Tutta un’altra storia: La Grande Guerra raccontata dalle donne e dai bambini
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Le profughe fuggono dal loro microcosmo, viaggiano in tutte le regioni d’Italia, soffrono, perdono i figli. Il mondo femminile acquisisce un potere decisionale mai avuto prima; l’angelo del focolare scompare per lasciare posto a una donna che ha nelle proprie mani il destino della famiglia. E i bambini, in un tempo che non comprende, né lascia spazio all’infanzia, diventano all’improvviso adulti. La guerra ridefinisce regole e valori, cancella l’identità della gente che abita a ridosso del conflitto.
La memoria di questo popolo, semplice e umile, dà finalmente respiro a una narrazione storica accantonata o chiusa nel cassetto per troppo tempo.
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Anteprima del libro
Tutta un’altra storia - Raffaella Calgaro
Raffaella Calgaro
Tutta un'altra storia
la Grande Guerra raccontata dalle donne e dai bambini
© 2022, Marcianum Press, Venezia
Marcianum Press
Edizioni Studium S.r.l.
Dorsoduro, 1 - 30123 Venezia
Tel. 041 27.43.914
marcianumpress@edizionistudium.it
www.marcianumpress.it
Per i testi citati, Marcianum Press è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire, nonché per omissioni e/o errori riscontrabili nei riferimenti.
In copertina: N. 3206 Soldatenspiel Venet. Kinder 30.06.1918, archivio Sergio Zorzi
Impaginazione e grafica:
Massimiliano Vio
ISBN Edizione cartacea 978-88-6512-831-2
ISBN Edizione digitale 978-88-6512-860-2
ISBN: 9788865128602
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Indice dei contenuti
Introduzione
Oltre il confine
Una mescolanza di identità
Notte di ansie, quella trascorsa, notte memoranda
Una convivenza non sempre facile
Il mito del soldato
La donna e la guerra
I mestieri femminili
La Spedizione Punitiva
Una storia imprevista
Ba ist dar main zun? (Chi ha visto mio figlio?)
De Zimbrische Baibar (Donne cimbre)
Siamo italiane
Chi è profuga? Lo Stato risponde
L’azione della Chiesa: i vescovi e Papa Benedetto XV
Solidarietà inaspettata
La trasfigurazione del luogo natio
Tre narrazioni inedite di donne
La prima narrazione: Rosa Manzinello
La solitudine
I figli persi
La seconda narrazione: Teresa Sartori
Scappare da chi?
Considerare nemici i parenti e gli amici
La vita nelle baracche di legno
Spaesamenti
La terza narrazione: Melania Bordin
Incontri
I canti della profuganza
Verdeggiano i pascoli dove si combatté nel 1916 (Giani Stuparich)
Appendice
Memoria individuale e memoria collettiva
Bibliografia
Gazzetta Ufficiale
Giornali
Per le foto del Comando Supremo
IL CALAMO - STORIA
Ringraziamenti
IL CALAMO
Storia
15
Raffaella Calgaro
Tutta un’altra storia
La Grande Guerra raccontata dalle donne e dai bambini
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Introduzione
La Grande Guerra nella manualistica si è spesso tradotta in una narrazione che mappa fortezze e battaglie, che calcola il numero delle vittime, dei feriti e delle armi utilizzate in un’ottica funzionale alla storia nazionale. L’azione violenta da parte dell’esercito amico/nemico nei confronti dei civili, l’assenza dei diritti elementari per le popolazioni coinvolte nel conflitto, lo sradicamento, fisico e mentale, a cui vengono sottoposte migliaia e migliaia di vite, cominciano a emergere negli ultimi decenni del Novecento, quando l’attenzione va a chi ha vissuto nelle proprie case, e sulla propria pelle, le conseguenze del conflitto.
L’azione bellica lascia così posto a nuovi argomenti e pacifismo, fraternizzazioni con i nemici, violenze subite, evacuazioni di massa iniziano a scrivere altre pagine di storia, spesso marginalizzata, com’è avvenuto per il fenomeno della profuganza del 1916.
Siamo lungo le zone di confine tra l’Impero Asburgico e il Regno d’Italia, tra il Trentino e il Veneto, e nel maggio del 1916, a seguito della cosiddetta Spedizione Punitiva, si verifica un allontanamento forzato dei civili che abitano lungo le valli, le montagne e la pianura. Un numero incredibile di donne, vecchi e bambini si riversa all’improvviso sulla pianura padana generando caos e disordine ovunque. La situazione mette in allarme lo Stato italiano. Non si possono ignorare gli ammassamenti di migliaia e migliaia di persone, le loro richieste di cibo, acqua e di un riparo dove dormire. Anche se c’è la guerra. Anche se l’attenzione è concentrata sulle vicende militari.
Se la letteratura successiva presta attenzione al fenomeno, il documento di guerra si limita all’ hic et nunc dell’evento, al ciò che appare ai soldati a seguito di veloci incroci con i profughi. Manca nelle testimonianze il prima, il punto di partenza dei profughi, il ‘chi erano’. Manca il pensiero della gente, il racconto di un conflitto, vissuto al di là della trincea giorno dopo giorno, soprattutto in chiave femminile. L’uomo, soldato o emigrato, rimane per lo più all’ombra della vicenda.
«Perché? Che abbiamo fatto di male?» si domandano molte donne venete mentre abbandonano tutto. ‘Tutto’ per loro non significa solo la casa, la stalla, la terra; ‘tutto’ racchiude le loro usanze, la lingua parlata, le abitudini secolari che appartengono al loro mondo. Fratturati i legami, i rapporti reticolari di un’intera comunità, le vicende umane di queste donne cominciano a fluttuare in un tempo sospeso, dove ogni appartenenza viene rimessa in discussione.
Sono donne semplici e umili, che hanno poca dimestichezza con la penna e che solo dopo molti anni, e con molta riluttanza, affidano i loro ricordi a interviste o a racconti familiari. Recuperare la loro memoria significa far riaffiorare un patrimonio di voci che colma e sutura uno spazio di lungo silenzio. Voci che raccontano di una guerra vissuta nelle case e nelle tane, bombardate senza sosta, fianco a fianco delle truppe. Una guerra di paura e di fame, lontana da intenti retorici, che narra di valori smarriti e punti di riferimento cancellati. Quando poi la casa, il paese, i boschi vengono distrutti, e l’esistenza stessa viene messa in pericolo, la fuga si traduce in un’unica risposta collettiva.
È a questo punto che il ricordo si fa traumatico. Mentre cercano la salvezza andando verso la pianura, molte profughe smarriscono i propri figli. I più fortunati verranno ritrovati dopo giorni, ma un numero imprecisato di bambini non riuscirà a ricongiungersi con la propria famiglia. La vicenda, anche dopo decenni, viene riportata dalle profughe con ritrosia e solo nel caso del ritrovamento del bimbo. Sono altri i testimoni che raccontano o scrivono del mancato recupero, e dunque della perdita-per-sempre, dei piccoli. La tragicità del fatto viene silenziata, per vergogna e per dolore, anche all’interno delle famiglie che sembrano dimenticare. E del piccolo scomparso non si parla più.
Riportare alla luce queste testimonianze significa dare voce a una vicenda umana passata inosservata o accantonata. Una vicenda che non inquadra, né definisce i confini tra chi ha torto e chi ha ragione, ma che denuncia lo sconvolgimento vissuto da migliaia di esistenze, attonite e inermi di fronte alla guerra.
Dal diario inedito di Melania Bordin, profuga:
Quando mi misi dietro al carro che trasportava le nostre masserizie e vidi il mio fratellino con un piccolo fagotto di camicine e calzoncini sotto il braccio, non potei più trattenermi e cominciai a piangere disperatamente. Proseguii la strada senza parlare; ad un certo punto volsi il capo all’indietro e guardai per l’ultima volta i miei monti ormai lontani [1] .
immagine 1Profughe che si stanno allontanando da Posina, 1916. Archivio Roberto Lorenzato
[1] Il diario di Melania è conservato presso la famiglia Bordin di Cogollo del Cengio. Scritto nel 1918, racconta l’esperienza dell’esodo da parte della ragazza e della sua famiglia, costrette a scappare da Cogollo, a seguito della Spedizione Punitiva, per raggiungere Grumolo Pedemonte, un paese distante una decina di chilometri. La famiglia rimarrà a Grumolo fino al 1920.
Oltre il confine
immagine 1Confine tra Italia e Austria-Ungheria
Dopo la Terza Guerra di Indipendenza del 1866, e la conseguente annessione del Veneto all’Italia, il 22 dicembre 1867 una Commissione Internazionale si riunisce per stabilire i confini tra il Tirolo Meridionale e la provincia di Vicenza. L’istituzione del confine ha come scopo quello di delimitare i luoghi nella loro dimensione territoriale, che dunque include, esclude e differenzia. I due Stati si incontrano, discutono, si impegnano a costruire una divisione politico-istituzionale che tuttavia non tiene conto della dimensione identitaria della popolazione, né la rappresenta.
Viene così confermato un vecchio confine, che si identifica negli elementi caratterizzanti la zona presa in esame, ovvero la montagna e il fiume Astico. Due limiti naturali, che nella realtà rappresentano punti d’incontro irrinunciabili per gli abitanti del territorio. Il confine esiste, possiede una propria ragione funzionale ma l’omogeneità culturale, linguistica e sociale, presente nella zona, rende fluida ogni barriera.
Prendiamo il corso d’acqua: per i frontalieri rappresenta un luogo di scambi, grazie anche alle numerose attività avviate da tempo lungo le sponde. Illuminanti in questo senso sono le parole del cappellano militare, Silvio Solero, il quale nel 1918 scrive: «Un tempo le acque dell’Astico servivano al traffico del legname che da Lavarone e Luserna veniva trasportato su solide zattere giù nella valle […] e parecchi stabilimenti idraulici […] venivano mossi dalle sue acque» [1] .
Ed in effetti la zona è frequentata da commercianti, contadini, artigiani che scambiano, barattono, vendono: il cosiddetto cross border shopping unisce, uniforma, relativizza il senso di confine.
Anche l’altra barriera, la montagna, rappresenta per la gente un’area liquida, perché spazio di attraversamento di un mondo, variegato e multiforme, composto per lo più da braccianti, pastori che si muovono con animali e greggi, ragazze a servizio, lavoratrici di tabacco, raccoglitrici di frutta, contrabbandieri. Un mondo che cammina, si incrocia, si riconosce e scambia qualche parola.
immagine 2Cartina delle zone di confine
Vengono così attivate le dogane ai Busatti di Lastebasse, paese situato nell’alta valle dell’Astico, e a Passo Vézzena, presso la località ‘Al Termine’, posta sulla strada per Asiago. A ciò si aggiungono gli Uffici e le Succursali doganali che vengono dislocati in vari punti lungo la linea di confine. La presenza di finanzieri e carabinieri dà nuovi impulsi all’economia locale, ma dall’altra parte impone dazi e controlli. Una profuga di Lastebasse ricorda:
A Lastebasse c’erano i militari allora, come si chiamavano…non mi viene la parola…i finanzieri…c’erano i finanzieri…anche quelli che andavano per la farina, ce n’erano di tutte le sorti. Per il contrabbando le donne andavano nel bosco per un chilo di zucchero [2] .
La divisione, costruita a tavolino, per la gente del posto risulta artificiosa, come pure la logica di inclusione-esclusione derivante da essa. Il confine non viene compreso né accettato: gli abitanti della Valdastico mantengono buoni legami con gli abitanti di Luserna, paese austriaco, conservando l’abitudine dell’alpeggio nella loro terra, mentre la gente di Luserna continua a scendere a valle per andare a messa, per avviare piccoli commerci o per acquistare medicine. È un legame che non si cancella, neanche nelle piccole abitudini domestiche, tanto che i papà lungo la valle italiana, per ricordare che è tardi e bisogna andare a letto, dicono ai loro piccoli: Xè drio rivàr i Lusernati (Stanno arrivando gli abitanti di Luserna), famosi per essere sempre in ritardo agli appuntamenti.
Le donne italiane di giorno lavorano nei campi di patate, di notte attraversano il fiume Astico, nascondendo sotto le gonne pezzi di carne, sgnappa (grappa) e formaggio che scambiano con forbici e coltelli austriaci. La frontiera rappresenta per loro una risorsa: ciò che è costoso da una parte, è conveniente dall’altra e lo scambio permette di raggiungere beni altrimenti impossibili.
Poco più in là, nell’Altopiano di Asiago, il confine di Stato, che corrisponde all’Antico Termine, è segnato da un’osteria. Un luogo di reale condivisione tra austriaci e italiani. Uno spazio di incontri, non di divisioni. Gli abitanti della zona si muovono come se