I giorni di Elisa. Storia di una madre e di una figlia adolescente
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Anteprima del libro
I giorni di Elisa. Storia di una madre e di una figlia adolescente - Silvia Senestro
I giorni di Elisa. Storia di una madre e di una figlia adolescente
Immagine di copertina: Shutterstoc
Copyright © 2019, 2022 Silvia Senestro and SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788728214619
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
www.sagaegmont.com
Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.
A Stefania
Ringraziamenti
Grazie a mio marito ed ai miei figli; ancora una volta avete sopportato cene sbrigative e sguardi assenti perché volevo scrivere. Agli amici che hanno letto la bozza, donandomi preziosi consigli e parole di incoraggiamento: Erica Onnis (cara amica e prima, implacabile, consigliera), Elisa Brizio, Roberto Bertinotti, Laura Garbin, Anna Maria Ronco, Cinzia Meazza, Dario Alasia, Daniela Dicu, Donatella Loi, Paola Monferrato, Claudia Piolatto Gonnella, Andrea Gonnella.
Grazie soprattutto a te che stai dentro a questa storia, che me l’hai raccontata e mi hai dato il permesso di scriverla.
Tieni conto di cosa ho fatto per amore e usami indulgenza per cosa ho fatto per forza.
Beppe Fenoglio
1.
Dal diario di Federica.
Che strano quello che succede, a volte.
Guardo il compito di greco davanti a me e sembra che le parole lampeggino.
La pagina è più chiara, poi più scura.
Sono fragile come una neonata, sono stanca come una vecchia.
Non riesco a tenere quello che ho dentro, ma non riesco nemmeno a farlo uscire.
Tutto inizia a premere, a pulsare fortissimo. Urla, urla questa roba che ho, è troppo grande per me, troppo nera, troppo pesante, troppo complicata.
E così lo faccio.
Subito è dolore che brucia. La ferita è bianca come se inspirasse. Ma un attimo dopo ecco il sangue. Prima una piccola goccia fa capolino, pare guardarsi intorno. Timida. Ma poi si fa coraggio ed esce, seguita dalla sua coda di altre gocce.
Ed è sollievo, mi lascio cullare.
Sto morendo.
Sto nascendo.
Sto andando lontano, via da qui, dalla mia scrivania, dalla mia camera, dalla mia casa, dal mio indirizzo, dal mio quartiere, da Torino, dall’Italia, dall’Universo.
Goodbye cruel world
I’m leaving you today
Goodbye
Goodbye
Goodbye.
2.
Il giorno dell’appuntamento con la psicologa di mia figlia, avevo fatto i salti mortali per arrivare puntuale.
Come sempre avevo una lista di cose da fare, prendere i fiori da portare al cimitero, controllare le scarpe di Federica che forse aveva pestato una cacca di cane, mettere il sale nell’addolcitore dell’acqua, smacchiare il tappeto e tanto altro. Ma per le tre del pomeriggio tutte le incombenze dell’elenco erano state depennate e io mi stavo vestendo per l’incontro.
Come bisogna vestirsi per andare a parlare con una psicologa, mi chiedevo mentre scorrevo gli abiti appesi nell’armadio. Non voglio sembrare sciatta ma nemmeno troppo elegante. Camicia azzurra, oggi fa caldo. Pantaloni blu. Poi scendo in garage e mi metto le ballerine blu a cui ho tolto quello stupido fiocco. Orecchini e filo di perle. No, il filo di perle no, sembra che vada a un funerale.
Il girocollo con il brillantino, raffinato e sobrio. Trucco leggero. Mi controllo allo specchio, rapida, efficiente.
Come sarà la psicologa? Federica, lieve e criptica come sempre, mi ha detto ben poco in questi sei mesi in cui l’ha frequentata. Che è diretta, che parla poco ma quando parla, parla chiaro. Che si trova bene. Che assomiglia a non so più quale attrice o scrittrice famosa. Che si chiama Enrica, quasi come lei.
L’unica psicologa che ho conosciuto in vita mia ha lo studio in via Barbaroux, vicino al negozio di fiori dove vado sempre a prendere i mazzi per il cimitero. È grassa e gioviale, passa davanti al negozio e scambia qualche battuta con la fioraia, per poi dirigersi ondeggiando nella pasticceria di fronte. Ecco come me la immagino: una bella Enricona tonda e allegra, vestita con una blusa sgargiante e una collana vistosa, un po’ etnica, un po’ woodoo, eccentrica ma elegante.
E cos’avrà da dirmi, Enricona? Al telefono è stata cordiale ma sbrigativa. Da Federica non ho saputo granché:
«Sono minorenne, per potermi seguire vi ha mandato un modulo da firmare. È normale che adesso voglia conoscervi di persona e parlare anche con voi», mi ha detto sbuffando.
In effetti aveva richiesto un incontro con entrambi i genitori, ma Gianpaolo era troppo preso dal lavoro in quel periodo, e così ci ero andata da sola. Come ai colloqui con gli insegnanti e in molti altri posti.
Federica ha diciassette anni, è un’età difficile. È ansiosa, studia tanto, si preoccupa per le interrogazioni, per le amiche, per la danza. Credo abbia avuto una cotta per un certo Alessio con lo scooter e la faccia arrapata, ma sembra le sia passata, per fortuna, e lui non le ronza più intorno.
È la prima della classe ma ha sempre paura di sbagliare, di non essere all’altezza. E queste paure difficilmente me le racconta. Le indovino dalle sue unghie smangiucchiate, dai tic, dalle levatacce all’alba per ripassare le lezioni.
Vorrà fare il punto della situazione e darmi qualche dritta, concludo mentre salgo le scale della palazzina dove si trova lo studio, non senza notare lo strato di polvere in controluce sui pianerottoli e un certo odore di stantio.
La dottoressa che mi apre la porta non assomiglia per niente alla sacerdotessa etno-chic che mi ero prefigurata. Susanna Tamaro, ecco a quale scrittrice assomiglia, mi viene in mente tutto d’un colpo. Magretta, piccola, capelli corti che sembra se li sia tagliati da sola, maglioncino infeltrito e pantaloni di fustagno fuori moda da quarant’anni e anche fuori stagione in questa giornata di tarda primavera, viso che non ha mai conosciuto un’ombra di fard o di rossetto, occhialetti leggeri, occhi limpidi che ti fanno la radiografia. Sembra lesbica, penso fra me e me, vergognandomi subito dopo per un pensiero tanto sciocco e inopportuno.
Enrica si presenta e senza cerimonie mi fa accomodare, venendo subito al dunque. Sbircio la stanza intorno a me per ambientarmi, alla ricerca di qualche riferimento; vedo libri in una libreria, polvere, la scrivania fra noi in disordine, oggettini poco identificabili.
«Signora, la ringrazio per essere venuta. Come sa, seguo Federica da circa sei mesi e a questo punto avevo proprio piacere di parlare con lei e con suo marito, di conoscervi e di affrontare insieme alcuni aspetti, o perlomeno di farveli presenti».
Rimarca suo marito
. E anche l’ultima frase. Mi sembra di cogliere una nota di rimprovero. Lei, che parla con mia figlia un’ora la settimana da sei mesi, vuole farmi presenti degli aspetti? Mi sento a disagio, muovo gli occhi a destra e a sinistra per familiarizzare con l’ambiente, per trovare appigli. La stanza è poco illuminata, forse per celare la sporcizia, sento la libreria e la scrivania come ostili. Semmai io, che sono sua madre, potrei fare presenti degli aspetti a lei, penso.
E invece dico: «Bene, certo, grazie, mi dica pure, anch’io avevo piacere di conoscerla, mio marito sarebbe venuto tanto volentieri ma purtroppo con il lavoro...».
«Federica è una ragazza molto sensibile e intelligente», mi dice come se non avesse neanche sentito la mia accorata frase senza predicato verbale.
Annuisco, certo lo so.
«Ma è anche molto introversa e difficilmente permette agli altri di conoscere le sue emozioni e i suoi sentimenti».
«Eh lo so, — commento — è un po’ una caratteristica di famiglia...».
Inizio a sentirmi un po’ sollevata: si parla di dialogo, di manifestare i sentimenti e di menate da psicologo. Dimmi cosa vuoi dirmi e facciamola finita, penso.
«Immagino».
Gli occhi di Enrica mi fissano e paiono restringersi.
«Federica ultimamente si è chiusa a riccio e, da quel che ho potuto constatare nel corso delle nostre sedute, voi genitori siete completamente all’oscuro della sua situazione emotiva. — una pausa piuttosto lunga — Mi riferisco ad una situazione di sofferenza, signora».
Taccio, sorpresa. Sofferenza.
«Trovo che la situazione in questo momento sia preoccupante, signora. Per questo ho chiesto e insistito con Federica per poterne parlare con voi genitori. Lei alla fine ha acconsentito. Non sarebbe riuscita a parlarvene direttamente lei. E così eccoci qua».
Sofferenza.
«Vorrei metterla a parte di una situazione difficile per sua figlia, signora».
Mi sembra che con questi signora
voglia tenermi, ma io sento che sto per cadere lo stesso.
I suoi occhi ora mi pungono senza volerlo. Entrano come un amo e agganciano qualcosa di profondo alla base del mio stomaco.
«Ma... — balbetto — ma a cosa si sta riferendo scusi? Federica non ci ha mai fatto capire di trovarsi in una situazione così difficile: la scuola, va bene, è un tipo ansioso, ma, questa sofferenza, io non capisco...».
«Il problema purtroppo va ben oltre, signora», certo ormai