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Underground
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E-book649 pagine8 ore

Underground

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Info su questo ebook

Marta Banks è una ragazza con un’identità ben precisa. È una Tube Rider, e rischia di morire ogni giorno nelle stazioni metro abbandonate di Londra.

Non importa che i suoi genitori siano morti. Non importa che il suo amato fratello sia scomparso. Non importa che nel caos distopico della Londra del 2075, all’ombra delle torreggianti mura perimetrali, Marta non abbia alcun futuro.

Ha degli amici.

Insieme, i Tube Riders sono una famiglia, unita contro la brutalità delle loro vite, ma quando scoprono uno degli oscuri segreti del governo che potrebbe portare in guerra l’intero paese e terminare anni di oppressione, tutto ciò che amano è in pericolo.

Ora per salvarsi devono fuggire, mentre delle macchine di morte geneticamente modificate danno loro la caccia, instancabili.

I Cacciatori stanno arrivando…

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita15 ago 2018
ISBN9781547545124
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    Anteprima del libro

    Underground - Chris Ward

    Dedica

    Per Isaac,

    il mio primo lettore

    E Matt,

    il mio primo fan

    Voi sì che spaccate di brutto.

    E in memoria di mio nonno

    Leonard Ward 1921—2010

    Il tuo Amstrad dal piccolo schermo verde

    è stato il primo computer su cui abbia mai scritto.

    R.I.P.

    Indice

    Parte Uno — Londra

    1 -Cadere

    2-Jessica

    3-Il Cacciatore

    4-Owen

    5—Dreggo

    6—L’allenamento

    7— Il confronto

    8—La scoperta

    9—Nemici

    10—La rivelazione

    11—Prede

    12—Richiesta d’aiuto

    13—Il laboratorio

    14—La traccia

    15—Segugi

    16—Attacco

    17—Perdita

    18—Pericolo

    19—Preparativi

    20—Via di fuga

    21—Raduno

    22—Conseguenze

    Parte Due—Bristol

    23— Il ragazzo misterioso

    24—Rinascita

    25—Festa d’accoglienza

    26— Furia cieca

    27—Un posto per dormire

    28—La ragazza misteriosa

    29—Combattenti per la libertà

    30—L’oscurità incombe

    31— La gentilezza degli sconosciuti

    32—Una traccia fresca

    33—La politica del governo

    34—Amici, nemici

    35—Imboscata

    36—Repressione, produzione

    37—Fuga

    38—Campo di battaglia

    39—Partenza

    40—Fuga dalla prigione

    41—Salvataggio

    42—Crociera

    43—Valori

    44—Treno

    45—Sete di sangue

    46—Strade che si incrociano

    47—Vite passate

    Parte Tre—Cornovaglia

    48—Tregua

    49—Minaccia

    50—Furto con scasso

    51—Vendetta

    52—Errori

    53—Nuovo ordine

    54—Comunità

    55—Il tunnel

    56—Trappola

    57—Addii

    58—Riunione

    59—Conflitto

    60—Scontro finale

    Epilogo—Spiaggia

    Parte Uno

    Londra

    Capitolo 1

    Cadere

    Il rombo nel tunnel divenne più forte.

    Giungeva da lontano, nel buio, e nasceva da un brusio basso e distante che si trasformava in un boato fragoroso, come quello di migliaia di uragani che si scontrano. Marta Banks, rannicchiata come un velocista pronto a partire, chiuse gli occhi come faceva sempre per concentrarsi, immaginando di vedere qualcosa di mostruoso, selvaggio. Sospirò lentamente, si avvolse le cinghie di sicurezza attorno ai polsi e strinse le dita alle fredde maniglie di metallo del suo clawboard di legno.

    Fatti sotto.

    Sentì l’odore di gasolio e il ronzio delle rotaie che vibravano nel binario sotto di lei. Le labbra le si curvarono in una smorfia e si sgranchì i polsi nel punto in cui le cinghie strofinavano contro i vecchi segni lasciati sulla sua pelle.

    Ancora qualche secondo...

    Forza. Ti sto aspettando.

    Il rombo era ormai assordante. Con i sensi all’erta e i muscoli di gambe e braccia in tensione, Marta aprì gli occhi di scatto. Strinse le dita tanto forte da temere che potessero spezzarsi. Alzò lo sguardo verso Paul, in piedi più in là sulla piattaforma, con un braccio in aria.

    Marta aspettava il segnale. Tre... due... uno...

    "Via!" gridò Paul mentre il vento si alzava, avvolgendola. Paul tirò giù il braccio, e la paura, l’esaltazione e l’adrenalina la colpirono come una martellata.

    Corse verso il bordo della piattaforma mentre sentiva Simon, Stick e Dan – l’ultimo arrivato -sparpagliarsi dietro di lei. Ovviamente sperava che Dan ce la facesse, ma durante la corsa doveva pensare solo a se stessa.

    Scivolando veloce sul pavimento polveroso e scheggiato, Marta premette i polsi contro le cinghie di pelle e strinse le maniglie di metallo finché le dita non le fecero male. Il legno scricchiolò, e lei pregò che il clawboard non la tradisse proprio in quel momento.

    Tenne la tavola sollevata, i ganci di metallo della parte esterna che pendevano verso il basso.

    Il treno uscì dal tunnel con la forza di un’esplosione, i fari che brillavano accecanti attraverso la cortina di polvere sospesa sulle pallide luci di emergenza della stazione. L’aria si riempì del rombo del motore. Marta guardò il treno passarle accanto e poi superarla, una, due, tre carrozze le sferragliarono oltre. Vide il sottile tubo di drenaggio che scorreva sotto la carrozza più vicina e si preparò a saltare.

    Ora! gridò, un urlo di guerra sia per se stessa che per gli altri alle sue spalle. Un attimo dopo si stava lanciando verso il treno, il clawboard che si inarcava verso le rotaie. Il cuore le batteva violentemente, così forte che pensò potesse uscirle fuori dal petto. Con gli occhi stretti e le mascelle serrate, fissò lo sfocato muro di vetro e metallo che in quel momento era per lei il Mietitore, la Morte. Non fare cazzate, le ricordò la sua mente. Fai una cazzata e muori.

    Due dei ganci di metallo, larghi quattro centimetri, cadevano verso la parte esterna dei tubi di drenaggio. I piedi di Marta sfiorarono un lato della carrozza e un secondo dopo stava volando. Poi i ganci fecero presa e un forte colpo le vibrò attraverso le spalle e le braccia. Marta aveva vinto. Questa volta.

    Il suo grido si sollevò sopra al fischio del vento: Ce l’ho fatta!

    Con le gambe divaricate si tenne forte a un lato della carrozza. Le sue scarpe da ginnastica, malconce e riparate più volte, lasciarono tracce di passi nello sporco oleoso che ricopriva il metallo. Davanti a lei, dal finestrino della carrozza, il suo riflesso la fissava di rimando, i dreadlock che fluttuavano attorno al suo viso come colonne di fumo.

    Dietro di lei, Marta sentì due scatti metallici mentre prima Simon e poi Stick si agganciavano. Quando si corre in gruppo, si corre in ordine di anzianità, quella era la regola. Sopravvivere più a lungo, è da questo che si riconosce un leader. Marta restò in ascolto ad aspettare Dan, ma avvertiva solo il rombo del treno e il suo rapido sferragliare sulle rotaie.

    Qualcosa non andava.

    Si voltò, terrorizzata al pensiero di cosa potesse aspettarla alle sue spalle. Dan sarebbe dovuto arrivare appena un secondo dopo di Stick, ma stava ancora correndo verso il treno come un pendolare in ritardo. Si muoveva a singhiozzi, fuori tempo. Merda, ha esitato! Ha perso il controllo, ha mancato il momento giusto.

    Via di lì! cercò di urlargli, ma i suoi polmoni, ancora senz’aria, la tradirono, e le parole si dispersero lentamente, come l’ultima ondata di pioggia dopo un temporale. Impotente, rimase a fissare Dan sollevare il clawboard, le mascelle serrate, il volto di pietra. Lo guidava l’orgoglio. Ed è difficile arrendersi quando l’orgoglio è tutto quello che hai. Poco importa se lì dove i treni ruggiscono corri il rischio di rimanere ucciso.

    Dan provò a saltare, ma andava troppo lentamente e non era ancora in posizione. Il suo clawboard mancò il tubo di drenaggio e il suo corpo si scontrò contro il metallo del treno. Il movimento della carrozza lo spinse in aria, una ballerina folle, gli occhi spalancati dal terrore, le braccia e le gambe che ondeggiavano violentemente. Rimbalzò, e un ululato intermittente gli sfuggì dalla gola giusto un secondo prima di atterrare sulla piattaforma. La forza dell’impatto lo fece rotolare verso lo spazio vuoto tra il bordo della banchina e il treno che sferragliava sempre più vicino. Non finire come Clive. Ti prego. Non riuscirei a sopportarlo, non di nuovo.

    Dan fu fortunato. Le cinghie del clawboard gli avvolgevano ancora un polso, e la tavola rallentò il movimento del suo corpo fino a fermarlo a pochi centimetri dal bordo. Il treno sferragliò superandolo, e lui rotolò indietro, liberandosi finalmente dal clawboard.

    È ferito! urlò Simon mentre il treno accelerava via, portando gli altri con sé.

    Aspettate! gridò Marta, le ciocche intrecciate dei capelli che le colpivano il viso. Aspettate i materassini! Okay... Tre, due, uno...

    Si spinse via dalla carrozza, spostandosi in avanti e poi in su come aveva fatto migliaia di altre volte. Il clawboard si sganciò riluttante dalle rotaie, e Marta si piegò verso il basso mentre cadeva, trattenendo le braccia all’interno e inclinando la testa in avanti. Fece una smorfia mentre il suo corpo si scontrava con la pila di vecchi materassi e coperte alla fine della piattaforma.

    La caduta la lasciò senza fiato. Tossendo, si guardò intorno e vide Simon smontare dietro di lei seguito da Stick. Atterrarono entrambi disordinatamente sui materassi accanto a lei.

    Mentre il treno sferragliava via nel tunnel, il ruggito che si affievoliva, tutti e tre si tirarono su dandosi una spolverata. Marta si massaggiò un fianco che era atterrato su una cucitura del materasso.

    Sì, cazzo, biascicò Stick. Si strappò via le cinghie dai polsi ed esaminò il clawboard con cura, in cerca di graffi. "Paul, grassone idiota, qual è il mio punteggio? Paul!"

    Chissenefrega del punteggio! sbraitò Marta. Dan non è riuscito ad agganciarsi. Avrebbe potuto morire, non te ne sei reso conto?

    Come ti pare. Chi di treni vive, di treni muore. Non è così che si dice?

    Marta lo fulminò con un’occhiata, poi si voltò indietro verso la piattaforma dove Paul era accovacciato vicino a Dan. Dan si abbracciava il petto rannicchiato sul pavimento. Mentre tentava di allungare le gambe gli sfuggì una smorfia, il sudore gli luccicava sulla fronte. La sua voce fluttuò verso di loro, rimbombando nelle travi alte del soffitto: Cazzo, credo di essermi rotto qualcosa. Fa malissimo, merda.

    Stick inclinò la testa e lanciò a Marta un sorrisetto sfacciato, lo stesso che uno studente ribelle lancerebbe a un insegnante per dirgli: non me ne frega un cazzo. Fanculo quel pagliaccio, disse. Guardando verso il bordo della banchina, dove linee tracciate col gesso marcavano la distanza dalla fine della piattaforma, la sua bocca si curvò in un ghigno. Il suo occhio storto tremò. Devono essere stati almeno sei metri sotto terra. Oppure cinque. Che dici, Si?

    Non fare il coglione, Stick, rispose Simon. Andiamo a vedere se sta bene.

    Sei una femminuccia. Soltanto perché non hai fatto un buon punteggio adesso fai lo stronzo. Stick roteò l’occhio buono e andò verso il bordo della piattaforma.

    Simon si voltò a guardare Marta e le sorrise come per dire non preoccuparti. Lei si sentì subito tranquilla. Simon era alto e magro, con una faccia androgina spigolosa e liscia. Non aveva nemmeno bisogno di rasarsi, tanto il suo viso appariva privo di ogni peluria. Non era attraente, piuttosto era bello; un ragazzo carino che sembrava fuori posto molto più di ognuno di loro, con modi di fare tranquilli che avevano l’effetto di un calmante. Era l’opposto di Stick, un ometto irascibile che di certo non poteva vantare il fascino tra i suoi punti di forza. Stick era un idiota senza vergogna. Lo sapeva, e mostrava questa sua caratteristica con fierezza, come fosse un’etichetta da portare attorno al collo. Nonostante tutto era leale. In una rissa per strada, avrebbe coperto le spalle ai suoi amici senza esitare, che fosse contro un ubriaco con una bottiglia rotta o un’unità armata del DAC era indifferente.

    Marta corse sulla piattaforma per raggiungere Paul e aiutare Dan a mettersi in piedi. Paul respirava affannosamente, le guance rosse dallo sforzo. Per un momento, Marta si rese conto di quanto poco sapeva di loro. Si riunivano lì tutte le volte che potevano, ma ognuno conduceva vite separate di cui parlavano raramente. Nessuno sapeva cosa facesse Stick. Simon diceva di lavorare in un mercato, Paul di essere un ladruncolo di strada. In sovrappeso da quando aveva smesso con le corse, stempiato e di certo non muscoloso, Marta trovava difficile immaginare che fosse tanto scaltro e veloce con le mani. Lei ovviamente sapeva cosa faceva la gente di notte attorno a Piccadilly, ma lì sotto, se lo volevi, potevi essere anonimo quanto i treni che sferragliavano via ogni otto minuti.

    Era stato Paul a presentare Dan al gruppo. Dan aveva unti capelli neri e spesse sopracciglia che gli davano un’aria perennemente accigliata, uno sguardo nervoso, sospetto. La sua voce profonda e autoritaria suggeriva che avrebbe di gran lunga preferito dare ordini piuttosto che riceverli. Era uscito con loro poche volte, e Marta aveva nutrito dubbi su di lui fin dall’inizio.

    Tutto bene? gli chiese.

    Dan ricambiò lo sguardo e scrollò le spalle. Si sfiorò il fianco e trasalì. Non penso ci sia nulla di rotto... La caduta mi ha tolto il fiato. Merda, non posso credere di aver mancato l’aggancio. C’ero quasi. Scosse la testa e strinse gli occhi, una mano che si massaggiava la fronte. Sarei potuto morire, vero?

    Marta distolse lo sguardo e non rispose. Non puoi dire a qualcuno che ha appena iniziato che basta una cazzata per finire come un pezzo di carne sanguinolento e indefinito che i prossimi venti treni spazzeranno via. Chiuse gli occhi, e come sempre nella sua mente prese forma il corpo di Clive, gli occhi disperati, le mani che graffiavano inutilmente il pavimento scheggiato della piattaforma in cerca di appiglio, mentre veniva trascinato giù nello spazio vuoto tra la banchina e il treno. Era successo altre volte, ma quella... quella era stata la peggiore. Uscivano insieme in quel periodo... Marta non era mai stata così vicina ad abbandonare i treni per sempre. Ancora adesso gli incubi non le davano pace.

    Basta, pensò, È finita. Nessuno a cui importa di vivere dura a lungo.

    Paul diede a Dan una pacca sulla spalla cercando di rassicurarlo. Forse non dovresti correre coi treni suburbani per un po’, disse. Fai un po’ di pratica con i treni merci notturni. Sono molto più lenti.

    Dan ritrasse il braccio bruscamente. Non toccarmi. Sto bene. Squadrò Paul che si allontanò incespicando, e rimase a fissare sia lui che Marta con rabbia. Gli occhi gli lampeggiavano mentre correvano frenetici da un viso all’altro. Non sono un pivellino. Ho mancato il gancio, tutto qui. Sono stato sfortunato.

    Va tutto bene, Dan, disse Marta, mettendosi in mezzo tra loro. Sicuro di non esserti fatto male?

    Lui fece per andarsene. Lasciami in pace. Starò bene.

    Stick e Simon li raggiunsero. Marta lanciò uno sguardo a Stick che avanzava con aria arrogante, come un pistolero di ritorno da una sparatoria. Scosse lievemente la testa nella sua direzione, cercando così di non fargli peggiorare le cose.

    Lui non la notò, o se lo fece preferì ignorarla. Sfortunato... disse rivolgendosi a Dan con un ghigno selvaggio. Che punteggio hai fatto? Sessanta o settanta metri?

    Gli occhi di Dan bruciarono di rabbia, le sue mani si chiusero in due pugni. Aveva spalle ampie e braccia muscolose, e pesava almeno il doppio di Stick. Probabilmente pensava di avere una possibilità.

    Vuoi prenderle? Storpio coglione ...

    Ragazzi! urlò Paul, ma troppo tardi.

    Dan tirò un pugno a Stick, che si scontrò con Simon nel tentativo di scansarsi. Dan l’avrebbe mancato, ma Simon creò una barriera umana intrappolando Stick davanti a lui, e il pugno di Dan gli colpì la guancia violentemente, spingendolo di lato. Mentre Stick inciampava cercando di recuperare l’equilibrio, Dan lo colpì di nuovo, questa volta allo stomaco. Stick si piegò in due tossendo e Dan gli si avvicinò per finirlo.

    Aiutatemi a fermarli! urlò Marta.

    Paul non aveva affatto l’aria di un lottatore e Simon era più gracile anche di lei. Così, capendo che nessuno l’avrebbe aiutata, si buttò nella rissa. Dan la spinse via e cercò di nuovo di colpire Stick, che avendo recuperato l’equilibrio riuscì però questa volta a scansarsi. Le sue labbra sottili si arricciarono in un moto di rabbia ed eccitazione. L’occhio storto gli tremò come fosse una vecchia bobina cinematografica.

    Vuoi ballare, eh?

    Un lampo metallico baluginò nell’aria.

    Uh... no...

    Dan barcollò all’indietro, una sottile linea rossa gli si disegnò in viso, scoprendo un taglio che andava dalla tempia alla mandibola. Fiotti di sangue si accumulavano in una pozza, e il coltello si adagiò contro la sua gola. La lama, non più lunga del dito indice di Stick, rifletteva la luce di emergenza sopra di loro che luccicava come quella di un ospedale.

    "Questo è quello che succede se fai lo stronzo con me disse Stick con l’occhio buono spalancato e la faccia tesa. Fai lo stronzo di nuovo e ti uccido. Hai capito?"

    Calmati, Stick, si intromise Simon cercando di aprirsi un varco tra i due.

    Il coltello scomparve e Stick fece un passo indietro. Per un momento il suo occhio buono fissò cupamente Dan, poi si girò e camminò a grandi passi verso i materassi usati per attutire la caduta.

    Non preoccuparti, è solo...

    Vaffanculo disse Dan, dando le spalle a Marta. Si passò la mano sulla faccia per asciugare il sangue che colava dal taglio superficiale. Scosse la mano e alcune gocce caddero sulla piattaforma, mescolandosi alla polvere.

    Dan! urlò Paul.

    E tu. Se ti avvicini di nuovo a me ti faccio il culo.

    Lo guardarono camminare verso le scale. Si girò a guardare indietro appena le raggiunse e poi scomparve.

    E rimasero in quattro mormorò Marta sottovoce. Ottimo lavoro, Stick.

    Si guardò intorno, ma Stick era già alla fine della piattaforma, piegato sul bordo, vicino ai materassi. Per Stick la lunghezza di sgancio, ossia la distanza dalla fine della piattaforma al punto di atterraggio, era la cosa più importante. Ora che Dan era andato via, agli altri non importava più.

    Pensi che tornerà? chiese Simon.

    Marta rise tristemente. Per un momento le venne voglia di piangere, ma scosse via le lacrime. Secondo te?  Neanche per sogno. Scosse la testa e sospirò. "Non è mai riuscito a inserirsi, vero? Non era il suo posto."

    Paul distolse lo sguardo. C’era rimasto più male di tutti. Un’altra amicizia rovinata. Fare amicizia di questi tempi era difficile e bastava poco perché andassero in frantumi come cristallo.

    Valeva la pena tentarci disse Simon, dando delle pacche sulle spalle di Dan. Ma ci siamo ancora noi, giusto? Finché ci siamo noi quattro ci saranno anche i Tube Riders.

    Che idiota. Se non fosse stato per lui... davvero, a volte penso che staremmo meglio senza... la voce di Paul si spense. Passò una mano tra i pochi capelli che gli erano rimasti e si raddrizzò gli occhiali sul naso. Aveva la faccia arrossata. Dan voleva far parte di una gang. Non volevo dirgli di noi all’inizio, ma sembrava... sembrava entusiasta. Ora è incazzato, arrabbiato con noi e si sente escluso. Secondo voi qual è il primo posto in cui andrà adesso?

    Non era una vera domanda perché tutti conoscevano già la risposta. Simon piegò la testa. Speriamo che non gli dica in che stazione siamo.

    Non preoccuparti, disse Marta St. Cannerwells non è nel loro territorio. I Cross Jumpers raramente si allontanano da Charing Cross East.

    E i pettegolezzi allora?

    Paul e Marta rimasero in silenzio per un attimo. I Cross Jumpers non facevano le cose in segreto come i Tube Riders. Le notizie giravano velocemente e le ultime erano che i Cross Jumpers avevano un nuovo leader.

    Perché dovrebbero volere iniziare una guerra di territorio? disse Paul. Non ha alcun senso.

    Ce l’hanno con noi. Vogliono la nostra fine.

    Perché? Siamo solo cinque... merda, quattro. Non ne vale la pena.

    Marta gli rivolse un sorriso triste. Non è questione di quanti siamo. È la nostra leggenda. Mise le mani sulle anche e assunse la miglior posa da rock star che aveva, con i suoi grossi dreadlock ai lati della faccia. Siamo i potenti Tube Riders, baby.

    Ne avevano parlato altre volte e ci avevano riso sopra. Nelle case occupate abusivamente, nei club clandestini e nei bar illegali di tutta la GAU di Londra si sussurrava dei fantasmi che apparivano nei finestrini dei treni della metropolitana. C’erano centinaia di pettegolezzi riguardo ciò che i giornali avevano chiamato i Tube Riders, nome che la gang originale aveva poi adottato. Si era pensato, a metà tra il serio e il faceto, ad apparizioni o a demoni disturbati da tutto quel rumore, oppure a fantasmi di bambini che si erano suicidati in quei tunnel bui, gettandosi sotto i treni. Solo un mese prima, Marta aveva letto un articolo in una rivista illegale che affermava che tutta la rete metropolitana di Londra era infestata e che avrebbe dovuto essere chiusa.

    Simon sorrise. È una figata.

    Ai Cross Jumpers non piace questa cosa perché a nessuno frega un cazzo di loro disse Marta. Hanno paura di fare quello che facciamo noi e lo sanno tutti. È per questo che vogliono una guerra.

    Simon guardò verso la piattaforma. Sai che Stick vorrà combattere, disse. Uno scontro tra fazioni e cose del genere. All’attacco, la maledetta presa della Bastiglia.

    Marta guardò una goccia di sudore attraversare la faccia di Paul. Beh, combatterà da solo, rispose Paul. Quanti coltelli potrà mai maneggiare alla volta?

    Forza, andiamo via disse Simon. Non ho più voglia di correre oggi.

    Marta guardò più in là verso la piattaforma. Stick! Stiamo andando via!

    Lui sollevò lo sguardo e corse verso di loro.

    Secondo me ho fatto cinque metri, esclamò appena li raggiunse, con un sorriso sciocco. Il suo occhio storto si contrasse come se volesse alludere a qualcosa. Ho colpito il terzo materasso, nel bordo anteriore. È vicino al segno dei cinque metri, vero?

    Niente male rispose Marta, fingendo interesse. Hai battuto il mio record.

    E il mio aggiunse Simon.

    Ah, ma sappiamo tutti che sei una mezza calzetta. Stick cercò di strizzare l’altro occhio, ma sembrava come in preda ad una crisi epilettica. Diede una pacca sulla spalla di Paul. Paul era l’unico bravo, eh? Ed è per questo che non corri più, giusto? Hai già dimostrato di essere il migliore, eh?

    Okay, piantala, disse Paul, guardando verso la piattaforma.

    Su amico, non piangere! La tua corsa è stata fantastica. Una leggenda tra i Tube Riders!

    "Stick, falla finita" si inserì Simon. Stick fece un sorriso sghembo rivolto a Paul ma rimase in silenzio e iniziò a togliere la sporcizia dai ganci del suo clawboard.

    Marta ricordava ancora il giorno in cui Paul raggiunse quasi i quattro metri. Il suo clawboard si era incastrato nelle rotaie, forse perché c’era della ghiaia o forse un accumulo di terra. Era riuscito a liberare le mani giusto in tempo, ma era atterrato malamente e alla fine si era rotto tre costole e fratturato la clavicola. Ma quello non era niente in confronto al resto. Marta ricordava ancora le sue grida quando si era incastrata la tavola. Se davvero c’erano dei fantasmi, sembrava l’avessero posseduto dai suoni che emetteva. Quel grido da far gelare il sangue era stato inumano. Le faceva venire i brividi anche adesso, a due anni di distanza.

    Si diressero verso le scale, con il clawboard sulle spalle. L’ascensore non funzionava da anni e adesso era tutto arrugginito e appiccicoso per la sporcizia e la terra. Si arrampicarono al buio ed emersero nel vecchio corridoio dove c’era la biglietteria. Un paio di luci di emergenza li guidarono oltre i tornelli, le edicole sbarrate con assi di legno e un vecchio negozio di ciambelle. Un’altra scalinata li portò in superficie. I loro piedi frusciarono al contatto con gli ammassi di foglie trasportate dal vento, mentre intorno a loro si sentiva l’odore di corpi sporchi e resti di cibo in decomposizione. Non erano gli unici ad usufruire della stazione: di notte era normale che i senzatetto si rifugiassero dietro le barriere metalliche dell’entrata. Di rado si azzardavano a entrare dentro. Le riviste illegali della Mega Britannia avevano fatto sì che solo i disperati oppure i coraggiosi si avventurassero dentro le stazioni della metropolitana abbandonate.

    Marta uscì per prima e si mise ad aspettare gli altri. Era una giornata fredda di ottobre: dal cielo grigio scendevano gocce di pioggia che si posavano sulla sua giacca di pelle e sui suoi jeans. St. Cannerwells proseguiva verso un tetro parchetto, dove una recinzione di ferro ormai arrugginita li separava da una distesa di erba incolta, dal cemento crepato dalle radici degli alberi e dal laghetto pieno di spazzatura. Alcuni carrelli della spesa fuoriuscivano dall’acqua marrone, come resti di un naufragio; bicchieri di carta galleggiavano come barche tra iceberg di vecchie scatole di cartone, mentre tutt’intorno i rami degli alberi schioccavano tra loro imitando un applauso.

    Ci vediamo domani? domandò Marta.

    Devo lavorare ma posso passare quando finisco rispose Simon.

    Devo fare alcune cose, ma sì, cercherò di venire disse Paul.

    Stick?

    Stick si colpiva con il dito della mano destra il palmo della sinistra, mormorando sottovoce.

    Lo prendo per un sì.

    Dopo aver salutato, gli altri se ne andarono, mentre Marta rimase ferma per un momento a guardare il cavalcavia dell’enorme autostrada che si elevava sopra la città fino al sud. Completata solo a metà, si inarcava fino alle terrazze e i blocchi di case a est, raggiungendo un’altezza di 150 metri. Lì, nel punto in cui avrebbe dovuto iniziare la graduale discesa verso ovest, finiva bruscamente, come amputata.

    Marta ricordava suo padre, anni prima, in piedi là con lei parlarle del futuro. Al tempo le cose erano migliori. Andava ancora a scuola, credeva che il mondo fosse buono, sognava ancora di trovare lavoro come avvocato o architetto e non aveva ancora iniziato a fare quelle cose deplorevoli per trovare cibo o oggetti per sopravvivere e che la facevano ancora svegliare tremante.

    Lui le aveva preso la mano e le aveva dato una piccola stretta. Ricordava ancora il calore della sua pelle, la forza e la sicurezza di quelle dita. Aveva indicato il cavalcavia, a quei tempi pieno di impalcature, gru e operai piccoli come formiche, e le aveva detto che un giorno avrebbero preso la macchina e l’avrebbero percorso, verso l’uscita della città. Il governo sta per riaprire la Grande Area Urbana di Londra, le aveva detto. Per far uscire gli abitanti della città e far rientrare quelli della Grande Area Verde. Il cielo grigio e pieno di smog della GAU di Londra si sarebbe schiarito, le sirene avrebbero smesso di suonare tutta la notte, la gente avrebbe tolto le catene e le serrature dalle porte. Ricordava quanto si era sentita felice con le braccia di suo padre intorno a lei, che la tenevano stretta e la proteggevano.

    Ma era successo qualcosa. Non sapeva tutti i dettagli, nessuno li sapeva, ma le cose erano cambiate. Il governo non aveva fatto nulla di tutto questo. La costruzione si era bloccata, il cielo era ancora grigio e la vita era peggiorata. C’erano sommosse dietro ogni angolo. Le persone sparivano senza lasciare traccia e girava voce che i Cacciatori fossero ritornati.

    Marta sospirò, mordendosi il labbro. I suoi genitori e suo fratello non c’erano più. Marta aveva solo ventun anni, ma il parco di St. Cannerwells era la cosa più vicina alla campagna che avesse mai visto e l’euforia che provava correndo la cosa più vicina alla felicità.

    Afferrò la recinzione con le mani e strinse i denti, cercando di non piangere. Era forte. Aveva visto e fatto cose che nessuno della sua età dovrebbe vedere o fare. Si era abituata alla crudeltà della Mega Britannia, a badare a sé stessa, ma a volte la vita diventava troppo difficile da sopportare.

    Mentre la pioggia diventava più forte, le lacrime le si affacciarono agli occhi scivolandole lentamente sulle guance. 

    Capitolo 2

    Jessica

    Quello è il mio fottuto posto!

    Simon alzò la testa dal finestrino, ma non era a lui che era rivolta la voce. In fondo all’autobus, un uomo robusto con un tatuaggio sul viso aveva attaccato briga con un uomo che indossava un cappello da baseball. Simon osservò con un certo interesse Cappello da Baseball annuire cordialmente e cedere il posto. Con un ringhio indistinto Faccia Tatuata si andò a sedere, ma non appena si distrasse, Cappello da Baseball lo afferrò per la schiena scaraventandolo contro il finestrino.

    La testa di Faccia Tatuata colpì il vetro spesso con un rumore secco. Cappello da Baseball lo scaraventò di nuovo contro il finestrino, questa volta mandandolo in frantumi, una pioggia di schegge che si riversava sull’asfalto. L’autobus frenò bruscamente sul bordo del marciapiede, e Faccia Tatuata perse l’equilibrio e cadde in strada, atterrando sul cofano di una macchina intenta a superare l’autobus.

    Posseduto da una furia che sembrava derivare direttamente dalla nuvola di squallore sospesa sulla Mega Britannia, Cappello da Baseball saltò fuori dal finestrino, urlando oscenità mentre inseguiva Faccia Tatuata. I due uomini lottarono avvinghiati sul cofano della macchina, Faccia Tatuata incassando colpi finché non tirò fuori un lungo coltello dal cappotto e lo conficcò in un fianco di Cappello da Baseball. Quest’ultimo urlò di dolore e cadde all’indietro, il sangue che usciva a fiotti dalla ferita trasformando il blu della sua camicia in marrone sporco. Faccia Tatuata colse la palla al balzo e spinse Cappello da Baseball giù dalla macchina proprio mentre l’autobus iniziava a muoversi di nuovo. L’autista, gridando qualcosa di incomprensibile sopra le urla dei passeggeri, cercò di sterzare per riportare l’autobus nel traffico, ma finì invece per passare sopra al corpo di Cappello da Baseball, le ruote che gli schiacciavano il petto con un disgustoso rumore di spezzarsi di ossa.

    L’autobus proseguì fino all’altra fermata. L’autista scese dal mezzo urlando a qualcuno per strada, agitando le braccia freneticamente. Faccia Tatuata era fuggito; nessuno tra la folla crescente aveva provato a fermarlo. Si sentiva già il lamento delle sirene in lontananza, ma ciò che sconvolgeva maggiormente Simon era quanto poco importasse alla gente. C’era qualche curioso sul marciapiede, ma gli sguardi divertiti erano tanti quanto quelli di orrore. Un paio di passeggeri in fondo all’autobus si erano alzati a guardare, ma dietro di lui due signore di mezz’età continuavano a chiacchierare come niente fosse.

    Questo paese è proprio fottuto, pensò. Non c’è da stupirsi se ad alcuni di noi piace nascondersi sottoterra. Lì almeno è sicuro e non devi avere a che fare con la gente.

    Si alzò, attraversò il corridoio e uscì fuori dalle porte posteriori. A causa del crescente numero di macchine abbandonate per strada, gli ingorghi erano molto frequenti e l’autobus era rimasto bloccato. Simon aveva sperato di rimanere a bordo per almeno un altro paio di fermate in modo tale da addentrarsi nel quartiere di Fulham, ma era abbastanza vicino da proseguire a piedi. Attraversò la strada e si allontanò dal traffico scivolando in un vicolo. Arrivò a una via residenziale parallela alla a quella centrale, così silenziosa rispetto alla precedente da spaventarlo. Si guardò intorno, non c’era nessuno in giro. Gli sembrò di essere passato attraverso un portale verso una città fantasma.

    All’improvviso, il rumore di un’esplosione risuonò debolmente riportandolo alla realtà. L’autobus era andato in fiamme. Simon accelerò il passo, consapevole che in pochi minuti sarebbero sfociati degli scontri. Sempre la stessa storia. Poi, dopo una ventina di minuti, la polizia o il Dipartimento degli Affari Civili si sarebbero fatti vivi per uccidere la gente.

    Odio, rabbia e risentimento erano il pane quotidiano adesso. Il cibo scarseggiava e il petrolio era agli sgoccioli. Le strade erano piene di auto a benzina abbandonate, e i pochi che possedevano quelle elettriche potevano permettersi a malapena il lusso di ricaricarle. Durante la notte i blackout erano frequenti; quelli erano i momenti più pericolosi, perché le strade pullulavano di gang di sciacalli.

    Il padre di Simon era riuscito a stabilire una connessione internet illegale, così Simon sapeva cosa si diceva nel mondo della Mega Britannia. Niente di buono, ovviamente. Suo padre, un aspirante rivoluzionario che in realtà non faceva altro che passare il tempo nel loro appartamento lamentandosi della condizione della società, era caduto vittima del suo stesso sforzo alla comprensione.

    Simon non era con lui quando il DAC era arrivato, un mese prima. La tipica accusa era di tradimento, punito con l’ergastolo o la morte. E come accadeva alle molte persone portate via dagli scagnozzi del governo, Simon non aveva ricevuto notizie di suo padre dal suo arresto. Per quello che ne sapeva, suo padre poteva essere stato sparato nello spazio a bordo di uno di quei sventurati relitti usati dal governo. In ogni caso, era improbabile che Simon l’avrebbe mai rivisto.

    Il DAC si era appropriato del suo appartamento e di tutti i suoi beni. Tornare lì sarebbe stato come camminare in un nido infestato dai calabroni. Aveva perso le poche cose che aveva, alcune delle quali avrebbe potuto usare per rintracciarlo. Adesso temeva che il DAC avrebbe portato via anche lui, ma non c’era nulla che poteva fare per evitarlo se non cercare di non dare nell’occhio.

    E gli rimanevano ancora delle cose per cui valeva la pena di vivere.

    Ormai era quasi arrivato. Svoltò in un’altra strada residenziale e risalì la collina, superando le casette a schiera che sembravano sfidare il mondo con la loro aria ordinata. Alcune zone non erano poi così male. Gruppi di abitanti armati fino ai denti mantenevano l’ordine in modo quasi feudale, lavorando a turni per proteggere le strade dalla gentaglia che razziava i negozi durante i blackout. Non potevi vederli, ovviamente, ma erano lì. Acquattati nei vicoletti, nascosti dietro le tende, dietro ai finestrini sporchi delle auto abbandonate.

    Una volta in cima alla collina, Simon girò a destra su una strada chiamata Denton Avenue. Si fermò fuori dal numero quattordici, davanti al piccolo cancello rosso, e alzò lo sguardo verso le finestre.

    Sbirciò il suo orologio, un vecchio Lorus che indossava il giorno in cui il DAC era venuto a prendere suo padre. Le tre e un quarto. Aveva detto alle tre, ma lei sapeva quanto il traffico poteva essere imprevedibile.

    Rivolse di nuovo lo sguardo alla casa, alla finestra a destra al piano di sopra, e si chiese se fosse il caso di urlare. Poi la tenda tremolò e si mosse verso l’interno. Simon sentì il cuore saltargli nel petto. Apparì un volto. Era difficile individuarne i tratti a quella distanza, ma Simon li conosceva bene: gli zigomi sottili e delicati, le ciocche di un severo caschetto che si curvavano vicino alle mandibole, le labbra piccole e il luminosi e vivaci occhi blu.

    Jessica, mormorò Simon, come sempre sollevato dal vederla al sicuro.

    La tenda coprì di nuovo il vetro.

    Lui rimase in attesa. Trenta secondi più tardi la porta si aprì; ne uscì lo stesso viso. Okay, l’ho disattivato, disse la ragazza. Puoi entrare adesso.

    Simon andò verso il cancello, esitante come la prima volta che l’aveva superato. Il rosso avrebbe dovuto essere un avvertimento, ma lui era stato troppo distratto. Ricordò la paralisi e l’intenso dolore che l’elettricità gli aveva causato attraversandogli il corpo, lasciandolo a contorcersi al suolo. Il padre di Jess lavorava per il governo e aveva accesso a tecnologie avanzate di sicurezza che molti potevano solo immaginare. Tutti quelli che la sua famiglia considerava amici sapevano di dover chiamare in anticipo o usare il campanello di fianco al cancello. Tutto il resto era considerato come una potenziale minaccia e il cancello elettrificato era un ottimo deterrente. Quando Simon raggiunse la porta, lei la spalancò e uscì fuori, quasi gettandosi tra le sue braccia.

    Mi sei mancato, disse lei. Ogni giorno di più.

    Anche tu mi sei mancata, Simon l’attirò a sé respirando il profumo dolce dei suoi capelli. Chiuse gli occhi, sentendo il cuore di Jess battere contro il suo petto. Non c’erano molte ragioni a spingerlo ad andare avanti nella GAU di Londra, ma lei era una.

    Jess aveva diciotto anni e lavorava in una libreria di libri usati vicino al mercato in cui Simon vendeva film piratati e dischi di musica antiquata alla bancarella di un vecchio amico di suo padre. Simon si sentiva molto più vecchio dei suoi vent’anni. La paura per l’incolumità di Jess lo teneva sveglio la notte. Se avesse potuto, l’avrebbe portata con lui, ma né i suoi genitori né lei stessa l’avrebbero permesso. Come Jess gli ricordava costantemente, anche lei era cresciuta nella sua stessa città e anche lei conosceva bene la vita di strada. E visto che suo padre lavorava per il governo doveva stare ancora più attenta.

    Hai corso oggi? gli chiese.

    Lui esitò. Sapeva che a Jess non piaceva che lui corresse coi treni, ma lo capiva.

    Solo una volta, rispose. Gli altri avevano da fare. Preferì non parlarle dell’incidente di Dan.

    Lei si scostò e rimase a guardarlo. Per un attimo Simon pensò di stare per ricevere l’ennesima sfuriata. Scegli, Simon, o i treni o me. Non puoi avere entrambe le cose. Quando Jess parlò, la sua richiesta lo sorprese.

    Voglio venire con te, gli disse. Voglio provare anch’io.

    Assolutamente no. Te l’ho detto, è troppo pericoloso.

    Perché lo fai allora?

    Io... Scosse la testa. "Non lo so. È qualcosa di mio. La mia identità, immagino. È l’unica cosa che mi rimane."

    Jess gli trattenne il viso con le mani e lo spinse verso il suo. Non più, disse, e lo baciò. Non più.

    Aveva ragione. Era il momento di lasciare le corse e occuparsi di lei. L’aveva incontrata appena sei mesi prima, ma viste le circostanze sembravano invece passati degli anni. Non riusciva a immaginare una vita senza di lei e odiava ogni istante che li separava, ma i Tube Riders – Marta, Paul, persino il folle Stick – erano la sua famiglia. Nemmeno di loro poteva fare a meno. Prima di incontrare Jess, correre coi treni era stata l’unica cosa a dare un senso alla sua vita. Così aveva incontrato i suoi amici, persone come lui.

    Andiamo dentro, fece lei. Meglio tenersi via dalla strada.

    La famiglia di lei non c’era, come sempre quando lui veniva a trovarla. Il padre di Jess era un ufficiale del governo – un lavoro di cui Simon non parlava né chiedeva – e sua madre lavorava per la CBMB, la Corporazione Bancaria della Mega Britannia, l’unica banca del paese.

    Hai scoperto qualcosa su mio padre?

    Jess chiuse la porta prima di rispondere. No, mi spiace. Ho provato a chiedere a papà, ma è difficile farlo senza che si insospettisca. Fa mille domande e non risponde a nessuna. Ho cercato di sembrare semplicemente interessata all’articolo sul giornale, ma ha iniziato a blaterare di eretici che hanno quello che meritano. Scrollò le spalle. Probabilmente non ne sa nulla.

    Lo sai che non c’entro niente, vero? Simon chiese, togliendosi le scarpe. Non ho mai avuto niente a che fare con nulla di ciò che ha fatto mio padre né coi volantini che stampava. Ho solo usato la sua connessione internet un paio di volte, tutto qui.

    Lei gli prese di nuovo il viso tra le mani. Lo so, Simon. E se così non fosse, non mi importerebbe. A volte penso che questi presunti eretici...

    Voglio portarti via di qui, Jess, disse Simon, baciandola. Se solo potessimo fuggire dalla Mega Britannia, andare in Francia... Lì sì che è tutto diverso. Hanno un governo a cui frega qualcosa, non sono prigionieri di quelle fottute mura... Al diavolo questo posto.

    Salirono le scale per arrivare alla stanza di Jess. C’è ancora speranza, disse lei. È arrivato un ambasciatore dall’Europa, me l’ha detto papà. Per fare da tramite tra la Confederazione Europea e la Mega Britannia. Papà ha detto che la Confederazione vuole riaprire il mercato. Mettere fine al blocco commerciale.

    Pensi lo faranno davvero?

    Jess si sedette sul letto. Non lo so. Forse saranno costretti a farlo. Papà dice che il paese è in bancarotta, ma il governo non sente ragioni. La gente muore di fame, non c’è più petrolio, ci sono rivolte ovunque...

    Simon le posò un dito sulle labbra. Okay, adesso basta. Si chinò di nuovo a baciarla.

    Jess sospirò e lo tirò a sé sul letto. Simon chiuse gli occhi e le lasciò spazzare via tutti i problemi del mondo.

    *

    Più tardi, di nuovo vestito e sdraiato sul letto accanto a lei, Simon disse: Tornerò laggiù domenica, verso l’ora di pranzo. Dopo il mio turno al lavoro. Le accarezzò il viso. Puoi venire, se vuoi. Cioè, se non sei al lavoro e non hai altro da fare.

    Davvero? Posso partecipare alle corse?

    Simon scrollò le spalle e fece un mezzo sorriso. Non so. Prima dovresti guardare soltanto, magari. All’inizio si fa pratica coi treni merci, perché sono molto più lenti. Puoi quasi camminare con loro fianco a fianco. I suburbani rallentano quando entrano in una stazione, ma vanno comunque molto veloci.

    Simon le aveva raccontato già tante volte delle corse, ma Jess stava ad ascoltarlo affascinata come fosse la prima. Fino a un paio di mesi prima, quando Simon le aveva svelato il suo segreto, Jess credeva ancora alle storie di fantasmi.

    Sembra difficile, disse, gli occhi accesi dall’interesse.

    Non così tanto, fece Simon con un ghigno. Non se sai quello che fai.

    E tu usi questo? Jess sollevò il clawboard e lo rigirò tra le mani. Era una tavola di legno massiccio, lunga circa sessanta centimetri. Da un lato, attaccato al legno da una serie di viti, spuntava un curvo pezzo di metallo graffiato dall’usura. Nella parte opposta, c’erano due spesse cinghie di pelle, anche queste fissate al legno. La tavola era dipinta di nero. Su di essa si intravedevano i resti di un disegno che il tempo aveva cancellato.

    Cos’è questa diavoleria? fece lei pensierosa, solo in parte rivolta a lui.

    È un clawboard, rispose lui. Ce lo fabbrichiamo da soli, anche se alcuni lo prendono da quelli che non... da quelli che decidono di lasciare.

    Lasciare?

    Sì. Alcuni si spaventano. Altri decidono semplicemente di smettere. Non disse nulla riguardo alle morti. Non c’era motivo di preoccuparla.

    E questo qui l’hai fatto tu?

    Sì, questo qui sì. Il gancio di metallo era parte del parafango di una macchina. Alcuni degli altri ragazzi ne hanno due o tre più piccoli invece. Questa è pelle di cavallo, che è più resistente.

    Dove l’hai presa? Non vedo un cavallo da quando ero bambina ormai.

    In una discarica. Ti ho detto che era resistente. Penso fosse la tracolla di una chitarra o qualcosa del genere.

    E l’hai dipinto tu di nero?

    Sì. Sai com’è. Piegò la testa e alzò un sopracciglio. Volevo renderlo mio. Stick, uno degli altri ragazzi, si è fatto dipingere un dragone. Devo dire che si addice alla sua personalità.

    "Ma, di nero? Jess gli sfiorò il braccio con un sorriso. È il contrario della tua personalità, Simon."

    Beh... fece lui con un ghigno. Immagino che mi rappresentasse, almeno a quei tempi.

    Lei si avvolse una delle cinghie attorno al posto. Deve proprio far male.

    Simon tirò fuori qualcosa dalla tasca e glielo mostrò. A volte usiamo questi, disse. Proteggono i polsi. Somigliavano a tubi di gomma, a spessi bracciali. "Sono isolanti per tubi dell’acqua. È stata un’idea di Paul, prima che smettesse con le corse. Non ne hai bisogno, ma se corri regolarmente le cinghie cominciano a bruciare la pelle, specialmente se non sei ancora molto pratico."

    E quindi vi agganciate ai treni?

    Molti treni hanno una sorta di ringhiera lungo la parte superiore della carrozza, proprio sopra il livello della porta. Serve a far scorrere via l’acqua, credo, in modo che i finestrini non si sporchino di macchie umide.

    Che succede se non c’è la ringhiera?

    Simon sorrise. Ci fermiamo. Altrimenti rischieremmo di scivolare.

    Da dove viene l’acqua? Non piove sottoterra.

    La maggior parte dei treni corre sia sopra che sotto la città. Alcuni raggiungono anche le zone periferiche e vanno in superficie.

    Jess annuì, sorrise. Che stupida. Come ho fatto a non pensarci?

    Simon ricambiò il sorriso. In ogni caso, quando il treno arriva cominciamo a correre. Rallenta sempre quando arriva a una stazione, ma viaggia comunque a ottanta chilometri all’ora.

    E le braccia non rimbalzano via a causa dell’impatto?

    Beh, quando la tavola si aggancia alla ringhiera il corpo scivola un po’. Vieni strattonato, ovviamente, ma non come se facessi presa con un gancio più stabile. A volte la ringhiera è piena di sassi e sporcizia, però. E quello sì che fa male. Simon sorrise.

    Che succede se manchi l’aggancio?

    Non succede.

    Mai?

    Non se sai quello che fai. Odiava mentirle. Una volta, aveva mancato. Come Dan quella mattina, era stato fortunato. Ne era uscito con qualche brutto livido, ma niente di serio. Si ricordò di Clive, intrappolato tra la piattaforma e il treno. Era stato schiacciato, fatto a pezzi. Avevano provato a soccorrerlo, ma si erano solo inzuppati inutilmente di sangue. Marta e Clive stavano insieme all’epoca, e Simon non riusciva a credere che lei fosse tornata a correre dopo aver assistito a quella tragedia. Dopo la morte di Clive, gli occhi di Marta erano abitati da un’ombra scura, come se ogni traccia di innocenza rimasta le fosse definitivamente stata sottratta. Simon stesso aveva dovuto allontanarsi dai treni per un paio di settimane, ma quando aveva finalmente sentito il bisogno di tornare, li aveva trovati laggiù – Marta, Paul e Stick – come se non fosse successo niente.

    Avevano dato il loro addio a Clive come si fa tra i Tube Riders, disponendolo sulle rotaie e aspettando il prossimo treno che avrebbe reclamato il suo corpo. Era alquanto raccapricciante, ma era il loro codice. Clive era senza casa, senza famiglia. Portare il suo corpo alla polizia non avrebbe fatto altro che causare domande scomode.

    E alla fine della piattaforma si salta via?

    Più o meno. Bisogna mettere i piedi in posizione da un lato del treno, spingere su la tavola e scalciare indietro. Usiamo vecchi materassi per l’atterraggio, ma se sai come fare puoi anche cadere sulla piattaforma e rotolare senza farti male. Senza farti molto male, aggiunse nella sua testa. Faceva male comunque, semplicemente riuscivi a non romperti nulla se lo sapevi fare bene.

    Non vedo l’ora, disse Jess.

    Se stai attenta andrà bene, fece lui. Non preoccuparti, ci penserò io a te. Gettò un’occhiata al suo orologio. Devo andare, disse. Sono quasi le cinque. I tuoi saranno qui a momenti.

    Okay, disse lei, alzandosi e lisciandosi i vestiti. Mentre lo accompagnava giù dalle scale e verso la porta, aggiunse: Ci vediamo al mercato alla fine del tuo turno, così possiamo andare insieme.

    Simon sorrise. Non voglio andare via, disse. Voglio stare qui con te.

    Oh, sì, certo. Smettila di frignare. Gli colpì il braccio con un pugno, ma Simon notò che i suoi occhi erano lucidi. Inghiottì le lacrime, deciso a non mostrarle la sua debolezza. Ogni volta che la salutava

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