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La «maestria» didattica nella scuola primaria
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La «maestria» didattica nella scuola primaria
E-book283 pagine3 ore

La «maestria» didattica nella scuola primaria

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Info su questo ebook

La maestrìa è la perizia da maestro. Può essere anche la perizia del maestro di scuola primaria? A quali condizioni  può dirsi tale? Come  si esprime, tra alunni, discipline, famiglia, altri colleghi e ambiente? Dove si impara, come si coltiva? L’opera “magistrale” deriva da una consapevolezza profonda, da una conoscenza acuta, da una pratica riflessa e giudicata. Altrimenti si riduce a tecnicismo estrinseco o a maternage. La maestria è dovere e spazio di eccellenza didattica per ogni insegnante, rispetto ed espressione dell’integralità propria e altrui, frutto di un lungo apprendistato che comincia molto prima di quanto si creda, e mai concluso. È l’esercizio di un rapporto, del quale il libro si propone di mettere in evidenza i caratteri costitutivi.
LinguaItaliano
Data di uscita24 mag 2018
ISBN9788838246951
La «maestria» didattica nella scuola primaria

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    La «maestria» didattica nella scuola primaria - Cristina Casaschi

    Cristina Casaschi

    LA «MAESTRIA» DIDATTICA NELLA SCUOLA PRIMARIA

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Realizzato con il contributo del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Bergamo

    Copyright © 2018 by Edizioni Studium - Roma

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838246951

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Introduzione

    I. Questione di stile

    1. Che cosa è (davvero) necessario che un insegnante sappia?

    2. Di che cosa un insegnante deve tenere conto

    3. Che cosa accade nella realtà della scuola primaria, oggi

    4. Paradigmi, metodologie, strategie

    5. Una questione di stile

    6. Un bel film e una buona lettura

    II. Per una didattica integrale

    1. L'attrattività della realtà

    2. L'integralità del bambino

    3. Semplicità, complessità, semplessità

    4. Frattali e ologramma

    5. La didattica come via d'accesso alla scoperta dei fil rouge

    6. Un bel film e una buona lettura

    III. Favorire il bambino competente: pensiero, azione e relazione

    1. Una scuola deformante

    2. Una scuola performante

    3. Una scuola formativa

    4. Sette spose per sette fratelli: sette regole didattiche non scritte

    5. Un bel film e una buona lettura

    IV. Una didattica concreta

    1. Significato e forme dell’alternanza formativa nella scuola primaria

    2. I percorsi della ricerca e dell'indagine

    3. L’esperienza della scoperta e la sua formalizzazione: nel săpĕre il sapere

    4. Più che un curricolo, un nocchiero in mare aperto

    5. Un bel film e una buona lettura

    6. Un sospeso...

    Conclusioni

    Indice dei nomi

    CULTURA

    Studium

    125.

    C ristina Casaschi

    LA «MAESTRIA»

    DIDATTICA NELLA SCUOLA PRIMARIA

    Io stesso imparavo con loro.

    J.H. Pestalozzi, Lettera ad un amico sul proprio soggiorno a Stans

    Introduzione

    L'abbondanza

    È questo, oggi, il principale elemento di contesto che impatta sulla vita dei bambini, e non meno degli insegnanti.

    A fronte del decremento di alcune risorse fondamentali, l’incremento della disponibilità di risorse, servizi e prodotti, anche interattivi, del più svariato genere, nonché del potere di disponibilità individuale e sociale dei beni materiali e immateriali (reale o presunto), sono cifre della contemporaneità, almeno nelle società cosiddette avanzate [1] . In effetti non sempre le risorse si incrementano, come è nel caso di quelle naturali, né il potere di disporne si amplia in termini proprietari o responsabili; spesso ci si limita ad un mero utilizzo. Ma questa evidenza di carattere macroeconomico e tendenziale, pur declamata ai quattro venti in occasione dei periodici fori dei grandi della terra [2] , non arriva ancora nella quotidianità della vita di ciascun cittadino, limitiamoci a dire italiano.

    L’immersione nell’abbondanza, reale o virtuale, è totale. Non è detto, tuttavia, che si tratti di una copiosità destinata a divenire ricchezza individuale così come la intendeva A. Smith: «ogni uomo è ricco o povero secondo la misura in cui può permettersi di godere delle necessità, dei comodi e dei piaceri della vita umana» [3] , né a costituire ricchezza orientata al bene comune e al bene relazionale [4] .

    Si tratta piuttosto di un proliferare delle opportunità e delle opzioni che frequentemente, per le loro caratteristiche di accesso, invece di ridurre ampliano la forbice dell’esclusione sociale [5] , invece che creare patrimonio portano alla dilapidazione nella prospettiva del consumo, invece che focalizzazione causano dispersione, invece che portare ad una comprensione profonda e conseguentemente ad una partecipazione proattiva alla realtà conducono ad un utilizzo passivo di tecnologie di ogni tipo delle quali non si è più in grado di disporre della ratio [6] .

    Quanto più, paradossalmente, l’accesso alla risorsa è facile, tanto più il suo valore soggettivo od oggettivo – se di valori oggettivi si possa parlare – e il suo utilizzo rischiano di essere banalizzati e manipolati con scarsa consapevolezza. Ne è certamente un esempio la fruizione dei dispositivi di tecnologia digitale, Giano bifronte tra ampiezza e superficialità [7] , o la disponibilità di merce, abbigliamento ad esempio, a poco prezzo, buttata via invece che aggiustata alla prima smagliatura, e non di meno la mole di informazioni cui siamo esposti come ad un bombardamento.

    Il tema del valore, della valenza personale e sociale, ma anche culturale, affettiva, cognitiva, relazionale, scientifica di una produzione umana, materiale o immateriale che sia, si intreccia in modo naturale con la funzionalità, ma spesso i due aspetti tendono a sovrapporsi e le crasi che sul piano didattico possono sorgere da questo equivoco sono molteplici e tracciano una china che nella società interroga da vicino l’organizzazione del sistema scuola la funzione docente e: se, come ammonisce I. Kant, «Il valore della cosa è fondamento dell’utilità», e non viceversa, e «La dignità è il valore intrinseco, che si fonda sul compiacimento per la cosa stessa», è pur vero che «Cose, che sono eterogenee, possono avere valore uguale se sono omogenee quanto all’utilità. Il valor delle cose non consiste nella loro qualità, bensì nell’opinione che si ha dell’utilità della cosa [ ]» [8] . Allo stesso modo, tuttavia, l’autore rammenta che la virtù non ha equivalente, non ha un prezzo, bensì una dignità.

    Nelle scelte che una scuola compie l’ampiezza di queste tematiche esplode nei fatti, ma rimane implicita nelle sue ragioni di fondo. Come scelgo le attività da svolgere, i contenuti da trasmettere, le abilità da costruire, le competenze da promuovere, le capacità da elicitare? Che cosa, davvero, arricchirà gli alunni e, attraverso di essi, l’intera società? Ciò che sarà utile o ciò che permetterà loro di dare piena espressione alla personale dignità umana? E le due cose possono coincidere? «La ricchezza economica di un popolo non consiste propriamente nell’abbondanza dei beni, misurata secondo un computo puro e materiale del loro valore, ma in ciò che tale abbondanza rappresenti e porga la base materiale sufficiente allo sviluppo personale dei suoi membri; altrimenti il popolo, non chiamato a parteciparne, non sarebbe economicamente ricco, ma povero » [9] .

    La rilevanza della questione potrebbe essere trattata a più livelli; qui si è scelto di affrontarla dal punto di vista didattico e pratico, per sostenere un necessario e improrogabile riorientamento della organizzazione scolastica e della professionalità docente che, nella scuola primaria, si è trovata trasportata in un flusso di piccoli e progressivi spostamenti di compito certamente stimolanti ma non necessariamente qualificanti.

    Nel ripercorrere l’analisi critica sia di carattere storiografico che pedagogico relativa alla figura del maestro, anche limitandoci agli ultimi cinquant’anni, si osserva una evoluzione non ancora pienamente focalizzata sugli aspetti di trasformazione implicita, e per ciò stesso poco riflessa, che hanno caratterizzato l’evoluzione del suo compito istruttivo ed educativo [10] . La trasformazione, che per le naturali evoluzioni della storia sociale, economica e culturale di un Paese ha certamente investito tutte le figure docenti, riguarda in particolare il maestro e la maestra di scuola primaria che si trova, nel rispetto del mandato giuridico che connota la sua funzione, a doversi posizionare in modo organico tra fedeltà all’epistemologia disciplinare di ciò che insegna, rispetto delle peculiarità di chi ha davanti, dimensione istituzionale e sociale del suo ruolo. Equilibrio non facile, soprattutto se interrelato con l’evidenza e la innegabile complessità dell’abbondanza cui sopra si è fatto cenno.

    A che cosa dare priorità nel magistero quotidiano? Perché è evidente che non è sempre né vero né possibile che tutto ciò che, oggi, è definito prioritario per la scuola (insegnare – costituirsi come comunità di pratica – promuovere apprendimenti e competenze – essere aggiornati sugli sviluppi scientifici delle discipline – personalizzare – individualizzare – valutare – educare – collaborare – interfacciarsi proattivamente con famiglie e territorio – selezionare metodologie e strategie) possa essere davvero olisticamente e concretamente contemperato, tanto più oggi, quando su ognuna delle azioni elencate è disponibile un sapere davvero enciclopedico, che neanche gli illuministi avrebbero potuto pensare di rendere acquisibile da ciascuno.

    Occorre fare delle scelte, e per compiere scelte bisogna aver chiaro qual è il punto di partenza, qual è la meta, quali le insidie o le attrattive del percorso.

    Nel lavoro del docente il cuore di tutta questa dinamica è la didattica. In essa si gioca l’alchimia che può portare a sintesi trasformativa una pluralità di elementi così come può giustapporli in un’accozzaglia confusiva che genera malessere professionale [11] e rischia di incrementare confusività più che apprendimenti significativi negli alunni [12] .

    In questo scenario il testo si propone quindi di offrire ai docenti in servizio una serie di spunti di riflessione che possano orientare ciascuno nell’identificazione dei punti di salienza e di eccellenza della propria competenza didattica e nella focalizzazione di quali elementi, invece, implementare identificando una direttrice di sviluppo personale in chiave formativa, per la quale cioè si scelga «criticamente, come e in quanto uomini, in tutti i campi della vita e dell’esperienza umana (lavoro compreso, ovviamente), nei modelli di umanità resi disponibili dalla storia e dalla cultura, la propria peculiare forma nella quale realizzarsi in intenzionalità, lógos, libertà, responsabilità. Formar- si come trasformar- si in maniera protagonistica nel mondo, in altre parole per decisione e maturazione personale» [13] .

    La didattica, tuttavia, non è più (se mai lo sia stata) solo la didattica del docente in classe, bensì selezione delle opportunità, collaborazione interprofessionale, apertura in continuità verticale e orizzontale; la riflessione quindi si offre anche ai dirigenti scolastici affinché la loro opera manageriale non dimentichi la necessità di costituirsi quale leadership educativa di riferimento e di confronto per i docenti, insieme impegnati nella costruzione di una identità, di una forma della scuola. In essa attenzioni diffuse, quelle macroevidenti come gli interventi architettonici e quelle microdinamiche come le piccole scelte che passano inosservate se considerate singolarmente ma strategiche se considerate nella loro forza della gutta caveat lapidem, rimettano al centro non l’insegnamento, non l’alunno, non il sapere, non la costruzione della conoscenza – centrature che i filoni pedagogici sviluppatisi nella storia hanno messo a fuoco di volta in volta – bensì l’interrelazione generativa tra tutti questi elementi, nel rispetto dell’integralità e quindi dell’organica interezza di ciascun membro della comunità scolastica, così come della realtà tutta.

    L’obiettivo è umile, circoscritto e finalizzato, più che a dare risposte, ad accendere domande le cui risposte ogni professionista o professionista in formazione potrà trovare nell’analisi critico-riflessiva della propria pratica, nel confronto collegiale, nell’approfondimento teorico-scientifico.

    Occorrerà, dunque, sfrondare, andare all’essenziale, perché ritornando alla nudità e guardandosi allo specchio ciascuno possa scegliere quale maschera indossare, quale persona essere, quale maestro diventare.


    [1] S. Zamagni, Il consumatore socialmente responsabile: note sulla Caritas in veritate, in «Consumatori, diritti e mercato», 1 (2010), pp. 111-118.

    [2] Da intendersi qui come Gruppi G7 (composto da Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti, G8 con la componente Russia) e G 20 (nel quale, ai Paesi del G7/8, si aggiungono Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Sud Africa, Sud Corea, Turchia, Unione Europea), ovvero gruppi intergovernativi che mettono in dialogo i leader dei Paesi più industrializzati tra loro e con quelli considerati in via di sviluppo.

    [3] A. Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni [1776] tr. it., Newton Compton, Roma 1995, p. 82.

    [4] S. Zamagni, L’economia del bene comune, Città Nuova, Roma 2007, in particolare pp. 38-46.

    [5] S. Nobile, Fiducia e partecipazione sociale e i Neet, in Generazioni sospese. Percorsi di ricerca sui giovani Neet, a cura di M.S. Agnoli, Franco Angeli, Milano 2014, p. 221.

    [6] Il problema riguarda anche i docenti: Didattica e tecnologie 2.0, a cura di A. De Piano, G. Gaino, Libreriauniversitaria, Limena (PD) 2016, p. 69.

    [7] AgCom (Autorità Garante per le Comunicazioni), Libro bianco media e minori 2.0. Review, 2018, url: https://www.agcom.it/documents/10179/9285349/Documento+generico+16-01-2018/17e4f243-daa2-435f-a78f-b1e30755edbc?version=1.0 ultima consultazione 15-2-2018.

    [8] E. Kant, Lezioni sul diritto naturale [1784], tr. it. con testo a fronte a cura di N Hinske, G. Sadun Bordoni, Bompiani, Miano 2016 p. 151.

    [9] G. Vigorelli, Introduzione, in F. Botturi, La ricchezza del bene comune, Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa – Università Cattolica del Sacro Cuore, Quaderno n. 29 (2008), p. 5. L’autore si riferisce al discorso pronunciato nella festa di Pentecoste del 1941 da Papa Pio XII in occasione del cinquantesimo anniversario dell’enciclica sciale di Leone XIII, la Rerum Novarum.

    [10] Indicativa in questo senso la consultazione di contributi quali, ad esempio D. Bertoni Jovine, Cultura generale e professionale del maestro, in «Scuola e Città» 6-7 (1965), pp. 412-414. A metà degli anni Sessanta del secolo scorso si avviò un vivace dibattito culturale sulla valutazione di opportunità della formazione universitaria dei maestri elementari, dibattito che cessò in concomitanza con il ’68 ma che permise di mettere a fuoco l’attuale per allora figura del maestro elementare. Ancora, con l’obiettivo di restituire «alla famiglia magistrale una memoria complessiva»: C. Betti, Maestre e maestri. Percorsi storiografici dal secondo dopoguerra al nuovo millennio, in «Annali online della didattica e della formazione docente», Vol. 8, 12 (2016), p. 17; A. Santoni Rugiu, Maestre e maestri. La difficile storia degli insegnanti elementari, Carocci, Roma 2006.

    [11] Sono ormai conclamate l’esistenza di sindromi stress lavoro correlate e la manifestazione bornout nella categoria docente. Si veda a riguardo, tra altri, A.M. Murdaca-P. Oliva-A. Nuzzaci, Fattori individuali e contestuali del burnout: una ricerca descrittiva sugli insegnanti curricolari e di sostegno, in «Italian Journal of Educational Research», VII, 12 (2014).

    [12] Il campo di ricerca su questo tema è aperto ma non ha ancora prodotto risultati significativi giacché è impossibile isolare variabili di campo che permettano di verificare con sufficiente affidabilità questa ipotesi. Al momento le ricerche a riguardo si concentrano sul rapporto tra insegnamento e apprendimento delle lingue straniere, della matematica e sui fattori emotivi implicati nel processo.

    [13] G. Bertagna, Dall’educazione alla pedagogia. Avvio al lessico pedagogico e alle scienze dell’educazione, La Scuola, Brescia 2010, pp. 380-381.

    I. Questione di stile

    Chi è il docente, e quale è la funzione che esso svolge? Il Testo Unico delle disposizioni in materia di istruzione risponde così: «La funzione docente è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della personalità» [1] . Nel medesimo testo legislativo, all’art. 1, commi 1, 2 e 3 si garantisce «la libertà di insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente. L’esercizio di tale libertà è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni. È garantita l’autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca». Tale libertà ed autonomia di contenuto, orientata allo scopo esplicitato, ha come vincolo di esercizio quando indicato al comma 1 dell’art. 2: «L’azione di promozione di cui all’articolo 1 è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni». Entra più nel dettaglio il Contratto collettivo del lavoro, la cui cogenza è però relativa solo a coloro che operano nelle scuole statali. Già quanto asserito nel testo di legge, incastonato naturalmente nel dettato costituzionale degli artt. 21 e 33 comma 1 della Costituzione, è più che sufficiente per far tremare le vene ai polsi di chiunque si affacci al compito.


    [1] D. Lgs. n. 297/1994 Art. 395. L’articolo, come noto, procede così al comma 2. «I docenti delle scuole di ogni ordine e grado, oltre a svolgere il loro normale orario di insegnamento, espletano le altre attività connesse con la funzione docente, tenuto conto dei rapporti inerenti alla natura dell’attività didattica e della partecipazione al governo della comunità scolastica. In particolare essi: a) curano il proprio aggiornamento culturale e professionale, anche nel quadro delle iniziative promosse dai competenti organi; b) partecipano alle riunioni degli organi collegiali di cui fanno parte; c) partecipano alla realizzazione delle iniziative educative della scuola, deliberate dai competenti organi; d) curano i rapporti con i genitori degli alunni delle rispettive classi; e) partecipano ai lavori delle commissioni di esame e di concorso di cui siano stati nominati componenti».

    1. Che cosa è (davvero) necessario che un insegnante sappia?

    Un insegnante deve sapere davvero tante cose. L’insegnante di scuola primaria è chiamato, e non a caso, ad affrontare un percorso formativo abilitante quinquennale fino al conseguimento della laurea magistrale e chiunque eserciti già come docente sa che nemmeno questo è sufficiente, giacché giocare la partita sul campo rende evidenti regole non scritte altrettanto cogenti di quelle messe a norma.

    Secondo norma vigente

    L’ iter formativo del docente di scuola primaria è oggi regolamentato dal D.M. n. 249/2010 [1] . Gli artt. 2 e 3 indicano gli obiettivi della formazione iniziale degli insegnanti e le competenze alla cui acquisizione essa è preordinata.

    La formazione iniziale «è finalizzata a qualificare e valorizzare la funzione docente attraverso l’acquisizione di competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali necessarie a far raggiungere agli allievi i risultati di apprendimento previsti dall’ordinamento vigente» e prevede l’acquisizione da parte dei futuri docenti le competenze necessarie allo sviluppo e al sostegno dell’autonomia [2] , competenze queste che «costituiscono il fondamento dell’unitarietà della funzione docente».

    Ma non ci si ferma qui; vengono considerate necessarie ai fini del raggiungimento degli obiettivi sopra indicati anche l’acquisizione delle competenze linguistiche di lingua inglese livello B; di competenze digitali (che vengono dettagliate), anche in prospettiva di accessibilità, di competenze didattiche atte a favorire l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità.

    Nell’Allegato A al provvedimento si esplicita ulteriormente l’importanza per il laureato, e quindi abilitato all’insegnamento, di «aver acquisito solide conoscenze nei diversi ambiti disciplinari oggetto di insegnamento e la capacità di proporle nel modo più adeguato al livello scolastico, all’età e alla cultura di appartenenza degli allievi con cui entreranno in contatto. A questo scopo è necessario che le conoscenze acquisite dai futuri docenti nei diversi campi disciplinari siano fin dall’inizio del percorso strettamente connesse con le capacità di gestire la classe e di progettare il percorso educativo e didattico. Inoltre essi dovranno possedere conoscenze e capacità che li mettano in grado di aiutare l’integrazione scolastica di bambini con bisogni speciali».

    Si dichiarano necessari il possesso di conoscenze disciplinari negli ambiti linguistico-letterari, matematici, di scienze fisiche e naturali, storici e geografici, artistici, musicali e motori nonché di capacità pedagogico-didattiche, relazionali e gestionali. Occorre che il docente abilitato sia in grado di articolare i contenuti disciplinari in rapporto al contesto di esercizio della professione identificando gli strumenti più adeguati e partecipando attivamente alla gestione della scuola, in prospettiva collegiale e aperta al territorio. Se si vogliano poi analizzare le conoscenze di dettaglio specificate, si noterebbe che esse vanno dall’elettrostatica alla neuropsichiatria infantile, dal diritto all’arte, dalla letteratura alla matematica applicata.

    Un profilo coerente al suo interno, ma certamente molto ampio e articolato.

    Pas sato (prossimo)

    Tutti vorremo aver avuto un maestro o una maestra così colto e competente.

    Eppure, dal momento che il 55% degli insegnanti di scuola primaria italiana supera i cinquant’anni di età [3] , molti degli insegnanti in servizio non hanno ricevuto questa istruzione terziaria, ma si sono limitati all’acquisizione del diploma magistrale.

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