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Analisi omicida
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Analisi omicida
E-book412 pagine5 ore

Analisi omicida

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Info su questo ebook

Chi sei?Un serial killer erra per le vie di Milano, lasciando dietro di sé una scia di cadaveri. Colpisce e svanisce come un esperto illusionista.È un assassino che si dibatte, come ogni essere umano, tra il bene e il male. Cerca di elevare il suo spirito, nel tentativo di fuggire dalla nicchia in cui crede di essere schiacciato da un’entità maligna.Nell’affannosa richiesta di redenzione, percepisce una forza benefica attrarlo a sé. Crede di essere prescelto da Dio, il quale gli suggerisce di eliminare il marcio che degrada l’essere umano.Raccoglie il dono divino come una missione, e uccide quelli che, secondo il suo punto di vista, rappresentano l’erba maligna.Arriva a un punto massimo di disperazione e stanchezza. Decide, allora, di rompere il patto di alleanza con la divinità.Un giorno invia al commissario Scitter una lettera anonima, dove descrive il suo ultimo omicidio. Si firma col nome di Agglomerato.Se da un lato vuole essere arrestato, dall’altro desidera ardentemente piegare l’avversario.Sicchè comincia a giocare come fa il gatto col topo, e tende a vincere la partita. Il commissario però affila la sua astuzia, mette in fila tutti gli omicidi, rendendo visibile il volto che sta nascosto nei pezzetti di cartoncini colorati del puzzle.
LinguaItaliano
Data di uscita21 feb 2019
ISBN9788867829262
Analisi omicida

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    Anteprima del libro

    Analisi omicida - Maria Martino

    Maria Martino

    Analisi omicida

    Maria Martino

    Analisi omicida

    Editrice GDS

    Via Pozzo 34

    20069 Vaprio D’Adda-Mi

    www.gdsedizioni.it

    Copertina inviata dalla stessa autrice

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    Ogni riferimento descritto nel seguente romanzo a cose, luoghi, persone o altro sono da ritenersi del tutto casuale.

    Prefazione

    Accomodatevi nella vostra poltrona preferita per leggere le avventure del commissario Scitter.

    È un uomo tarchiato, testardo, scontroso, empatico, e svolge il suo lavoro con passione.

    Spende gran parte della sua vita fra testimoni, scartoffie, ricerche e viaggi.

    Risolvere i casi è per lui arrivare alla comprensione; è raggiungere l’obiettivo che si prefissa. Per questo compie meticolose indagini.

    Perfeziona le percezioni con la riflessione, ipotizzando modus operandi diversi. Tende a sposare i livelli teorici confrontandoli con la realtà. Sarchia nel passato della vittima per comprendere in che ambito sociale sia vissuta, e con chi si sia rapportata. Inoltre, non disattende infiltrazioni esterne, e cerca di scovare in ogni persona sospettata un probabile movente.

    Dà importanza al suo istinto, a quello che molti chiamano fiuto dell’investigatore.

    Quale eccellente professionista, ha la capacità di distinguere il vero dal falso e non si lascia sopraffare dall’entusiasmo e dalla sicurezza.

    La professionalità operativa tempera le sue azioni, favorendone la meditazione e la risoluzione.

    Tuttavia, ciò non toglie che alcuni delitti rimangano irrisolti. I sospettati si intravedono tra nebulose extragalattiche. Il loro continuo movimento ne occulta le sembianze. La sagoma sfocata mostra il dito medio alzato e fa intendere che se la ride.

    Scitter, per sua fortuna, poche volte ha subito lo smacco dell’archiviazione di un caso, divenuto irrisolto.

    Analisi omicida è una storia intrigante. L’assassino ha una personalità ambivalente, contorta, psicopatica, colma di risentimenti e di rimorsi.

    Secondo Platone il mondo sensibile è una copia di quello delle idee.

    L’immaginazione crea fin troppi mondi e situazioni, e se dovessimo dar ragione al grande filosofo, e anche credito ad alcuni scienziati che desumono infinite dimensioni nelle pieghe dell’universo, ci potremmo ritrovare incastrati in molteplici zone cosmiche.

    Da sempre l’umano studia il mondo esterno per trovare le risposte alle domande cui pone di continuo: da dove veniamo, dove andiamo, perché viviamo.

    La scienza, sino a oggi non è in grado di esaudire i quesiti perché la ricerca, di sicuro, va fatta all’interno dell’Io. Qualunque conoscenza tecnologica non risolve i problemi dell’essere vivente che anela a un benessere completo e superiore. La necessità di elevarsi è insita nell’uomo, che però sembra pressato da un grosso piede pachiderma in un buco del terreno, costretto da una forza maligna, a risiederci. In questa fossa, il protagonista di questa storia, si dibatte ed esprime la sua insoddisfazione comprimendo in sé tutte le forze nel tentativo di rompere il maligno che lo lega nel fondo.

    L’energia così schiacciata, diviene un agglomerato di forze e crea un fuoco devastatore che si dibatte per guadagnarsi il Cielo, meta da cui proviene e vuole ritornare.

    Tale potenza prima debole, diviene imprevedibile. La sente muovere come onda e interagire con altre forze superiori. Polarizzato dalla vigoria vitale creatrice, si dibatte nel tentativo di trovare la sua identità e corre, passeggia, ama, si adira, si percuote il petto nel domandare perdono a Dio. Si dispera, e farnetica alleanza con la divinità che avverte dentro di sé e dalla quale si sente protetto e ispirato.

    La quinta essenza illumina il centro della mente, e fa una scoperta straordinaria: noi siamo il tutto. Siamo il cielo e l’enigma. Operando nel bene, riusciremo a evitare che la vita si distrugga.

    Il suo modo di operare per il bene, però, non è quello condiviso da altri.

    Si persuade che siamo nati per annientare il male che circonda e aliena terra e umani. Chi indugia a compiere questa pulizia, per negligenza o ignoranza, deve essere sottoposto a punizioni o essere eliminato.

    È attento, e percepisce, sia la forza vibrare nel suo corpo, sia quella che lambisce il cosmo. Sicché si connette con le energie dell’universo, che sono opera divina.

    Si persuade sia Dio stesso che, nel riconoscere la sua capacità recettiva, lo incarica ad agire per arginare gli squilibri terreni.

    Nasce così come entità nuova, cauterizzante. Ode campane suonare a festa e cadenza i battiti del suo cuore ai suoi rintocchi.

    E finalmente si sente in comunione con ogni cosa mota e immota.

    Barcollante, si dibatte, per togliere ciò che a suo avviso provoca caos e confusione nel mondo. Pulendo vie, e anse da ragnatele che mascherano e che celano, rende tutto limpido e riconoscibile.

    Lui ha un dono, quello di riconoscere il caos e abbatterlo. Un giorno non ci saranno più ostacoli e chiunque raccoglierà fiori, osserverà la natura con amore e sarà felice.

    Il commissario Scitter ha una bella gatta da pelare.

    Il pulitore colpisce, e svanisce dentro cappelli di prestigiatori.

    Capitolo 1

    Che ne è dell’amicizia?

    Il sole brillava limpido sulle foglie verdissime degli alberi del giardino. Serena si schermò gli occhi con la mano per guardare Giuliano.

    Erano sugli scalini di casa, davanti a un girasole e ne mangiavano i semi con avidità.

    Andiamo a giocare, adesso? Gli domandò.

    Per tutta risposta, lui ammiccando, le prese la mano per accarezzarle le dita.

    Lei la ritrasse.

    Cosa ti prende? chiese, scendendo da uno scalino.

    Mani appiccicaticce, scorticate, deboli, docili, fragili, volavano in cielo per formare una cappa grigia. Le parve addirittura che il sole si scurisse e che le foglie si chiudessero in pugni, stringendo dita nervose, e allora sbuffò: Ti decidi a giocare… diventerai obeso se ti riempi la pancia di semi di girasole… scemo… e corse verso il cancello.

    Di fronte c’era il prato verdeggiante, dove gli altri amici del complesso condominiale giocavano a nascondino. Se il suo amico si fosse intestardito a rimanere lì, lo avrebbe lasciato da solo, si disse. Si sarebbe chiuso dentro una ermetica gabbia di solitudine. E ben gli stava!

    Serena fremeva, perché voleva fare parte del prossimo gioco di gruppo.

    Giuliano la rincorse.

    Serena... urlò, con un’ansia insolita.

    Impaurita, si fermò. Hai visto un topo? Sussultò, nel fremere in tutto il corpo. Quelle bestie erano il suo spauracchio e nel parco ce n’erano grandi come gatti.

    No… La rassicurò, sorridendo. Ti volevo dire una cosa… Guardò il cielo come se da lassù qualcuno gli potesse suggerire le parole.

    E allora? si spazientì.

    Sbirciò i compagni che scappavano per nascondersi, mentre un ragazzo faceva la conta.

    Ti voglio svelare un segreto del mio cuore. Posò una mano sul petto.

    Oh! Fece lei sgranando gli occhi.

    Seguì un silenzio profondo mentre i loro occhi si scrutavano. Giuliano sperava potesse comprendere, quanto voleva comunicarle, senza bisogno di spendere troppe parole.

    Serena, da parte sua, cercava di scovare da quello sguardo enigmatico il mistero che le avrebbe presto svelato.

    Il bambino si avvicinò, le prese le mani con delicatezza, e le sussurrò: Ti voglio sposare... Da grande… cioè quando saremo adulti…

    Serena restò come ingessata, e senza pensieri, per un tempo indefinito. Qualcosa si frantumava e non avrebbe mai potuto incollarsi. Possibile che l’amichetto non volesse più il suo affetto, e non si rendesse conto che stava calpestando la loro amicizia? Giuliano con quella proposta, la ripudiava, la insultava, perché voleva qualcosa di diverso.

    Mai più avrebbero parlato della gita scolastica e della maestra. Il suo disappunto si alzò come una nube scura nel cielo arrabbiato. Materia oscura e concrezioni cosmiche si munirono di corde vocali per protestare. Urlavano: Traditore, perché si accorgevano che stava sciupando l’amicizia.

    Vetri rotti caddero dal cielo.

    Serena alzò il viso e le parve di vedere le nuvole grigie ammassarsi al centro, divenire un pallone di cristallo nero e poi scoppiare, spezzarsi, e cascare sulla crosta terrestre. Si riparò la testa con le mani, per non vedere il sangue sgorgare dalle ferite, per non sentirne l’odore acre e marcio, per non scorgerlo sulla terra, dove infangato, sarebbe stato risucchiato dalle radici delle piante. Non avrebbe mai più potuto mangiare il seme del girasole imbrattato di quel sangue.

    Oh, Giuliano! Il cuore si gonfiò di rabbia mentre osservava il viso del suo amico sbiancare. Scorse Tirone, l’orco cattivo, quello della fiaba che raccontava la nonna.

    Tirone era un mostro, e stava distruggendo.

    Intravide dalle fauci semi-aperte della creatura orribile, un sordo rancore uscire dalla gola. La ferocia dell’odio che scorgeva, aumentava d’energia e si trasformava in una valanga di fuoco incandescente. Tirone stava devastando e lei non poteva farci niente.

    L’orco è qui. Gridò, sbiancando in viso.

    Serena… Giuliano sbalordito, e incapace di muoversi, rimase a fissarla con le braccia penzolanti ai fianchi. Non si spostò nemmeno quando il volume di collera di quella cosa che sbucava da ogni parte lo colpiva ancora con ferocia.

    Un groppo di odio, di male, si accaniva contro l’amico e Serena non avrebbe voluto che quel qualcosa che sgorgava dal nulla, forse dal centro della terra, o del sole, colpisse all’impazzata. La cosa continuava a picchiare Giuliano, il quale non si difese mai, e attonito subiva le aggressioni con gli occhi spalancati e terrorizzati.

    Tirone, un accumulo d’ira, si spense all’improvviso per rintanarsi nel suo guscio, lasciando Serena in uno stato alterato di coscienza.

    Il grigiore e il gelo evaporarono. Il cielo assente e lontano con noncuranza osservava, ignorando il suo amico.

    Solo il sole, dopo il misfatto, si diede da fare. Difatti, incenerì nubi nere per far riprendere il precedente colore alla volta celeste, e ricominciò a riflettere i suoi raggi brillanti su tutto il giardino, esortando a riprendere il gioco della vita.

    Serena scorse Tirone, una figura informe, come cosa arrotolata, accoccolato vicino al muro di cinta. Era pago e sazio del sangue del suo amico. Presto svanì amalgamandosi con la terra. Forse non sarebbe più saltato fuori.

    Finalmente si rilassò, provando un senso di liberazione, perché era tutto finito.

    "Quando i bambini disobbediscono, arriva Tirone e punisce, mena di brutto, quindi fai quello che ti dicono mamma e papà, tesoro… Ricorda che da uno che somministra il male, nessuno si può aspettare cose buone, figliola." La nonna soleva, a quel punto, accarezzarle i capelli. Provava sempre fremiti di paura nell’immaginare il mostro, con un’espressione feroce, rincorrere i bimbi cattivi.

    Perché si era accanito sul suo amico? La risposta se la dette a stretto giro: aveva tradito la sua amicizia. Ecco.

    Era colpa sua?

    Giuliano era per terra in mezzo a una pozza di sangue.

    Che cos’era successo?

    Lo sapeva no?

    Una furia sconosciuta era uscita sia dal cielo, sia dalle viscere della terra e aveva tappato la bocca di Giuliano, per sempre.

    Se l’è voluto lui, si disse, tornando a casa in lacrime.

    Svariati giornali riportavano la notizia. Le tv ne parlavano in diverse ore della giornata. Tutti volevano sapere chi avesse ucciso il bimbo.

    Il bambino Giuliano Caronia aveva sette anni. Era sereno e gioviale. La sua famiglia è disperata. Vuole giustizia. La sua amichetta, la coetanea Serena Marenghi, non sa riferire cosa sia accaduto con esattezza. Asserisce che un mostro, uscito dalla terra o calato dal cielo, si sia accanito sul suo amico e lei ha perso conoscenza. Quando si è svegliata, ha visto Giuliano riverso a terra in una pozza di sangue…

    Dai vetri della sua camera scrutò la bara del suo amico di giochi, avvolta in un telo bianchissimo con una croce al centro. Lo vide entrare in auto, e sussultò nel sentire il colpo secco dello sportello chiudersi. Addio.

    Addio. E non provò il benché minimo dolore.

    Sentiva la sofferenza delle voci che da dentro e da fuori la accusavano per la sua inerzia.

    Come avrebbe potuto combattere o contrastare il mostro?

    Tirone era un diavolo maledetto.

    Non poteva fare nulla lei, perché non era capace di combatterlo, e tanto meno di descriverlo. Era un orco. Un mostro. E tanto bastava.

    I giornalisti, per un bel pezzo, affollarono il suo rione e fecero domande a tutti i suoi compagni di gioco. Serena si nascondeva, per non rispondere.

    Tirone era uscito dalla favola della nonna e aveva ucciso il suo amico. Quel demonio era fuggito dall’inferno, e aveva combinato quel pasticcio.

    Non voleva vedere estranei e curiosi giornalisti gironzolare nella via o peggio sostare davanti casa sua. Voleva stare assieme ai suoi genitori che si prodigavano nel difenderla dalle domande pesanti e pressanti di alcuni poliziotti e telecronisti petulanti.

    Sua madre e suo padre non le avevano mai chiesto cosa fosse successo, perché intuivano la verità: qualcuno aveva ucciso Giuliano e l’assassino era fuori dalla loro casa, si aggirava nei pressi, e avrebbe potuto colpire ancora.

    Aveva il sospetto che lo sguardo profondo e velato di sua madre scorgesse a tratti il mostro della fiaba, tuttavia, per non essere presa in giro dalla gente, relegasse dentro di sé quella verità che poteva sembrare assurda.

    A casa si sentiva protetta, racchiusa da mura soffici come di bambagia. Il soffio gelido dell’orrore era fuori, imprigionato da qualche parte, e poteva evadere quando meno se lo aspettava. Mamma e papà l’avrebbero sempre difesa e tenuta lontana da qualunque insidia.

    Una settimana dopo, rielaborò l’accaduto con la mente e si sentì pienamente soddisfatta. Si persuase che Giuliano aveva saziato Tirone, quindi non si sarebbe fatto più vivo.

    La nonna era morta un mese prima e lei, poteva giurarlo, aveva intravisto l’orco della fiaba spalancare le fauci e ingoiarla. Non lo aveva raccontato a nessuno. Nemmeno ai suoi genitori, perché, era sicura, le avrebbero suggerito, in tono accondiscendente, di giocare meno con l’immaginazione.

    Tirone, a dispetto di chi non credeva, esisteva, e si nutriva di vite umane.

    Si scrollò nelle spalle più volte, prima di sussurrare all’aria tiepida della sua camera: Odio il tuo tradimento Giuliano, ben ti sta! e si stupì di quel pensiero.

    Udì un’imprecazione sommessa, e le parve la voce dell’amichetto.

    Sei morto. Seppellito. Rispose, e si girò verso il muro, come in punizione, rabbrividendo in tutto il corpo.

    Capitolo 2

    La persecuzione

    I giorni passarono e sotterrarono l’accaduto. Sei mesi dopo la polizia scomparve dal rione ma Sandra, la madre di Giuliano, tampinava i coniugi Marenghi perché desiderava parlare con la bambina.

    …del più del meno… asseriva storcendo le mani in grembo.

    Ogni giorno si faceva trovare all’uscita della scuola, dove riceveva occhiate torve da Ines, la mamma di Serena.

    Imperterrita si avvicinava, parlava del tempo, dei biscotti fatti in casa, dell’ultima novità canora e di quant’altro, con la segreta speranza che la bambina ricordasse il volto o un particolare del mostro che aveva massacrato il figlio, e spontaneamente gliene parlasse.

    Un giorno accadde qualcosa che costrinse Sandra a desistere di avvicinare la compagna di giochi di suo figlio.

    Come il solito si avvicinò a Ines e, senza dire una parola, attese che Serena uscisse dalla scuola. Non si fece intimidire dalla faccia truce della donna che sprigionava indignazione e fastidio. Con un sorriso timido e con la tristezza nel cuore vide la bambina andare a sbattere nel corpo materno e per pochi attimi restare con la faccia appiccicata nel suo stomaco. Era palese che non sopportasse più la sua presenza.

    Quella che però a loro pareva una persecuzione, per lei era una necessità. Voleva che giustizia fosse fatta. Pretendeva che la bambina ricordasse il viso dell’assassino e lo descrivesse. Desiderava l’omicida dietro le sbarre. Perché non comprendevano?

    Porta le tue chiappe altrove. Ci devi lasciare in pace. La voce arida di Ines, rotta dal disagio, suonò nell’aria fredda come uno schiaffo di ghiaccio. Sono mesi che ci perseguiti… perché è di questo che si tratta… te ne rendi conto? Le pupille fredde la tagliavano in mille pezzettini. Adesso basta. Se non vuoi che ti denunci… ehm… devi smetterla. Io capisco il tuo dolore… questa tua persecuzione è andata troppo avanti. Il tono acido sprizzava veleno. Adesso ti chiedo di lasciarci in pace. I pugni stretti e il corpo vibrante, la dicevano lunga sulla sua disperazione, e sulla risolutezza di risolvere in modo definitivo quella situazione divenuta insopportabile.

    Sandra, impassibile, stupita, la osservava. Il suo dolore, risalendo da dentro, prese a tormentarla come non mai. Possibile che una madre non comprendesse un’altra madre? Era questo che si ripeteva mentre tratteneva le lacrime e la delusione dentro di sé.

    Ines percepì le parole non dette. Mosse la testa facendo dondolare la coda di cavallo, e disse in modo controllato: Io capisco il tuo dolore… credimi Sandra… ehm… io ho voluto bene a Giuliano come fosse un figlio… ah, tu lo sai benissimo questo… tuttavia, devi riconoscere che mia figlia ha subito uno shock e ha bisogno di dimenticare. Tu non fai altro che proporre quel momento tragico, e la bambina ne soffre. Tu capisci questo… Sandra? Le afferrò i polsi per strattonarla, ma il corpo era talmente molle che sembrava di pezza, allora desistette.

    Hai capito Sandra? Incalzò, alzando la voce sia per smuoverla dal torpore in cui era calata, sia per imprimerle nella mente che doveva lasciare in pace la sua famiglia. Ti denuncerò alla polizia fece poi, in tono caustico.

    Sì, sì, sì… Il sangue le infuocò il volto e le rizzò i corti capelli che aveva appena tagliato. Con i muscoli rigidi, annuì diverse volte, e fece dietro-front, per allontanarsi a passo svelto. Ben presto la svolta della strada la ingoiò.

    Ines, stringendo la manina della figlia la osservò camminare fino alla fine della via.

    Non riusciva a fare un profondo respiro di sollievo perché aveva un groppo nello stomaco. Sentiva, che qualcosa ribolliva; che sarebbe successa qualche altra cosa e i campanelli d’allarme del suo corpo erano in allerta. Tuttavia, con la speranza che le sue potessero essere solo fantasie, accarezzò Serena, per rassicurarla: Non la vedremo più, piccola…

    A passo svelto si avviarono verso casa.

    Il petto era gonfio di dolore, e di sdegno. Giuliano riapparve nei suoi pensieri, e gli occhi si riempirono di lacrime. Lo aveva voluto bene quel bambino per davvero, era stato per lei un figlio, un altro figlio.

    Serena dopo pranzo fece i compiti, poi corse in giardino per inseguire il suo gatto. Era felice perché sua madre ancora una volta aveva messo una pezza su una situazione fastidiosa che durava da troppo tempo e che la rendeva triste e sotto pressione.

    Si era sentita addosso quegli occhi colmi di tristezza, acuti, severi, petulanti, indagatori, penetranti, determinati a voler scovare la verità, una verità a tutti i costi, una realtà inconfessabile. Quella donna voleva dissotterrare quella storia sopita, nascosta, e sempre cacciata via dalla sua mente sul nascere.

    Non riusciva a comprendere che il suo nucleo vitale stava sanando la macchia, per regalarle un’altra opportunità. Il mondo era ancora perfetto e la accoglieva cancellando il passato, grazie a sua madre.

    La mamma riparava sempre tutto. Aveva una mente lucida, pronta a cucire pezze; a comprendere la realtà; a risolvere immantinente i problemi; a imbastire una bella storia e farla digerire ad altri. Era furba e lucida sino all’inverosimile. Com’era lungimirante!

    Una nube grigia, dondolante, tenebrosa, invadente la riportò indietro... a quel giorno.

    Come tutto era nitido… come se stesse camminando ora dal giardino verso casa!

    Il sangue del suo amico era nei suoi vestiti, nei suoi capelli, nelle sue mani, nei suoi piedi, nelle ginocchia, nelle gambe… nel suo cuore.

    Piangeva.

    Sulla faccia: una maschera di lacrime e sangue.

    Singhiozzante, era riuscita a dire con una voce rauca e impaurita: "Giuliano… Tirone… Giuliano… quello della fiaba… mamma…"

    … che cosa farfugli…

    "…mamma, l’orco della fiaba ha fatto del male a Giuliano… l’ha massacrato… Tirone si è infuriato… mamma Tirone… voleva colpire anche me… mamma… è sbucato dal centro della terra e… " Il sospetto che il mostro fosse lì, vicino a lei a spiare, le tolse il respiro e per una frazione di secondo sospettò di soffocare. Inspirò e deglutì a fatica.

    "Non dire a nessuno di Tirone. Qualunque cosa sia successa, non tirarlo fuori. Non parlare dell’orco… la gente non capirebbe e creerebbe dei misteri assurdi. Capisci quel che dico? Ti sottoporrebbero a diversi interrogatori, ed io non voglio."

    Chissà cosa avrebbero inventato i media, poi!

    Le aveva dato colpetti sulle spalle e fatto andare i pensieri dentro e fuori di sé, mentre cercava disperatamente di intuire cosa fosse realmente accaduto. Di una cosa era certa: la sua bambina era lì con lei, era una vittima, vittima di un delinquente. Pensava e sperava che Giuliano fosse solo ferito.

    Aveva chiamato la polizia dichiarando che qualcosa di terribile era accaduto a sua figlia e al compagno di giochi. Dall’altro capo del telefono le avevano risposto che già erano informati dell’accaduto e che gli agenti ben presto sarebbero stati a casa sua.

    È morto?

    Si… il poliziotto aveva riattaccato.

    E Ines con gli occhi sbarrati aveva immediatamente trovato la giusta versione che Serena avrebbe dovuto raccontare agli estranei: "Non parlare con nessuno… non ti far sfuggire Tirone… quel che è successo, tu non lo sai… cara… devi solo dimenticare, io ti aiuterò… sei sotto shock, sei una vittima… qualcuno… un mostro ha ucciso e ti ha ridotto così… piccola cara… vieni a fare un bel bagno… tesoro…"

    "Sì, è stato Tirone."

    "Non accennare all’orco della fiaba. Dì solo la verità: che non conosci l’aggressore. Tirerebbero fuori chissà cosa, se tu accennassi a Tirone. Vorrebbero sapere del racconto della nonna, e li avremmo sempre tra i piedi."

    L’aveva poi presa in braccio, come fosse una neonata e portata in bagno. Aveva aperto il rubinetto per far scorrere l’acqua calda. L’aveva svestita, e aiutata a entrare nella vasca. Aveva avuto un brivido nel notare l’acqua divenire rossa, e allora aveva aperto lo scarico per farla scivolare via assieme ai ricordi. Mentre la insaponava, aveva continuato a farle ripetere cosa avrebbe dovuto raccontare alla polizia e a chiunque. Meglio ancora, aveva suggerito, se fosse rimasta in silenzio.

    "Sei ancora confusa… le cose sono andate proprio come dice la tua mamma… capisci? Che non ti sfiori l’idea di parlare di Tirone… costruirebbero castelli in aria e ne farebbero una telenovela mediatica senza lasciarti in pace… forse Giuliano è solo ferito… poi vado a vedere…"

    Sperava che l’agente si fosse sbagliato, che il bambino fosse ancora vivo. Non si era presa la briga di correre nel giardino del vicino di casa per controllare. Voleva solo proteggere sua figlia.

    Era grata a sua madre. Le voleva un bene infinito. Aveva intuito che mettere di mezzo Tirone, sarebbe stato come darsi una mazzata sui piedi. Era sì, cosa inesistente il mostro di una fiaba cui nessuno avrebbe creduto, ma ne sarebbero rimasti affascinati. Ammaliati. Perché il mistero avvince. Avrebbero dunque tirato delle somme sbagliate, molto probabilmente. E questo non doveva accadere. Se avesse parlato della favola, si sarebbero persi nella magia e non avrebbero più acchiappato e imprigionato il maledetto assassino. Inoltre l’avrebbero tenuta sempre in ballo per farle tirar fuori Tirone dall’irrealtà. Per carità d’Iddio. Avrebbe subito una persecuzione per niente. La mamma aveva ragione.

    Sua madre ancora una volta l’aveva salvata dallo sguardo perforante, insolente, di Sandra che puntava verso il centro dei ricordi rimossi. Non capiva che se lei avesse accusato Tirone, se l’avesse nominato, questi l’avrebbe ingoiata.

    Non farò il tuo nome. È un segreto che nasconderò, per sempre.

    Sorridendo al roseto, allargò le braccia per girare su se stessa come una trottola. Si sentiva libera.

    Quando si fermò e aprì gli occhi, Sandra era lì davanti. Il suo sorriso si piegò in una smorfia raccapricciante che fece venire i brividi alla mamma di Giuliano.

    Cosa ci fai qui… nel mio giardino… Disse sgranando gli occhi.

    Non avere paura… ho scavalcato la staccionata… vedi… mostrò il sangue che scorreva dal palmo delle mani. Non è niente… poi mi metterò il disinfettante. Vedi cara Serena, piccola dolce Serena, io voglio che tu mi dica quello che ricordi di quel giorno… anche un piccolo particolare… non vuoi che il cattivo sia messo in gattabuia? La sua voce era un bisbiglio. Non voleva esser udita perché aveva paura che sua madre chiamasse la polizia.

    Tu ora te ne vai, e di corsa… Il viso della bambina si trasformò in una maschera di odio e il furore si accese e salì da dentro come un falò. Quel piccolo corpo gracile, a un tratto, si alzò di qualche palmo dal terreno. La faccia, si deformò in una maschera d’indignazione, le braccia fremettero e il busto si mosse ritmicamente come a seguire un suono di una musica ultraterrena che sussurrava: è troppo, è troppo, è troppo.

    Il sole parve scurirsi, e si udì la voce distinta di Giuliano: È lei l’assassina.

    Sandra smarrita e impaurita indietreggiò d’un passo.

    Sei stata tu… Disse, infine, rabbrividendo dalla testa ai piedi. Le salì da dentro, improvviso e imprevedibile, l’impeto della vendetta, e cominciò a schiaffeggiarla ovunque. La bambina rispose agli attacchi con una forza inaspettata. La sua reazione emotiva la caricava di un ammasso di energia tale che sembrava uscire non da una bimba di sette anni, bensì da un pugilatore professionista. Improvvisamente ambedue urlarono la loro rabbia e attirarono le attenzioni non solo della madre della bambina, ma anche del vicinato.

    Ines si gettò sul corpo della donna come un torrente in piena. I vicini le divisero e trascinarono Sandra oltre il cancello. Quando la polizia e i soccorsi arrivarono, la bambina e Sandra grondavano di sangue. Le trasportarono in ospedale, dove ognuno di loro rilasciò la propria dichiarazione.

    I coniugi Marenghi fecero la denuncia per tentato omicidio.

    La signora Caronia fu arrestata. Ripeté più volte che la bambina Serena aveva ucciso il figlio, senza mai essere creduta. I vicini testimoniarono contro Sandra e difesero la bambina. Sandra fu richiamata dal giudice, e ammonita a restare lontana dalla bambina.

    Il marito Stefano, pregò Ines di ritirare la denuncia. Assicurò che si sarebbero trasferiti altrove se l’avesse accontentato.

    Non ci sono scuse per ciò che ha fatto mia moglie, ma lei deve comprendere quello che sta passando... chiedo perdono… mi faccia questa grazia… è una mamma… come lei… e ogni giorno le telefonava con frasi sempre più accorate.

    Chieda il trasferimento gli rispose una sera, in tono secco. Era meglio toglierselo di torno. Non voleva più ascoltare quella voce supplichevole.

    Un mattino le telefonò dall’ufficio avvisandola che sarebbero partiti per Bologna fra due settimane. Mi stabilirò lì… fece, e aspettò con un picco d’ansia la sua risposta.

    Ci volle un tempo lungo di riflessione prima di annunciargli che il giorno appresso avrebbe ritirato la denuncia.

    Per Sandra iniziò il calvario dell’esaurimento nervoso.

    I coniugi Marenghi traslocarono in un altro appartamento. Senza il giardino. In un’altra zona di Milano. Speravano di tagliare per sempre quella parte dolorosa della loro esistenza.

    Capitolo 3

    L’amore stride

    Il tempo sana molte cose e sotterra eventi belli e tristi. Alcune cose sembrano mai accadute o successe in un mondo lontano, perso in un angolo remoto dell’universo.

    Gli anni per Serena si susseguirono scandendo successi scolastici uno dopo l’altro. A ventiquattro anni si laureò in giurisprudenza. Però, mentre una mano dorata porgeva, l’altra mano aggrediva: suo padre morì il giorno di Natale. Un anno dopo, sua madre si accasciò sulle piante della terrazza, mentre le innaffiava. Serena si sentiva sconfitta, e presagiva che un ordine superiore, divino, la volesse punire.

    Per fortuna aveva come sostentarsi. Infatti, già durante i corsi di laurea aveva iniziato a lavorare presso un avvocato di grido, e pochi anni dopo, aveva difeso il primo cliente. Era stato un trionfo. Ben presto era riuscita ad aprire uno studio tutto suo.

    Di recente si avvaleva dell’investigazione di Walter Dasier che era stato per anni un bravissimo detective della polizia operativa. Lo trovava affascinante, e si era lasciata corteggiare, mentre ancora conviveva con un altro avvocato, suo collega.

    La storia d’amore con Giacomo Tonat, iniziata a suon di campane a festa, presto era precipitata nella noia. La passione era evaporata e cadeva dal soffitto in rivoli ammuffiti, che lui riempiva di veleno per servirglieli a colazione, a pranzo e a cena.

    Serena, innamorata, presa

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