Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Tra le pieghe del tempo
Tra le pieghe del tempo
Tra le pieghe del tempo
E-book292 pagine4 ore

Tra le pieghe del tempo

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Amalia e Guido sono una giovane coppia il cui sogno di una vita felice insieme è spezzata dallo scoppio della seconda guerra mondiale. Amalia resta a Milano, destreggiandosi tra i bombardamenti e i non meno stringenti problemi di sopravvivenza quotidiana. Guido, invece, come comandante nell’Esercito Italiano, conduce un’epica traversata nel deserto del Sahara e riesce a portare in salvo i suoi soldati, fronteggiando mille avversità. Il solido amore reciproco, rinsaldato anche dalla nascita di una bimba, li accompagnerà nell’arduo tragitto verso la sofferta riunificazione. Un percorso lastricato di ostacoli, incontri rivelatori, prove durissime, ma anche insperati colpi di fortuna. Basato su eventi reali, questo romanzo ci offre uno scorcio vivido di episodi cruciali della nostra storia colti da una prospettiva inedita. Alle voci dei due coraggiosi e tenaci protagonisti si aggiunge quella non meno intensa del figlio Alberto, che ci tratteggia con vigore gli anni lontani dell’infanzia e della giovinezza, gli amori e i dolori fino ad arrivare ai primi successi professionali. Tante variegate avventure che hanno un denominatore comune: la forza di mettersi in gioco fino in fondo, senza paure e vivendo l’ignoto come una sfida continua. E’ la capacità di adattarsi al mutare e all’evolvere dei tempi, quasi precorrendoli e stando sempre un passo avanti, la chiave che apre ad Alberto le porte di un futuro carico di promesse. Ma il nuovo contiene in sé tracce delle nostre radici e l’oggi ha sempre un padre: il passato.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2020
ISBN9788829561469
Tra le pieghe del tempo

Correlato a Tra le pieghe del tempo

Ebook correlati

Biografie e memorie per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Tra le pieghe del tempo

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Tra le pieghe del tempo - Alberto Moretti

    Moretti

    TRA LE PIEGHE DEL TEMPO

    Alberto Moretti

    TRATTO DA STORIE REALMENTE ACCADUTE

    Copyright

    Alberto Moretti

    Edizione 2018

    allmor47@hotmail.com

    PREFAZIONE

    Amalia e Guido sono una giovane coppia la cui promessa di una vita familiare felice è spezzata dalla sanguinosa seconda guerra mondiale. Mentre Amalia rimane a Milano cercando di sopravvivere al caos e alle distruzioni causate dai bombardamenti aerei, il suo giovane marito, comandante dell'esercito italiano, con una traversata epica nel deserto del Sahara, riesce a portare a termine la sua missione e a salvare la vita dei suoi soldati. Anche se il mondo che conoscevano scompare sotto le macerie, l'amore che provano gli uni per gli altri, così come per la loro piccola figlia, darà loro il coraggio e la determinazione di fare tutto il possibile per riunirsi. Basato su eventi reali, questo romanzo, narrato nella voce dei suoi personaggi, è testimone di questi duri episodi nella storia d'Italia dell'Ottocento e del Novecento. Ritrae in modo vivido gli orrori delle guerre, la fragilità dell'esistenza e della tranquillità degli esseri umani, a prescindere da quale parte essi appartengano. Il susseguirsi delle generazioni ci fanno capire chi siamo e da dove veniamo. L'oggi ha sempre un padre, il passato.

    CAPITOLO PRIMO

    Didascalia...

    Il bisnonno di papà Angelo, Alvise, aveva costruito la casa a Borgo San Marco nel 1844 con le sue mani, aiutato dai fratelli. Io ero piccola ma il ricordo dei suoi racconti attorno al caminetto la sera è sempre vivo ed ascoltavo incantata le sue avventure e gli avvenimenti della nostra famiglia. Da un fattore, che stava emigrando in America con tutta la famiglia, aveva comprato per pochi ducati il terreno, e nel giro di un anno con molti sacrifici riuscì a terminare la casa. Ricordava la paura e il timore che venisse distrutta durante la guerra contro i piemontesi del 1848 e che dalla parte ovest di Borgo San Marco, all'incrocio tra le strade per Legnago, Mantova e Verona passavano i soldati austroungarici per andare a combattere i Piemontesi. Spesso, diceva, alla nostra fattoria si fermavano drappelli di lancieri a cavallo per abbeverare i cavalli e riposarsi all'ombra delle querce nel boschetto di fronte a noi. Raccontava che una sera erano entrati nella fattoria e avevano requisito tutte le galline del pollaio e se le erano mangiate. Gli diedero un pezzo di carta come risarcimento che nessuno onorò. Per alcuni mesi non si ebbe di che mangiare se non polenta e latte. Alvise rammentava la fuga di suo papà Saverio da Urbana, dalla vecchia casa di legno e pietra, verso Este per l'approssimarsi delle truppe francesi di Napoleone.

    Era il 15 giugno 1796.

    I francesi avevano da poco occupata Verona e si apprestavano ad assediare Mantova mentre un imponente passaggio di truppe austriache attraversava Montagnana e Legnago. Cavalleggeri in ritirata esortavano la popolazione a fuggire verso Este dove si stavano approntando le difese e davano notizie di distruzioni di case e chiese al passaggio dei francesi. Legnago era stata bombardata dalle artiglierie. Dalla finestra della camera da letto al piano rialzato si vedevano verso ovest i lampi accendere la notte e poco dopo giungere il sordo boato delle esplosioni mentre il cuore sobbalzava in gola. Il ponte di Legnago era stato fatto saltare in aria per fermarne l'avanzata ma i pontieri francesi stavano velocemente costruendone uno di barche e nel giro di poco tempo sarebbero arrivati a Montagnana. Dopo pochi giorni cadde Montagnana ed Este e fortunatamente i profughi non vennero toccati. Le truppe francesi volevano raggiungere al più presto Venezia. Durante la notte la gente dei nostri paesi fu svegliata dall’arrivo di circa 9.000 soldati, Erano diretti verso Legnago. Si fermavano davanti al mio abbeveratoio per dissetare i loro cavalli. Due mesi dopo, si registrò un altro transito dell’esercito tedesco con oltre 25.000 soldati. Era il 9 settembre del 1796 e già dal mattino tutti i paesi videro interminabili file di uomini transitare da Cologna per proseguire verso Minerbe e San Zenone diretti a Legnago. La lunga processione davanti alla nostra casa iniziò al mattino per terminare la sera dopo le 22. Agli inizi del 1797 400 soldati del generale francese Augerau erano di stanza all’interno del castello di Bevilacqua. Una divisione tedesca decise di attaccarli per espugnare il maniero. I soldati passavano davanti alla mia casa seguendo il canalone per Borgo San Marco e per Bevilaqua. Giunti nel paese di Bevilacqua, nonostante la resa intimata dalle truppe germaniche, i francesi non vollero deporre le armi e iniziò la battaglia. Colpi di cannone si sentirono a chilometri di distanza, i loro boati facevano scricchiolare le pareti di legno della mia casa e tremare i vetri delle finestre. Al calare della notte il castello fu espugnato e gli ultimi francese sopravvissuti fatti prigionieri. Il 25 marzo arrivarono tra Bevilacqua, Minerbe e San Zenone, quattro reggimenti di fanteria austriaci. L’intera zona era a rischio e, il giorno dopo, si sentì da Legnago il rumore del cannone, erano iniziate due battaglie separate risolte entrambe a favore dei tedeschi. Pressana, Albaredo, Cologna e Minerbe continuavano ad essere conquistate e poi perse dai due eserciti in guerra. Il mio campo era stato devastato dai continui passaggi di squadroni di cavalleria. Il 3 maggio 1797 i soldati Francesi entrarono in Cologna.. Quale prima conseguenza del nuovo stato, vennero cancellate e scalpellate tutte le iscrizioni e gli stemmi che ricordavano la Repubblica Veneta. Ovunque furono abbattuti i Leoni di San Marco, simboli del dominio della Serenissima. I soldati di Napoleone depredarono e portarono via tutto: animali, fieno, grano, vestiti, scarpe. In quel periodo arrivarono terrorizzate con le loro poche cose alla mia casa le famiglie Mattiazzo e Casale fuggite da Pressana. La loro piccola era stata violentata. Nei loro occhi vedevo la tragedia e la paura di quei mesi infernali. Avevano perso tutto. Tra agosto e settembre fu un susseguirsi di passaggi di truppe e cariaggi e ormai apparve chiaro a tutti che l’Adige era divenuto il confine naturale tra i due schieramenti nemici. Morì di stenti e denutrizione lo zio Gustavo e due bimbi si ammalarono di pellagra. Per ben quattro volte gli Austriaci tentarono senza successo di liberare Mantova e fu proprio in una di queste occasioni che si svolse la battaglia di Bevilacqua che interessò pure Montagnana, Merlara, San Salvaro. Di fronte alla nostra casa fu allestito un accampamento di cavalleria. Quel giorno ci fu intimato di sfollare a Badia Polesine e la mia casa fu usata come bastione di controllo dalle truppe. Nell’archivio parrocchiale di Montagnana si trovano precisi riferimenti al fatto d’arme e proprio a Montagnana furono portati molti soldati austriaci feriti. Dopo il nostro boschetto furono interrati in una fossa una decina di soldati. La nostra casa era in una terra di nessuno e non sapevamo a quale autorità rivolgerci per avere sussidi di grano e latte mentre la fame e la miseria imperava. Ci eravamo ridotti a mangiare l'erba. I francesi si erano portate via le sementi e gli animale da cortile e furono mesi di carestia e di fame, la pellagra ed il colera imperversarono per alcuni anni, il granoturco faceva delle pannocchie secche con pochi semi e morirono di stenti tanti paesani. Morirono due fratelli e tre zii per denutrizione cosi come per i Mattiazzo e i Casale, si spensero due figli, un cognato e una nuora. La chiesa di borgo San Marco era stata data alle fiamme ed erano andati distrutti gli archivi delle nascite e dei morti. I ricordi delle nostre origini erano in parte scomparsi. Con le famiglie di Mattiazzo, Casale e Adrian l'amicizia si sarebbe cementata con i matrimoni di Paola, Rosa e Domenica con Giovan Battista, Angelo e Alvise. Saverio morì di morbillo assieme alla piccola Lucia e a Roberto di 11 anni. Tutti portarono il lutto per un anno e la sua tomba nel piccolo cimitero di Borgo San Marco è sempre circondata dai fiori in ricordo della sua tenacia e del suo coraggio per avere salvato la famiglia in tanti anni di avversità.

    La stanza nella fattoria di Borgo San Marco la condividevo con Giulia e Giulio e quell'inverno del 1917 eravamo riscaldati dal calore delle mucche che saliva dalla stalla sotto di noi, con l'odore del fieno e della paglia bagnata. La mattina presto sentivamo papà Angelo accudire le vacche per pulirle e riempire la mangiatoia e il loro muggire durante la mungitura. Come si alzava il sole a turno andavamo al catino bianco per lavarci la faccia e le mani e di corsa scendevamo le scale per andare in cucina mentre la mamma aiutava papà alla mungitura. Rattizzavo il fuoco del caminetto per fare bollire il latte e preparavo la tavola per la colazione con le fette di polenta, rimaste la sera, messe ad abbrustolire sui carboni. Che profumo che sprigionava, indimenticabile, ed era buonissima inzuppata nel latte caldo con la schiuma bianca e spessa che pareva burro. Dopo la colazione aiutavamo papà a mettere il giogo alle mucche e attaccarle al carro carico di zappe, forche, badili, e rastrelli. Il respiro della grande guerra in quel mese di novembre del 1917 la vedevamo con lo scorrere dei cavalleggeri davanti alla nostra casa e dall'arrivo dei soldati inglesi e dal loro incomprensibile idioma. Da est transitavano schiere di soldati italiani in ritirata dal fronte e da ovest le colonne inglesi dirette al fronte. Erano i resti della Seconda Armata Italiana in ritirata da Caporetto. Fu uno spettacolo triste veder passare per chilometri e chilometri uomini abbattuti e mezzo morti di fame. Non c’era uno che avesse il fucile, e ben pochi portavano qualche altro equipaggiamento. Qua e là, frammiste a loro, c’erano mandrie di quadrupedi. Verso sera una parte delle truppe inglesi, accolte da una folla festante e dalla banda, varcò il ponte levatoio di Montagnana. Altre unità delle divisioni inglesi furono dislocate, per qualche giorno, a Cologna, Legnago, Bevilacqua, Lonigo e in altri centri del Padovano. Legnago. Nell'autunno del 1918, da poco avevo compiuto 8 anni, papà aveva finito la vendemmia, le prime brume ricoprivano i campi ed il boschetto di querce stava perdendo le sue foglie. Erano i primi giorni di scuola e quel giorno la maestra ci aveva spiegato che i nostri soldati avevano sfondato le linee nemiche austriache e stavano risalendo il fronte verso Trieste e la guerra sarebbe terminata in poco tempo e che ci sarebbe stata una grande festa in paese per la vittoria in onore dei nostri caduti. In cucina ero tutta presa a raccontare alla mamma le parole della maestra quando tutto ad un tratto sentimmo un brontolio in avvicinamento di carri ed un fragore di zoccoli di cavalli. Uscimmo in strada mentre scorrevano davanti a noi colonne e colonne di carri con una fila lunghissima di soldati austriaci prigionieri affiancata dai nostri cavalleggeri. Per più di mezz'ora passarono davanti alla nostra fattoria diretti a Legnago mentre la mamma preso un mestolo ed un bidone di acqua lo porgeva ai prigionieri per dissetarli . Il loro sguardo, quasi assente, accennava ad un sorriso di ringraziamento mentre bevevano e si passavano il mestolo. Come scomparvero all'incrocio, dissi alla mamma che la guerra era proprio finita, come diceva la maestra e la vidi annuire con un sorriso. Di fronte alla nostra fattoria c'è una lunga strada sterrata, diritta, con un fossato al lato e quasi alla fine dove inizia il bosco delle querce ci sono i nostri campi seminati a frumento, granturco e barbabietole da zucchero. La fatica più grande per me era la raccolta delle barbabietole perché andavano tirate con una forca a due lame fuori dalla terra e quelle maggiormente grosse a volte erano tanto ostinate che dovevo chiamare Marino ad aiutarmi. A mezzogiorno arrivava papà Angelo e tutti insieme andavamo all'ombra della grande quercia, che segnava il confine delle nostre terre, per magiare pane e vino e stenderci sotto le sue frasche, con i cappelli di paglia per ripararci dalla luce e riposarci. La voce di papà ci risvegliava e ci metteva una grande fretta sopra tutto quando c'erano da raccogliere le barbabietole perché, se si bagnavano, con la pioggia diventavano meno pregiate e allo zuccherificio le pagavano ad un prezzo più basso. Quando il sole cominciava a scendere dietro il bosco, con il carro pieno tornavamo stanchi ed affamati a casa. Papà Angelo ci lasciava sull'aia e proseguiva con il carico allo zuccherificio e tornava che era notte fonda con noi ragazzi già nel mondo dei sogni. La mamma lo aspettava davanti al camino rammendando e sferruzzando per preparare le maglie invernali. A volte sentivo, al ritorno dallo zuccherificio, lo sconforto per le ore perse in attesa della pesa pubblica e delle lunghe code per scaricare le barbabietole. C'erano poi i problemi del prezzo del grano che non riuscivano a coprire le spese per la nuova semina e che il mulino ci avrebbe dato meno farina ad un prezzo più alto e che avremmo avuto meno pane. Ci aspettava un anno difficile. Fortunatamente la mamma aveva avuto dalla nonna una coppia di conigli tutti bianchi e con cura li aveva accuditi e in due anni si erano moltiplicati. La nonna raccontava che era grazie a loro se durante l'epidemia di spagnola del 1919-1920 la famiglia era riuscita ad uscirne quasi indenne e attorno al camino la sera ci raccontava quei tragici eventi.

    Dai giornali si leggeva:

    " La malattia che stava cominciando a terrorizzare il mondo insorgeva all'improvviso con febbre altissima, 39°\40°, fastidi alla gola, mal di testa, dolori diffusi agli arti, talora epistassi e nausee.

    Una malattia strana e terribile che si presentava nelle più diverse forme, compresa quella dell'infezione pneumonica fulminante."

    Si cominciarono a proibire le visite agli ammalati, sconsigliati i viaggi in treno, sospese le fiere ed i mercati. La sera, dopo l'anticipata chiusura di ristoranti e teatri,le strade e le piazze delle città precipitavano nel buio. Le comunicazioni di sindaci e prefetti testimoniavano del fatto che ci si trovava di fronte a qualcosa di spaventoso e sconvolgente, a qualcosa peggiore della guerra. Vietati i cortei funebri, nelle città le bare venivano trasportate su autocarri, ma nei piccoli centri non si trovavano neppure casse da morto, data la penuria di legname. Mancavano medici ed infermiere, medicine e generi alimentari, personale per le tumulazioni. Non fossero bastati i quasi dieci milioni di caduti della prima guerra mondiale, la tremenda epidemia originatasi tra le trincee senza eccezione di divise fece sì che il numero dei morti, questa volta soprattutto senza divisa e non per colpa delle armi, salisse a quasi cinquanta milioni. I primi casi che si potettero denunziare liberamente e senza censura furono accertati in Spagna e portati alla conoscenza del mondo tramite l’Agenzia giornalistica spagnola Fabra a partire dal’8 marzo 1918. In realtà il tremendo virus influenzale fu portato in Europa dai soldati statunitensi accorsi nel 1917 a dare man forte ai francesi sul fronte della Lorena. Il contagio si estese a quasi un miliardo di persone nell’intero pianeta e in sei mesi ne uccise cinquanta milioni tra cui oltre seicentomila italiani. La medicina ufficiale si mostrò incapace dinanzi a quella che viene definita la più grave pandemia della storia . In un anno l’influenza uccise più persone di quante ne morirono in un secolo nel Medioevo per la peste nera. Da poco era finita la prima guerra mondiale e l'inverno del 1919 si era presentato particolarmente rigido con nevicate e gelate notturne. Tutto era cominciato con la famiglia di Toni che abitava all'incrocio per il campanile e il passaggio a livello. Tutti si erano ammalati di una febbre improvvisa. La mia cara amica e compagna di scuola morì seguita dopo pochi giorni da sua nonna, dal fratello e dalla sua mamma. Con il passare dei giorni altre famiglie si ammalarono e sempre più persone morirono di queste febbri inspiegabili. Continuavo ad andare a scuola in quel mese di febbraio ma all'appello del mattino in classe c'erano sempre più assenti. Dopo pochi giorni chiusero la scuola, anche le maestre erano ammalate. Persino il mulino era chiuso, il mugnaio e una figlia erano morti e nessuno macinava il grano. Papà era sempre più preoccupato dopo avere appreso dal medico condotto che era meglio non avere contatti con le famiglie ammalate di febbri e aveva consigliato di rimanere a casa e aspettare l'evolversi della situazione. Fortunatamente papà teneva sempre una scorta di farina sopra il fienile e questo ci aiutò molto tenendoci lontano da possibili contagi. Una mattina anche la mamma si ammalò e tutti eravamo in ansia per lei ma papà ricordando le parole del dottore la isolò in una stanza e solo lui poteva entrare per accudirla e portarle da mangiare. Dopo alcuni giorni vedemmo uscire la mamma dalla stanza e sorridendoci ci disse che la febbre era passata, aveva solo un grande dolore alle ossa e si sentiva stanca. Dietro c'era il papà, sorridente, e con la sua voce sicura ci chiese di andare in cucina e preparare una tazza calda di latte con la polenta. Tutti noi l'abbracciammo felici di saperla guarita. Con la scuola chiusa lavoravamo con papà aiutandolo ad accudire le mucche e le galline e anche se era freddo correvamo dietro l'orto a giocare a nascondino tra gli alberi bianchi per la brina. Al pomeriggio aprivamo la stalla e con una pertica mandavamo all'abbeveratoio le mucche ed io mi incaricavo di riempirlo d'acqua con la pompa a mano del pozzo. Alla fine di marzo la gente aveva cominciato ad uscire di casa. Da quasi 15 giorni non c'erano decessi in paese e molti paesani si riunivano in chiesa con il parroco per pregare e recitare il rosario in memoria dei defunti. Quasi ogni famiglia aveva avuto dei cari morti e tutto il paese si mise a lutto per il loro ricordo. La mamma si vesti di nero e cosi rimase per sei mesi mentre papà aveva una striscia nera sopra il giaccone ed il mantello.

    Ero aggrappata alla gabbia dei coniglietti dietro la stalla con Giulia e tutte incuriosite stavamo aspettando che una coniglietta partorisse. La loro nascita era per noi un evento e vedere questi gomitoli bianchi come la bambagia con il musino tutto rosa presi uno ad uno dalla mamma e messi uno di fianco all'altro ai suoi seni ci dava una tenerezza profonda. Sapevamo che non dovevamo toccarli per non innervosire la mamma e cosi stavamo li a guardarli in silenzio mentre tettavano. Noi avevamo il compito di accudire i conigli e al pomeriggio dopo la scuola pulivamo la gabbia, cambiavamo la paglia e portavamo il pastone e le carote del nostro orto. Quando la scuola chiudeva ero felice perché potevo andare con papà ad aiutarlo nel lavoro dei campi. Durante la giornata con Giulia e Giulio andavamo in fondo alla strada, dopo la quercia grande, nel bosco delle streghe dove si raccontava che nelle serate calde di piena estate si riunivano le fattucchiere e accendevano dei grandi falò che si vedevano in lontananza. Avevamo un poco di paura ma la curiosità era tale che riuscivamo ad addentrarci nel folto della boscaglia alla ricerca dell'incrocio dei due fossi. Il richiamo di papà ci faceva correre indietro e a volte ci sgridava per esserci allontanati troppo. A volte mi faceva guidare il carro al ritorno a casa e mi incantavo nel vedere scorrere i campi ed i filari di alberi ai lati del sentiero. Le mucche si fermavano da sole davanti alla nostra fattoria.

    Amalia, Amalia, vai ad aprire il cancello e fai entrare il veterinario

    Lo accompagnai alla stalla. Subito si cambiò e preparò gli attrezzi per il parto della nostra mucca, in attesa che arrivasse papà per aiutarlo. La mucca era in piedi e dondolava lentamente la testa girandola ogni tanto verso il pancione per scacciarne le mosche. Io ero tutta emozionata nel vedere il travaglio e la nascita dei vitellini. Arrivò mio padre e con il veterinario iniziarono i movimenti per il parto. Impiegò molto tempo a partorire, per l'età avanzata dicevano, e li vidi sbuffare parecchie volte nel cercare di tirare fuori quella testa che si intravvedeva a malapena. Grazie ai ferri del dottore tutto ad un tratto scivolò fuori il vitellino mentre la mucca con dei piccoli muggiti annusava quella piccola creatura cercando di farla alzare.

    Amalia, chiudi il cancello e sbrigati a portare l'acqua sul carro.

    Era il primo giorno della vendemmia, il sole si stava alzando dietro al boschetto di querce e stella ci osservava dietro la staccionata con i suoi occhi grandi ed espressivi sbuffando come a chiederci di potersi unire a noi. Corsi sul carro con l'acqua e ci avviammo lungo il sentiero verso le nostre terre. I filari delle viti e erano intorno ai campi di grano e con Giulio iniziai la vendemmia dal confine con il bosco. I grappoli erano grossi e maturi di un rosso scuro che faceva presagire un raccolto eccezionale. Riempivamo di buona lena i cestoni ed il lavoro ci sembrava un gioco. Alla pausa di mezzogiorno ci mettevamo a sedere sotto le querce del boschetto e mangiavamo il pane con l'uva appena raccolta. Nel tardo pomeriggio con il carro pieno tornavamo lentamente a casa con le mosche e le api che ci ronzavano attorno attirate dal profumo acre delle uve. Le mani erano colorate di blu e a fatica si riusciva a pulirle con il sapone. Davanti al caminetto ci addormentavamo con un pezzo di polenta in mano, tanto eravamo stanchi e papà, abbracciandoci, ci sollevava ed esortava ad andare a dormire. Il mattino arrivava in un baleno e seppure con le braccia indolenzite e annebbiati dal sonno correvamo in cucina per mangiare la polenta con il latte e salire sul carro per andare a vendemmiare. In autunno la campagna era meravigliosa per i colori intensi ed i profumi che aleggiavano nell'aria, e rimanevo rapita nell'osservare il lavorio degli scoiattoli nel bosco per portare le ghiande nelle loro tane. Il giorno della pigiatura con Giulia e Giulio entravamo nel tino in mutande e mentre pressavamo con i piedi le uve cantavamo e scherzavamo. Ogni tanto veniva la mamma a ripulire il canaletto dalle bucce ed i vinaccioli e a filtrare e travasare il succo nella botte. Poi ci metteva nelle tazze la schiuma dell'uva che inzuppavamo con il pane appena sfornato ed il suo profumo era indimenticabile.

    Seguivo l'aratro di papà per ripulirlo dalle pietre e radici. Le prime nebbie autunnali ingrigivano i campi brulli e si cominciavano a vedere i rami senza foglie delle querce. Il cinguettio degli uccellini era quasi sparito e tutto il mondo pareva essersi fermato, immobile in attesa di chissà cosa. Al confine delle nostre terre, in fondo al sentiero, il bosco era pieno di rovi e di figure che si intravvedevano tra le nuvolette di nebbia che lentamente si spostavano tra le grosse radici degli alberi. Ogni tanto papà si fermava per fare riposare i muscoli delle braccia e per dissetarsi con il vino. Non ci fermavamo a mangiare poiché le giornate erano corte e come il sole raggiungeva le chiome degli alberi prendevamo la via del ritorno a casa. Spesso la prima nebbia, non più alta di un metro, ricopriva tutto, campi e fossati e pareva di essere in un mare fluttuante, bianco, e tutti i rumori si smorzavano, ad eccezione dei campanelli dei nostri buoi . Dietro di noi il carro lasciava una scia facendo riapparire il sentiero ed il fossato. A volte papà, per la stanchezza, si addormentava con le briglie tra le mani mentre il capo seguiva il lento dondolio del carro.

    Grossi fiocchi di neve stavano cadendo dalla sera e al risveglio, al mattino, aprendo le finestre, un manto tutto bianco aveva ricoperto l'aia e la strada mentre i campi non si vedevano più, tutto sembrava un mare di bambagia. Gridando di gioia corsi con i miei fratelli nel cortile cominciando a tirarci le palle di neve. Il freddo era molto intenso e con le mani rosse per il gelo siamo rientrati in cucina per scaldarci e fare colazione. Papà dalla stalla ci sollecitava di portargli la paglia dal fienile e di riordinare il pollaio e la gabbia dei conigli. Ma una amara sorpresa ci aspettava. Durante la notte una faina era entrata nel pollaio ed aveva fatto razzia. C'erano piume dappertutto

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1