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Traditores Imperii
Traditores Imperii
Traditores Imperii
E-book387 pagine5 ore

Traditores Imperii

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Info su questo ebook

Roma, anno 253 dopo Cristo. Il potere è nelle mani del crudele Gaio Messio Decio; i confini dell’impero sono scossi all’esterno dai barbari e all’interno la pace è minacciata dai continui tradimenti e dai giochi di potere di ambiziosi senatori. Gli antichi e venerati mores sembrano minati dal diffondersi della nuova fede cristiana e un intero mondo è sul punto di collassare. Tra intrighi di palazzo, clangore di armi e grida di battaglia, un’improbabile compagnia si spinge fino al limite estremo delle terre romane incalzata da un pesante segreto: chi sono, veramente, i traditores imperii?  
"Traditores Imperii", è stato anche vincitore nel 2009 di un premio letterario.

BIOGRAFIA DELL’AUTORE
Eleonora Fossile vive ai Castelli Romani; archeologa per formazione, docente di professione, ama vivere all'aria aperta, camminare tra i monti, i boschi e i sentieri, immergersi nei suoni e nell'armonia della natura; scrittrice per passione e vocazione, è autrice di altri due romanzi, "La voce del lago" e “L’artiglio dell’aquila”.
LinguaItaliano
Data di uscita20 ago 2018
ISBN9788828377580
Traditores Imperii

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    Anteprima del libro

    Traditores Imperii - Eleonora Fossile

    amore!

    I

    Bussarono. Hedia era già sveglia e si stava vestendo. Aveva lavato il viso e le mani in un catino d’argento riccamente decorato, che brillava in un angolo della stanza, illuminato dai primi raggi del sole che filtrava attraverso le imposte lignee socchiuse e stava indossando la tunica bianca.

    Si sedette sul letto e iniziò a pettinare i lunghi capelli castani con una calma che rasentava la svogliatezza. Li intrecciò con una certa civetteria, lasciando fuggire attorno al viso qualche ricciolo, quindi si drappeggiò attorno al corpo la lunga stola bianca. Sbuffò. Come al solito, come da quasi dieci anni, era di pessimo umore. Spalancò con rabbia le ante della finestra e respirò a pieni polmoni l’aria frizzante del mattino.

    Vuoi sbrigarti, Hedia Lolliana, o pensi che tutti stiano ai tuoi comodi? l’apostrofò una donna di mezza età, con voce dura, al di là della porta.

    Essa fece spallucce e non rispose. Poco dopo uscì dalla sua camera.

    Il littore attende e Stercoria ha già caricato il carro e aggiogato i cavalli. Aspettano solo te!

    E le altre due, non vengono?

    Vuoi scherzare? Emilia ha appena terminato la veglia notturna al fuoco ed è stanchissima e Sempronia deve preparare la farina salata per le offerte rituali! Come vedi, solo tu non hai nulla da fare!

    Hedia si voltò senza parlare, si diresse in cucina e si versò in una ciotola un po’ di latte, prese una fetta di focaccia dolce al miele e si sedette su uno scalino a mangiare. Quando ebbe finito, con la massima calma, si avviò verso l’atrio e uscì.

    Le venne incontro sorridendo una fanciulla quasi della sua stessa età, dalla pelle ambrata, con occhi e capelli nerissimi, che tradivano un’origine orientale. Un sorriso luminoso le irradiava dal volto. Era Stercoria, la sua schiava, che la salutava affettuosa.

    Buongiorno, padrona! esclamò con voce argentina Sei pronta per la passeggiata? Guarda che magnifica giornata… Il sole già brilla!

    Essa sorrise tristemente. Già, era una magnifica giornata, uguale a tutte quelle che aveva trascorso, uguale a quelle che avrebbe trascorso per altri venti anni…avrebbe voluto gettarsi nel Tevere!

    Il littore la salutò con deferenza, senza però quel timore reverenziale che avevano tutti gli altri quando si trovavano dinanzi a lei, al cospetto di una sacerdotessa di Vesta.

    Sei nuovo tu?

    Si signora. Non è molto che sono stato comandato al tuo servizio. Mi chiamo Marco Minucio! esclamò sorridendo e accennando ad un gesto di saluto.

    Le piacque quel viso leale e quel fare così umano, insolito nei suoi confronti…

    Allora andiamo. Ci aspetta un po’ di strada da fare disse uscendo in fretta.

    S’incamminarono alla volta della fonte delle Camene, dove in ottemperanza ad un’antichissima legge sacra le vestali si recavano a far provvista d’acqua.

    Le ruote battevano ritmiche sul selciato stradale; la città iniziava allora a svegliarsi e dai vicoli si udivano i suoni della gente che riprendeva le attività quotidiane. Stercoria e Marco Minucio camminavano davanti al carretto, fianco a fianco, conversando amichevolmente come due persone che si conoscevano da molto tempo. Hedia era invece dietro alla vettura e man mano che si allontanava dall’atrio di Vesta, dove abitava, sembrava rasserenarsi e migliorare d’umore. Osservava la strada ombreggiata dai pini e le costruzioni che quasi l’invadevano, con i panni stesi ad asciugare ai balconi, i bambini che correvano giù per le scale, il profumo del pane appena sfornato… Di tanto in tanto incontrava gruppi di persone che si recavano al Foro per fare acquisti o dirimere controversie giudiziarie e che si scansavano precipitosamente al suo passaggio, gettandosi letteralmente ai lati della strada e inchinandosi ossequiosamente.

    Si rattristò e il senso di solitudine che provava dentro di sé si acuì. Sospirò profondamente e raggiunse di corsa i suoi compagni, che si erano allontanati un bel pezzo, presi dalla foga della loro discussione. Il littore s’interruppe vedendo sopraggiungere la Vestale ed arrossì, temendo che essa avesse udito le loro parole. Stercoria se ne accorse e sorrise rassicurante.

    Non preoccuparti, Marco Minucio! La mia padrona è buona e non ci detesta come tutti gli altri!

    Hedia riprese fiato dopo la corsa. Aveva le guance rosse e gli occhi castani le brillavano vivaci.

    Ah- esclamò- mi sento meglio ora! Sono felice che Flavia Publicia mi incarichi di prendere l’acqua per la nostra casa! Posso uscire e respirare un po’, lontano da quell’orribile luogo!

    Stercoria chinò il capo, triste.

    Se potessi andartene… mormorò.

    Gli occhi della Vestale brillarono di rabbia. Tacque.

    Siamo arrivati! esclamò quando giunsero sul limitare di un boschetto che sorgeva presso la Porta Capena, in una dolce vallata naturale tra i colli Celio e Aventino, ricca di verde e di sorgentelle, che la rendevano un vero luogo di delizie a pochi passi dal frastuono e dalla confusione di Roma.

    In una grotta naturale circondata da un ombroso ninfeo, avvolta dal bianco latteo di un portico colonnato e arricchita da un elegante tempietto brillante di marmi colorati, dalle tegole di bronzo che rilucevano al tiepido sole mattutino, dentro una fontana riccamente decorata, si riversava l’acqua della sorgente naturale che sgorgava da tempo immemorabile, impiegata dalle sacerdotesse di Vesta per le loro necessità quotidiane e per le lustrazioni sacre.

    Hedia condusse il veicolo fin sotto la polla, aiutata da Stercoria e dal littore. Scaricò le anfore piccole di terracotta e le pose a terra, poi iniziò a riempirle una alla volta, quindi fece travasare l’acqua sulle giare più grandi, caricate sul carro. L’operazione era piuttosto lunga e faticosa, ma la fanciulla la svolgeva con incredibile flemma, così che quando ebbero terminato il sole era già alto nel cielo.

    Tornarono indietro per la stessa strada, che ora era brulicante di persone: alcuni procedevano di gran fretta, come se fossero incalzati da un compito urgente da svolgere; altri bighellonavano sfaccendati e attaccavano bottone con chiunque passasse loro accanto, conoscente o sconosciuto.

    C’erano anche stranieri, greci e orientali o gente del Nord dalla carnagione bianchissima e dai capelli rossi, che chiedevano informazioni in un latino davvero incomprensibile, mentre l’intervistato si sforzava di farsi capire e gesticolava animato… Un paio di giovani lanciarono un fischio d’ammirazione al passaggio di Stercoria, che sorrise civettuola.

    Essi però tacquero e si allontanarono intimiditi quando videro sopraggiungere l’altera fanciulla vestita di bianco. Hedia sospirò e chinò il capo a terra. Chissà che cosa si provava a destare l’ammirazione di un uomo… Le sarebbe piaciuto saperlo! Appena entrati nell’atrio, alcuni servitori solleciti si preoccuparono di scaricare le anfore e di riempire la vasca.

    Dov’è Flavia Publicia? chiese Hedia a due vestali sulla trentina che passeggiavano tra le statue del cortile.

    Ha visite! Una cugina è venuta a trovarla da Baia! Che vuoi da lei?

    Niente, volevo solo informarla che esco per un po’! Vado a fare un giro per il Foro!

    Hai il littore?

    Si! Porto anche Stercoria aggiunse.

    Fa’ come ti pare! concluse Valeria, colei che aveva parlato, mentre l’altra, Turia, la osservava con malcelato disprezzo.

    Hedia si precipitò fuori, seguita dalla sua schiava e dal littore.

    Le odio! Odio quella casa, quel fuoco, le mie compagne! Oh, come odio questa vita! sbottò piangendo con il viso tra le mani.

    Stercoria e Marco Minucio le si avvicinarono, cercando di consolarla.

    Non preoccupatevi! Ora mi passa! Ecco… mormorò asciugandosi gli occhi con un lembo del mantello. Stercoria le carezzò dolcemente il capo e il littore le rivolse uno sguardo di sollecita partecipazione: provava pietà per quella fanciulla, che sembrava essere così infelice, ed avrebbe tanto voluto aiutarla… Di nuovo padrona di sé, Hedia alzò il viso.

    So che hai una riunione, Stercoria, con i tuoi.... Io starò in giro per quasi tutta la mattina, quindi fa’ quello che vuoi… Ci vediamo alle spalle della Basilica Giulia verso l’ora sesta!

    Abbi cura di lei, Marco Minucio! esclamò la schiava accompagnando le parole con un gesto di saluto, quindi si allontanò con un passo rapido, che le faceva ondeggiare la chioma corvina dietro le spalle. Hedia sospirò ed un velo di tristezza le offuscò lo sguardo.

    Gironzolavano senza meta per il Foro, camminando quasi fianco a fianco, il littore un po’ più avanti e la vestale pochi passi più indietro.

    Egli chiese alla fanciulla da quanto tempo facesse parte di quel collegio sacerdotale: erano quasi dieci anni ormai – rispose- aveva appena avuto il tempo di festeggiare il suo decimo compleanno, che una mattina venne accompagnata dai suoi genitori all’atrio di Vesta. C’era stata una cerimonia…

    Altre due bambine, Emilia e Sempronia, stavano lì con lei davanti all’imperatore, che aveva indossato per l’occasione il vestito del Pontefice Massimo. C’era moltissima gente. L’imperatore, il giovane Gordiano, le aveva detto qualcosa, fissandole in viso i suoi grandi occhi spauriti, poi le avevano tagliato le trecce e le avevano appese ad una pianta…

    Era diventata come una dea. Era rimasta sola.

    Passarono accanto alla Curia. C’era notevole vivacità lì fuori e gruppetti di senatori e magistrati parlottavano concitati. Riconobbe qualche conoscente e sperò di non incontrare suo padre. I suoi genitori le erano diventati estranei da quando era stata condotta a vivere nell’atrio di Vesta e in fondo al cuore li detestava per averla costretta ad una scelta che, se avesse potuto farlo, avrebbe rifiutato con tutte le sue forze!

    Salve, Hedia Lolliana!

    Riconobbe la voce del figlio del senatore Licinio Valeriano che la salutava. Gli andò incontro, sempre accompagnata dal littore.

    Salute a te Licinio Egnazio! Che cos’è questo trambusto? Ci sono riunioni in vista?

    Le solite beghe con i barbari! Tra loro fuori e i cristiani dentro i confini, non si sa più quale sia il problema peggiore! scherzò.

    Il littore chinò il capo e iniziò a fissare con interesse le selci che lastricavano la piazza antistante la Curia. Hedia cambiò argomento.

    Come sta tua moglie? E il piccolo Salonino?

    Salonina sta bene, chiede sempre di te a tua madre…credo che uno di questi giorni verrà a farti visita! Le dirò di portare con sé il bambino. Ora ha nove anni, sai? È bellissimo, come la madre, e vivace… i suoi occhi brillavano quando parlava della sua famiglia: egli adorava, ricambiato, sua moglie e il piccolo.

    In quel momento lo invidiava. Si accorse poi che lui stava volgendo lo sguardo attorno, come se stesse aspettando qualcuno.

    Cerchi tuo padre? s’informò.

    No, sorrise il giovane accarezzandosi la corta barbetta ricciuta, ho appuntamento qui con il mio nuovo collaboratore!

    Chi è? Non sapevo che anche tu avessi tanto lavoro da necessitare di segretari! ironizzò.

    Oh, non è un segretario! No, no… Ha iniziato da poco la carriera pubblica. È appena tornato dal Norico, dove ha svolto il tribunato militare!

    E’ un senatore, dunque? Lo conosco?

    Egli rise di cuore.

    Direi che è impossibile! È il figlio del senatore Fundanio Pollione. Un tipo in gamba… Un giovane deciso, di carattere, come non se ne trova più tra i nostri! Ah, eccolo! Voglio presentartelo!

    Hedia si voltò incuriosita. Anche il littore alzò il capo al sentire il nome del giovane e sorrise, lieto nel vederlo arrivare. Un bel tipo, alto, dal fisico atletico e dal portamento fiero si faceva largo tra la folla.

    Lascia stare, Licinio…io vado… si schermì la ragazza, intimidita e infastidita dal dover incontrare qualche rappresentante del Senato.

    Intanto l’ex tribuno li aveva avvistati e procedeva a grandi passi verso di loro. Si fermò a poca distanza, stupito nel vedere una vestale. Poi notò il littore, un uomo che conosceva e li raggiunse.

    Perdona il ritardo Licinio, ma è accaduto qualcosa che…

    Lascia stare Publio! Non intendo offendere la tua sensibilità su questo argomento, ma voglio che tu faccia la conoscenza di una delle nostre dee! l’apostrofò con tono ironico Gallieno.

    Licinio…! protestò la giovane, piuttosto contrariata dal sentirsi chiamare così.

    La vestale Hedia Lolliana! È la figlia del senatore Quinto Lolliano Genziano! Hedia, fece poi ho l’onore di presentarti l’illustrissimo Publio Fundanio Pollione.

    Hedia chinò il capo, imbarazzata: da suo padre aveva sentito una volta che i Fundani Pollioni erano ostili alla sua famiglia… Forse non era il caso di fare le presentazioni… Forse quello non avrebbe gradito tale gesto…

    Sono felice di conoscerti, Hedia Lolliana le rispose invece quello con perfetta cortesia, non badando alla mancanza di tatto del suo collega e fissando i suoi occhi scuri in quelli della donna lì presente. Essa arrossì ancora più imbarazzata e infastidita.

    Licinio invece sorrise ironico e guardò di soppiatto l’amico, per carpirne una reazione di sorpresa, o magari sdegno. Invece no. Era perfettamente a suo agio. Eppure aveva capito benissimo chi fosse colei che aveva di fronte. Una vestale e una nemica della sua famiglia e della sua cricca. Scrollò il capo e sospirò. Hedia non sapendo che fare si limitò ad alcune frasi di circostanza.

    So che sei tornato dal Norico… fece quindi cercando di nascondere la sua abituale timidezza Che posto è?

    Egli rispose con prontezza. Era un giovane dai modi aperti e molto comunicativo.

    Selvaggio! E bellissimo! Il campo della nostra legione si trovava in una valle… Attorno troneggiavano montagne alte e boschi! E i prati verdissimi erano solcati da mille ruscelli… Non ho mai visto tanta acqua in vita mia! Nei villaggi attorno all’accampamento, abitano romani e barbari… Gente pacifica, laboriosa… Ma fa freddo! L’inverno, là sui monti, è tutto coperto di neve!

    Hedia ascoltava rapita il racconto di Publio Fundanio.

    La neve? Non ho mai visto la neve… Com’è?

    Suvvia, Hedia, possibile che tu non abbia mai visto la neve? la rimproverò bonariamente Licinio Egnazio. Lei l’ignorò. Il littore seguiva attento la conversazione, curioso di sapere cose nuove su posti sconosciuti.

    Beh, la neve è… bianca, come il tuo mantello, ed è molto fredda! Ma se la prendi tra le mani, con il calore si scioglie e diventa acqua! Al sole riluce come se fosse fatta da migliaia di piccoli brillanti. Quando, in inverno, ricopre ogni cosa, il paesaggio è così suggestivo per chi l’ammira per la prima volta! spiegò il giovane sempre tenendo gli occhi fissi in quelli di Hedia.

    Mi piacerebbe visitare quei posti… mormorò rattristandosi di nuovo.

    Ad un tratto la loro conversazione fu interrotta da un vociare crescente ed una folla inferocita seguiva un uomo in ceppi, condotto da due guardie, riempiendolo di sputi e d’insulti.

    Ma che cosa succede?! esclamò allarmato Licinio Egnazio.

    Portano al supplizio un detenuto… Ma… lo conosco! - esclamò il littore- è un poveraccio, un buon uomo! Che cosa avrà fatto?! non aveva terminato di parlare, che incontrò lo sguardo accigliato di Publio Fundanio.

    Poteva immaginare di che cosa fosse accusato!

    Hedia si voltò vivacemente e vide correre tra la folla e raggiungere il disgraziato una donna con i capelli scarmigliati, che piangeva e mostrava ai carcerieri due bambini gracili e terrorizzati.

    Quella è sua moglie… e i figli piccoli! - gridò Marco Minucio- come faranno senza di lui?

    Lo conosci? chiese Hedia.

    Sì, signora! Abita non distante da casa mia! È un uomo onesto… si guadagna la vita come facchino in una tintoria… Non ha mai fatto male a nessuno! concluse con le lacrime agli occhi.

    E’… è tuo amico?

    Il littore annuì, poi scrollò il capo notando lo sguardo indagatore di Egnazio Gallieno.

    Che ne sai che non sia un ladro? intervenne.

    Non è un ladro! È un cristiano! la voce calda e profonda di Publio Fundanio risuonò come un rimprovero.

    Un criminale, allora! rincarò Licinio Egnazio.

    Publio Fundanio non l’udì. I suoi occhi brillavano di rabbia a quella vista e stringeva forte i pugni. Stava per avanzare verso quella folla, quando Hedia lo prevenne.

    Sei sicuro della sua onestà? intervenne Hedia Lolliana scrutando perplessa la folla.

    Come della mia!

    Stai attento, Publio Fundanio! Non impicciarti! l’ammonì Gallieno.

    Hedia continuava ad osservare la folla agitata, la donna piangente e i bambini, la violenza di quello scontro…

    Lasciate che ci pensi io! Precedimi Marco Minucio. Voglio passare da lì, dall’arco dell’imperatore Severo! esclamò infine con risolutezza, dardeggiando un’occhiata su tutta quella gente esagitata che si avvicinava. Ti saluto Licinio Egnazio. Arrivederci Publio Fundanio! salutò incamminandosi decisa dove aveva detto.

    Marco Minucio avanzava tenendo ben in vista i fasci, piuttosto preoccupato, mentre la Vestale lo seguiva imperturbabile. Licinio e Publio videro la folla chetarsi alla vista della donna vestita di bianco. Essa si fermò davanti al prigioniero e i due soldati, come prescriveva la legge, lo liberarono.

    Egli le si gettò ai piedi, imitato dalla moglie, ancora sconvolta, e dai bambini piangenti. Marco Minucio fece in modo che nessuno le si avvicinasse: sarebbero morti se l’avessero sfiorata! Quei forsennati avrebbero potuto dire che il prigioniero le si era avventato contro… Era successo, soprattutto quando si voleva far morire ad ogni costo qualcuno… Hedia sorrise e ordinò alla folla di disperdersi ed al poveraccio di tornare tra le braccia dei suoi familiari.

    Poi proseguì la passeggiata. Da lontano Publio Fundanio e Licinio Egnazio osservavano la scena l’uno con sollievo e l’altro accigliato. Poi entrarono nella curia.

    Hedia invece diresse i suoi passi verso il Foro di Traiano e, sempre accompagnata dal fedele Marco Minucio, si tuffò nella confusione di quel grandissimo mercato. Vagava senza meta tra le botteghe, salutata dai continui inchini dei passanti. Fece finta di non accorgersene. Si fermò di fronte ad una rivendita che esponeva preziose stoffe e sete colorate provenienti dall’Oriente. Le sarebbe piaciuto indossare un abito sgargiante, che brillava alla luce del sole, come la neve di cui aveva sentito poco prima…

    Assaporò il profumo intenso e sensuale che promanava da una preziosa fialetta d’alabastro, altro prodotto che giungeva da quelle terre lontane e misteriose. Le venne in mente il giovane che aveva appena conosciuto, Publio Fundanio, la voce calda, gli occhi profondi… Poggiò la boccetta sul banco e si allontanò rapidamente.

    Guardò il cielo: il sole aveva quasi raggiunto il suo culmine, l’ora sesta si avvicinava, doveva tornare indietro! Il littore la seguiva docile e sollecito, salutando ogni tanto qualche conoscente. Passarono di nuovo dinanzi alla Curia: le porte erano chiuse, non si vedeva gente intorno… allungò il passo.

    La Basilica Giulia sorgeva lì vicino. Hedia e Marco Minucio si guardavano attorno. Da dietro una colonna sbucò il viso raggiante di Stercoria. Marco Minucio sorrise e l’indicò alla vestale.

    Padrona…sono qui! esclamò la giovane schiava correndole incontro.

    Ti abbiamo visto… Tutto bene? s’informò.

    Oh sì! Ti salutano, Marco Minucio…

    Egli annuì.

    Hedia chinò il viso a terra.

    Forza… Bisogna rientrare… mormorò in un sussurro pieno d’angoscia. Due lacrime le brillavano tra le ciglia.

    Stercoria e Marco Minucio sospirarono.

    Padrona…

    Andiamo ancora un po’ in giro… Non c’è problema, io ti scorterò ovunque signora! propose il littore.

    Hedia scrollò il capo in segno di diniego.

    Grazie amici! Ma lì purtroppo devo rientrare, prima o poi… È meglio affrettarsi, non voglio che vi rimproverino per causa mia!

    II

    Hedia sussultò e aprì gli occhi. Oh, no! Si era addormentata di nuovo! Stava accoccolata ai piedi dell’altare dove ardeva perenne il fuoco sacro, simbolo della vita di Roma e della prosperità dell’Impero, che ora languiva dopo aver consumato gran parte del combustibile.

    Balzò in piedi: la noia e la stanchezza per quella veglia notturna nel tempio di Vesta l’avevano sopraffatta. Soffiò sulle piccole fiammelle e sulle braci per ravvivarle ed aggiunse legna e olio per accelerare la combustione. Soffiava a pieni polmoni, sperando che il fuoco non si spegnesse. Forse stavolta me la cavo… Eviterò la frusta… pensava mentre cercava di rianimare le faci languenti.

    Le venne in mente che quello potesse essere interpretabile come un segno di qualche sventura incombente su Roma… Rise tra sé: da quando aveva iniziato a prestare servizio tra le vestali, aveva smesso di credere negli dei… In realtà non credeva più in nulla e soprattutto detestava dover trascorrere la parte migliore della sua vita a far la guardia ad uno stupido braciere!

    A forza di soffiare e aggiungere combustibile, il fuoco aveva ripreso vita e ora scoppiettava di nuovo alto e allegro. Era talmente immersa in quell’operazione, che non si accorse che da un po’ di tempo una figura, sopraggiunta silenziosamente e di soppiatto, la stava osservando. La sua voce severa la fece sobbalzare.

    Hai ancora rischiato di far spegnere la fiamma! l’apostrofò Flavia Publicia, la Vestale Massima Hedia Lolliana! Rispondimi!

    Essa si voltò di scatto, tremava ancora dallo spavento.

    N… no, non è vero… io… io stavo solo ravvivando un po’ il fuoco… tentò di giustificarsi.

    La donna si avvicinò, gli occhi chiari brillavano freddi nella cruda luce delle braci. Serrò le labbra sottili ed esangui. Hedia si strinse in un cantuccio. Quel viso duro e severo da quasi dieci anni le incuteva, più che rispetto, timore. Essa osservò in silenzio e minuziosamente le fiammelle, poi la sua voce metallica echeggiò tra le pareti del piccolo tempio circolare.

    Non mentire Hedia Lolliana! Tu hai ancora una volta rischiato di far spegnere il fuoco sacro! Sei un disastro, non diverrai mai una buona vestale!

    Non m’importa… mormorò la fanciulla.

    Mi hai stancata… Sono dieci anni che tento di insegnarti qualcosa… Non hai appreso nulla! Hai sempre creato problemi… E lasciar spegnere il fuoco in un momento come questo per Roma… Vuoi provocare l’ira della dea? Che cosa vuoi fare, che cosa vuoi dimostrare? Parlerò all’imperatore, egli saprà come ridurti alla ragione!

    Andiamo Flavia Publicia, non sarà perché non ho aggiunto un ciocchetto di legna che si deciderà il destino di Roma! È solo un fuoco, questo! esclamò con foga.

    La Vestale Massima serrò le labbra e le gettò uno sguardo carico d’odio.

    Pazza! Empia! Come osi parlare così nel sacro tempio della dea Vesta? Davanti al fuoco che ne è lo spirito benigno! Per questo siamo scelte, per tenere in vita la fiamma che è la vita stessa di Roma!

    Hedia rise forte, quasi a sfidare l’ira della dea e di Flavia Publicia.

    Sei colpevole! le rispose in preda all’ira Vesta deve essere placata a causa delle tue parole blasfeme! Ora finisci il tuo turno di veglia, poi ti presenterai nel peristilio a capo scoperto, con i capelli sciolti e vestita della sola tunica! Riceverai dieci frustate e il tuo sangue appagherà l’ira della dea verso di te e verso di noi tutti!

    La ragazza chinò il capo e annuì. Flavia se ne andò silenziosa com’era entrata. Hedia si sedette ai piedi dell’ara, nascose il capo tra le ginocchia e pianse a lungo: davanti agli occhi le trascorse l’immagine di lei bambina, che giocava con i suoi amici, nel giardino della sua casa… Lo sguardo dolce e materno di Terenzia, la sua nutrice, che seguiva con malcelata premura le sue birichinate… Quanto aveva pianto dopo che era stata portata lì dentro, con quella donna severa e inflessibile che avrebbe dovuto essere la sua nuova madre e quel fuoco che avevano detto sarebbe stata la sua nuova ragione di vita… Era cresciuta sola… non aveva amiche lì dentro, le altre Vestali la disprezzavano per quel suo carattere ribelle…

    La giudicavano un’incapace per non essere riuscita, in quei primi dieci anni di apprendistato, a preparare la farina salata rituale, i panetti d’offerta, a non far spegnere il fuoco, a non memorizzare le formule sacre… Preferivano evitarla e deriderla tra loro. Solo Stercoria, una schiava, quella che era stata demandata ai servizi più umili, le si era affezionata ed era sua amica.

    Ma Stercoria era una cristiana, non era una di loro…

    Alzò il capo ad osservare la fiamma che guizzava scoppiettante, dopo tutti i suoi sforzi per ravvivarla. Uno stupido fuoco… Oh aveva tentato di tutto pur di uscire da lì, pur di farsi esonerare… La ribellione, il non svolgere bene il suo lavoro, non erano serviti a nulla! Allora aveva pregato tutti gli dei che conosceva, tutti quelli che le erano venuti in mente, tutti quelli di cui aveva sentito parlare, sperando che l’ascoltassero, che la facessero uscire di là… ma non era accaduto nulla! Quindi aveva smesso di credere anche in loro…

    Si alzò ed aggiunse un altro po’ di combustibile, poi si sedette di nuovo ed attese. L’interno del tempio era piuttosto buio e la luce filtrava dal foro centrale che si apriva nella volta del soffitto a cupola. Il sole non era ancora sorto, che un’inserviente venne a chiamarla. Anche i servi si permettevano un tono brusco con lei…

    Uscì dal tempio e si diresse in camera sua. Depose gli abiti abituali, sciolse le lunghe trecce castane, tolse i calzari e rimase a piedi nudi. Rabbrividì. Il contatto con il marmo freddo la riscosse. Presto sarebbe stata frustata. Ebbe voglia di scappare, poi si fece forza ed uscì dalla stanza. Incontrò Stercoria con le lacrime agli occhi, che le rivolse uno sguardo di muta comprensione. Voltò il viso dall’altra parte per non piangere.

    Le altre cinque compagne attendevano già in mezzo al cortile; tra loro la Vestale Massima stringeva in mano un frustino di nervo di bue. Hedia rabbrividì. Aveva paura di quell’aggeggio. Due schiave le legarono le braccia attorno ad una colonna. La voce di Flavia Publicia ferì l’aria fredda della notte che moriva.

    Questa vestale, la solita Hedia Lolliana, ha rischiato di far spegnere il sacro fuoco di Vesta! Si è macchiata d’empietà ed ha provocato l’ira della dea ancora una volta! Deve essere punita, e il suo sangue placherà la nostra amata signora e ci assicurerà che essa non abbandonerà Roma e Cesare per colpa di questa sua sciocca sacerdotessa! Hedia Lolliana, tu riceverai dieci frustrate per espiare la colpa commessa e fungere da monito per te in futuro e per le altre tue compagne!

    Dopo che ebbe parlato, alzò il braccio e iniziò a colpire la povera fanciulla sulla schiena.

    Dietro una colonna, Stercoria piangeva sommessamente. Hedia piangeva in silenzio, trattenendo le urla di rabbia e dolore, per non dare ulteriore soddisfazione alla sua carnefice; premeva forte la fronte contro il freddo marmo della colonna e digrignava i denti. Meno nove, meno otto, meno sette… contava tra sé. Finalmente il supplizio ebbe fine. Essa chiuse gli occhi e perse i sensi. Non udì la voce della Vestale Massima, che ordinava alle sacerdotesse e alle serve che avevano assistito allo spettacolo di tornare alle loro attività e di slegare la disgraziata.

    Una schiava le sciolse i polsi ed essa cadde a terra esanime. Stercoria si precipitò a soccorrere la sua padrona. Le colpì dolcemente le gote e le bagnò la fronte con dell’acqua fredda. Hedia riprese i sensi.

    Padrona… te la senti di camminare fino alla tua stanza?

    Hedia annuì. Stercoria l’aiutò ad alzarsi. La fanciulla emise un gemito di dolore. Aggrappata alle spalle della sua schiava e trascinandosi a fatica, essa raggiunse la sua camera al piano terreno dell’edificio. Stercoria la fece distendere sul letto, prona, e le mise a nudo la schiena. Corse a prendere un bacile di acqua limpida ed una pomata che le aveva dato Terenzia, adatta a curare questo genere di lesioni. Pulì dunque le ferite e vi spalmò l’unguento balsamico. Hedia gemeva piano, mentre copiose lacrime le rigavano il bel viso.

    Padrona, va meglio ora? s’informò premurosa la schiava.

    Grazie… meglio! rispose con un filo di voce.

    Non è giusto che ti trattino così… Perché non ti lasciano andar via?

    Essa aprì gli occhi e rivolse uno sguardo disperato alla sua interlocutrice.

    Non si può… è la regola! Io ho trasgredito… sospirò.

    Quante volte è già successo… Alle altre quasi mai in dieci anni! Padrona, questa vita ti ucciderà… Rinuncia!

    Non si può! Credi che non vi abbia pensato? È impossibile… I miei familiari mi volterebbero le spalle, disconoscendomi e diseredandomi… Non avrei più amici… Non troverei un marito… Nessuno sposa una vestale… Sarei sola, ancor più di adesso, senza amici, senza difese, senza nulla…

    Ma noi ti accoglieremmo! La mia comunità non guarderebbe a ciò e tra noi troveresti chi potrebbe amarti come una madre o un padre; amici sinceri; un marito che reputi nulla il tuo appartenere ad un collegio che onora falsi dei! Anche un augure da poco si è unito a noi… E poi, soffrire così per qualcosa che non esiste aggiunse abbassando la voce "per un semplice fuoco,

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