col rischio di poterli perdere per sempre. Quello che cercava in una moglie non era poi così irragionevole: avrebbe dovuto essere una donna intelligente, mediamente desiderabile, passionale, ben disposta a creare una famiglia, sincera e onesta. Non gli sembrava di chiedere troppo, allora perché non la trovava?

    Si rese conto che il suo pensiero aveva imboccato una brutta strada: quella dell’insoddisfazione. Una strada che non era solito percorrere, preferendo vivere alla giornata, senza farsi alcuna illusione.

    Per distrarsi, gettò un nuovo sguardo all’incartamento. Sorridendo ironicamente, dovette riconoscere che quella causa di separazione era abbastanza stravagante e subdola. Sì, essere single aveva i suoi vantaggi, pensò tornando al punto di partenza.

    Un insolito scricchiolio lo distrasse da quegli scomodi pensieri. Il suo sguardo si soffermò su un paio di décolleté, poi su delle caviglie tornite e risalì verso il resto della figura femminile che avanzava verso di lui.

    Niente male!

    Quando i suoi occhi si soffermarono sul viso e sui capelli, sorrise. Era bella ma fradicia. Il temporale che imperversava all’esterno doveva averla colta in pieno: l’elegante tailleur era macchiato in più parti di fango; i capelli erano bagnati e gocciolavano; il mascara si era sciolto e le aveva lasciato delle strisce nere sulle guance. Christian ebbe l’impressione di trovarsi di fronte a un cagnolino randagio, di quelli che camminano sul ciglio della strada e che ti impietosiscono tanto da farti desiderare di portarli a casa, lavarli, coccolarli. Uno di quei cagnolini che poi ti saltano addosso e ti leccano, scodinzolando felici.

    Certo, il paragone era poco lusinghiero per la donna in questione – guai a dirglielo! –, tuttavia, quando lei gli si avvicinò e Christian ebbe la possibilità di notare la forma del seno e dei glutei, ogni pensiero tenero fu sostituito da immagini eccitanti. Un interessante gonfiore della sua parte anatomica preferita lo avvisò che, per la prima volta dopo tanto tempo, desiderava con intensità una ragazza. Attrazione fatale.

    Nel frattempo, lei aveva poggiato la borsa, anch’essa inzuppata, sulla panca dove si era seduta ad aspettare; ne aveva estratto un misero fazzoletto che aveva diviso in due parti e, dopo averlo guardato con espressione contrita, aveva cominciato a pulire la giacca.

    Scuotendo la testa divertito, e porgendole una confezione sigillata, Christian esclamò: «Credi davvero che quel misero pezzo di carta possa ripulirti?».

    Lei lo fissò con gli occhi castani più belli che avesse mai visto, uno sguardo che avrebbe potuto incenerirlo; poi gli strappò dalle mani il pacchetto e, ignorando ogni forma di ringraziamento, ritornò a darsi da fare.

    Lui, per nulla intimidito, aggiunse ironico: «Basterebbe che togliessi la giacca e saresti più presentabile».

    Francesca non si degnò di rispondere allo sconosciuto che la guardava con troppa insistenza. Né gli lanciò un’occhiata del tipo: Lasciami perdere, non sono roba per te!.

    Era stata una mattinata tremenda, ci mancava solo che un arrogante idiota cercasse di abbordarla!

    Sì, arrogante, ma anche molto attraente, mormorò il diavoletto dentro di lei.

    Ma ti sembra questo il momento di soffermarsi a guardare e fare apprezzamenti su uno sconosciuto?, rispose a tono l’angioletto.

    Ogni momento è buono per guardare, soprattutto in tempo di carestia!, ribatté dispettoso l’altro.

    «Basta!», intimò Francesca al suo doppio io. A voce alta, purtroppo.

    «Che caratterino! Cercavo solo di essere gentile», soggiunse lo sconosciuto, continuando a sorriderle beffardo.

    Francesca arrossì e tornò a ripulirsi la giacca.

    Togliti la giacca!, scimmiottò tra sé e sé. Come se non ci avesse pensato! Peccato che non poteva. Maledisse la sua passione per le lingerie sexy e l’abitudine di portarla anche sotto i più rigorosi tailleur. Poteva sentire i capezzoli che, irrigiditi, tendevano il tessuto leggero della camicia. Avrebbe attirato tutti gli sguardi maschili, compreso quello di lui, che non le toglieva gli occhi di dosso.

    Anche lei per la verità sfruttava ogni momento buono per guardarlo. Niente male davvero.

    Ora che fa?, chiese l’angioletto.

    Già, perché quel tizio stava tirando fuori dalla borsa delle salviette umidificate, accorciava le distanze tra loro e tendeva la mano verso di lei?

    Dimenticando l’irritazione, Francesca lo fissò e lasciò che le sollevasse il viso. Si ritrovò a scrutare due occhi neri come la notte più buia. Intorno a lei, tutto scomparve, rimase solo l’incessante e sonoro battito del cuore, mentre lui le passava sul viso la salviettina. Francesca si sentì avvolgere dal suo profumo maschio, dal respiro caldo che sapeva di menta. Era alto, molto più di lei, tanto che dovette reclinare all’indietro il collo per poterlo osservare meglio. Aveva un viso mascolino, con la fronte spaziosa, folte e scure sopracciglia, che quasi si toccavano quando assumeva un’espressione assorta come in quel momento, un naso dritto, un mento deciso e la bocca più invitante che avesse mai visto.

    Sembra quasi che sia sul punto di baciarti, esclamò inorridito l’angioletto.

    Datti una mossa, gringo!, gridò estasiato il diavoletto, ignorando il suo avversario.

    Christian aveva agito trascinato da un moto di tenerezza. Quella donna sembrava piccola e fragile, con il viso tutto imbrattato dal trucco scolorito, quasi una novella Lolita. E indubbiamente gli faceva rimescolare il sangue. Quando cominciò a pulirle il viso, lesse nei suoi occhi il desiderio e sorrise, sicuro del suo fascino.

    Poi accadde qualcosa di irreale. Il mondo perse importanza… ebbe la sensazione di essere circondato da una nebbia fitta, che li escludeva da tutto. Erano solo loro due. I passanti che li superavano e le porte che sbattevano erano soltanto suoni indistinti.

    Abbassò il capo, la bocca a pochi centimetri

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