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Posso ancora imparare a volare
Posso ancora imparare a volare
Posso ancora imparare a volare
E-book166 pagine2 ore

Posso ancora imparare a volare

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Info su questo ebook

Carlo Gregali, avvocato di successo, arrivato alla soglia dei cinquanta anni, va in crisi.
Apparentemente ha tutto, una bella famiglia, un lavoro soddisfacente che gli permette di avere un buon tenore di vita, eppure qualcosa inizia a scricchiolare e un leggero malessere si impadronisce di lui che comincia a percepire cose, persone e situazioni in modo diverso. Si sente incastrato in un ruolo che non gli appartiene. Tuttavia, questo rinnovato bisogno di libertà si scontra con i binari di una esistenza programmata nei minimi dettagli che non ammette la fantasia e l’emozione.
Mentre gli altri lo vedono cambiare e non riescono a capire bene l’origine dei suoi comportamenti bizzarri, Carlo sceglie quella che gli sembra una strada facile, si finge depresso e si reca in analisi da un amico psichiatra. Un escamotage per prendere tempo e illudersi di poter gestire il fragile equilibrio raggiunto. Ma i castelli di carta sono destinati inevitabilmente a crollare.
Un romanzo intenso, emotivamente spietato e agrodolce.
LinguaItaliano
Data di uscita1 nov 2019
ISBN9788832925654
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    Anteprima del libro

    Posso ancora imparare a volare - Maria Elena Larini

    Epilogo

    1

    I pomeriggi di sole non dovrebbero essere uggiosi. Questo invece lo è, forse perché il sole che filtra dalle tapparelle abbassate ha un che di sabbioso, ricordo della notte di libeccio appena trascorsa.

    Mi sembra che gli scaffali della biblioteca e anche il pc mi guardino perplessi, quasi a domandarsi che fa, non lavora?

    I fascicoli appoggiati, mi viene da dire abbandonati sulla scrivania in ordine sparso, mi guardano, neanche fossero gli alti giudici della Corte costituzionale, con i parrucconi e le mantelle. Da uno spunta una lettera che mi ricorda l’atto di citazione che devo predisporre al più presto, prima che scadano i termini della prescrizione. Un altro sembra che mi consigli di aspettare, devo meditare la questione, non mi è ancora venuta l’idea brillante, quella che mi ha guidato fin qui e fatto sì che mi guadagnassi un certo nome in questa sonnacchiosa cittadina di provincia.

    Quello lì è un duro, non sbaglia un colpo, certo è un po’ caro, ma puoi stare sicuro che se c’è una strada lui la trova, è un segugio.

    Sicuramente il naso da segugio ce l’ho.

    Da qualche giorno però le cose non mi appaiono più come erano prima. È come se avessi fino a ora camminato, anzi scarpinato per una strada tortuosa, in salita, a tratti senza ombra, e che arrivato in cima, invece di godermi il meritato riposo, mi sentissi assillato dal fatto di non riuscire più a vedere il punto da cui sono partito e neanche quello di arrivo.

    Sono sospeso nel vuoto, ma non ho paura, anzi, la verità è, come dire… che ho paura di ritrovare la strada che ho percorso fino a oggi.

    La mia segretaria, Marta, che ormai è con me da più di venti anni, mi sembra che si affacci alla porta un po’ più del dovuto, c’è qualcosa che non le torna. Mi guarda con quel viso da gufetta che nel tempo ha perso freschezza, e questo fatto mi pesa.

    Mia moglie Laura si è sempre preoccupata di selezionare le mie segretarie. Tutte in sovrappeso o con una magrezza malata, capelli insignificanti, per lo più occhi nascosti da spesse lenti o sbilenchi, a palla, storti, ottusi, tanto da farti rimpiangere la presenza di occhiali da vista.

    Anche questo fatto ora mi pesa.

    Sono più di venti anni che passo le mie giornate circondato da donne brutte.

    Anche la domestica Guendalina, nome esotico che potrebbe farti presagire chissà quali auspicabili particolari piccanti, è di una bruttezza insolita. Bassa, tarchiata, lineamenti forti e sgraziati, mi sembra che abbia anche le orecchie pelose, ma non ho mai indagato più del dovuto.

    La figlia Maria, una ragazza bellissima, è venuta solamente una volta a guardare le gemelline quando erano piccole. Un fiore raro, occhi di velluto, un incedere da gazzella, alta e ben fatta. Un piacere per gli occhi. È stata molto brava, attenta e scrupolosa e le bimbe si sono divertite da morire. Niente da fare, eliminata, kaput. Laura ha detto che non era all’altezza. Ha buttato lì la parola, con noncuranza, come se fosse un kleenex usato da nascondere nel cestino al più presto.

    Tutto è successo così come doveva succedere, come se mi fossi trovato dentro un’auto, incastrato in una fila, senza alcuna possibilità di manovra; non avevo alternative, dovevo andare avanti passo dopo passo. No.

    La realtà è che mi sono trovato circondato non da esseri umani, con i quali avrei anche potuto, magari, occupare gli spazi angusti dell’esistenza, ma da automi, da macchine dalle sembianze umane, ma senza cuore, né odore.

    Laura stamani, perfetta nella tuta da ginnastica di ciniglia grigio perla, con i capelli legati con una fascetta rosa sulla fronte, mi ha detto che non le piaccio, le sembro strano, è bene che mi faccia vedere da qualcuno, forse covo qualcosa.

    Non ve l’ho detto, ma Laura, mia moglie, è una gran bella donna, alta, snella, gambe chilometriche, un bel seno, un viso da Madonna, ed è anche un tipo molto elegante, quella che si direbbe senza ombra di dubbio una donna di classe.

    Chissà perché avrà scelto me. Che mi abbia scelto lei e non il contrario è sicuro, io non mi sarei neanche attentato a corteggiarla, con la mia Fiat Uno sgangherata che mi prestava mia madre quando non le serviva, e le serviva spesso, perché lei svolgeva un lavoro strano. Non ho neppure mai ben capito con precisione in che cosa consistesse. Girava le profumerie della provincia e promuoveva prodotti. Era una specie di agente di commercio, ma era anche un’estetista, perché capitava che organizzasse giornate in cui faceva, per esempio, la pulizia del viso alle clienti e queste poi erano invogliate ad acquistare i prodotti che aveva usato. Era brava, o almeno così io ho sempre pensato, perché era molto felice del suo lavoro. Da un bel po’ aveva smesso di girare, ma aveva mantenuto una clientela affezionata che si rivolgeva alle sue cure. Per questo si era organizzata utilizzando uno stanzino in casa. Insomma lavorava al nero, ma lei non capiva bene che cosa volesse dire e io quando cercavo di spiegarle i rischi di un tale tipo di attività, ne uscivo sempre sconfitto, tanta era la serenità con cui ribatteva a ogni mia obiezione. Anche lei era bella, non tanto nelle fattezze o nei lineamenti, direi piuttosto che aveva una luce bella; quando rideva ti scaldava il cuore e quando era triste sembrava che tutto quello che la circondava diventasse triste, come per farle compagnia.

    Laura invece non ha mai avuto una luce particolare, è stata semplicemente perfetta in ogni occasione. A ripensarci mi pare di non averla mai sentita parlare male di nessuno, ma neanche troppo bene. È rimasta bella nel tempo, anche oggi alla soglia dei cinquanta anni è perfetta, non un chilo di troppo, giusto due rughette di espressione. Solamente le mani sono cambiate, magre con le ossa delle articolazioni in evidenza e le vene bluastre che sembrano solchi di fiumi in secca. Le unghie sono invece sempre laccate, anche queste… perfette.

    Io però non la amo più, anzi la detesto. Finalmente l’ho detto. Si è rotto l’incantesimo che mi ha tenuto legato a lei per più di venti anni. Ora che l’ho detto il fatto quasi mi spaventa. Continua però a dominarmi. Quando c’è lei mangio in maniera compita, a braccia strette, mi tampono sempre la bocca con il tovagliolo prima di bere. Quelle poche volte che rimango da solo in casa, perché magari lei ha un burraco con le amiche, allora mangio con le mani, cammino scalzo, bevo alla bottiglia, rutto. L’altra sera Guendalina mi ha chiesto se stessi bene.

    Anche te Guendalina… no. Stai serena, beviti una birretta.

    Lei ha abbassato gli occhi e mi è sembrato che sorridesse, sotto i baffi, e non lo dico in senso metaforico.

    Penso che Laura non sia un essere umano, ma un extraterrestre sceso sulla terra. Si è sempre preoccupata di pianificare la mia vita. Non mi ha mai fatto mancare neppure la giusta dose di sesso. Perfettamente depilata, profumata si è lasciata possedere e quando avrei saltato volentieri il turno, mi è venuta a cercare. Certo che mi attizza, o meglio mi attizzava, in fondo sono un uomo e lei è brava a letto, come in ogni cosa che fa.

    L’altra sera però Poldo non mi si è rizzato. Aveva voglia di strusciarsi e guardarmi con l’occhio di triglia. A un certo punto si è lanciata in acrobazie degne del circo di Moira Orfei, ma nulla. Io guardavo il mio membro e parteggiavo per lui. Bravo, riposati, prenditi una pausa, falle una pernacchia. Poi lei, mentre faceva una piroetta è caduta all’indietro, a gambe all’aria per terra, e si deve anche essere fatta male, poveretta. Il baby-doll che indossava le è rimasto impigliato in un gancetto della rete, quelli su cui si appoggiano le doghe, perché si era mossa tanto che anche il materasso si era spostato. Mi è venuto da ridere, non ne potevo più, tutto il senso del ridicolo della situazione mi ha travolto. Ero lì, ma era come se non ci fossi e mi godessi lo spettacolo spaparanzato davanti alla televisione. Ridere fa bene, è vero, come si dice… libera le endorfine o qualcosa del genere.

    L’incanto della situazione è finito alla svelta perché Laura si è incazzata e mi è venuta sopra con il viso stravolto dalla rabbia: Tu non mi freghi caro! Hai un’altra Mi fai schifo, anzi ribrezzo.

    Ed è corsa in bagno. Non so quanto ci sia stata, perché quando è tornata io dormivo già della grossa.

    La mattina dopo è stato come se non fosse successo nulla. Chissà quale strategia avrà partorito quella mente diabolica. Deve sicuramente riprendere il controllo della situazione, dominare gli eventi, sta solo prendendo tempo, recuperando.

    Mentre io bevevo il caffè lentamente, con la faccia da tonno che ho sempre la mattina appena alzato, lei senza darlo a vedere mi studiava. È come quando il navigatore ti segnala la strada da seguire e tu non gli dai retta. Dopo qualche secondo si riassetta e ricalcola il percorso, si adegua al tuo cambiamento, ma continua a indirizzarti verso lo stesso obiettivo.

    In casa mia è tutto perfetto, anche l’apparente disordine è perfetto, studiato nei minimi particolari da un architetto di grido, tale Guido Solimani.

    Mah, che poi come abbia fatto a diventare così bravo, o meglio così richiesto, non l’ho mai capito.

    Me lo ricordo grasso e brufoloso ai tempi del liceo, stessa classe, ma sezione diversa dalla mia, occhi a palla e bocca rossa, piccola, ma ben disegnata, sempre un po’ umidiccia. Sembrava sempre che masticasse qualcosa, o meglio che avesse in bocca un boccone troppo grosso che non riusciva a deglutire.

    Non so neanche perché me lo ricordi così bene, non penso di aver mai parlato con lui, a quei tempi, fino a quando non me lo sono trovato in studio, accompagnato da mia moglie, sprofondato in una delle due poltroncine che ho davanti alla mia scrivania.

    Laura mi aveva detto che aveva fatto la casa di Titta, di Levi, di Iuli e di tutta un’altra serie di nomignoli. Volevo ribattere che le case le facevano i muratori con le cazzuole, e la nostra era già fatta, ma ho lasciato perdere perché lei ha chiuso il discorso dicendo: Ti ricordi anche tu quando siamo andati all’inaugurazione della casa di Luvi… sei rimasto sorpreso da come fossero stati bravi a ricavare così tanti spazi, senza nulla togliere alla luminosità degli ambienti. Ecco è stato tutto merito di Guido. Se ci pensi bene l’appartamento della Luvi non è niente rispetto al nostro e se lui è stato capace di rendere così bello quello, non so cosa riuscirà a fare con il nostro! Mentre pronunciava queste parole aveva la stessa espressione di zio Paperone mentre lucida i dobloni del suo forziere.

    Arrivato nel mio studio il grande Guido prima si è seduto, come se avesse appena terminato una seduta ginnica e poi come una molla si è subito rialzato in piedi e accarezzandosi il mento, con gli occhi socchiusi, ha preso a girarsi in tondo e alla fine, neanche fosse uno sciamano, ha emesso il suo verdetto: Bell’ambientino, semplice, lineare, funzionale, ma con un tocco di classe, merito sicuramente della tua signora, eh!

    Questo suo passaggio dal lei dei saluti al tu mi ha infastidito oltremodo. Per ristabilire le distanze gli ho detto con tono tagliente: Bene il suo progetto mi convince. Allora si occupa di tutto lei… certamente con l’aiuto di Laura. Quanto le devo lasciare come acconto?

    Mentecatto ho pensato, ogni cosa ha un prezzo e tu non sei altro che qualche numero scritto in un blocchetto degli assegni. Lui mi ha chiesto un acconto di cinquemila euro parlando come se rispondesse a una domanda sul tempo sì, è abbastanza caldo, ma vedrai che in serata rinfresca. Eh no caro il mio Guido, mi hai chiesto cinquemila euro che sono pari a

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