L'Estero vicino: La politica russa nello spazio post-sovietico
Di Melody Wenz
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Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e l’indipendenza simultanea delle quattordici ex Repubbliche socialiste sovietiche, la Russia ha toccato il punto più basso della sua millenaria storia con la presidenza di Boris Eltsin negli Anni '90, ma che con Vladimir Putin ha ritrovato un nuovo corso politico, economico e strategico, oltre ad una neo politica di potenza a carattere regionale.
Così se le Rivoluzioni colorate (Georgia, Ucraina e Kirghizistan) della prima metà degli Anni Duemila hanno fornito l’occasione all’Occidente per giustificare una sua maggiore presenza nello spazio post-sovietico, la Russia ha vissuto questi cambiamenti alle sue frontiere come una minaccia mortale per i propri interessi e per la stabilità regionale. Oggi Mosca, sulla base di questi elementi, come ha modellato la sua strategia in quello che definisce il suo Estero vicino a fronte di una NATO sempre incombente ai suoi confini?
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L'Estero vicino - Melody Wenz
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Quest’opera è il risultato di un lavoro di ricerca, effettuato nel quadro della mia tesi di master. Ha per tema lo studio della politica estera russa, a seguito delle cosiddette rivoluzioni colorate, succedutesi fra il 2003 e il 2005, nello spazio post-sovietico, in particolare in Georgia, Ucraina e Kirghizistan, detto anche spazio contiguo alla Russia.
L’idea è di partire da un avvenimento comune ai tre Paesi dello spazio post-sovietico: una rivoluzione colorata, scoppiata a seguito di un risultato elettorale contestato, e caratterizzata da immagini e simboli accattivanti, un’ideologia che si rifà alle democrazie occidentali, e un’importante e imponente copertura mediatica.
L’analisi della Rivoluzione delle Rose in Georgia, di quella Arancione in Ucraina e di quella dei Tulipani in Kirghizistan permetterà di rilevare le analogie e le differenze fra i tre avvenimenti, snodatisi fra il 2003 e il 2005. Si terrà conto anche della lettura russa degli avvenimenti, importante per capire la sua successiva linea di condotta. Il cuore dell’analisi russa circa le rivoluzioni colorate si sofferma sul ruolo svolto in questi avvenimenti dalle ONG straniere, ma anche dall’Unione Europea e dalla NATO. Le tre rivoluzioni hanno avuto destini molto diversi. Ad ogni modo, è interessante osservare la similitudine, che si è sviluppata nel corso del tempo, fra il caso georgiano e quello ucraino, specialmente dopo la Guerra russo-georgiana del 2008 e il Conflitto russo-ucraino del 2013: non soltanto questi due conflitti si sono risolti in un’amputazione territoriale, ma hanno reso più complesse le relazioni fra Unione Europea e Russia.
Questo capitolo permette di distinguere l’evoluzione dei rapporti fra la Russia e i tre Stati rivoluzionari.
In occasione di queste rivoluzioni, infine, la Russia ha confermato che le proprie preoccupazioni strategiche si inseriscono all’interno dello spazio geografico, da essa percepito come propria area di influenza.
Il termine Stato rivoluzionario è usato intenzionalmente e frequentemente all’interno del presente saggio, a scopo semplificatore, in assenza di termini più specifici. La seconda parte del libro valuta le ricadute che le tre rivoluzioni hanno avuto sulla politica estera russa e sulla definizione del cosiddetto spazio euroasiatico. Alcuni elementi ci portano a pensare che esista, dopo il 2005, una volontà russa di ristrutturare lo spazio post-sovietico. La guerra russo-georgiana del 2008 e la crisi fra Russia e Ucraina, dopo il 2013, hanno confermato la reattività della diplomazia russa e hanno fatto intuire quali siano i rapporti di forza esistenti, dopo le rivoluzioni colorate.
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Parole chiave
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- Rivoluzioni colorate: con questo termine intendiamogli avvenimenti che si sono succeduti dal 2003 al 2005, in Georgia, Ucraina e Kirghizistan. I capovolgimenti di regimi, considerati autoritari, nello spazio post-sovietico, sono espressione di una rottura definitiva (almeno in apparenza) con il passato sovietico e pone delle domande sul ruolo, che ha acquistato l’opinione pubblica, in quest’area. Per semplicità, noi non faremo differenze terminologiche fra le espressioni rivoluzioni di colore e rivoluzioni colorate.
- Spazio post-sovietico: corrisponde all’insieme delle ex repubbliche socialiste sovietiche. Nel 1992, Mosca ha cominciato a usare il termine vicino estero per definirle, in seguito questo spazio geo-politico è divenuto una delle sue priorità in materia di politica estera.
- Politica locale russa: è la condotta politica utilizzata dalla Russia nei confronti dei Paesi, che fanno parte dello spazio post-sovietico, e che si traduce in politiche bilaterali o multilaterali. L’immagine della Russia quale potenza locale è, in parte, un prodotto delle rivoluzioni colorate.
- Soft Power: all’inizio degli anni ’90 del XX secolo, il teorico americano delle relazioni internazionali, Joseph Nye, ha elaborato il concetto politico di soft power o teoria della potenza dolce in contrapposizione all’hard power, il potere coercitivo classico. Il soft power corrisponde alla capacità di un soggetto (Stato, ONG, gruppo …) di influenzare il comportamento di un altro soggetto attraverso mezzi non coercitivi (culturali, ideologici …). Impiegando il soft power, uno Stato X è capace di favorire il verificarsi di una situazione, in cui altri soggetti fanno scelte che promuovono gli interessi dello Stato X. Secondo il filosofo Régis Debray, l’uso del soft power permette di intervenire sulla percezione che l’opinione pubblica ha sulle realtà circostante: Le prime dieci agenzie di pubblicità nel Mondo sono occidentali; diffondere un’immagine di uno stile e di un livello di vita straordinari vale più di qualsiasi opera di propaganda.
- Guerra ibrida: hybrid war; si tratta di un concetto vago, che indica una guerra combattuta sia con mezzi regolari, che irregolari. Fare appello a una strategia ibrida implica applicare delle strategie di accerchiamento della potenza, giocando su piani d’azione diversificati, simmetrici e asimmetrici. Obiettivo principale della guerra ibrida è destabilizzare e paralizzare, in maniera durevole il proprio avversario o il proprio nemico.
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Introduzione
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Al momento della caduta dell’Unione Sovietica, nel 1991, il primo presidente della Federazione russa, Boris Eltsin, invitava i Russi a tracciare una linea sull’impero sovietico, al fine di promuovere la democrazia e imboccare le riforme che avrebbero condotto a un’economia di mercato.
Al Cremlino, i nuovi dirigenti politici dell’epoca condividevano l’idea che l’avvenire della Russia fosse di armonia con i Paesi dell’Occidente: Il progetto di Eltsin, all’inizio degli anni ’90 del ‘900, era quello di trasformare la Russia in una potenza democratica e normale che potesse avere un’influenza, in un contesto non conflittuale. Nel 2007, in occasione dei festeggiamenti per il 50° anniversario dell’Unione Europea, Vladimir Putin riaffermava il principio, secondo cui la Russia condivideva gli stessi valori della maggioranza degli Europei.
La Federazione russa occupa un posto particolare in seno allo spazio post-sovietico: la sua estensione geografica, il suo arsenale nucleare, le sue risorse finanziarie, il suo seggio di membro permanente in seno al Consiglio delle Nazioni Unite (ONU) gli consegnano un incontestabile ruolo di potenza locale. Bisognava attendere la fine della guerra cecena e l’arrivo di Evgueny Primakov a capo della diplomazia russa, nel 1996, perché il rafforzamento delle relazioni con i nuovi Stati indipendenti fosse parte delle priorità russe, in materia di politica estera. Il concetto di vicino estero, coniato dal Primo Ministro Primakov, permetteva allora alla Russia di riavvicinarsi agli ex Paesi sovietici, al fine di garantire la stabilità e mantenerla in maniera durevole, all’interno di quest’area. Questo principio diveniva la base dei futuri piani di integrazione, che andavano al di là della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI).
Protagonista dello sbriciolamento del sistema di potere sovietico, il presidente Boris Eltsin non è riuscito, nonostante le riforme economiche, politiche e militari, a dare l’impressione ai Russi di essere finalmente usciti da uno stato transitorio, percepito invece come perenne. Nel suo ultimo discorso alla Nazione, il 31 dicembre 1999, trapela questa amarezza:
Chiedo scusa per non avere risposto alle aspettative di coloro che credevano che saremmo passati, con un balzo, da un passato grigio, totalitario e stagnante a un avvenire luminoso, ricco e civilizzato. Ci credevo anch’io … in un certo senso, sono stato troppo ingenuo.
Vladimir Putin, arrivato al potere nel 2000, contrastava fortemente con l’immagine del vecchio Presidente. Allo scopo di guadagnare credibilità, costui improntò da subito la propria condotta politica al perseguimento di due obiettivi primari: la restaurazione dell’ordine interno sul piano economico, politico e militare e la rinascita della potenza russa sulla scena internazionale.
Quest’ultima finalità passò, nelle intenzioni del nuovo uomo forte del Cremlino, attraverso il rilancio dell’influenza russa all’interno dello spazio geo-politico finitimo. I discorsi annuali del Presidente russo sullo stato della Federazione denunciavano come lo spazio post-sovietico sia l’asse principale della sua politica estera. L’intenzione di Putin di far riguadagnare influenza al proprio Paese in quest’area, frenando le aspirazioni degli Stati Uniti, era illustrato dal nuovo dispiegamento militare russo nel CSI: inoltre la presenza delle forze russe, alla vigilia delle rivoluzioni colorate, era visibile soprattutto in Asia centrale e nella zona caucasica.
Le rivoluzioni colorate sembravano seguire lo stesso copione delle sollevazioni, avvenute in Serbia, nel 2000, e che avevano portato al rovesciamento del Presidente Milosevic: elementi centrali ne sono ancora una volta il carattere non violento e la volontà da parte del popolo di democratizzare la società. I fenomeni rivoluzionari di cambiamento di regime, che accompagnarono la transizione sociopolitica post-sovietica degli Stati georgiano, ucraino e kirghiso, fra il 2003 e il 2005, ricordano poi stranamente le rivoluzioni, che si erano consumate in Europa orientale alla vigilia della disintegrazione dell’URSS. Tuttavia, se le rivoluzioni degli anni ’90 nei Paesi dell’Est Europa si erano concluse con dei radicali cambiamenti di regime, quelle colorate hanno avuto un esito sensibilmente diverso. In effetti le prime