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Henry Patenson: Il buffone di sir Thomas More
Henry Patenson: Il buffone di sir Thomas More
Henry Patenson: Il buffone di sir Thomas More
E-book357 pagine4 ore

Henry Patenson: Il buffone di sir Thomas More

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Info su questo ebook

Chiunque abbia avuto un contatto, se pur superficiale con la vita di Thomas More, difficilmente si sarà lasciato sfuggire l’occasione di ammirare la figura e le gesta di Henry Patenson, nonché domandarsi come sia stato possibile che quest’uomo abbia potuto trovare un posto così importante nel cuore e nella vita del più illustre statista inglese del cinquecento? Come mai un uomo apparentemente così integro e severo abbia voluto per sé e per la sua famiglia un servo di così evidente insanità mentale che risiedesse stabilmente nella sua casa e che lo accompagnasse in viaggi ufficiali di rilevanza strategica per il regno d’Inghilterra? E soprattutto non si può evitare di chiedersi se l’attitudine all’allegria di More sia stata influenzata in qualche misura dall’uomo che storicamente sarà ricordato come il buffone di sir Thomas More, o viceversa se l’identità del buffone prenderà forma in Henry alla scuola dell’allegria del suo amato padrone?
LinguaItaliano
Data di uscita16 lug 2018
ISBN9788838247231
Henry Patenson: Il buffone di sir Thomas More

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    Henry Patenson - Giuseppe Gangale

    Giuseppe Gangale

    Henry Patenson

    Il buffone di Sir Thomas More

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Copyright © 2018 by Edizioni Studium - Roma

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838247231

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Introduzione

    I. Una casa fuori del comune

    1. Personaggi di genio e vivacità

    2. La notorietà di Mastro Henry

    3. La salute e i beni di John Shaw

    4. La custodia di John Moreton

    5. I pazzi di Bedlam

    6. La correzione del matto

    7. Simpatia e carità per i pazzi

    II. L'allegria alla corte di Sir Thomas More

    1. La sobria allegria

    2. Una spassosissima favola

    3. Sui piacevoli campi della modestia

    4. Una lezione di umorismo

    5. Il dialogo sulla felicità

    6. L’allegra casa di North Mymms

    7. Il teatro domestico moreano

    8. I Cento racconti allegri

    9. La scena di Patenson

    10. Il pazzo del signor Moro

    11. Alla tavola di More

    III. I giullari d'Inghilterra

    1. Idioti, artisti e altro ancora

    2. Il fool nell’isola di Utopia

    3. L’intelligenza del pazzo

    4. Il mestiere di far ridere

    5. La derisione del potere

    6. La leggerezza al governo

    IV. Il compagno dell'ambasciatore

    1. Uno spiacevole ufficio

    2. Una casa in viaggio

    3. Una missione piuttosto politica

    4. Il proclama di Henry Patenson a Bruges

    5. La follia di Henry contro la follia di Barnes

    6. Davy l’olandese

    7. Al servizio di servi e amici

    V. Il ritratto di un re

    1. Il dittico di Quentyn Metsys

    2. Holbein in Inghilterra*

    3. Il ritratto della famiglia

    4. Erasmo rivede l'intera famiglia

    5. Il ritratto di un re o di un pazzo

    6. Le annotazioni sullo schizzo a penna

    7. Thomae mori morio

    8. Erasmo e Patenson

    9. L'idea del ritratto

    VI. Il congedo

    1. La notizia di Stapleton

    2. I tempi dell’indigenza

    3. Lo diede a suo padre

    4. Lo allontanò dalla sua tavola

    5. Un bene all'anima

    6. L'allegria sul patibolo*

    VII. Patenson dopo More

    1. Una nuova casa per Henry

    2. Patenson nel Chamberlain’s account

    3. La notizia della sepoltura

    4. Le copie dell’Holbein

    5. La diffusione della memoria

    6. Patenson nella miniatura

    7. Il caso Ireland

    8. Il sonetto di William Henry Ireland

    9. William discepolo di Patenson

    10. L’inginocchiatoio di Chelsea

    11. La tentazione della follia

    Indice dei nomi

    CULTURA

    Studium

    131.

    Biblioteca moreana / 5.

    G iuseppe Gangale

    HENRY PATENSON

    Il buffone di sir Thomas More

    INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI

    Hans Holbein, Thomas More, 1527, Frick Collection New York

    Studio per il ritratto della famiglia di Thomas More, c. 1527, di Hans Holbein (Kunstmuseum Basilea)

    La lezione della moglie, Disegno a matita e caffè di Giuseppe Capoano, 2010

    Enrico VIII e la sua famiglia, Anonimo (1545)

    Incisione di Will Sommers di Francis Delaram c. 1615-1624

    Il proclama di Henry Patenson a Bruges, Disegno a matita e caffè di Giuseppe Capoano, 2010

    Roland Lockey, Sir Thomas More e la sua famiglia, Nostell Priory, 1592

    Ricostruzione virtuale della tavoletta a forma dittico rappresentante Erasmo da Rotterdam e Peter Gilles, Quentyn Metsys, 1517

    Autoritratto di Hans Holbein, 1542

    Ingrandimento della pagina aperta del libro poggiato sulle ginocchia di Margaret Roper

    St Lawrence Jewry, Londra

    Roland Lockey, Sir Thomas More e i suoi discendenti, 1593, National Portrait Gallery, Londra

    Roland Lockey, Sir Thomas More e i suoi discendenti, 1593, Victoria and Albert Museum, Londra

    Ernst Thesigher, Inginocchiatoio in mostra nella chiesa parrocchiale di Chelsea

    Introduzione

    Non è raro studiando la storia di illustri personaggi imbattersi nella presenza di figure secondarie, addirittura ai limiti della narrabilità, a causa della mancanza di fonti storiche di riferimento, che hanno reso grandi se non memorabili coloro che gli sono stati accanto.

    A volte, a causa della fitta rete che si crea di relazioni interpersonali, sembra che si riesca a percepire meglio la complessità di un personaggio del passato studiando chi gli sta vicino piuttosto che interrogando le fonti a lui contemporanee.

    In realtà la ricerca nel vissuto può rivelarsi un efficace metodo storiografico complementare quello tradizionale, nella misura in cui ci permette di studiare e valutare una vita attraverso gli occhi di un’altra vita, una figura attraverso la figura di chi gli sta intorno.

    Sostanzialmente si tratta di considerare essenziale nella ricerca scientifica il contesto esistenziale e psicologico in cui un determinato personaggio o evento ha preso origine, formazione e sviluppo.

    Se questa premessa è valida le scarne notizie su Henry Patenson, il cosiddetto buffone di sir Thomas More, riscontrabili nelle fonti storiche moreane, così scarne da non poter assolutamente ricostruire una biografia, nella misura in cui mettono in luce la sua persona aprono nuovi spiragli sul grande Lord Cancelliere d’Inghilterra e santo per la chiesa cattolica e anglicana.

    Chiunque abbia avuto un contatto, se pur superficiale con la vita di More, difficilmente si sarà lasciato sfuggire l’occasione di ammirare la figura e le gesta di Henry Patenson, nonché domandarsi come sia stato possibile che quest’uomo abbia potuto trovare un posto così importante nel cuore e nella vita di Thomas More? Come mai un uomo apparentemente così integro e severo abbia voluto per sè e per la sua famiglia un servo di così evidente insanità mentale che risiedesse stabilmente nella sua casa e che lo accompagnasse in viaggi ufficiali di rilevanza strategica per il regno d’Inghilterra? E soprattutto non si può evitare di chiedersi se l’attitudine all’allegria di More sia stata influenzata in qualche misura dall’uomo che storicamente sarà ricordato come il buffone di sir Thomas More, o viceversa se l’identità del buffone prenderà forma in Henry alla scuola dell’allegria del suo amato padrone?

    Probabilmente la considerazione e l’approfondimento di questo modello è da cercare nella cultura tipica dell’epoca in cui buffoni di corte e domestici avevano un loro ruolo nella società e una particolare dignità esistenziale che veniva generalmente riconosciuta e rispettata. Nel caso di Thomas More la presenza di Patenson sembra andare oltre questo genere di fenomeno e considerazione. Essendo legata indissolubilmente a un aspetto identificativo della personalità dell’illustre cancelliere, il loro incontro è come se fosse servito da una parte a riflettere e rafforzare un’attitudine molto sentita della natura di More e dall’altra dare dignità e valore a un’umanità ferita ma capace di grandi prestazioni.

    Quanti conoscono la vita del grande umanista inglese non possono ignorare quel suo inimitabile spirito ludico che divertiva tutti e attraverso il quale egli governava la casa e la nazione. Se ci sono delle certezze sulla sua personalità questa è proprio una di esse. Non c’è biografia antica o recente che non metta in evidenza questo lato del suo carattere, con delle vere e proprie dissertazioni sul tema in questione, oppure riportando episodi burleschi e battute canzonatorie che lo vedono in azione. Erasmo è tra quelli che più di tutti sottolinea la sua carica di simpatia e di gaiezza, il suo gusto per gli scherzi e per le battute ingegnose, senza risparmiarsi nell’autoironia. Scherzare per lui non era un peso ma un piacere. Non rientrava nemmeno in un programma di tipo educativo per il personale della sua casa. Si trattava di qualcosa che gli veniva del tutto naturale e spontaneo, un vero e proprio atteggiamento dell’anima.

    Un aspetto della vita e della personalità di Thomas More che, pur non essendo stato trascurato dai biografi sicuramente non è stato esaminato nella sua giusta dimensione. Sembra infatti dalle biografie a lui contemporanee e anche moderne che l’allegria e il buon umore per More fossero una specie di concessione che un’anima dalla elevata tempra spirituale facesse a se stesso e alla sua famiglia, così come tenere in casa un pazzo che si divertiva a recitare la parte del buffone fosse un diversivo per l’intensa attività di studio e di preghiera di quella straordinaria comunità.

    In effetti il primo biografo di More, William Roper, marito della figlia Margaret, non disse nemmeno una parola di quella sua carica di simpatia e di gaiezza, della sua attitudine per gli scherzi e per l’ironia; similmente Thomas Stapleton nella sua monumentale biografia dell’illustre Cancelliere d’Inghilterra, dopo aver deliziato il lettore con il tredicesimo capitolo sulle ironie, detti o risposte acute o argute, conclude scrivendo: «Ma passiamo ora a doni di Thomas More migliori e più alti», intendendo quelli della saggezza e della pietà e devozione.

    Non sortisce nessun effetto da questo punto di vista la riscoperta di Thomas More nei primi decenni del Novecento. Anche la più importante biografia, di sempre forse, quella di Chambers non mette in risalto questo fondamentale aspetto della sua personalità.

    Da qualsiasi punto di vista si cercasse di studiare il pensiero e la vita di Thomas More sarebbe sempre incompleta qualora si dovesse prescindere dal significato che aveva per More la gaiezza della vita.

    «Merry era la parola che sir Thomas aveva frequentissimamente sulle labbra…Tuttavia egli non acquistò la gaiezza, come altri fanno, chiudendo gli occhi all’inevitabile marea delle cose. Egli la conquistò perché nella vita aveva già conquistato la morte... Egli poteva amare le cose che passano, perché la sua affezione era fissata su cose che non passano» [1] .

    Se si guarda a More con occhi e con cuore non predeterminati dalla critica conservatrice o dal pensiero devozionale si scopre un uomo per nulla in conflitto con le realtà terrene. Anzi il sereno apprezzamento dei beni terreni, il suo razionale equilibrio gli ispirarono la massima apertura verso tutto ciò che possono dare la cultura, gli affetti, ogni retta attività dell’uomo. La stessa docilità con cui, al momento della prova, egli si dispose pacatamente ai voleri di Dio aveva il suo naturale presupposto in quell’apertura umana e in quel felice equilibrio che avevano improntato la sua vita familiare e civile.

    Forse, diversamente da tanti saggi del suo tempo e di oggi, More era consapevole che i beni del mondo sono i beni di Dio e goderli non gli creava sensi di colpa, anzi gli indicava la prospettiva soprannaturale cui tutto quello doveva essere riportato, e, se necessario, sacrificato senza rimpianto, anche se non senza dolore, dimostrando così che la santità non ha niente di alieno, o tanto meno di antitetico, alla pienezza della natura umana. Tommaso Moro aveva realizzato nel modo più completo la propria personalità, valorizzandone tutte le doti anche di ordine puramente terreno ed aprendola ad apprezzare tutti i valori positivi che la vita gli offriva [2] .

    In questo contesto assume significato la figura di Henry Patenson. Anzitutto la sua presenza permette a questo contesto di venire alla luce in maniera sempre più chiara e definitiva e in secondo luogo facendo da specchio all’allegria della vita del suo amato padrone prende volto la sua stessa esistenza: l’uomo che More incidentalmente incontrò sulla strada della sua vita, e forse non tanto casualmente, visto che se le condizioni glielo avessero permesso non avrebbe esitato lui stesso a vestire la casacca del buffone, tanta era la familiarità che aveva con questi personaggi. Se la sua alta dignità non poteva approvare una condotta estroversa e briosa, la sua profonda simpatia e carità verso gli scriteriati gli consentì di accogliere nella sua casa un uomo con una evidente disabilità mentale, che invece di compiangerla seppe genialmente sfruttare a proprio e altrui vantaggio, non prima di aver considerato e valutato quanto beneficio avrebbe portato alla sua esistenza diventare un buffone, nelle mani di More vale a dire un portatore di allegria.

    In questo contesto possiamo chiederci ancora quale beneficio possa ricevere il nostro tempo e il nostro vivere dalla conoscenza di un buffone inglese del cinquecento. Sapere, per esempio, che fu ingaggiato principalmente per il buon umore della sua famiglia sembra indicare ai posteri che la via per il buon andamento delle relazioni familiari non possa prescindere dall’allegria, una condizione in grado di dare forma e sapore a qualsiasi aspetto della vita familiare. Ma c’è molto di più e non saremo così sprovveduti da anticipare nell’introduzione ciò che è compito del testo sviluppare.

    Indubbiamente lasciarsi rapire dalla figura di Patenson, così come lasciarsi coinvolgere dall’ ironico, estroverso e fantasioso mondo delle merry tales moreane, è sicuramente la strada da percorrere per penetrare la cosiddetta vena allegra di Thomas More, e di conseguenza tutta la sua efficacia attualizzante.

    Tuttavia, mentre le facezie risultano legate direttamente al pensiero di More, e di conseguenza facilmente riscontrabili, altra cosa è la ricostruzione della vita di Henry. Il tentativo o impresa, che dir si voglia, di riportare in vita il personaggio contrasta con la miseria di fonti e informazioni che lo riguardano. Per non dire che la maggior parte di esse sono legate alla vita e al pensiero di More, nonchè alla sua famiglia.

    Pertanto chi dovesse vedere in questa ricerca poco Patenson e troppo More cerchi di usare, se può, l’indulgenza e l’intelligenza soprattutto piuttosto che la critica. Lo sforzo compiuto per cercare di mettere in primo piano la figura di Henry, particolarmente in quegli episodi che si presentano relativamente autonomi dal contesto moreano, sganciandola così per quanto possibile da quella del suo illustre padrone, è stato prioritario a qualsiasi altro metodo. Del resto l’intenzione che ha mosso questa ricerca è stata quella di farla sembrare il più possibile la Vita di Henry Patenson piuttosto che il buffone di sir Thomas More.

    Alla fine, nonostante gli sforzi compiuti, eccessivi ma non forzati, per portare alla luce un così nobile personaggio, la lettura del Patenson potrà dare l’impressione di avere a disposizione non più di una manciata di informazioni sul suo conto e tanto di più invece sul suo padrone. Ma quel poco che si è riusciti a trarre dal sepolcro della storia in cui Henry sarebbe stato inevitabilmente condannato a restare senza una ricostruzione di questa natura, oltre che a mettere in luce la sua identità, rende pienamente giustizia alla sua storia e alla sua vita meritevolmente vissuta.

    Grazie al Patenson la bibliografia moreana si arricchisce di un dittico letterario di eccezionale valore storico e culturale. Dopo la traduzione delle facezie che ha colmato un vuoto non più sopportabile nella bibliografia italiana – recentemente portate alla luce grazie all’impegno di studio, ricerca e diffusione del Centro Internazionale Thomas More in collaborazione con le Edizioni Studium: una testimonianza inconfutabile della sobria hilaritas moreana contenuta nella raccolta degli epigrammi e seminata un po’ dovunque nelle opere apologetiche per alleggerire la verbosità e la complessità dei contenuti descritti –, la ricerca sul buffone di More rappresenta un’assoluta novità nel campo degli studi moreani internazionali. Sebbene la vera novità vada oltre la proposizione di un’inedita operazione editoriale.

    Entrambe le opere portano alla luce un’immagine di More che si discosta notevolmente da quella tradizionale. Chi avesse fatto finora la conoscenza di More come l’illustre umanista inventore dell’Utopia, l’eroe della fede cattolica paladino dei diritti della coscienza individuale, nonché l’apprezzatissimo patrono dei politici e dei governanti, dopo la lettura del dittico sarà certamente felice di poter aggiornare il suo bagaglio di conoscenze moreane con un lato così moderno della sua personalità.

    La sua passione per l’uomo e tutto ciò che è umano gli permetteva di interpretare il mistero della vita non con gli occhi della severità e del giudizio tipici di colui che guarda il mondo e le cose degli uomini da una certa distanza con l’atteggiamento interiore della rassegnazione e con il sentimento dell’impotenza, ma con gli occhi di colui che guarda la vita con amore e letizia, che vede sempre un spiraglio oltre il dolore, la sofferenza e la morte e di conseguenza comprende che la vita è un mistero da vivere e interpretare anche con la leggerezza e il buon umore che nasce spontaneamente nel cuore di colui che ormai ha risolto il conflitto che deriva dal dramma dell’esistenza.

    Non è da tutti sapersi deliziare della vita, ancora di più se questa delizia la si trasmette agli altri con l’allegria e il buon umore. Ecco cosa si rischia di scoprire leggendo le facezie e il Patenson di More. Quel volto apparentemente così severo che emerge dal genio di Holbein nasconde le sembianze di un uomo che molto aveva in comune con il buffone che risiedeva nella sua casa, il volto dell’uomo, o se si vuole, non cambia nulla, del santo dell’allegria e del buon umore.

    GIUSEPPE GANGALE


    [1] C. Hollis, Un cancelliere umanista sugli altari, Cavalleri, Como 1937, pp. 56-57.

    [2] M. Bertagnoni, Continuità del pensiero di Thomas More: L’Utopia e Il Dialogo del Conforto, in AA.VV., Idea di Thomas More, A cura di Angelo Paredi, Marialisa Bertagnoni e Cesare Grampa, Neri Pozza Editore, Vicenza 1978, p. 247.

    Hans Holbein, Thomas More, 1527, Frick Collection New York.

    I. Una casa fuori del comune

    Se ci fosse data la possibilità di viaggiare nel tempo e visitare luoghi meravigliosi per bellezza di arte e natura non dovremo dimenticare di inserire nel nostro tour anche luoghi considerati tali per bellezza di umanità. Da quelle poche suggestioni e informazioni che la storiografia ci consente di portare alla luce si può certamente sostenere che quanti ebbero la possibilità dal 1504 al 1534 di visitare la casa di sir Thomas More dovettero trovarsi a contatto di un ambiente così variegato ed estroverso dal punto di vista umano da trasmettere in non pochi la percezione di visitare o abitare una casa di straordinaria vivacità umana e culturale.

    Anzitutto colpisce la quantità di persone di ogni ceto sociale e di ogni grado culturale che nell’arco dell’intera esistenza della famiglia fu ospite della casa per poco tempo o per lunghi periodi. Se si potessero focalizzare in un preciso istante tutte le figure che hanno avuto residenza stabile e occasionale nella dimora di More ci troveremo indubbiamente di fronte ad una folla impressionante di persone.

    Dai poveri che si affacciavano per chiedere l’elemosina ricevendo più di quanto umanamente potessero immaginare, ai perseguitati che si rivolgevano a lui per ottenere giustizia, fino al re d’Inghilterra che come racconta il genero passeggiava amichevolmente con lui nel giardino, furono innumerevoli coloro che, o per diletto o per bisogno visitarono la sua casa, prima The Barge (la scialuppa) nel sobborgo di Bucklersbury sul Tamigi, e poi dal 1524 nella grande residenza di Chelsea.

    Una lunga schiera di giovani rampanti che cercavano di ottenere il suo favore per salire di grado nella società, avvocati alle prime armi con la loro professione desiderosi di apprendere da un’abile difensore ed esperto magistrato l’arte della diplomazia e dell’amministrazione della giustizia, giudici ormai consumati nel loro mestiere che si rivolgevano a lui per chiedere consiglio, ambasciatori e rappresentanti di consigli cittadini e corporazioni di mestieri che gli affidavano la soluzione di problemi commerciali e diplomatici di una certa complessità.

    Per non parlare poi di tutti quei notabili e gentiluomini rappresentanti della Corona e del Parlamento d’Inghilterra che si servivano regolarmente della sua casa per dibattere le condizioni economiche, politiche e sociali della nazione credendo di determinare indirizzi e orientamenti politici, fino agli uomini più eminenti della Chiesa inglese e ai più illustri rappresentanti dell’umanesimo europeo, convinti di trovare nella sua formazione teologica e letteraria un notevole sostegno a favore della riforma umanistica della società e della chiesa.

    Inoltre dal 1499 al 1516 chi, per qualsiasi ragione, si fosse trovato nella condizione di visitare casa More avrebbe rischiato di incontrare il più grande umanista dell’epoca. La fortuna di Erasmo da Rotterdam in Inghilterra è da addebitare, come dichiarò lui stesso, a More e alla sua famiglia. In 17 anni fu ospite per lunghi periodi almeno cinque volte.

    Indubbiamente il genio di Thomas More, la sua posizione sociale, nonchè la fama di rettitudine e integrità morale che di così eccelsa figura si era diffusa in tutta l’Europa, furono all’origine dell’attrazione che la sua casa esercitava presso le gente comune e i notabili dell’epoca.

    1. Personaggi di genio e vivacità

    Ma certamente non furono le presenze fugaci e saltuarie, per quanto illustri, a fare di quella casa un luogo di grande ammirazione. Nel corso della sua intera vita terrena More fu accompagnato da personaggi che contribuirono in un certo qual modo con la loro personalità ad alimentare il suo genio. Fra questi è facile indicare coloro che furono legati a lui da vincoli di sangue, meno scontata invece la presenza di uomini e donne ai quali More fu legato da profondo affetto e amicizia, personaggi della sua servitù per esempio, che gli mostrarono forse più fedeltà di alcuni a lui intimamente legati.

    A guardare il ritratto di Holbein [1] , l’unica immagine che possediamo della famiglia, si ha l’impressione di stare davanti al ritratto di una comunità numerosa e vivace. I figli, la seconda moglie, il padre e lui stesso, che nel dipinto sembrano rappresentare l’intera famiglia, in realtà fanno pensare – anche perché la ricostruzione della sua vita e della sua grande casa ce lo consentono – ad una schiera di persone molto più numerosa che sta dietro le quinte dell’opera.

    In essa risiedevano stabilmente il padre John More con una delle sue quattro mogli, Alice Middleton che dal 1511 prenderà con la figlia Alice Alington il posto di Jane Colt la prima moglie; le figlie Margaret, Cecily ed Elizabeth con i rispettivi mariti William Roper, Willam Dauncey e Giles Heron, il figlio maschio con la moglie Anne Cresacre, i nipotini, la figlia adottiva Margaret Giggs, il segretario John Harris con la moglie Dorothy Colley, e naturalmente i domestici. A tutti di casa, e non solo alle figlie, fece impartire la migliore educazione possibile per quei tempi, un’eccellente educazione umanistica, filosofica e scientifica, da ottimi maestri privati quali William Gonnell, John Clement, Nicholas Kratzer, Richard Hyrde e il signor Drew che circolavano liberamente in quella casa e a volte soggiornavano anche lunghi periodi.

    Facevano parte della casa, pur senza risiedere in modo stabile, Master Alington, marito di Alice Middleton, figliastra di More e il suo dipendente Thomas Croxton, i Rastell: John (marito di Elizabeth, sorella di Thomas More), suo figlio William e i due fratelli maggiori di lui John e Joan; quest’ultima andò in sposa a John Heywood, il più grande drammaturgo dell’epoca che fece della casa di Thomas More un circolo di cultura e di arte teatrale.

    Accanto a queste figure di primo piano vi erano poi gli uomini della servitù, per nulla secondari nel cuore di Thomas More. Una bella figura della casa, che non si vede nel ritratto, ma che avrebbe certamente meritato uno spazio, era il suo domestico personale John à Wood che aveva l’incarico di badare che i suoi vestiti e tutto il resto fossero sempre in ordine. Uno dei biografi di More riporta con molta simpatia il ricordo di quella volta che il suo segretario John Harris lo rimproverò amichevolmente perchè era uscito con le scarpe rotte. Moro gli rispose: « Di al mio tutore che me ne comperi un altro paio» [2] , riferendosi al caro John à Wood che lo servirà anche durante la prigionia, suscitando l’invidia della figlia Margaret che desiderava trovarsi in carcere al posto del servo [3] . La moglie infatti, come sappiamo da una lettera di perorazione inviata a Thomas Cromwell, pagava 15 scellini a

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