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La voce del lago
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La voce del lago
E-book507 pagine7 ore

La voce del lago

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Info su questo ebook

Una ragazza coraggiosa, un manipolo di cavalieri determinati e invincibili, un colpo di stato che mina la stabilità e la pace di un’intera regione: la guerra sarà inevitabile? O il generoso intervento di questi “eroi per caso” ristabilirà l’equilibrio ormai spezzato? Inizia così un’avventura – e un viaggio- che porterà i protagonisti a misurarsi con un avversario subdolo e insidioso, ma anche con sé stessi, i propri limiti, i propri pregiudizi, per scoprire alla fine che…
LinguaItaliano
Data di uscita27 ott 2020
ISBN9791220213134
La voce del lago

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    Anteprima del libro

    La voce del lago - Eleonora Fossile

    Eleonora Fossile

    La voce del lago

    UUID: d0770f07-e1af-43e4-a0e6-4d4673f036a1

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

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    " Matri, patri, sorori et fratri: omnia quae perfeci vestra sunt;

    omne opus, omnis labor vestrum est.

    Recipite libellum, oro vos, laeto animo!"

    I

    Il rumore degli zoccoli di un cavallo risuonava cupo nella fitta foresta che si estendeva tra il regno di Lagochiaro e quello confinante di Ostwest: senza conoscere la strada sarebbe stato impossibile per chiunque riuscire a districarsi nel compatto groviglio di rami ed arbusti che ne costituivano la vegetazione secolare e che impedivano in alcuni punti il passaggio; il terreno boscoso tutt’altro che pianeggiante era reso accidentato anche dall’alternarsi incessante di rilievi e vallate che disorientavano lo sfortunato che si fosse trovato ad attraversarle, generando un senso di smarrimento che gli avrebbe fatto perdere l’orientamento rendendolo preda di qualche animale selvatico, unico padrone incontrastato di luoghi così impervi. Nonostante ciò e la relativa oscurità che vi regnava, un cavaliere cercava a fatica di avanzare sul quasi impercettibile tratturo guidando il cavallo nell’argenteo baluginio di una luna piena e splendente.

    La notte era ormai al termine quando finalmente il bosco iniziava a diradarsi e di tanto in tanto compariva una piccola radura; la bestia però dava segni di stanchezza: rallentava sempre di più il passo e sbuffava; il viandante intanto aveva abbandonato il tracciato principale ed aveva imboccato un sentiero poco battuto che s’inerpicava lungo il pendio di una collinetta fino a circa mezza costa, dove in una stretta terrazza naturale la stanca luce lunare disegnava i contorni di una casa: la spianata era protetta per tre lati dagli alberi, mentre il quarto era occupato dal terreno in pendenza che proseguiva fino al vertice del colle: in questo punto, da una sorgente naturale che sgorgava attraverso una fenditura tra le rocce, l’acqua veniva raccolta in una vasca intagliata nella pietra; oltre ai faggi, agli abeti ed ai cespugli di bacche selvatiche che assieme ai rovi di more e lamponi costituivano la flora spontanea, crescevano per opera dell’uomo un susino, un melo, un pero ed addirittura nel punto più assolato e riparato un vecchio albero di fichi; in un altro angolo recintato con una bassa palizzata facevano bella mostra di sé degli ortaggi piantati con ordine e cura; alcune gallinelle dormivano tranquille in un piccolo pollaio lì accanto, mentre quasi al centro, spostata verso il lato riparato della collina retrostante, era stata edificata un’abitazione con grosse pietre irregolari, ingentilita nella facciata da archi in mattoni in corrispondenza dell’ingresso e delle finestre; il tetto ligneo era a spiovente per far scivolare via la neve abbondante in quei luoghi d’inverno ed era dipinto in rosso, come le ante delle finestre e la porta; sulle pareti esterne s’inerpicava una rigogliosa edera che era ormai giunta nel suo cammino alle finestre del primo piano. A destra della casetta, in una costruzione simile a quella del suo padrone ma completamente in legno, sonnecchiava un gigantesco cane lupo che udendo avvicinarsi qualcuno iniziò a latrare furiosamente, tanto da svegliare gli abitanti di quel rifugio.

    Lupo! -chiamò un vecchio comparso sull’uscio, attratto da quello strepito- Lupo, che cosa c’è?

    Il cane, veramente grosso e molto più simile ad un lupo selvatico che al suo parente domestico, si avvicinò scodinzolando all’uomo, prese una carezza, poi si voltò di nuovo verso l’imboccatura del sentiero e ricominciò ad abbaiare. Poco dopo fece capolino un ragazzetto che con il viso ancora assonnato e stropicciandosi gli occhi raggiunse il vecchio stiracchiandosi e sbadigliando.

    Nonno, che cosa sta succedendo? Perché Lupo è così nervoso?

    Non saprei Oreste, avrà udito dei rumori… animali vaganti forse… Però… Aspetta… ora sento anch’io dei rumori… Forse qualche viandante che si è sperduto nel bosco?

    Di notte?! E se fossero briganti? balbettò agitato.

    Allora sarebbe meglio per loro stare alla larga da qui! esclamò mentre per un attimo i suoi occhi brillarono cupi.

    Erano immersi in simili congetture, quando dalla foresta si materializzò la sagoma di una persona a cavallo. Terrorizzato, il fanciullo corse in casa mentre il vecchio ordinava al cane di chetarsi e attendeva che quel viandante si avvicinasse; poi sollevò sopra la testa la lampada che aveva con sé per meglio illuminare il buio davanti e tutt’attorno e l’individuo misterioso che veniva a trovarlo a quell’ora della notte.

    Il cavaliere intanto si era tolto dal capo il cappuccio del mantello ed era sceso stancamente dall’esausto cavallo. Abelardus appoggiò la lampada su una staffa affianco alla porta, tese le mani e strinse tra le sue quelle del viandante. L’espressione sconvolta e la voce rotta dall’angoscia lo misero in allarme.

    Magister Abelardus, ho bisogno del vostro aiuto!

    Mia signora, figlia mia!

    Oh magister! –la donna piangeva- È accaduto un fatto terribile…

    Vieni, vieni in casa! Oreste, -chiamò il ragazzo che nel frattempo si era timidamente riavvicinato all’ingresso udendo suono di voci note- porta il cavallo nella stalla ed accudiscilo; e tu, Lupo! Basta scodinzolare, torna a dormire! disse rientrando e chiudendo la porta dietro di sé.

    L’interno dell’abituro non era molto grande: il piano terra era formato da una sala quadrangolare in fondo alla quale, proprio di fronte alla porta d’ingresso, c’era una scala che conduceva al piano superiore dove stavano le camere da letto, quattro in tutto; a destra della scala, al piano terra, una porticina immetteva nella stalla retrostante. La parete sinistra del salone, invece, era occupata da un grosso camino che serviva per cucinare e riscaldare; a destra, sul lato opposto, si apriva un’altra stanza utilizzata come camera per ospiti, come ripostiglio o come studiolo, a seconda delle necessità. Al centro della sala troneggiava un massiccio tavolo di legno finemente intarsiato, con sedie ugualmente lavorate sulle gambe e sullo schienale disposte tutt’intorno; proprio di fronte al camino, su una poltrona a dondolo, dormiva un grosso gatto nero.

    Elea entrò e si tolse il mantello che poggiò su una cassapanca accanto alla porta, mentre il magister si preoccupava di attizzare il fuoco. Il felino -che si chiamava gatto, come il cane lupo, perché ad Abelardus non piaceva dare un nome agli animali- destato da quel trambusto aprì gli occhi, scrutò per un attimo la nuova venuta, poi si stiracchiò, cambiò posizione e si rimise a dormire.

    Allora, -esordì Abelardus preoccupato mentre con una molla rimestava le braci- Che ci fai qui? Che cosa è accaduto?! Sei sola, o devo aspettarmi la visita anche di quei perdigiorno dei tuoi amici? Che avete combinato?

    La viaggiatrice si lasciò cadere sfinita su una seggiola: aveva gli occhi rossi e gonfi per la stanchezza e le lacrime che doveva aver abbondantemente versato. Si passò una mano sulla fronte, come a voler cancellare la fatica e i tristi ricordi, emise un profondo sospiro ed iniziò a raccontare:

    Magister, è successo qualcosa di terribile! Il paese è nelle mani di Querciombrosa. Io sono fuggita da Lagochiaro. La mia famiglia è prigioniera nella torre del castello…

    Che cosa?! il vecchio impallidì e lasciò cadere l’attizzatoio con il quale stava riattivando il fuoco. L’aggeggio toccò il pavimento con un acuto rumore metallico.

    Sì, ma non è tutto. Sembra che per intimidire la popolazione e prevenire insurrezioni, della marmaglia al soldo di Querciombrosa stia spargendo il panico e stia appiccando il fuoco alle case e ad alcuni villaggi del nostro paese; a quanto ho capito nel corso della mia fuga, degli abitanti presi a caso vengono uccisi o deportati da qualche parte…

    Sei venuta sola? Come hai fatto? E il castello? E tuo padre?

    Sono riuscita a scappare eludendo la sorveglianza. Glauco di Querciombrosa in persona si è impossessato del castello e tiene in ostaggio la mia famiglia!

    Come sei fuggita? È stato tuo padre a dirti di venire qui da me?

    Mi ha detto di chiedere aiuto… fece evasiva.

    Avrai agenti nemici alle calcagna…

    Sì, lo so! Ho pensato a voi, magister! Io… io non so che cosa fare, dove andare! Aiutatemi, vi prego, ho bisogno di un consiglio! Le parole vennero bloccate dal pianto; strinse il capo tra le mani e si abbandonò ai singhiozzi.

    Il vecchio annuì e continuò ad armeggiare attorno al fuoco: aveva posto a scaldare un po’ di latte prodotto da un paio di caprette che in quel momento dormivano beate nell’attigua stalla e ora vi versava rimestando un po’ di farina per fare una specie di polenta. C’era silenzio e nell’aria sospesa risuonavano i singhiozzi della giovane accovacciata accanto al fuoco. Il cigolio della credenza che si apriva e dalla quale l’uomo trasse fuori una scodella fu l’unico suono che per un attimo si aggiunse al precedente. Mentre armeggiava per preparare qualcosa da offrire alla sua ospite, rimuginava sulle parole udite e il suo viso era molto serio. Senza dubbio una simile provocazione era gravissima: Querciombrosa infatti non potendo attaccare direttamente Ostwest, si era rivolto contro un suo alleato… Il rischio di una guerra era più che un’ipotesi. Era una certezza! Ma perché?! Quale folle idea doveva essere balenata nella mente di Glauco? C’era qualcosa che non andava in tutta quella faccenda.

    Prendi! -disse porgendole la scodella colma- ora mangia qualcosa, poi ti riposerai e domani penseremo al da farsi!

    Elea si riscosse, si asciugò il volto con la manica della casacca, prese il cibo e lo divorò avidamente. Abelardus si allontanò e poco dopo ritornò con in mano del formaggio fresco, una composta di frutta, delle castagne e una manciata di frutta secca.

    Forza, mangia ancora. Sei stremata, figlia mia! sorrise gentile. Elea non se lo fece ripetere un’altra volta e in breve spazzolò quello che le era stato portato. Egli le si sedette accanto e attese.

    Va meglio? s’informò quando vide che riponeva il piatto accuratamente ripulito. La ragazza si girò verso il vecchio e gli rivolse un’occhiata di gratitudine: nonostante i cinquanta e più anni era ancora un uomo forte ed agile e solo le rughe vicino agli occhi chiari ed il capo e la barba bianchi dimostravano la sua non più giovane età. Sorrise ed annuì.

    Grazie magister. È bello sapere di avere ancora un amico qui!

    Sei sempre la benvenuta, lo sai!

    Elea sospirò e chinò il capo. Ricordava quando, diversi anni prima, quell’uomo dall’aspetto così mite e garbato era stato chiamato da suo padre per istruire lei e sua sorella Theia nelle arti liberali e suo fratello minore Airo in quelle marziali e come lei avesse ottenuto, di nascosto dai suoi genitori e in cambio della sua applicazione sui libri, di poter imparare a maneggiare l’arco e la spada per la caccia: oltre ad essere l’uomo più istruito di tutta la regione, esperto in tutte le discipline, magister Abelardus era infatti stato - anzi lo era ancora! - un imbattibile maestro d’armi, il migliore che ci fosse a quell’epoca; a quanto si sapeva, solo una volta una persona era riuscita a sconfiggerlo ma nessuno poteva dire con esattezza dove e quando ciò fosse avvenuto; forse era addirittura una leggenda! E quella fama lo aveva portato, dopo essere stato ad Ostwest, nel piccolo regno montano di Lagochiaro: ricordava ancora l’arrivo di quell’uomo leggendario e del bambino, suo nipote Oreste, che lo accompagnava… Le lezioni sui libri e lo studio della natura dal vero… E le ore a pizzicare le corde della cetra… Ma Elea voleva di più. Aveva a lungo spiato le lezioni di suo fratello nella sala d’armi ed era giunta alla conclusione che doveva imparare anche lei a maneggiare la spada e l’arco. Così sarebbe andata a caccia con gli altri ragazzi piuttosto che rimanere rinchiusa a ricamare, dipingere e cantare con le altre ragazze.

    Dapprima rubava i segreti in silenzio, nascosta in un angolino e ripassava la lezione quando tutti erano andati via, da sola. Poi un giorno Abelardus la sorprese mentre si esercitava alla luce delle fiaccole, nel cuore della notte. Era rimasto a lungo lì in silenzio ad osservarla, infine aveva preso una spada ed aveva incominciato a darle consigli e suggerimenti. Così, dopo aver terminato le lezioni con Airo, aveva iniziato ad istruire lei. Era stato bello per lei uscire in caccia con i suoi amici, correre libera e selvaggia per i campi e per i boschi…

    Ma lei era la signora del Lago e questo non le era concesso. Sua madre ne fu scandalizzata e suo padre ebbe un duro scontro con Abelardus. Il maestro d’armi lasciò il castello. Elea ne fu addolorata perché si riteneva responsabile di quell’allontanamento, però il magister non era d’accordo: aveva aiutato la futura signora del Lago a trovare sé stessa e la sua strada. Il suo compito era finito e la sua casa sarebbe stata sempre un rifugio amico per lei. E ogni tanto Elea faceva visita al vecchio, a volte da sola, a volte con i suoi amici. E sempre lì trovava qualcuno disposto ad ascoltarla e a parlare con lei. Teneva molto all’amicizia del vecchio e di suo nipote ed era dunque molto affezionata al suo antico maestro che considerava quasi un secondo padre.

    Grazie magister, non mangio decentemente da quando sono fuggita…

    Intanto era rientrato il giovane Oreste che si era occupato del cavallo di Elea e si accoccolò accanto al nonno.

    Resterai con noi? Sei venuta qui per la caccia, vero?

    Vorrei, caro Oreste, ma no. Stavolta no. Resterò, certo, perché non so dove andare e magari andremo a caccia… Non so dove altrimenti nascondermi dai miei nemici!

    Eppure in tutta questa faccenda c’è qualcosa che non mi convince… L’esercito, i cavalieri di tuo padre, tuo padre stesso… Nessuno si è mosso? Nessuno ha pensato alla soluzione più ovvia?

    Mio padre e la mia famiglia sono alla mercé di Glauco. La loro vita è appesa al filo capriccioso della volontà di un uomo capace di tutto come costui! Io so che è stato dato ordine all’esercito di non ribellarsi, altrimenti tutta la mia famiglia sarebbe stata uccisa e ci sarebbero state rappresaglie ancora più gravi nei villaggi del nostro regno…

    Perché non è fuggito almeno lui? Perché non chiedere l’aiuto dell’unico in grado di farlo?

    Lui… lui non se l’è sentita di abbandonare mia madre, i miei fratelli e sorelle, la sua gente, il suo posto di dominus… Ha incaricato me… Oh, io non riesco ancora a credere che sia successo un fatto così assurdo! Siamo sempre stati un paese pacifico ed ospitale, voi lo sapete! Mio padre è un dominus amato e rispettato, non abbiamo mai avuto nemici! Nessuno, nessuno avrebbe mai potuto pensare che Querciombrosa… che avesse avuto in mente questo quando cercava la nostra amicizia e mandava a Lagochiaro suoi ambasciatori per stringere e rafforzare i legami di collaborazione tra i nostri due paesi. Oh! Solo ora comprendo l’ambiguità di tali parole!

    Ma da quanto tempo… Come è accaduto… Nessuno ha avuto sospetti…

    Oh, magister! Tutto si è svolto nel giro di poco tempo, tutto era stato evidentemente organizzato con cura e alle spalle di noi stupidi montanari ingenui! C’era stato un incontro amichevole, uno di quelli durante i quali si stringono patti di amicizia, commercio, scambi di vario genere… Erano state fatte delle proposte, alcune erano state accettate, altre no, come al solito in base agli interessi dei nostri paesi… Poi c’era stata una cena in onore dei nostri ospiti traditori, di Glauco e del suo codazzo di tirapiedi… Si è mangiato, bevuto, brindato… Poi è stato il panico… Oh, come dimenticare quelle immagini! Il nostro generale ed il primo segretario di mio padre, i suoi più stretti collaboratori, amici da anni, sono caduti a terra paonazzi e rantolanti, immagino avvelenati; con le armi in pugno hanno fatto irruzione degli uomini al soldo di Querciombrosa ed hanno sequestrato mia madre, me e i miei fratelli e le mie sorelle e siamo stati gettati in una stanza e chiusi a chiave; mio padre è stato portato via, nella torre meridionale e lì rinchiuso. Siamo stati giorni senza sapere nulla di lui, né lui di noi. Intanto emissari di Querciombrosa hanno preso il potere instaurando un clima di terrore che mai, mai a memoria d’uomo si era visto a Lagochiaro…

    I suoi interlocutori ascoltavano con attenzione e preoccupazione il racconto, i volti seri, gli occhi concentrati su Elea che parlava, la voce colma di rabbia e d’angoscia.

    Il nostro castello è stato costruito secoli fa e dispone di una serie di passaggi segreti dislocati in vari punti che consentono in caso di attacco o di assedio di sfuggire con relativa facilità ai nemici. Badate che solo il dominus e la sua famiglia ne conoscono l’esistenza: dunque devo raccomandarvi di mantenere il segreto su quello che sto per dirvi! – proseguì solo dopo che essi ebbero accennato di sì- Bene, nella stanza dov’eravamo stati imprigionati c’è un punto in cui, premendo i mattoni di una parete in un determinato ordine, si fa scattare un meccanismo che apre l’ingresso ad uno stretto corridoio percorrendo il quale si giunge fino al livello delle fondamenta. Questo camminamento ha sbocchi anche in altre stanze, ma dalle fondamenta innestate sulla roccia c’è un ulteriore passaggio, un antichissimo canale scavato migliaia di anni fa dalle acque sotterranee e sfruttato come passaggio da chi ha costruito il castello, che conduce direttamente fuori nel bosco attorno al lago cristallino che dà il nome al mio paese. Esasperata dalla prigionia e furiosa per quello che era accaduto, dopo alcuni giorni di incertezza ho deciso di usare il passaggio per cercare mio padre e pensare ad una soluzione. Ho avuto modo così di verificare che il castello era ormai in mano a Glauco e ai suoi e che mio padre stava nella torre meridionale. Ho concertato con lui la mia fuga e alla prima occasione, con l’aiuto di un servitore che ci era rimasto segretamente fedele, sono scappata. A quest’ora avranno scoperto tutto e immagino che Glauco abbia sguinzagliato i suoi segugi sulle mie tracce. Ho cercato di essere prudente, di evitare le locande e i luoghi pubblici di sosta, ma ho paura e non so che fare. E poi temo per la vita dei miei familiari! Se Glauco avesse scaricato su di loro la rabbia per la mia evasione?

    Perché non fuggire tutti, allora?

    L’avevo suggerito a mia madre, caro Oreste, ma sarebbe stato difficile scappare senza dare nell’occhio, tutti insieme; inoltre avremmo rivelato l’esistenza del passaggio segreto rendendo insicuro, e quindi inabitabile, il nostro castello. Lei non voleva che andassi io. Io dovevo solo trovare mio padre e rassicurarlo sulla nostra vita e sulla nostra salute. Nei progetti iniziali lui doveva poi mandare qualcuno fidato a chiedere aiuto… Ma non c’era tempo…

    Il ragazzo annuì preoccupato e rivolse uno sguardo interlocutorio al nonno.

    Senza dubbio - commentò Abelardus accarezzandosi pensieroso la barba bianca - la situazione è drammatica ed occorre agire in fretta! Comunque sono convinto che i tuoi familiari non corrano rischi per ora: a Querciombrosa infatti conviene tenere in ostaggio il dominus Patrizio almeno finché non avrà ricevuto una qualche forma di validità al suo atto così illegittimo e arbitrario, o comunque come garanzia e ricatto per la sua incolumità. Glauco non è uno sciocco e sa bene che non potrà mantenere a lungo il controllo su Lagochiaro senza l’assenso di tuo padre o del sovrano, assenso che potrebbe avere se piegherà la volontà di Patrizio…

    Ma mio padre non cederà mai!

    Potrebbe cedere di fronte alla sofferenza delle persone a lui care, del suo popolo, della sua gente…

    Che devo fare? Tornare indietro e far fuggire almeno mia madre e i miei fratelli e sorelle?

    No, no, sarebbe una sciocchezza inutile e rischiosa! Non c’è tempo da perdere e non hai che una sola cosa da fare: l’unica, la più ovvia, quella che avrebbe dovuto suggerirti tuo padre stesso: devi cercare, figlia mia, un appoggio esterno, anzi, l’appoggio del vostro più potente alleato, del sovrano Orso di Ostwest al quale tuo padre e gli altri governatori della regione siete sottomessi per giuramento di fedeltà. E devi farlo subito, prima che il tiranno abbia il tempo di consolidare il suo potere e di organizzarsi meglio…

    Il viso di Elea divenne ancor più pallido e teso e negli occhi brillava la luce di una cupa disperazione. Scrollò il capo con forza e parlò con voce dura, tagliente.

    Non chiederò l’appoggio del sovrano! Mai! Piuttosto penso che sia meglio rivolgermi al dominus del regno di Aquilone…

    Abelardus sobbalzò ed Oreste spalancò gli occhi color verde muschio: quella sarebbe stata una terribile sciocchezza, una violazione palese dei patti di alleanza tra i signori che governavano quelle terre! Abelardus arrossì d’ira e prima di parlare fissò i suoi occhi indagatori in quelli ostili della ragazza.

    Vuoi dire che tuo padre non ti ha ordinato di correre a chiedere aiuto al sovrano Orso?! Non posso crederci! Tu forse l’ignori, ma lui sa benissimo a chi deve rivolgersi per avere soccorso e protezione! Insomma, ti rendi conto di quello che stai dicendo?! O forse devo essere io a ricordarvi che sia il vostro regno che quello di Aquilone sono sotto il potere supremo di Ostwest e che non ricorrere al suo sostegno può essere interpretato come un atto di disobbedienza? Ed anche tralasciando ciò, per giungere ad Aquilone bisogna attraversare tutta la foresta ed il fiume che confina con il regno di Querciombrosa. Sprecheresti tempo prezioso e rischieresti inutilmente di farti sorprendere dai nemici!

    Sì, ma Aquilone corre gli stessi pericoli del mio disgraziato paese e mi pare giusto coalizzarci contro un nemico comune… Non demordeva: l’idea sembrava buona e fattibile!

    Questo non significa nulla! -replicò irato il vecchio, mentre Oreste andava ad aggiungere un altro po’ di legna sul fuoco- Voi dovete chiedere aiuto ad Ostwest! Lo impongono i patti stipulati, lo impone la lealtà che c’è tra voi e che Querciombrosa ha violato! Non c’è altra soluzione: penserà poi il sovrano a tutelare Aquilone. È suo dovere, come lo è provvedere ora a difendervi!

    Elea scattò in piedi: era furiosa e ostinata. Non voleva sentire ragioni, scrollava la testa con forza e lacrime di rabbia le rigavano le gote.

    No! No, no e ancora no! Non posso! - gli occhi scuri scintillavano ostili - Oh magister, voi non capite… non sapete… è impossibile per me, credetemi, è davvero impensabile rivolgermi al sovrano! È una questione di principio…

    Davvero io non capisco! Devi! Perché non puoi, non vuoi?! trasecolò l’uomo. Oreste scrutava pensieroso e interdetto gli altri due interlocutori.

    Mio padre… anche lui mi aveva ordinato di farlo! Ma non lo farò! No!

    Elea!

    Da mesi ormai la mia vita è diventata un inferno! Io… io pensavo che i miei familiari mi amassero, che volessero il mio bene al di là del mio futuro ruolo di signora del Lago… Ma no! E avrei dovuto capirlo quando mi sono state proibite quelle attività che loro consideravano poco consone al mio ruolo… Ma ogni tanto chiudevano un occhio sulle mie fughe a caccia nei boschi con i miei amici, le cavalcate selvagge, le escursioni sui monti… Poi un bel giorno mio padre e mia madre si sono impuntati e non hanno voluto sentire ragioni. È stato un colpo tremendo per me… La mia vita, la vita della loro figlia maggiore è stata sacrificata sull’altare della politica! Ma io non ci sto! Certo, vista la situazione in cui versa il mio paese, questa potrà sembrare una faccenda di poco conto – cercava di calmarsi, di trattenere la rabbia e la frustrazione e si avvicinò alla poltrona a dondolo per accarezzare il gatto, che felice di quelle attenzioni faceva le fusa- ma provate a comprendere: prima che accadessero questi fatti si stava progettando un matrimonio politico, una specie di ulteriore, più stretta e a sentire mio padre strategica alleanza, tra me ed il figlio del sovrano di Ostwest. Oh, al pensiero ancora mi ribolle il sangue! Come potete immaginare, io ho subito rifiutato una simile, insopportabile, proposta! Ma mio padre no! Non mi ha ascoltata, non è stato smosso dalle lacrime, né dalle preghiere, né dalle suppliche di sua figlia! Sua figlia! È stato irremovibile, e mia madre con lui! Così ha licenziato gli ambasciatori con la garanzia che dopo aver stipulato e formalizzato gli accordi avrei accettato! Quindi se ora andassi lì sarebbe come acconsentire e io non posso… No, non posso! La mia coscienza, il rispetto di me stessa me lo vietano nella maniera più assoluta! La mia gente non ha bisogno di questo sacrificio! Neppure ora! sbottò scrollando il capo con forza e incrociando le braccia sul petto, furibonda.

    Ma no, non è così… non lo conosci… tentò di intervenire Oreste, ma ben presto si rese conto che non lo ascoltavano e rimase in silenzio.

    Io non ti riconosco più, davvero! Mai mi sarei aspettato queste parole, parole di una ragazza sciocca, non della signora di Lagochiaro! Qual è la priorità in questo momento? Quale? Pensa al tuo popolo, alla tua gente, alla tua terra, alla tua famiglia in balìa di Glauco! Tuo padre te l’ha detto! Ti ha detto ciò che devi fare come sua figlia maggiore, come sua erede e come sua messaggera! Devi fare il tuo dovere! Punto! Devi andare ad Ostwest! Non esistono alternative. E il sovrano dovrà intervenire. È suo dovere! Egli è tenuto ad aiutarvi indipendentemente dalla tua risposta alla domanda di nozze. Vuoi andare ad Aquilone? Cosa ti risponderà il dominus? Ti dirà di andare ad Ostwest. E tu avrai perso tempo prezioso e avrai sminuito la figura e il ruolo di tuo padre, del signore del Lago: si chiede aiuto a chi è più forte e in grado di aiutarci, non a chi è come noi. Tirando in ballo il dominus Dagwin, tu gli dai un’autorevolezza che non ha e gli riconosci una superiorità rispetto al ruolo di tuo padre che non ha! Sei stanca e sconvolta, Elea. Vai a dormire e rifletti bene: da te ora dipende il destino di Lagochiaro! Al tuo risveglio ne parleremo. ribadì con pari durezza nei modi e nella voce.

    Vieni Oreste, la notte avanza e il tempo delle chiacchiere è finito. Torniamo a dormire. La stanza qui accanto è a tua disposizione, figlia mia. Troverai un letto pulito e coperte calde. Riposa, ne hai bisogno! concluse avviandosi ciascuno nella propria stanza a terminare un sonno troppo presto interrotto.

    Elea crollò il capo, si voltò e rimase sola lì in quella sala a fissare il fuoco che danzava scoppiettante, le lingue che guizzavano vive intrecciandosi tra loro e subito dividendosi, innalzandosi come pinnacoli, fuggendo verso l’alto attirate dalla profonda ed oscura cappa del camino; si passò infine una mano tra i lunghi capelli castani per scostarli dal viso, chiuse gli occhi e sospirò.

    Si diresse nella stanzetta, accostò la porta, si liberò della pesante giubba, del cinturone e degli stivali e si gettò sul pagliericcio abbandonandosi all’istante ad un sonno profondo e ristoratore. Era giorno inoltrato quando riaprì gli occhi e si rese conto di dove fosse e delle parole scambiate la sera precedente. Rimase ancora un po’ a rimuginare sul da farsi, poi stancamente si alzò, si rivestì e si rassettò ed uscì in cerca del vecchio e del nipote. Anche loro avevano indugiato a svegliarsi e da poco avevano ripreso le attività quotidiane.

    La giornata era piuttosto uggiosa e invitava a stare al caldo in casa. Oreste aveva preso un libro e si esercitava nella lettura, Abelardus stava intagliando una scultura in un piccolo ramo di abete. Elea si sedette accanto al ragazzo e gli scompigliò la chioma dorata; egli sorrise e staccò per un attimo gli occhi dal libro. Elea sorrise a sua volta e gli rifilò un buffetto sulla guancia, poi si avvicinò al vecchio, tolse un ciocco dalla legnaia che stava affianco al camino e riattizzò le braci. Si sedette accanto a lui. Prese una tazza e con un mestolo si versò del latte caldo che borbottava allegro in una grossa pentola appesa sopra al braciere. Bevve e rimase a fissare ancora un po’ il contenitore, rigirandoselo di tanto in tanto tra le mani. Infine sospirò. La sua voce era triste quando si rivolse al suo antico maestro.

    Mi rendo conto che non ho scelta. Avete ragione! E sia, come è mio dovere andrò dal sovrano e chiederò aiuto, ma una cosa deve essere chiara subito a tutti! Io non mi piegherò a quell’odioso ricatto. Se davvero il sire Orso ha a cuore la stabilità delle terre che compongono questa regione, ebbene farà la parte che gli spetta. Ma non sarò io merce di scambio. Non baratterò la mia libertà con quella del mio popolo! Se poi lui insisterà e metterà questa condizione irrinunciabile… Ma io non mi piegherò mai! Dev’essere chiaro subito! Oh! Vorrei davvero morire! Perché questo! Perché?! Un doppio peso, una doppia angoscia... ma va bene. Avete ragione magister, questo rientra nei miei doveri di signora di Lagochiaro!

    Sono contento. Vedo che la notte ha portato il consiglio che aspettavo! rispose continuando il suo lavoro. Negli occhi brillava la luce di un sorriso.

    Già. Ma ora è tempo che vada se voglio arrivare quanto prima nella capitale. Concluse con un’espressione dura nel viso.

    Abelardus annuì soddisfatto. Era la decisione migliore e più saggia.

    Ora riconosco la signora del Lago! Tutto, vedrai, si sistemerà e su Lagochiaro tornerà il sereno e la felicità!

    Vorrei sperarlo, almeno per la mia gente. Quanto a me, cosa rimane di sereno nella mia miserabile vita? Che vita sarà la mia dopo che tutto sarà finito? Disobbedire al dominus implica l’esilio per me. L’alternativa è trascorrere la vita al fianco di uno sconosciuto nella consapevolezza che mio padre e mia madre mi hanno venduta al sovrano per garantire maggiore pace e stabilità alla mia terra. Bah! Meglio rimettermi subito in viaggio. Così non avrò neppure tempo per pensare!

    Abelardus le pose una mano sul capo e l’accarezzò paterno. Ad Elea sfuggì una lacrima.

    Non disperare! Il futuro è sempre migliore di quanto possiamo sospettare! esclamò lasciando perdere il suo lavoro ed alzandosi. Incominciò ad armeggiare attorno alla dispensa. Poco dopo pose alla ragazza, che era rimasta sovrappensiero ad osservare le vivaci fiammelle del focolare, una bisaccia colma di provviste per il viaggio.

    Ecco, prendi. Per il cammino! Dentro troverai latte, qualche focaccia dolce, formaggio, salsicce essiccate, del pane ed un po’ di frutta. Dovrebbero bastare.

    Grazie magister! Saprò ricompensare tanta generosità!

    Lo hai già fatto comportandoti con saggezza. Ma ora va’ a prepararti. Ti raggiungerò nella stalla. Concluse sparendo rapido su per le scale che conducevano al piano superiore. Oreste scrutava triste la sua amica.

    Veglierai sul nonno, va bene Oreste? Me lo prometti?

    Sì, certo. Tornerai a trovarci?

    Come sempre! E andremo a caccia!

    Il ragazzo sorrise e si rimise a studiare. Elea gli baciò lieve il capo fanciullesco, prese le sue cose e raggiunse Abelardus nella rimessa. Egli l’aspettava fuori dalla stalla con il destriero pronto per la partenza. L’accompagnò fino al limite della radura e prima di congedarsi le porse un involucro.

    Avrai bisogno di una spada per difenderti dai molti nemici che incontrerai lungo la strada. Ecco, questa nobile arma appartiene alla mia famiglia da generazioni! È una lama gloriosa, ti porterà fortuna.

    Grazie, magister! Io… oh io non so se ne sarò degna! esclamò prendendo tra le mani l’involto.

    Ma non è tutto: ad Ostwest dovrai cercare una persona, la sola di cui tu possa fidarti ciecamente e sulla cui lealtà potrai contare come sulla mia o sulla tua! Sarà l’unico che potrà aiutarti, se però lo vorrà! Tu gli mostrerai la mia spada. Egli la riconoscerà: gliela regalai il giorno in cui mi sconfisse, l’unico e il solo che sia mai riuscito a farlo. Tu sai che vuol dire. Sei stata mia allieva, un’ottima allieva e sai che non a tutti trasmetto la mia arte più segreta. Ma lui è stato il mio prediletto, il mio erede. Gli cedetti la spada del maestro perché più nulla ormai avevo da insegnargli. Su questa lama proferì un giuramento, lo stesso che io avevo pronunciato quando questa passò dalle mani del mio maestro, mio padre, e così come lui aveva fatto prima di me. Poi prima che mi ritirassi qui me la restituì come pegno d’affetto e d’amicizia.

    Elea era confusa e lusingata ad un tempo. La spada di Abelardus! Quale onore, quale peso per lei! Fece per restituirla, ma egli scrollò la testa.

    No! Ora è tua! Sarà la tua difesa e il tuo sostegno in quest’impresa. Senza questa spada non avrai l’aiuto che ti occorre.

    D’accordo magister, allora accetto il regalo! Ma come farò a trovare quest’alleato?

    Non sarà difficile. Ora addio Elea e buona fortuna! concluse abbracciandola e aiutandola a salire in sella. Lei restituì il saluto e puntò con forza i talloni nel ventre del cavallo. La bestia si mosse fresca e riposata, desiderosa di correre ancora.

    Addio magister e grazie! rispose guidando il suo nero e robusto destriero nel fitto del bosco.

    II

    Dopo la sosta e il colloquio con il suo vecchio maestro, Elea aveva riacquistato forza e vigore e guidava sicura il cavallo lungo il tragitto che diveniva sempre più agevole e pianeggiante man mano che ci si avvicinava al primo villaggio del regno di Ostwest, a quattro giorni di viaggio dal confine di Lagochiaro e a circa dieci giorni e mezzo dalla capitale. I boschi e i monti della sua terra erano ormai lontani.

    Il cielo di un colore bianco rosato annunciava che presto sarebbe sorto il sole, mentre una nebbia leggera avvolgeva tutta la valle rendendo indistinte le forme degli alberi e delle case come se fossero stati fantasmi o visioni che apparivano e sparivano in lontananza.

    Procedeva alacremente, cavalcando fino a spezzarsi la schiena, con brevi soste e lunghi tragitti, sostenuta dalla sua forza di volontà, avendo come unico obiettivo la città di Ostvest, il palazzo del re e la consegna del messaggio. Temeva il trascorrere dei giorni e le violenze sui suoi familiari, sulla sua gente.

    Doveva far presto! Avrebbe voluto fermarsi in una locanda, mangiare decentemente, riposare un poco su un letto e al caldo, ma il pensiero del suo popolo e della sua famiglia in balìa del tiranno le pungolavano l’anima e la spingevano avanti, sempre avanti. Attraversò in fretta ogni villaggio del regno che la separava dalla meta, piccoli agglomerati di case lungo la direttrice principale che univa Lagochiaro ad Ostwest; dormiva in vecchie rimesse, capanni di cacciatori, rifugi di fortuna, ma mai all’aperto temendo il freddo e gli animali selvatici. Mangiava ciò che riusciva a rimediare per la via e aveva razionato le vivande fornite da Abelardus.

    Finora era andata bene, però doveva arrivare nella capitale! Lì avrebbe potuto riposarsi una volta consegnato il messaggio ed ottenuto l’aiuto del sovrano! Ma doveva agire in fretta, forse qualcuno la stava già cercando, forse emissari di Querciombrosa erano già sulle sue tracce… Doveva batterli sul tempo! Non poteva certo essere catturata e riportata indietro, o peggio uccisa! Suo padre, la sua gente, contavano su di lei! Non poteva deluderli.

    Ma pur con tutti i suoi sforzi, ad intervalli regolari doveva fermarsi per far riposare il cavallo e sgranchire le membra indolenzite: in una delle sue soste individuò poco lontano dal ciglio della strada, ormai il sole era sorto e la giornata si prospettava serena, un boschetto non troppo fitto presso il quale l’acqua di una sorgente veniva raccolta in una vasca per l’abbeveraggio degli armenti.

    Vi si diresse e smontò da cavallo, lasciando la bestia libera di riposare all’ombra degli alberi, di pascolare e di bere; dalla sella prese la bisaccia datale da Oreste, mangiò un po’ di focaccia e trangugiò qualche sorso di latte; posò la mano sull’elsa della spada avvolta nel panno, agganciata alla sella e si immerse nelle sue riflessioni rimuginando sulle parole che il magister le aveva detto.

    Fino a quel momento non ci aveva pensato, ma non sarebbe stato facile rintracciare un antico allievo del magister in una città grande - come aveva sentito dire - qual era Ostvest: Come farò? Oh, ho poco tempo e non conosco nessuno… Uhm, magari, se chiedessi al sovrano… Sì, si può fare, ma prima devo accertarmi che sia disposto ad aiutarmi anche quando gli avrò comunicato che non intendo sposare suo figlio, perché questo chiarirò prima di tutto… Sperando che non sia così meschino da approfittare della situazione! Ma no! Mi dovrà comunque aiutare. Lo ha detto anche il magister… E se così non fosse? Se….

    Il rumore di passi sulla strada interruppe il fluire dei suoi pensieri: venivano alla sua volta uniti a voci alte come di gente che discuteva animatamente. Ebbe paura e temendo di essere riconosciuta da eventuali sicari si calò il cappuccio del mantello fin sulla fronte e scomparve all’ombra di un antico castagno. Iniziò ad accarezzare il muso del cavallo che nel frattempo le si era appressato, proprio come aveva visto fare tante volte ai cavalieri durante le soste nelle battute di caccia ed aveva fatto lei stessa, ostentando noncuranza.

    Le voci si avvicinavano: ora poteva distinguere anche lo scalpiccio dei destrieri. Poco dopo arrivò un drappello di uomini desiderosi di una sosta. Sembravano cacciatori e parlavano la lingua della regione con l’inflessione tipica della terra di Ostwest.

    Si sorpresero nel vedere un altro cavaliere. Uno di essi fece un cenno di saluto con il capo. Elea in silenzio lo restituì. I cavalieri le rivolsero una breve occhiata incuriosita, ma lei fece finta d’ignorarli. Terminò il breve pasto, accarezzò il muso bruno del suo bel cavallo e si rimise in sella. Meglio ripartire prima che qualcuno potesse fare domande. Il viaggio proseguì nei giorni successivi senza intoppi, con lunghe

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