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Il respiro della nebbia
Il respiro della nebbia
Il respiro della nebbia
E-book280 pagine3 ore

Il respiro della nebbia

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Info su questo ebook

"Un lampo squarciò i cumuli plumbei addensati nel nostalgico cielo di Calieth. Le giornate caliethiane erano un susseguirsi di acqua e di vento, sferzate da fulmini e danze di foglie soffiate oltre ogni immaginazione. A Flynn quella terra piaceva molto e non riusciva a comprenderne il motivo: quel cielo macchiato di pioggia gli accarezzava le corde dell'anima"
LinguaItaliano
Data di uscita21 gen 2019
ISBN9788867829125
Il respiro della nebbia

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    Il respiro della nebbia - Mattia Frigerio

    Mattia Frigerio

    Il respiro della Nebbia

    Mattia Frigerio

    Il respiro della nebbia

    Editrice GDS

    Via Pozzo 34

    20069 Vaprio d’Adda-MI

    Tel 02.90970439

    www.gdsedizioni.it

    www.mattiafrigerio.it

    Ogni riferimento descritto nel seguente romanzo a cose, luoghi, persone e altro sono da ritenersi del tutto casuali.

    Copertina a cura di Francesca Resta

    A te che avrai e sarai sempre una parte di me

    PROLOGO

    Non c’era la luna e per le strade niente sembrava muoversi. Era come se il tempo si fosse finalmente bloccato. Dalnein di notte era una baraonda: schiamazzi, stupri, cozzare di spade, bestemmie, serenate, risate e pianti. Ogni volta era peggio di una bolgia, ma quella sera tutto era diverso. Sarà stato il cambio di stagione, la primavera in arrivo pronta a tingere i giardini di primule e mughetti. Io non so trovare le parole per spiegare quel silenzio irreale, ma posso assicurare che una notte come questa che vado a narrare non capita quasi mai quassù a Dalnein. Ed ecco, finalmente, dopo tanta solitudine compare una figura avvolta tra spire di tenebra e vento: cammina rapida senza emettere alcun suono, tanto da sembrare imparentata con la regina delle ombre.

    Notte scura, notte ostile e severa, notte di fredde spade da sguainare per le vie e per le strade. Quanto mi piace quando tutto tace e nel fondo del fondo della notte non vi è alcuna luce. Mi piace quando navigo la sera come un brigantino strapazzato dalle correnti e dalle maree, solitario nel suo girovagare senza meta. Mi piace quando la notte mi accoglie come un passero imboscato tra le foglie, mi piace il vento lugubre del crepuscolo, mi piace quando sgaiattolo invisibile come un pulviscolo. Assaporo volentieri l’odore della terra bagnata, il fango e la pioggia mi inebriano i sensi. La notte è tutta perfetta… si può dire o suona male? Poco importa, nessuno mi sta ad ascoltare...

    L’ombra si fermò davanti a un bivio riflettendo sul da farsi.

    A beh, per di qua o per di là? Mi pare di avere ricevuto indicazioni poco precise… già: stanotte è la notte e, per gli Dèi, che notte! È un buio taciturno, fedele amico di noi erranti. È un buio eloquente, un buio che fa dolore, portatore di memoria. Un buio che mi stringe e mi… aspetta, è il momento di concentrarsi. Quella è una guardia? Per la Mano! Non dovevano esserci guardie, neanche una! Odio le indicazioni errate! Come si fa ad essere dei buoni professionisti se il committente si rivela impreciso?! Va bene, farò il possibile affinché tutto fili liscio. Si va in scena…

    Appoggiato contro la porta di servizio della Reggia stava una guardia armata di alabarda, decisamente poco incline a svolgere il proprio dovere: teneva il capo chino e sembrava che stesse osservando la punta dei suoi stivali. Davanti a sé stava un piccolo braciere poco ardente: il fuoco se non curato si spegne facilmente, soprattutto nelle fredde notti caliethiane piegate dal vento e dalla pioggia costante. Tuttavia quella notte era tenebrosamente asciutta.

    L’ombra si avvicinò all’addormentato stringendo una delle sue molteplici lame crudeli, ma non ebbe bisogno di sferrare nessun affondo letale: la guardia non era appisolata, dormiva della grossa. E come russava!

    Ottimo, almeno questa è fatta…

    L’ombra si portò naso a naso con la vittima per accertarsi che non si svegliasse da un momento all’altro. Niente.

    Ma questo odore…

    I suoi occhi si abbassarono trovando quella che andavano cercando: per terra, completamente svuotato, giaceva un fiasco di vino rovesciato.

    Svelato l’arcano…

    La guardia non era solo appisolata e nemmeno unicamente addormentata: era ubriaca marcia. L’ombra scosse il capo vergognandosi per lui. Calieth era in guerra, le forze del Reame senza Corona avevano oltrepassato Passo Scosceso riversandosi su Manbev e le Torri da Guardia. In breve i soldati si sarebbero scagliati su Dalnein come i venti spessi di Darrak.

    Una città pronta a cadere: il sangue scorrerà per i ciottoli delle strade e nulla sarà più come prima. La Casa dell’Ospitale diventerà cenere, i malati e i feriti non troveranno più rifugio fra le sue bianche mura gentili. L’Accademia del Bel Canto crollerà e nessuna canzone verrà più cantata, nessuna corda pizzicata e nessun flauto soffiato: è scoccata l’ora delle spade, delle asce, delle frecce e delle lance…scende in strada la morte.

    L’ombra guardò la porta di servizio bloccata dalla guardia addormentata e poi volse lo sguardo sulla parete. Non era così alta, perlomeno non per lei che in quanto ad agilità era seconda a pochi in tutto l’Einwell.

    Va beh, l’agilità qui conta poco o niente…

    Scivolò salendo lungo la parete come lacrime di pioggia sottili, oltrepassò le mura ed entrò nei giardini della Reggia.

    Magnifici!

    Alberi da frutta di ogni sorta spuntavano dappertutto: peschi, aranci, meli, ciliegi, fichi, biancospini, amareni. L’erba era verde e curata, tagliata ogni giorno da mastri giardinieri in modo d’essere sempre perfettamente corta, soffice e morbida. E poi i fiori, uno più bello dell’altro: rose, viole, mughetti, primule, margherite, tulipani, camelie, orchidee.

    La magia è potente in questo giardino. Queste piante e questi fiori hanno periodi diversi di fioritura, eppure eccoli lì: guarda come spuntano…

    L’ombra aveva avuto predisposizioni molto chiare: una volta oltrepassata la porta di servizio sarebbe entrata nel verde giardino e poi avrebbe dovuto seguire il selciato di sabbia nera che conduceva all’ingresso posteriore della ricchissima Reggia dei Laroche. I giardini avevano alberi talmente grandi e folti che non s’intravedeva ancora il tetto della dimora dei signori di Calieth, ma all’ombra non interessava: qualcosa aveva attirato il suo sguardo.

    Una figura vestita di scuro sedeva su una panca di pietra all’ombra del ciliegio. L’ombra aveva ricevuto ordini specifici, ma decise di saziare la propria curiosità. Abbandonò il percorso tracciato dalla sabbia nera disseminata dirigendosi verso la figura seduta, la quale, se rimase sorpresa o spaventata dell’arrivo di uno sconosciuto, non lo diede a vedere. Anzi, sollevò il capo e cordialmente salutò.

    «Buonasera, prego accomodatevi accanto a me.»

    L’ombra rimase molto stupita di tutta quella cortesia. In fondo era una sconosciuta che si era addentrata senza invito nella dimora di uno dei signori più potenti e ricchi dell’Einwell: re Alliaume Laroche. Si sedette un po’ a disagio in attesa di qualcosa che non arrivava: che fosse un’azione o un’espressione.

    «Bella nottata non trovate? Quando la notte si fa più nera del nero, allora c’è da stare tranquilli poiché il sereno ritornerà: come disse un tale, la notte è più buia prima dell’alba… ho sempre dato poco ascolto ai motti popolari o ai proverbi, ritenendoli baggianate da plebaglia ignorante. Quanto mi sbagliavo! Mi sono sbagliato su tante cose nel corso della mia troppo lunga vita.»

    L’uomo rivolse un sorrise gentile all’ombra completamente disarmata dalla situazione. In vita sua non si era mai sentita così: non sapeva come agire, non sapeva cosa dire. Aveva capito chi aveva di fronte e non riusciva a comprenderne la calma controllata.

    «Permettetemi di presentarmi, sono il motivo della vostra gradita visita: sono re Alliaume Laroche, Signore di Calieth, Difensore della cittadella di Dalnein, Terrore di Dresda, Conquistatore di Aradras e Assassino di Giganti. Beh, a pensarci bene io ero tutto questo. Un mio caro amico me lo fece notare non molto tempo fa… lo scacciai in malo modo manco fosse un furfante della peggior specie.»

    L’ombra provò a spiccicare qualche parola, ma tutto quello che ne uscì dalle sue labbra stropicciate fu un sibilo incomprensibile. Alliaume abbandonò l’espressione cortese accigliandosi di colpo.

    «Mi capite o parlo una lingua a voi sconosciuta? Comprendete la lingua corrente di Calieth, del Reame senza Corona e di Aer o devo esprimermi in samriliano? Non chiedetemi il lamasiano, ve ne prego: sono un vero disastro. Tutti quei suoni strani, acuti come il vagito di un neonato con la pleurite… mi danno la nausea. Allora, volete tirare fuori il coraggio e rispondermi? D’altronde siete qui per uccidermi, mica per giocare a carte!»

    L’ombra deglutì spaventata dalla fierezza di quel vecchio sovrano. Alliaume aveva la testa piccola, il capo completamente calvo e sedeva curvo sulla panca, ma c’era qualcosa in quegli occhietti infossati da far tremare le gambe perfino al guerriero più folle di Aer.

    «Senti, sono stanco di questa farsa: al diavolo le cerimonie e la sterile cortesia da loggia massonica. Dimmi come ti chiami.»

    «Alizée.»

    «Così hai un nome e anche una lingua, bene bene. Sei della Grande Mano giusto? Beh complimenti, mi sembri molto giovane. Devi essere un’orfana, immagino abbandonata davanti alle porte del tempio. Senza nome e senza un passato… »

    «Sissignore, sono stata…»

    «Basta così. Dimmi un po’, le indicazioni che ti sono state fornite erano giuste? Qualcosa è andato storto?»

    Alizée fece un’espressione sbalordita.

    «Le indicazioni?»

    «Ma sì, quelle per venire ad ammazzarmi! Per la miseria ragazza, mi sembri piuttosto rimbecillita. Sarà la luna o sarà il cielo o sarà questa stagione? O sarà che hai paura di me…»

    «In effetti non erano del tutto corrette, mi era stato detto che non avrei incontrato nessuna guardia e invece ce n’è una là fuori, appisolata contro la porta di servizio. Non le ho fatto niente, lo giuro sugli Dèi!»

    Alliaume socchiuse gli occhi con vivo interesse.

    «Quindi come sei entrata? Se non dalla porta vuol dire che…»

    «Ho scalato le mura. Sì, sono brava ad arrampicarmi sin da quando ero piccola. Ricordo che ero solita arrampicarmi sulla Torre Grossa per…»

    «Dico, ma ti rendi conto di quanto tu sia poco professionale? Diavolo, ne ho incontrati tanti di assassini in vita mia, ma di imbranati come te proprio no. Stai dialogando con la vittima al posto di eseguire il lavoro: è un errore piuttosto grossolano, dai retta a me. Il tuo committente non ne sarebbe felice.»

    Alizée calò gli occhi costernata e Alliaume le diede una pacca affettuosa sulla spalla.

    «Sei fortunata che in questo caso, più unico che raro, committente e vittima coincidono. Ti perdono, sei giovane e devi migliorare su molti aspetti se vuoi percorrere questa strada. Posso darti un consiglio? La prossima volta meno chiacchiere e più fatti. Conosco personalmente la Marchesa e ti posso garantire che non sarebbe entusiasta del tuo operato. Affatto…»

    Alizée deglutì intimorita.

    «Non le direte niente spero, è uno dei miei primi incarichi e …»

    «Ma ti senti quando parli? Come farò a dirgli qualcosa da morto? Coraggio assassina, sferra il colpo e fammi dormire. Cupi sono stati i miei giorni e insonni le notti: il nemico è alle porte e non ho fatto niente per fermare la sua cavalcata. Come posso difendere la mia gente se non sono in grado di muovermi? Io Alliaume Laroche non sono più niente, non servo più a niente. Confido che dopo la mia morte, mio figlio Guillame possa finalmente diventare l’uomo che ho sempre sperato vedere: forte, saggio, risoluto e coraggioso. Un’utopia, mio figlio è un codardo, un vero perdente, ma forse se seguirà i saggi suggerimenti del Consiglio allora abbandonerà le vesti del damerino ingioiellato per il mantello del sovrano. E così è scritto: un nuovo re salverà Calieth dalle forze del Reame senza un re, e da quella sconfitta sorgerà un nuovo impero. Io non posso fare più nulla, solo morire qui nei miei giardini. Coraggio assassina fammi vedere se le tue lame riescono a scalfire l’onore di un re.»

    Alizée si levò in piedi con gli occhi di Alliaume fissi nei suoi. Buia e profonda era la notte: la mano tremava, il cuore batteva, il vento sogghignava, la tenebra danzava.

    Il colpo fu rapido.

    Perfetto.

    LIBRO PRIMO

    Capitolo I

    Torretempo

    Alto splendeva il sole sopra la Torre dell’Orologio. L’intera cittadina di Torretempo si era radunata nella grande Piazza Conquista davanti ai cancelli dorati di Palazzo Regale. La folla si era ammassata ai lati poiché il centro era destinato alla marcia trionfale dell’esercito della città-fortezza più soleggiata del Reame.

    Dalle dieci di quella mattina particolarmente calda sfilavano i soldati di Torretempo dallo sguardo fiero e il portamento deciso. Dapprima erano arrivati gli arcieri, poi i lancieri, successivamente gli spadaccini celebrati come eroi per la loro fama e, in quel momento stava chiudendo la fila la guardia d’onore della contessa Taerin.

    Alyce si trovava seduta sul grande balcone di Palazzo Regale sopra la piazza. Aveva i capelli biondi sciolti, vestiva un abito bianco molto elegante e sul capo portava una sottile corona d’argento. Con orgoglio guardava quelle che erano di fatto le sue forze, le sue schiere. Era emozionata e le tremavano le labbra sia per la gioia sia per la paura. Era gioiosa perché quella sfilata le dimostrava quanto forte era il suo potere e, sino a quell’istante, non se ne era resa conto del tutto.

    Alyce Taerin era la signora di Torretempo ed era ricca e forte. In molti l’avevano sottovalutata, ma i venti erano cambiati e la contessina mostrava al mondo il suo potere.

    Tuttavia, oltre alla gioia, nutriva molta paura: si sentiva responsabile per le vite di tutti quegli uomini che stavano sfilando sotto il suo naso.

    Era stata lei a provocare Maximilian Vondraft. Era stata lei a minacciarlo e a cercare di rinchiuderlo nelle segrete di Palazzo Regale, fallendo miseramente. Il Reame da lei tanto amato scoppiava nel caos di una orribile guerra civile.

    Per la miseria, siamo nati e cresciuti tutti sotto lo stesso cielo. Veneriamo gli stessi Dèi, mangiamo gli stessi cibi, pigiamo l’uva dalle medesime vigne, navighiamo nelle stesse acque, estraiamo l’oro dalle stesse miniere. Siamo un Reame, o meglio lo siamo stati… per causa mia non esiste un Reame senza Corona. Esiste una terra di conquista e un viscido predatore che cerca di accaparrare tutto per sé. Io non potevo permetterlo, ma scoprendomi ho scatenato la peggiore delle calamità: guerra civile…

    Lord Ensom era in piedi accanto a lei come sempre, non l’abbandonava mai. Il vecchio lord si era fatto più magro, affilato come una lama. Indossava una splendida armatura dorata molto vecchia recante il simbolo di casa Ensom sul lato destro del pettorale: un agrifoglio.

    «La mia casata è molto antica contessina e la mia famiglia è famosa per aver avuto molti ultracentenari. Noi Ensom siamo duri a morire, gli Dèi non vogliono accoglierci: sarà che siamo o molto cattivi o molto buoni.»

    Alyce tamburellava le dita bianche sulle ginocchia. Il cuore le batteva all’impazzata e avrebbe tanto voluto ritirarsi nella propria stanza, stendersi a letto e sprofondare il viso nel comodo cuscinone di piume.

    Non sei più una ragazzina, devi affrontare la realtà così com’è: cruda e spietata. Hai scatenato tu questo casino bella mia, ora devi risolverlo.

    Lord Ensom si chinò su di lei.

    «Contessa, Alyce, rilassati. Oggi è un grande giorno, devi mostrarti fiera e forte.» bisbigliò il vecchio lord.

    Alyce si trattenne dal mandarlo a quel paese.

    «Grazie Carter, ora mi sento molto più sollevata. Sei eccezionale nel rinfrancare lo spirito di qualcuno…» ribatté stizzita.

    Il vecchio lord si accigliò.

    «Io cercavo solo di…»

    Alyce levò la mano facendo cenno di non proseguire oltre. Prese un bel respiro e sfoggiò un sorriso gentile al vecchio guerriero.

    «Perdonami amico mio, sono molto tesa, ma è sbagliato che io me la prenda con te. Apprezzo il tuo tentativo di tranquillizzarmi, nondimeno è meglio che lasci perdere. Oggi non è un grande giorno, è un giorno orribile.»

    Carter scosse il capo strizzando l’occhio destro.

    «Orribile? Cosa dici, oggi ti riveli e ti candidi alla guida del Reame! Tu sei la luce laddove Maximilian Vondraft - gli abissi possano inghiottirlo al più presto - è il buio!»

    «Non sono d’accordo. L’unica luce in tempo di guerra è quella rossastra dei falò da campo, degli incendi selvaggi, delle pire funerarie. Io una luce? Direi piuttosto una miccia...»

    «Tu hai avuto il coraggio che è mancato a tutti gli altri conti del Reame. Hai alzato la testa e hai detto no mentre Ferronero, Roccaspada e Verdequiete hanno risposto sì. Ahimé, ci aspettano giorni terribili è vero, ma tu sei la nostra luce. Lo devi essere per loro.»

    Carter indicò la piazza gremita dalla folla festante. L’esercito di Torretempo non era molto numeroso, ma era magnifico da vedere: le armature dorate luccicavano carezzate dal sole del mezzogiorno, gli elmi crestati, gli scudi istoriati, le lance dalle punte brillanti, le spade guizzanti e gli archi lunghi. Oltre all’Ordine dei Maestri di Spada, Torretempo era la sede dell’Accademia degli Arcieri Reali. I più grandi arcieri e cacciatori del regno potevano fare richiesta per venire ammessi nell’Accademia di Torretempo. Era un grande onore, un privilegio servire la città imbracciando un lungo arco di frassino nero.

    «Li vedi Alyce? Non parlo della folla entusiasta. Parlo dei soldati, parlo degli arcieri, degli spadaccini, dei lancieri. Ognuno di quegli uomini sfilando sulla Piazza Conquista ha fatto un giuramento dinnanzi agli occhi degli Dèi e ai tuoi: daranno la vita per te. Ai loro occhi tu sei la Regina del Reame senza Corona!»

    Alyce ridacchiò nervosamente.

    «La regina… sono la contessa di Torretempo, una nave in balia della tempesta. Arriveranno da Ferronero, da Verdequiete, da Vesprosferzato, da Roccaspada, persino da Stelecremisi. Quel cane di Maximilian ha ereditato la città dalla suocera defunta in circostanze poco chiare. Tutto il Reame si riverserà sulla nostra città Carter, non abbiamo la forza per opporci a loro. Siamo soli. Sarebbe meglio che io mi consegnassi a Maximilian, così da risparmiare la vita del mio popolo. Mio padre se fosse qui mi suggerirebbe lo stesso.»

    «Consegnarti? Stai scherzando vero? Lo sai cosa significa?»

    Alyce annuì con il labbro tremante.

    «Sarebbe un giusto sacrificio.»

    Il vento cominciò a soffiare rinfrescando l’aria particolarmente afosa di quella mattinata. Alyce teneva lo sguardo davanti a sé senza guardare niente in particolare. Già si immaginava inginocchiata dinnanzi a Maximilian. Vedeva il conte di Vesprosferzato avvolto da un mantello scuro come la notte e sulla testa una corona di ferro a testimonianza del suo status sociale: Maximilian Vondraft, signore del Reame.

    Carter storse il naso con una smorfia rabbiosa.

    «Per la miseria Alyce, non pensarci nemmeno! Il passato è passato, non puoi darti la colpa delle tue azioni, tutt’altro!»

    Il vento aveva preso a soffiare più forte, tanto che dalla Torre dell’Orologio il vessillo verde chiaro di casa Taerin svolazzava a destra e a sinistra. Carter stava per riprendere la parola, ma Alyce lo zittì con un gesto. La sua fronte si corrugò irrequieta.

    Sta accadendo qualcosa!

    La contessa si alzò di scatto lasciando il posto all’ombra per sporgersi dal balcone. La piazza era piombata nel silenzio più totale: quattro uomini camminavano in mezzo alla folla.

    «Per gli Dèi, chi sono quelle persone! Guardie, bloccateli subito!» ruggì Carter mentre si sporgeva a sua volta.

    Nessuno rispose all’ordine. I quattro proseguivano il loro percorso

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