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Eden: Le cronache di Jahàr 1
Eden: Le cronache di Jahàr 1
Eden: Le cronache di Jahàr 1
E-book364 pagine5 ore

Eden: Le cronache di Jahàr 1

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Info su questo ebook

Fantascienza - romanzo (280 pagine) - C'è un pianeta in cui Dio parla agli uomini, in cui non esistono malattia e morte. Ma questo non vuol dire che sia un paradiso. Romanzo vincitore del Premio Odissea


C'è un pianeta nel quale Dio parla costantemente con gli uomini. Almeno, ad alcuni uomini. Un pianeta dove non esiste la malattia né la morte: ci si può ferire, anche gravemente, ma Dio passa la sua mano e guarisce. Non si vive in eterno: quando è il momento Dio chiama le anime a sé e semplicemente si sparisce dal mondo, per accedere a un diverso piano di esistenza. È un vero Eden. Ma questo non vuol dire che sia un paradiso. Si soffre, si fatica, si vive combattendo ogni giorno per quello che è necessario e quello si vuole ottenere. Gli uomini sono, dopotutto, uomini. E questo Dio è un Dio fatto a modo suo.

Un romanzo che parte da un'idea straordinaria e la sviluppa in modo inaspettato. Da una delle autrici più brillanti della fantascienza italiana, ecco il libro che è arrivato in finale al Premio Urania e ha vinto il Premio Odissea.


Cresciuta al Cairo, milanese di adozione, Franci Conforti è un luogo d’incontro di più popoli. Ha sulle spalle alcuni fallimenti e qualche successo; nel cuore però tiene (al caldo) una passione: usare gli uomini e le donne che ha conosciuto per dar vita alle sue storie fantastiche. È per queste persone che scrive, ma scrive anche, al buio, per chi non ha ancora incontrato. E cerca di dare a tutti qualcosa in cambio di quello che prende, pur sapendo che non sarà mai abbastanza. Laureata in biologia, giornalista professionista, docente all’Accademia di Belle Arti, Franci Conforti ha vinto due volte il Premio Odissea, una volta il Premio vegetti ed è arrivata più volte in finale al Premio Urania.

LinguaItaliano
Data di uscita9 mar 2021
ISBN9788825414875
Eden: Le cronache di Jahàr 1

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    Anteprima del libro

    Eden - Franci Conforti

    Note alla lettura

    Ci sono tre cose che vorrei dire.

    1.

    Questo romanzo è stato finalista al Premio Urania con il titolo Eresia, mentre come Eden ha vinto il Premio Odissea 2020. Le due versioni sono simili, ma non uguali, sia per contenuto che per dimensioni. Quella che avete per le mani è una ulteriore revisione e spero sia la migliore delle tre.

    2.

    Vorrei ringraziare chi mi ha aiutata. Il primo è Brian, senza di lui questo libro non esisterebbe proprio. Poi, in ordine casuale, la mia gratitudine va a Giovanna Repetto, Mauro Gaffo, Nino Martino, alla mitica Christina e a Marco Bini. Tutti loro, in momenti successivi, mi hanno aiutata nella rilettura. A Silvio Sosio un grazie per i consigli in fase di editing. A Jimmy un grazie infinito per il suo sostegno e il suo amore. E a voi la mia riconoscenza per essere qui. Sono i vostri commenti che mi permettono di migliorare.

    3.

    Mettere in scena un romanzo in cui uno dei protagonisti è Dio (oppure dio, vedete voi) è sempre un grosso azzardo. È difficile gestirlo senza stereotiparlo o renderlo grottesco. Il secondo problema è negli occhi di chi legge, perché è un tema che tocca qualcosa di molto personale. I non credenti guardano il testo con sospetto, manco fosse il catechismo, e i credenti si trovano alle prese con un personaggio letterario, lontano dalle loro scelte di fede. Entrambi leggono il libro come se fosse necessario schierarsi. Non lo è. È solo una storia di fantasia. Non ho velleità morali, ho troppo rispetto in ciò in cui credete o non credete.

    L’unico scopo di questa storia è dare forma a un what if.

    Come si sarebbe sviluppata la civiltà umana nel paradiso terrestre?

    Ho cercato d’immaginarlo attraverso una serie di speculazioni. Mi è sembrato un posto tosto e ho scelto di metterlo alla prova attraverso una serie di personaggi e di vicende. In primo piano, quindi, una storia d’azione, anche se altri spunti non mancano. Questo è quello che offro.

    Ho preferito che fosse esplicito, così potrete decidere se sbarcare con me nell’Eden, o meglio, sul pianeta Jahàreden. Qui tutto è fuori scala. È più grande, più luminoso, più vigoroso, più vertiginoso, più profondo della nostra Terra. Perfino i colori hanno un’intensità maggiore. Possono essere così violenti da levarti il fiato o tanto soffusi da struggerti di tenerezza. Poi c’è l’orizzonte. In un pianeta gigante l’orizzonte è lassù, più alto rispetto al nostro. Fa un effetto strano. Sembra sdoppiarsi, mentre ti fa sentire affossato nel terreno.

    Dio vive qui con le sue creature. Le piante producono cibo in abbondanza, le malattie non esistono e la morte nemmeno. Dio cura ogni ferita, risana ogni male. Qui ogni vita dura fin quando lui la chiama a sé. Può essere un attimo o centinaia di anni. Così si potrebbe pensare che Jahàr sia un luogo di gioia e di pace. Ma non è così perché è abitato da donne e uomini identici a noi, fatti proprio a Sua immagine e somiglianza.

    Benvenuti a Jahàreden

    Caratteristiche del pianeta

    Diametro all’equatore: 56.063 km.

    Stella binaria: Splendi (gialla G2V) e Piccola (nana

    rossa M05V).

    Satelliti naturali: Luna, Disco e Sasso.

    Durata dell’anno: 840 giorni e 42 minuti.

    Durata del giorno:¹ 33 ore terrestri.

    Data attuale: 92° giorno del 12.233° anno d’Illillah.


    ¹. I momenti della giornata sono nominati in base alle posizioni nel cielo di Splendi e Piccola. L’elenco completo lo trovate nei Contribuiti Extra sul sito: franciconforti.it.

    Primo capitolo

    Uomo, rimpiangerai questa bella giornata.

    (Parola di Illillah)

    Faceva caldo e il cielo era azzurro intenso. Rur Almuhallam, himman della Seconda Moschea Minore di Warda, teneva lezione nel giardino sul retro, all’ombra di un albero millenario. Una bimba s’era arrampicata sullo steccato bianco che recintava la scuola e se ne stava con una mano alzata. Voleva chiedere qualcosa, pur sapendo d’infrangere le leggi. Rur le fece un cenno con il capo.

    – Cosa vuoi, piccola?

    – Volevo sapere dove si va quando Dio ti porta via?

    Gli scolari sghignazzarono. Certe domande erano sciocche anche per una femmina. Rur, però, le rispose.

    – Illillah avvolge le persone nella sua luce e si prende cura di loro.

    – Questo lo so, lo so – protestò la bimba spingendosi sulle punte dei piedi e facendo scricchiolare lo steccato. – Il mio gatto, quello nero che dormiva sempre con me, ieri è diventato luminoso. E poi puff! – disse e con la manina paffuta minò il gesto perché tutti capissero com’era sparito il gatto. – Puff! Ha fatto puff e non c’era più. Dove lo ha portato Dio?

    Rur esitò.

    I ragazzi mormoravano e uno dei più agitati della classe tirò una palla di carta verso la bimba. Rur si allungò, la prese al volo, d’istinto, e se la rigirò tra le dita. I ragazzini risero dandosi di gomito. Quel barbar che avevano come insegnate era proprio un abominevole uomo delle nevi. Se lo chiudevi in una stanza per una settimana gli tornava la pelle colore latte di capra. L’himman ignorò i commenti, c’era abituato. Guardò la bimba.

    – Sai piccola, Illillah non ha mai detto a nessuno dove ci porterà. Ma credo che ora, lui e il tuo gatto, stiano giocando assieme.

    La piccola aggrottò la fronte e tornò alla carica.

    – Sì, ma perché non lo dice a nessuno?

    Già, perché? Rur rimase in silenzio sforzandosi d’ignorare la scolopendra che gli si arrampicava su per le viscere.

    Vespero – 92° giorno dell’anno di Illillah

    Istal’Inni – Warda – Canonica della Seconda Moschea Minore

    Splendi e Piccola, basse sull’orizzonte e legate da una virgola di plasma, venivano ingrandite dalla profondità dell’atmosfera. La loro luce calda s’infilava nelle vie di Warda rendendo l’immensa capitale dell’Inni un incendio di colori.

    Nello studiolo al secondo piano della canonica, Rur Almuhallam pregava inginocchiato s’una stuoia. Al collo portava il simbolo dell’antica fede: un ciondolo in metallo a forma di falso nodo. I marinai lo chiamavano il nodo dell’asino perché si scioglieva con facilità, proprio come il legame tra l’uomo e Dio.

    Rur si passò il dorso della mano sulla fronte imperlata di sudore e riabbassò gli occhi sul tomo di preghiere. Sura di laude all’Altissimo. Sia lode alla sua bontà, al suo amore, alla sua veracità, alla sua compassione, alla sua misericordia…

    Cambiò posizione. Sugli Attributi di Dio Rur si sentiva a disagio.

    Illillah non era così misericordioso, così sincero, così… era Dio e Rur s’incantò a guardare dalla finestra. Le torri bianche di albaTyrsis dominavano l’intera città. Chi aveva il privilegio di parlare con Illillah veniva chiamato Illuminato e viveva in quelle torri perché il Collegio Inquisitorio della Santa Chiesa imponeva loro l’assoluta riservatezza sull’esperienze che avevano con Dio. Dovevano rispettarne la volontà di mostrarsi a pochi.

    Rur scosse la testa, era per questo che gli atei erano sempre più numerosi e l’eresie fiorivano. Per molti Dio era solo un’allucinazione e la Chiamata un fenomeno naturale. Per altri Illillah era lo spirito primevo del pianeta, per altri ancora un’entità aliena che prelevava i viventi attraverso un congegno cosmico. E Dio non faceva nulla, ma proprio nulla, per mettere fine alle contorsioni mentali delle proprie creature.

    Rumori al piano di sotto.

    Rur chiuse il testo, lo baciò e si alzò con l’agilità di un animale. Era nudo, perché è nudi che ci si mostra a Dio. Acchiappò dalla spalliera della sedia un lungo jalares fresco di bucato e se lo infilò. Scalzo scese le scale. Erano gradini ripidi in muratura color ocra, privi di balaustra e costellati di piccoli vasi in cotto abitati da cactus. Idea di sua madre. E lei era lì.

    – Madre?

    – Non sono tua madre.

    Una minuscola vecchia dalla pelle scura e vizza stava riordinando nel modo più rumoroso possibile l’anticamera dove Rur riceveva i fedeli. La donna sbatteva con forza i cuscini colorati e la polvere brillava nel cono di luce che entrava dall’arcata. Rur si appoggiò a una colonna e infilò le mani nelle tasche a marsupio del jalares.

    – Madre, dimmi che hai?

    – Non sono tua madre! – ribadì stizzita la vecchia.

    Che l’anziana di etnia uossab non fosse la madre naturale di quel grosso barbar era piuttosto evidente. Gli occhi di lei erano scuri e rapaci, quelli dell’uomo di un grigio alieno quanto un giorno di pioggia nel deserto. E per quanto Rur si radesse e si concedesse lunghi bagni di sole per abbronzarsi, i lineamenti e la struttura fisica tradivano la sua natura.

    – Va bene, non sei mia madre, ma ti voglio bene come se lo fossi.

    La vecchia non si lasciò intenerire; sfiorandolo con gli abiti, sconfinò nella sala grande.

    – Dio non doveva permettere a uno come te di diventare himman – gli sibilò, senza guardarlo.

    Rur la seguì irritato come quando era un ragazzino. – Ah, fammi indovinare. Oggi è uno di quei giorni in cui Dio ha la fortuna di sentirsi spiegare da te quello che avrebbe dovuto fare.

    – Vergognati – disse Shaiara voltandosi e puntandogli un indice inanellato – un himman non scherza sul Signore. Ah, ma tu sei un barbar, rozzo e volgare come tutti i barbar; là ti dovevo lasciare. In quella terra senza Dio. Hai quarant’anni e che esempio dai ai tuoi fedeli?

    – Ne ho trentasei…

    – Non cambiar discorso. Ti conosco, eh. Allenamenti e donnine, donnine e allenamenti: ecco a che cosa pensi tutto il santo giorno.

    La vegliarda si fermò davanti al ripiano d’ebano sul quale era accatastata la corrispondenza. Prese una missiva e la sventagliò.

    – Questa è del Governatore, è qui da ieri. Ma guarda, guarda: cosa c’è scritto? Urgente e tu l’hai letta? No. Non ti sei preso nemmeno la briga di aprirla. E stai dritto e non ti appoggiare al muro che si regge benissimo da solo.

    Rur si staccò dal muro per appoggiarsi al bordo del tavolo.

    – Aprila – sospirò sfinito.

    Ma la vecchia se ne stava andando soddisfatta del frusciare nervoso della seta, spessa e croccante, della sua lunga veste. – …e sia chiaro che io non sono tua madre! – gli gridò, ormai lontana, alzando il tono per farsi sentire.

    Con un colpo di reni, Rur tolse il sedere dal tavolo e si lasciò cadere sul grande divano dai disegni cashmere. Allargò le braccia sullo schienale e rimase a fissare il vuoto. Il Governatore non gli era mai piaciuto.

    Aprì il sigillo. La lettera era scarna. Niente convenevoli, niente timbri e la firma era autografa. Solo Al Cleziano si pregiava di scrivere in oro zecchino.

    Riverito Rur Almuhallam, è richiesta, inderogabilmente, la sua presenza alle Porte Piccole del Governatorato, alle ore 6 precise del 94° giorno. Avremo un colloquio privato.

    Rur la rilesse. Al Cleziano era il Governatore dell’Inni, il più grande continente del pianeta. Cosa poteva volere da lui? Immaginò ci fosse di mezzo sua madre, i due si conoscevano. E non era la prima volta che la nobile Shaiara interveniva per spingere Rur a prender moglie, invece che consolare quelle altrui.

    Il barbar oltrepassò le grandi arcate che davano sul loggiato e si appoggiò al parapetto che dava sulla strada. La falce lucente della Luna brillava sopra i tetti piatti mentre Disco, liscio e verdolino, le scivolava davanti. Respirò profondamente, l’aria resa mielata dal profumo delle dracene in fiore.

    Dio arrivò come una vampata di colori e uno spostamento d’aria, ai confini della percezione. Rur si tenne al davanzale. Dio era di fretta.

    – Su, muoviti. Non vorrai perderti una serata così? Sprecare questa notte?

    Rur boccheggiava, il cuore gli batteva troppo forte. Ogni volta temeva che gli si sarebbe spaccato in petto come un frutto marcio.

    – Signore…

    – Piantala e usciamo – lo incalzò l’Incredibile, vorticando nel turbine d’impazienza che gli gonfiava la voce.

    – Il Governatore vuole vedermi, credo sia per la mia condotta – disse Rur.

    – Quisquilie. Andiamo, Warda è bellissima.

    – Signore, sono l’unico barbar tra milioni di tarb e sono un tuo himman, non dovrei passare fuori tutte le notti. La mia condotta sta urtando la sensibilità di molti e ora il Governatore…

    – Piantala, Rur.

    – Signore, tu sai com’è fatto quello; sai che mezzi usa, tu sai tutto.

    – Non so tutto, potrei, ma do il buon esempio. Te l’ho già spiegato.

    – E se capissero di noi? Sai come la pensano sui barbar. Mi rinchiuderebbero chissà dove.

    – Hai paura.

    – No. Non ho paura. Sto solo esponendo i fatti.

    – Uhm, come con quella bambina e il suo gatto?

    Rur ci pensò su, posò le mani basse sui fianchi.

    – Giusto. Ora dov’è il suo gatto?

    – Non lo vuoi sapere.

    – Invece lo vorrei tanto, perché questa risposta mi fa pensare male.

    Illillah rise. – Lo so. Te la fai sotto perché non ti fidi di me.

    – Certo che mi fido.

    – Se ti fidassi ci sarebbero cose che non vorresti sapere, proprio come io scelgo di non saperne alcune. Do il buon esempio. Per una volta, provaci.

    – Ma io ho piena fiducia in te, giuro. Mettimi pure alla prova.

    – Piantala Rur, non mi tentare.

    – Non ti sto tentando. Sto solo dicendo che mi fido completamente.

    – Come credi. E ora dimmi, vuoi uscire sì o no?

    Si può dire di no a Illillah? Rur annuì.

    Dio rotolò nel secondo orizzonte. Era il rombo lontano dell’ultimo tuono che lascia spazio al cielo stellato. Rur andò a prendere il mantello in camera e scavalcò il balcone quando in strada non c’era nessuno.

    Una mano rugosa e magra scostò la tenda del portico ovest della canonica. Shaiara era convinta che fosse saggio spiare i movimenti degli uomini e i sospiri delle donne. Lo faceva da secoli, a Dio piacendo. E si concesse un sorriso guardando quel figlio non suo, quel barbar grezzo e bugiardo come tutti i barbar, che usciva di soppiatto nella nuova notte.

    Aurora – giorno 93° giorno dell’anno di Illillah

    Istal’Inni – Warda – Portico esterno della Seconda Moschea Minore

    A est un vago chiarore spingeva via la notte tingendo di lilla un arco di piccole nubi nell’immensa curvatura di cielo di Jahàreden. Un alone fucsia e una vampata dorata, indicavano il punto in cui Splendi e Piccola sarebbero sorte.

    Le colonne del portico esterno della Seconda Moschea Minore, però, erano ancora in ombra e i getti d’acqua fredda che sgorgavano dalle bocche dei lavacri risuonavano nelle conche di marmo. Dormivano lì, avvolti in stracci e cartoni, i mendicanti portati dalla notte.

    Rur si strinse nelle spalle per il fresco del primo mattino. Lasciò cadere a terra gli abiti e mise le mani a coppa sotto il getto d’acqua gelido. Gli schizzi bagnarono le pietre mentre si sciacquava tra quegli uomini dal sonno e dall’alito pesante. Uomini che lì trovavano un rifugio e non badavano a chi nudo si lavava. Uomini che prima di addormentarsi dispiegavano un fazzoletto e lo fermavano coi sassi. Al risveglio ci trovavano un soldino, elemosina di chi cerca di sfuggire il giudizio degli uomini, in attesa che una locanda, una qualunque, riapra.

    Secondo capitolo

    Beati i somari, perché nell’ignoranza si è liberi.

    (Proverbio tarb)

    Il cielo era ancora buio, ma la notte stava finendo e un doppio anello rosato abbracciava la linea dell’orizzonte. Rur amava correre con il fresco e c’era sempre qualche nuovo percorso da scoprire. Nessuno poteva vantarsi di conoscere davvero Warda, la capitale dell’Inni. Estesa quanto una regione, aveva migliaia di quartieri, milioni di vie, miliardi di edifici. Piccole case cubiche a calce, ville lussuose, giardini e grandi palazzi che ricoprivano il suolo desertico, si arrampicavano sui piccoli colli o circondavano le oasi dove sgorgavano le acque termali. Rur aumentò l’andatura. Attraversò il parco botanico, superò i Sette Ponti della Saggezza e s’infilò in piazza Popoli Riuniti. Era arrivato.

    Roselin – 94° giorno dell’anno di Illillah

    Istal’Inni – Warda – Palazzo del Governatore

    Rur fece un paio di movimenti per allungare i muscoli, si diede una sistemata e si avvicinò. L’ingresso secondario del Governatorato era piantonato da alcune guardie. Una gli chiese: – Sei Almuhallam?

    Rur annuì e quelli si scansarono per consentirgli di salire i gradini.

    I modi erano bruschi e gli sguardi sprezzanti. Rur pensò fosse per la sua etnia o il suo abbigliamento: era a piedi nudi, indossava un jalares da jogging e, al collo, un asciugamano bianco. Si passò la spugna sul viso e, con una certa discrezione, si annusò la tunica. Temeva sempre di avere un odore forte, come una bestia selvatica.

    Il palazzo, immerso nella penombra, dormiva ancora. Ai passi pesanti e cadenzati delle guardie faceva da contrappunto il silenzio dei suoi. A piedi nudi sentiva il freddo del marmo lucido e la morbidezza dei tappeti di seta. Attraversarono un cortile interno ed entrarono in un’area cupa, dall’aspetto marziale. Si fermarono davanti a una doppia porta rinforzata. Rur cercò di rassicurarsi. Non aveva nessun motivo per temere il Governatore. Quasi nessuno. A parte il fatto che tutti temevano il Governatore.

    – Tatk! Malak wa ulnet! – urlò una delle guardie dando un colpo di batacchio.

    La porta si aprì.

    Un guardiano grasso e sciatto lo squadrò dalla testa ai piedi. Aveva la bocca marcia e biascicava foglie di emtal.

    – Un barbar… – disse sogghignando – questa sì che è una sorpresa.

    Srotolò il foglio d’ordine e controllò il registro che teneva aperto sul banco. Rur incrociò le braccia e si appoggiò allo stipite della porta con fare strafottente, tanto per darsi un tono.

    – A posto, accetto la consegna – disse il guardiano

    Rur girò il registro dal suo lato. – Voglio vedere.

    Fece correre il dito sulle righe. Rur–Almuhallam, himman della Seconda Moschea Minore di Warda e Quaestor delle eresie dell’Invanor: ordine di presa in consegna. Arrivo previsto per il giorno 94. Cubo cinquantacinque, secondo livello. Priorità e ripristino. Non c’era nessun errore. Un umore gelido gl’inzuppò le viscere e gli paralizzò il cervello.

    Il guardiano suonò un gong d’ottone e sei vexillator lo presero in consegna. Spade corte, pugnali e flagelli. Rur, dalla sua, aveva un asciugamano bianco e la rabbia che gli saliva, mascherando la paura. Seguì quegli uomini senza protestare, sarebbe stato inutile. Non chiederò, non implorerò, non patteggerò si promise, mentre l’altra metà del suo cuore si faceva piccola e diventava vile.

    Si addentrarono nell’area detentiva.

    L’odore era penetrante. Il canale di scarico delle latrine carcerarie costeggiava il corridoio rendendo viscido il pavimento. Rur cercò di non guardare il lerciume su cui posava i piedi e le braccia smagrite che si protendevano dagli spioncini delle celle. Sbucarono in un corridoio che aveva, da un lato, una sequenza di cubicoli numerati: undici, ventidue… cinquantacinque. Era il suo. Le guardie aprirono la cella e Rur entrò senza fare storie.

    Rimase solo.

    Il cubicolo aveva due porte che si fronteggiavano, quella da cui era entrato e quella da cui, probabilmente, sarebbe uscito. Lo spioncino di quest’ultima si affacciava in uno stanzone di quelli usati per gl’interrogatori. Pali di metallo infissi nel pavimento, catene, sferze e indumenti di contenimento in cuoio logoro. Poco distanti erano appesi i paludamenti formali dei quaestor. Rur distolse lo sguardo. Gli uomini del Governatore erano noti per la loro crudeltà e la loro tenacia. Fanculo, pensò, e si mise a fare ginnastica. Addominali, bicipiti, dorsali.

    Un’ora, e poi? L’attesa era pesante. Non poteva fare altro che ascoltare i gemiti occasionali, nei cubicoli vicini. Due ore, tre? Quattro? In quattro ore ebbe tempo per immaginare sensazioni fisiche mai provate e a Rur venne meno il coraggio. Posò le mani e la fronte al muro.

    – Mio Dio…

    Scosse la testa. Si morse le labbra, per non pregarlo. Non si sarebbe unito alle voci che chiedevano favori a Illillah. Miliardi di voci che imploravano. Era un himman, pregava per gli altri. Dio sorrise olografico da ogni pietra della cella, ma Rur non lo vide.

    Mane – 94° giorno dell’anno di Illillah

    Istal’Inni – Warda – Palazzo del Governatore

    La sala degli interrogatori si animò e due vexillator in divisa rossa vennero a prenderlo. Rur si tirò indietro, inumidendosi le labbra.

    – Ci deve essere un errore, per favore, potete controllare? Sono un himman, sono…

    – Sappiamo chi è.

    Avevano modi marziali, asciutti, ma rispettosi. Un graduato lo condusse verso una coppia di pali di metallo che andavano dal soffitto a terra.

    – La preghiamo di spogliarsi e di mantenere un atteggiamento dignitoso.

    Rur s’irrigidì, non si mosse. Si guardò attorno. Quattro vexillator e un paio d’inservienti. A che gli erano serviti anni di arti marziali se non aveva il coraggio di battersi? Strinse i pugni. Uno dei vexillator notò il movimento e gli si piazzò davanti.

    – Se si vergogna, saremo costretti a svestirla noi – disse con un accenno di divertimento nella voce.

    Punto sul vivo, a Rur salì la rabbia. Svesti tua nonna, stronzo! pensò togliendosi la roba e tirandogliela addosso. Raddrizzò la schiena e restò fermo, con fare di sfida. Era vero, era un barbar, ma nessuno era imponente quanto lui e fecero fatica a infilargli in testa un sacco. Con due lacci glielo chiusero attorno al collo. Gli guidarono le mani ai pali.

    – Se non vuole essere legato, si tenga con forza.

    Rur distese bene le dita e poi le strinse attorno al metallo. Ci siamo pensò, ma finirà. Dio curerà le mie ferite, ma non cancellerà il ricordo che avrò di me. Devo controllare il respiro e… e non devo urlare. Non darò loro questa soddisfazione. Serrò con forza i muscoli della braccia e della schiena, puntò i piedi. Non fece in tempo a stringere i denti. Sentì uno schiocco metallico e fu investito da una cascata d’acqua gelida. Shock termico. Blocco del respiro, contrattura del diaframma. Se gridò per la sorpresa, nessuno lo sentì. Si tenne ben saldo per non essere spazzato via. Non voleva, ma tremava e stava perdendo la presa. Schiocco metallico. L’acqua diminuì e poi finì.

    Rimase immobile.

    Stordito dal freddo, coi riflessi rallentati, reso cieco dal sacco fradicio legato in testa. Lo condussero qualche metro più in là, lo fecero sedere su una panca. Rur afferrò il bordo con le mani. Lo strofinarono con dei teli ruvidi, tamponando il sacco per asciugarlo, ma non glielo tolsero. Gli infilarono delle vesti. Non erano le sue. Odoravano di bucato, se non altro erano pulite. Lo costrinsero a infilare i piedi in pantofole rigide e troppo corte.

    – Alzati.

    Due mani lo afferrarono dietro i gomiti per guidarlo. Lo spinsero in uno spazio angusto che colpì con la testa e poi con la spalla.

    – Ora in ginocchio – gli intimò un vexillator.

    – No – ringhiò, senza pensare.

    Un colpo secco nell’incavo della gamba lo costrinse a piegarsi. Rur mise le mani avanti per non cadere. Qualcuno gli piantò una mano sul collo per tenerlo giù, fermo, mentre il pavimento sotto di loro si muoveva verso l’alto. Un lift pensò Rur.

    La salita si arrestò con un contraccolpo. Una guardia gli slacciò il cappuccio bagnato e glielo sfilò dalla testa.

    – Benvenuto himman. Mi compiaccio del suo abbigliamento consono all’occasione.

    La voce trasudava soddisfazione. Rur, tenuto in ginocchio, sollevò lo sguardo. Davanti a lui Al Cleziano, Governatore dell’Inni, occupava il centro della sfarzosa Sala del Pavone a mosaici blu e oro. Era un uomo basso, leggermente sovrappeso, dalla stempiatura incipiente e dai modi tipici dei quartieri di Vecchia Levante. Vestiva uno scamiciato ricamato da cui spuntava un ampio jalares di seta pieghettata. Le bordure tempestate di perle rosate facevano passare inosservato un orecchino pendente dalla foggia piuttosto femminile.

    – Al suo servizio, eccellente e chiarissimo Governatore – riuscì a recitare Rur, dissimulando la rabbia. Lo avevano rivestito con un ricco pastrano in broccato color crema e calzava delle orribili babbucce di quelle che andavano di moda tra i cortigiani.

    – Bene – disse Al Cleziano strofinandosi le mani – su, lasciatelo.

    Il barbar si alzò e fece un doppio inchino: uno falso per il Governatore e l’altro sincero, al Dio delle beffe. Al Cleziano gl’indicò una grande sala, alla sua destra. Due valletti, troppo giovani e troppo svestiti, tenevano aperte le pesanti porte di metallo sbalzato. Oltre quelle, faceva mostra di sé un enorme planisfero luminoso. Rappresentava l’emisfero conosciuto di Jahàreden, i suoi continenti, i suoi mari ed era tempestato di città. Un grande schermo riportava i dati della suddivisione politica del pianeta.

    • Province dell’Inni. Popolazione: 12 miliardi di abitanti; capitale Warda.

    • Province dell’Invanor. Popolazione: 800 milioni di abitanti; capitale Ulvik.

    • Province dell’IsolaRaccolta. Popolazione: 200 milioni di abitanti; capitale nuovaReblin

    • Province dell’Hilde. Popolazione stimata: 10 milioni di abitanti; capitale Hilde:Kirnez

    • Isole inesplorate dell’altro emisfero. Popolazione sconosciuta.

    Rur sfiorò quella meraviglia, ignorava che esistessero strumenti di quel tipo. Le tecnologie erano riservate ai potenti.

    – Ovviamente sono dati per approssimazione, serviranno secoli per avere i numeri esatti, in tempo reale. Ma venga, si serva, prego – lo richiamò Al Cleziano andando verso una tavola imbandita.

    – Ho già fatto colazione – rispose, secco, Rur.

    – I miei informatori mi assicurano che è un uomo dagli appetiti robusti. L’allenamento di stamattina deve averle messo fame. O vuole dimostrare qualcosa?

    Rur tagliò corto. – Posso chiederle perché mi ha convocato?

    Il Governatore si cacciò un dolcetto in bocca.

    – È un uomo fortunato. L’ho scelta per eseguire un test mistico su una ragazzina. Come forse sa, non ho potuto avere figli, ma a me piacciono tanto i bambini. E a lei?

    – Lei è una povera testa di cazzo… – ringhiò Rur, preso alla sprovvista da un’allusione tanto diretta.

    – Su, su, non dica cose di cui poi potrebbe pentirsi. Scherzavo, lo faccio sempre coi miei uomini. Adoro vedere come reagiscono.

    – Non sono un suo uomo. Appartengo alla Santa Chiesa d’Illillah.

    – Uhm, vedremo – commentò il Governatore staccando un acino d’uva da un grappolo – comunque si sieda per favore, ho una proposta da farle e non sopporto parlare con chi è più alto di me.

    Rur lo accontentò, ma non depose i modi ostili. Non capiva come sua madre potesse stimarlo.

    – Come le dicevo, deve effettuare un test mistico… – disse il Governatore, ma Rur lo bloccò.

    – No. Solo gli inquisitor o gli Illuminati possono effettuarle.

    – Uhm, per le mie necessità, lei è perfetto. Allora, la bimba in questione ha undici anni e vive sull’isola prigione di Lanai Emu. Lei andrà a testarla, in segreto, per me

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