Racconti di guerra. Lucca, via dei Borghi 1944
Di Mario Rocchi
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Info su questo ebook
Mario Rocchi, bambino durante la Seconda guerra mondiale, racconta i fatti accaduti a Lucca tra il 1940 e il 1944. In ventiquattro racconti l’autore fa rivivere al lettore il fascismo lucchese, le privazioni, la paura, le sirene per gli allarmi dei bombardamenti aerei, la grande retata compiuta dai nazisti e dai fascisti nel centro storico nell’agosto del 1944 con l’arresto e la deportazione di decine di civili.
Ma c’è anche spazio per l’alunno Mario Rocchi, bambino alla scuola elementare “Giovanni Pascoli” di Lucca, con il maestro affamato e segretamente antifascista, la forzata e odiata visita all’ospedale in Galli Tassi per portare i doni ai feriti di guerra e le dimostrazioni di valore fascista come la scenetta in costume con i bambini travestiti da Dubat, omaggiando con la M il Duce.
Tra ricordi di canzoni di guerra - come quella del colonnello di Giarabub -, si giunge alla Liberazione con i partigiani in armi e la morte di un patriota ucciso dai tedeschi in ritirata. L’arrivo degli americani segna un cambiamento per Lucca, con le “segnorine”, la Militar Police e le jeep.
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Anteprima del libro
Racconti di guerra. Lucca, via dei Borghi 1944 - Mario Rocchi
edizioni
Copyright
© Copyright Argot edizioni
© Copyright Andrea Giannasi editore
Lucca, aprile 2020
1° edizione
Tutti i diritti sono riservati. Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633).
ISBN 978-88-32281-41-5
Nella storia
Mario Rocchi con questi 24 frammenti di storia, ci aiuta ad entrare a Lucca durante i terribili mesi di guerra, tra il 1944 e il 1945. Giovane, ma già abbastanza grande per avere autonomia e girare
la città e percepire i confini del pericolo, Rocchi è già cronista, cercando la notizia, osservando e scavando nei meandri più oscuri delle vite umane.
Lucca è per lui soprattutto via dei Borghi, oggi intitolata a Michele Rosi, quartiere popolare proprio dentro porta Santa Maria, quella che conduce al Giannotti
. E questo scenario di case e finestre diventa l’ambito privilegiato di osservazione del microcosmo dei lucchesi intenti, come tutti, a sopravvivere alla Seconda guerra mondiale.
Ogni racconto è una piccola sceneggiatura in bianco e nero. Il libro è impreziosito dalle foto di famiglia Rocchi che ci aiutano a capire meglio il fascismo popolare lucchese e il rapporto tra la gente e il regime.
Buona lettura.
Andrea Giannasi
1
La signora Angelina abitava al piano terra della casa di via dei Borghi. Il suo appartamento lo condivideva col figlio Gianni, beone vagabondo che si arrangiava a fare il falegname, mestiere per cui non era tagliato affatto e che gli dava a malapena da vivere. Era un appartamento arredato poveramente ma dignitoso. Lei stava sempre, con le sottane lunghe fino a terra, a sedere su una ampia e vecchia poltrona, in tempi freschi e freddi, accompagnata da uno scaldino di metallo con dentro carbonella perennemente accesa. Noi, ragazzetti incoscienti, a giornate si frequentava il suo orto, una specie di giardino incolto in cui sboccava l'appartamento, con la scusa di pulire un cunicolo nel giardino, o forse è meglio dire corte, che poteva trasformarsi in ripostiglio, in caso di retata nazista, per gli uomini della scalata
, come li chiamavamo noi, cioè gli abitanti degli appartamenti che si affacciavano sulle scale. Io, con Cesare e Achille, ci introducevamo nel cunicolo dal chiusino di cemento che si poteva alzare e poi, paletta per paletta, scavavamo la terra che era lì caduta dal fuori in tanti anni, per fare spazio a chi eventualmente ci doveva entrare. Dico subito che fu un lavoro inutile perché, a parte il fatto che gli uomini adulti ci passavano a malapena, non ce ne stava a sedere, più di uno. Dunque non fu mai usato questa specie di fognatura che noi chiamavamo galleria.
Ma il divertimento fu unico perché non ci era capitato mai, da ragazzetti, di scavare la terra con il sogno di operare per il bene dei nostri genitori e fratelli mentre i passi ferrati dei nazisti si facevano sentire sempre più spesso, cadenzati sulle pietre di Matraia che lastricavano via dei Borghi. Le uniche macchine che solcavano la strada erano le DKW che sfrecciavano veloci o i camion con, sempre ordinati seduti nelle panche, i soldati con in mano ben stretto il fucile che poggiava col calcio a terra. Li vedevamo passare stando affacciati alla finestra e ci facevano paura perché sapevamo che erano nemici e, se volevano, ci potevano ammazzare in quattro e quattr'otto.
Una volta ci meravigliammo quando, un camion dei loro, facendo una manovra proprio davanti alla nostra casa, schiacciò contro il muro un ragazzo che noi chiamavamo il francese perché figlio di una coppia di origine francese che abitava da poco tempo nell'appartamento antistante, procurandogli fratture al petto. Si adoperarono subito per sapere la gravità del male e lo portarono immediatamente con il camion stesso all'ospedale. Noi ci meravigliammo della premura che quei soldati mostrarono non ragionando che, pure nemico che fosse, era un ragazzo la cui vita andava salvata. Non pensando anche che, essendo colpevoli, era loro dovere intervenire. Comunque quei tedeschi ci sembrarono meno cattivi degli altri. Da ragazzi non si ragionava molto in tal senso e si faceva di ogni cosa un fascio non pensando che, sia pure incattiviti dagli annunci di Hitler e dalla guerra che stavano perdendo di giorno in giorno, ci potesse essere qualche soldato che avesse pur sempre un cuore.
Tutto questo era accaduto davanti all'appartamento della signora Angelina, la simpatica vecchietta che, quando sentiva gli scoppi del bombardamento, si metteva a cantare la canzoncina ironica che faceva E tu Beppe para il sacco
, e lo faceva ridendo. Quando andavamo giù, nella corte, c'era sempre il figlio Gianni che, avendo fatto il militare in Africa, ci raccontava tante storie e, volendosi mostrare informato, ci insegnava le traiettorie del cannone, dell'obice e del mortaio. E noi a bocca aperta a sentirlo.
Poi vennero i bombardamenti e io con la mia famiglia e quella del mio coetaneo Achille, come ricovero, andavamo a dormire nella cantina annessa all'appartamento della signora Angelina. Laggiù furono sistemati i materassi per dormire. Ma, come si dice, furono fatti i conti senza l'oste perché a seguito della pioggia di una nottata, l'acqua cominciò a penetrare nella cantina e chi si svegliò per primo, aprendo le braccia, si accorse che le stesse avevano sbattuto nell'acqua. Allora fra parolacce e maledizioni al padrone di casa, furono ripercorse le scale a ritroso per raggiungere le proprie case. Io ebbi fortuna perché avendo la febbre, quella notte mia madre non mi fece scendere in cantina e si sistemò con me in una stanza della casa.
Il fronte era fermo sulla Linea Gotica ma di lì a poco anche Lucca sarebbe stata liberata. Purtroppo alla